28-12-19 (16-12-19)
Quella che segue è una collezione di alcuni episodi in cui aerei e navi sono andati allo scontro diretto durante la II guerra mondiale. Alcuni sono famosi, altri sono decisamente ignoti, ma tutti sono pregni di insegnamenti. Alle volte è andata bene, alle volte è stato un trionfo, alle volte è andata male anche con aerei più moderni e con equipaggi motivati all'estremo sacrificio.
Naturalmente, questo aiuta molto nello studio delle difese a.a delle navi anche moderne, i danni che sono sostenibili dagli aerei, spesso superiori a quanto si potrebbe aspettare di avere, i danni che subiscono le navi anche quando 'mancate' e così via.
Iniziamo dall'HMS Suffolk, meglio noto per il suo ruolo (in verità molto discusso) durante la caccia alla Bismarck. Ma cosa aveva fatto il Suffolk appena prima di iniziare questa famosa battaglia, di cui fu spettatore più che attore, assieme al fratello Norfolk?
In servizio: il Suffolk venne danneggiato da una grossa bomba da ben 1.000 kg, il 17 aprile 1940, ma sopravvisse anche se richiese 10 mesi di riparazioni.
La storia, però, è ben più complicata di come la racconta wikipedia (ebbene sì, anche wiki ha dei limiti) e va raccontata nei dettagli, molto interessanti. La si può trovare qui (su world-war.co.ok): un tentativo malgestito, di bombardare una base aerea caduta in mano ai tedeschi, in Norvegia. Era L'Operazione Duck, e in effetti, anatra... zoppa fu. Durante la notte, l'aeroporto di Stavanger, appena occupato dai tedeschi, fu colpito in una tipica azione da incrociatore (colpisci e scappa, un pò come i giapponesi a Henderson Field). Il bombardamento era accompagnato da diversi raid aerei condotti da Hudson e Blenheim ed ebbe scarso successo, ma non senza perdite tedesche. Però l'aeroporto non venne attaccato in maniera significativa: benché uno Ju-52 venisse distrutto da bombe incendiarie rilasciate da un Hudson del Coastal Command, illuminando la base con le fiamme, l'incrociatore sparò 202 colpi (da 203 mm...), essenzialmente sull'idroscalo di Sola, vicino all'aeroporto. Causò danni notevoli e tra l'altro, distrusse ben 4 rari e moderni He-115C oltre a 4 He 59 da trasporto, pur sparando da circa 18 km, e prima di ritirarsi con il sorgere del Sole. Era accompagnato da 4 caccia: 2 per compiti ASW, 2 per dragaggio mine.
I tedeschi, comunque sia, non furono per niente pacifici nella loro reazione. A parte un attacco condotto da 10 He-111 del I/KG.26, che non causò danni all'incrociatore (ma due SC 250 danneggiarono come near miss un caccia, tubi lancio posteriori KO e sostegni macchine spezzati), lanciate da alta quota, i tedeschi mobilitarono anche due He 115 del 3./Ku.fl.Gr 506, ma non poterono lanciare i siluri causa maltempo. 10 idro Do 18 mantennero il contatto con l'incrociatore, da parte dei gruppi 106 e 406. Dopo un attacco inefficace da parte di 12 Wellington, altri 12 Blenheim attaccarono Stavanger-Sola. La prima sezione di 3 aerei bombardò da ben 18.000 ft (oltre 5.500 m) eppure distrusse un Bf 110C del 1./ZG 76 e 1 Ju 58, uccidendo anche due persone a terra. Le altre 3 sezioni attaccarono da soli 1.500 ft e fallirono, una venne attaccata da Bf 110 e perse due dei suoi aerei.
Nel mentre, il K.G. 30 lanciò gli allora nuovissimi Ju 88A: ben 28 aerei decollarono alla ricerca dell'incursore inglese.
Attorno alle 10 del mattino, la nave inglese fu avvistata, ma soltanto 10 riuscirono a localizzarla e ad eseguire l'attacco, per varie ragioni. La loro tecnica d'attacco era una violenta picchiata da circa 3.000-4.600 metri, scendendo a 65-70°, rilasciando le bombe a circa 1.200-1.500 metri. Un singolo aereo, autentica sopresa tattica, si buttò da almeno 3.000 m di quota attorno alle 10.37, anziché restare in volo orizzontale. Una bomba SD1000 centrò la nave appena avanti alla torretta X, penetrando ben 4 ponti prima di scoppiare. Come se non bastasse, l'esplosione investì anche la sala maneggio della cordite sotto alla torre X, dove causò una potente esplosione secondaria, che risalì dalla barbetta e scoperchiò la torre! Per fortuna, i depositi munizioni non vennero afflitti da questo scoppio, grazie probabilmente alla loro corazza protettiva, nonché ad un rapido allagamento. Altra parte dell'esplosione uscì dallo scarico dei motori posteriori (fumaiolo?) Certo, che se nelle navi fossero presenti dei blown-out panel come sul tetto della torre dei carri M1 Abrams, tante distruzioni causate da esplosioni interne si sarebbero evitate, o no? In questo caso, la limitata corazza della torre fu forse d'aiuto... Un piccolo foro nello scafo creò una forte inondazione dentro la nave sventrata, tanto che in 20 minuti si riempì di 1.500 tonnellate d'acqua. La velocità venne ridotta a 18 nodi, le torri posteriori X e Y fuori uso, 32 morti e 37 feriti e radio fuori uso.
Nel prosieguo di questa mortale mattinata, per ben 3 ore e mezza gli Ju 88 scesero ogni tanto verso la nave per attaccarla. La loro autonomia era notevole, e potevano volare per tutto quel tempo con due potenti bombe SD1000 (semi-perforanti, ideali come mix tra penetrazione e carica esplosiva, per bersagli di media durezza come un incrociatore). Ad un certo punto la macchina timone era fuori uso, e alle 13.25, con il cielo diventato quasi totalmente sereno, uno Ju88 scese prontamente giù, a circa 70° da destra. Durante l'azione l'aereo mitragliò anche l'hangar idrovolanti, malgrado non avesse certo un armamento prodiero devastante. Le bombe mancarono di 5-6 metri la nave, appena dietro la torre X, esplodendo all'impatto sulla destra dell'incrociatore. L'onda d'urto subacquea fu minore di quanto poteva essere, ma la nave fu comunque crivellata di schegge e altri allagamenti si verificarono, finendo con inondare tutta la zona poppiera dell'incrociatore.
Altri 22 He 111 del KG 4 vennero mandati in azione per affondare il Suffolk, ma alcuni Skua e Hudson intervennero (benché inizialmente fatti segno del tiro a.a della nave), e protessero da ulteriori attacchi, abbattendo anche un Do 18G del Gruppo 406 (da parte di 3 Skua del No.801 Sqn). Però alle 14.30 un He 111 ottenne un altro near miss con una piccola SC 250 vicino al locale caldaie e causò altri allagamenti.
L'ultimo attacco avvenne alle 15, ma oramai era finita. Al termine di questa complessa manovra, che costò caro ad entrambe le parti, tuttavia, erano gli inglesi che fallirono la loro operazione. In cambio di almeno 8 idrovolanti distrutti e un altro abbattuto, più un Bf 110 e almeno 2 Ju 52 distrutti al suolo, la marina inglese si trovò due navi danneggiate e il Suffolk in maniera particolarmente grave. Esso ebbe una giornata davvero difficile: fu sotto attacco per qualcosa come 8 ore di tempo, benché gli attaccanti non furono poi così tanti. La LW lanciò almeno 60 bombardieri, ma solo 23 trovarono il loro bersaglio. Vennero registrati ben 33 attacchi con 88 bombe rilasciate. Il Suffolk aveva solo 4 cannoni da 101 mm più armi leggere, e non possedeva quindi una potenza di fuoco elevata, mentre i caccia erano ancora meno validi non avendo artiglierie pesanti contraeree. La corazza era ridotta. Eppure, la nave, malgrado tutto, restò a galla. Delle 88 bombe (non è chiaro se conteggiata anche quella che ha colpito la nave), solo 1 ha centrato l'incrociatore, e 3 near miss (1 da 250 e 2 da 1.000 kg). La difesa inglese non è stata molto forte, nessuno dei bombardieri è stato abbattuto. D'altro canto, non si sono saputi riunire per attaccare in maniera massiccia l'incrociatore inglese. Il Suffolk sopravvisse grazie ad un pò di fortuna, al tardo arrivo di supporto aereo, e ad un'eccellente riserva di galleggiabilità che gli consentì di non andare a fondo irrimediabilmente, malgrado migliaia di tonnellate d'acqua che entrarono nello scafo.
Il moderno cacciatorpediniere Kipling fu messo fuori uso per 3 mesi, e l'HMS Suffolk venne tenuto fuori servizio per riparazioni per ben 10 mesi, fino al febbraio del 1941. Anche così, farà in tempo a partecipare alla caccia alla Bismarck, assieme al gemello Norflolk.
Questa misconosciuta storia ci ha dato modo, al dunque, di capire molto meglio come funzionava la guerra aereonavale nel 1940 ed è per questo che meritava un approfondimento.
Durante l'operazione, gli aerei inglesi verranno persino intercettati da uno Ju 88C, la nuovissi-missima versione da caccia pesante del bimotore Junkers, sempre del KG 30. A loro volta, i britannici metteranno in campo almeno due novità: 3 Blenheim IVF, ovvero la modifica da caccia dell'ultima versione del bimotore Bristol, altrettanto inedita all'epoca, da parte del No. 224 Sqn. Altrettanto nuovi saranno gli americani Hudson del No.223 e 224 Sqn del 18 Group, e notare bene, tutti questi velivoli e squadroni erano parte del Comando Costiero e non di quelli caccia o bombardieri.
Altro elemento d'interesse è il fatto che i bombardieri in picchiata non solo arrivavano sui 70° pur essendo bimotori, ma riuscivano anche a mitragliare il bersaglio PRIMA di rilasciare le loro bombe.
Cornwall e Dorsetshire
5 Aprile 1942, Oceano indiano. Quel mattino era un giorno calmo e con ottima visibilità, sia pura con lieve foschia. Dopo essere stati ombreggiati per alcune ore da aerei sconosciuti o palesemente nemici, i due incrociatori, mentre viaggiavano a 27,5 nodi, si trovarono all'improvviso ben altre presenze attorno. Erano navi classe County, non unità straordinarie, ma certamente valide e fino ad allora, in quasi 3 anni di guerra, senza alcuna perdita tra le 13 navi della marina inglese e australiana. Ma le portaerei giapponesi stavano incombendo nella loro efficace, ma futile, incursione nell'Oceano Indiano, distrazione di forze proprio quando non ce ne sarebbe stato alcun bisogno in previsione della battaglia finale contro la marina americana. In ogni caso, quella mattina si sarebbe compiuto un altro disastro per la marina inglese, che non sarebbe stato né il primo né l'ultimo per mano degli ex allievi giapponesi.
Il Dorsetshire vide apparire tre aerei in cielo, attorno alle 13.40. Subito li identificò come nemici e aprì il fuoco. Ma quegli aerei si buttarono in una ripida picchiata verso il compare Cornwall, che era circa un miglio a sinistra, per poi rilasciare le loro bombe a bassa quota. Due di queste ottennero un risultato positivo: un centro pieno nell'hangar poppiero e un near miss a lato sinistro. Ma quel che il Dorsetshire non sapeva ancora, è che c'erano anche altri 3 aerei in viaggio per lui. Pur virando a destra all'ultimo momento, tutti e tre i bombardieri centrarono la nave! Uno mise fuori uso il timone, un altro la radio e il terzo distrusse la contraerea pesante di sinistra. Altri aerei scesero giù, sempre in gruppi di tre, penetrando nella sala caldaie A, nella torretta X, nel fumaiolo destro distruggendo un deposito munizioni da 101 ed entrambi i cannoni pom-pom!!! Praticamente, la nave era spacciata già con questi primi, micidiali colpi apparsi dal nulla. Questa era la tremenda potenza dell'attacco in picchiata, in un tempo in cui non esisteva il radar (che in ogni caso, ha dei limiti d'elevazione quando il bersaglio è troppo in alto). I giapponesi furono furbi: si nascosero letteralmente nel Sole, e da lì scesero giù come falchi, malgrado fossero relativamente lenti. Inoltre, data la posizione del Sole, arrivarono da prua, dove c'era un chiaro punto cieco della contraerea delle navi.
Le due navi inglesi da oltre 190 metri e 10.000 tonnellate abbondanti, erano di due gruppi diversi della classe, con diversi ammodernamenti; entrambi ebbero il raddoppio di cannoni da 102 da 4 a 8 (4 binati), il Cornwall ebbe 2 impianti ottupli pom-pom oltre alla cintura da 114 (1,8 m H) sulle macchine e 101 sui ventilatori delle caldaie. Inoltre avevano controcarene da 1,6 metri su ogni lato (mentre sul Canberra australiano erano solo da 0,76 m). Il Dorsetshire invece ebbe due impianti ottupli da 40 mm, e 9 singoli da 20 mm. Niente incremento della protezione. Ma sopratutto, non risulta nessun radar a bordo in nessuna delle due navi.
E il Dorsetshire, di conseguenza, poté vedere gli aerei diretti verso il compagno, ma non quelli verso se stesso! Dopo 4 minuti la nave era già inclinata, e in tutto subirà altri 4 colpi almeno, totalizzandone 10, più diversi near miss! Dopo 6 minuti, il capitano ordinò l'abbandono della nave, mentre i piloti giapponesi orbitavano sopra e sparavano con le mitragliatrici da bassa quota. La nave andò giù di poppa, scendendo addirittura in verticale.
Il Cornwall non ebbe nessuna fortuna a sua volta: in due minuti prese una fila di bombe in pieo o vicinissime. Si pensa che ebbe 8 colpi in pieno e sei near miss, con soltanto due bombe totalmente 'sprecate'.
I near miss furono terribilmente efficaci: uno di essi affogò gli occupanti nella sala motori posteriore, le due sale caldaie vennero inondate da altri near miss, mentre una bomba colpì sulla linea d'acqua la sala macchine anteriore. Altri colpi sulle torri posteriori, dinamo, e altri posti ancora. Una bomba scoppiò a destra uccidendo o ferendo molti sul ponte per via delle schegge e di un mitragliamento. Incredibilmente, si ha notizia di una bomba incendiaria (forse una HE che era detonata in maniera difettosa?) che centrò un cannone a.a. uccidendo alcuni uomini mentre altri si salvarono grazie agli equipaggiamenti anti-incendio che portavano. Meno di 5 minuti dopo, non c'era più l'energia elettrica a bordo della nave e tutti i locali motori erano in allagamento!
La fine del bombardamento avvenne alle 13.51 (ma chi avrà avuto il tempo di controllare l'orologio?) e per allora già il Dorsetshire era affondato! Alle 13.55 venne ordinato dal comandante anche l'abbandono del Cornwall. Nel mentre, i bombardieri giapponesi, dopo questo astuto e micidiale attacco 'a sorpresa' (out of the sun) ripresero la formazione di volo normale. Ne vennero contati 27, più un idrovolante. Circa 4 minuti dopo, il Cornwall si inclinò di 70° e affondò di prua, con circa 30° sulla verticale mentre scendeva negli abissi quasi silenziosamente.
Fu sorprendente come i giapponesi utilizzassero le loro pur piccole bombe, che erano presumibilmente da 250 kg (infatti), spesso sganciandole da quote basse come 300 metri, mentre la contraerea pesante riuscì a sparare soltanto qualche proiettile prima di essere messa KO. Quella leggera sparò di più, ma senza successo; nondimeno, il Cornwall vide colpi a segno su di un aereo e un altro che colpì il mare.
L'effetto delle bombe cadute vicine fu terribile, eppure si trattava di ordigni di piccole dimensioni. Alcuni scoppiavano subito, altri con ritardo.
Se non altro, dopo questo disastro, che ricordava la strage del 10 dicembre precedente, quando i siluranti giapponesi distrussero due corazzate inglesi, la maggior parte dell'equipaggio dei due incrociatori si salvò, benché fossero a 300 miglia da terra. Di entrambe le navi erano sopravvissute due imbarcazioni e vari mezzi minori, più i soliti rottami galleggianti. Gli uomini vennero tenuti sotto ferrea disciplina dagli ufficiali, che così facendo salvarono la situazione, potenzialmente terrificante. Gli squali erano numerosi, ma si accontentavano di approfittare dei corpi dei caduti, mentre non attaccarono affatto le persone vive. Il tardo pomeriggio del 6 aprile un biplano Albacore venne visto in aria e poi giunse il salvataggio: l'incrociatore Enterprise (vecchio ma ancora tra i più veloci della RN) e due caccia. In tutto salvarono 1.122 uomini, inclusi molti feriti. Le perdite definitive furono 19 ufficiali e 215 ordinari per il Dorsetshire e 10+180 per il Cornwall, in tutto cioé 424 uomini, circa il 25% del totale imbarcato. Molti, ma la gran parte poté essere salvata e questo era già molto, specie se si pensa a casi tragici come l'unico superstite del Neptune il dicembre precedente o la perdita, un mese prima, di tutto l'equipaggio del Sidney.
Santa Fe, la nave fortunata
Quello che segue è dato da un libro, scritto da un reduce di guerra a bordo dell'incrociatore Santa Fe. Si trattava di una nave della classe più numerosa mai costruita, unità specializzate sopratutto nella guerra antiaerea, tanto che rinunciò alla quinta torre da 152 sull'asse di mezzeria dei Brooklyn, e in cambio ne ebbe due da 127, sempre sull'asse. Eppure, non sempre le cose andavano come sembrava dovessero andare...
Era il 16 ottobre 1944.
Il Santa Fé era sotto attacco da parte dell'aviazione giapponese. Per lo più essa era tenuta a bada dagli aerei navali, ma nel pomeriggio alcuni attraversarono la CAP dei caccia Grumman e saettarono verso il gruppo di incrociatori là sotto.
Il Santa Fé aveva ben 12 cannoni da 127 mm di cui 8 potevano sparare in bordata, più una moltitudine di armi, dalle singole calibro 20 mm, alle quadrinate da 40 mm Bofors. Aveva radar di tiro e spolette VT per i cannoni da 127.
Il primo aereo che videro allora, fu un bimotore. Ma non il solito Betty, ma un ben più veloce Ginga/Frances, capace di raggiungere circa 100-120 km/h oltre il massimo del vecchio bimotore. Purtroppo per i giapponesi, questo velivolo non fu prodotto in gran numero, né ebbe un'alta efficienza meccanica. Ma quando c'era e funzionava...
L'aereo giapponese, per quanto singolo, lasciò 'indietro' i cannonieri dell'incrociatore mentre gli si dirigeva contro. Poi, qualcosa, o il tiro a.a. di sbarramento, o la scelta precisa del pilota, cambiò rotta all'aereo, attaccando l'USS Houston, un incrociatore pesante. Mentre i cannoni da 127 mm sparavano contro questo velivolo, esso spariva all'orizzonte, dopo avere centrato l'incrociatore. I punti neri dei colpi da 127 mm esplosi in aria, erano rimasto tragicamente indietro rispetto a questo 'bombardiere-lampo' giapponese!
MA subito dopo, il Santa Fe fu attaccato da un altro aereo giapponese. Questa volta era un Jill, il nuovo silurante monomotore, sostituto del vecchio B6N. Anche quest'aereo era circa 120 km/h più rapido dell'altro e circa 50 più degli Avenger, per non parlare degli Swordfish inglesi e dei loro discendenti Albacore e Barracuda.
Piccolo, a volo radente, scuro, un primo velivolo scivolò vicino alla nave, ingaggiato da tutte le armi della nave: 20, 40 e 127 mm (mancavano giusto i cannoni da 152 mm principali...). I micidiali cannoni da 127/38 lo inquadrarono nondimeno, e questo mentre volava sulla cresta delle onde a circa 280 mph (circa 450 km/h o 125 m/sec), e tanti di quei colpi esplodevano che a tratti l'aereo veniva totalmente oscurato dalle nubi nere, salvo poi riapparire diritto sul bersaglio!
Uno dei mitraglieri dirigeva il fuoco del suo quadrinato da 40 mm Bofors radar-guidato da circa 2.700 metri, e giurava di averlo preso in pieno (all'epoca non c'erano le spolette VT per i 40 mm), non una, ma almeno una mezza dozzina di volte! Ma non si fermava, ondeggiando lateralmente per rovinare la mira dei cannonieri. A circa 1.800 m iniziarono anche i mitraglieri con il 20 mm, e il mare attorno all'aereo ribolliva di scoppi e impatti, alcuni dei quali di proiettili che devono avere trapassato il velivolo. Avrebbero dovuto disintegrarlo (si pensi all'impatto diretto di un 40 mm!) ma continuava ad arrivare, schermato dal suo robusto motore stellare. Rilasciò il siluro da circa 450 metri, e poi continuò.
MA nulla fermò l'aereo giapponese nella sua corsa. Oramai in fiamme, con il motore quasi in panne, egli continuò l'assalto deciso, indifferente ai migliori sforzi di una nave progettata per abbattere aerei con tutti gli equipaggiamenti e armamenti più moderni disponibili al mondo!
Alla fine, quel che salvò la nave fu solo una rapidissima manovra che mise la poppa verso l'attaccante: il siluro esplose sulla scia. L'aereo, che oramai era in fiamme da dietro l'abitacolo in poi, passò vicino alla nave, esplodendo in mare, vicino alla prua, investendo con le fiamme diversi addetti alla contraerea leggera di prua.
QUESTA azione ci dice quanto non sia affatto facile eliminare un aereo nemico ben guidato e veloce, anche quando hai dalla tua molta tecnologia che all'epoca già faceva la differenza, come le spolette VT, calcolatori analogici e radar centimetrici. E di quanto i bombardieri fossero robusti, specie se avevano il motore radiale sistemato davanti al muso, il che proteggeva il pilota con una tonnellata di ferraglia.
La guerra era spietata, non c'é dubbio, e in mare spesso è più spietata che altrove, specie quando ci si dimentica totalmente delle leggi del mare.
Addendum
La portaerei USS Princeton fu soccorsa dal Birmingham, che era parte della forza d'impiego a cui apparteneva anche il Santa Fe. Avvicinatosi alla portaerei USS Princeton mentre questa era in fiamme a causa delle bombe di un aereo giapponese, all'improvviso essa ebbe una grande esplosione a prua. Il Birmingham non fu danneggiato in maniera troppo grave da questo, ma il suo equipaggio sì: 234 morti e 400 feriti, il 50% dei presenti a bordo!!! E questo malgrado che la Princeton, di per sé, ebbe soltanto 108 morti e vari feriti. Nemmeno volle saperne di affondare subito, per cui fu successivamente silurata. Era con lo stesso scafo del Santa Fe, ma completata come portaerei veloce e portava molte meno armi ed esplosivi a bordo delle navi di squadra più grandi. Ma evidentemente bastò per tale carneficina.
Il racconto si dilunga anche nella successiva azione del 24 ottobre, quando il Santa Fe sparò, assieme anche ad altre navi, oltre 200 colpi da 152 mm contro una portaerei immobilizzata. Questa era la Chyoda (l'autore la confonde con la Chitose, anch'essa persa nello stesso giorno), e solo pochi superstiti vennero portati su dal mare per interrogatori. Gli americani spesso sparavano ai naufraghi. Sennò li lasciavano morire in mare.
In agosto il Santa Fe incontrò circa un centinaio di uomini di un cacciatorpediniere affondato, che senza alcuna speranza, venivano portati via dalla corrente. Però via, dopo il massacro dei fanti di marina a Tarawa, e in altre battaglie, dice l'autore... pietà l'é morta.
Ma che ragionamento è questo, un naufrago è un naufrago, un prigioniero inerme del mare: non è un marine che invade un'isola fortificata! Ecco perché i giapponesi spesso sono morti così in gran percentuale: perché gli americani o li ammazzavano o non li prendevano prigionieri nemmeno quando potevano, quando si erano salvati dal mare.
Le leggi del mare, a quanto pare non erano più valide! Eppure lo stesso autore dice chiaramente che potevano benissimo finirci loro, sott'acqua, al posto dei giapponesi.
Il giorno dopo, il 25 ottobre, un 'incrociatore' venne cacciato dal Santa Fe e altre navi, riuscendo ad affondarlo e anche stavolta senza trarre in salvo alcun superstite!
Era un caccia classe Atitsuki, una grossa unità che però aveva quasi sempre solo impiego contraereo e in quel caso cercava superstiti delle navi giapponesi affondate. Fu affondata con tutto l'equipaggio!
Solo la portaerei aveva un equipaggio di 1.740 uomini. Stando a quel che dice l'autore, almeno alcuni vennero tirati su dal Santa Fe per essere interrogati e condotti in prigionia.
Tra entrambe le navi cannoneggiate dal Santa Fe e altre unità della sua squadra, morirono circa 2.000 uomini e pochissimi vennero presi prigionieri. Eppure, in acqua c'era, con grande imbarazzo di molti, un equipaggio che era paragonabile, per numero, a quello dell'incrociatore, ma alcuni uomini che cercarono di sparare con i cannoni da 20 mm, solo che i naufraghi erano sotto il brandeggio minimo delle armi.
ORA, che la guerra contro gli 'omini gialli' era spietata e ben più truce, grazie sopratutto a ragioni razziali, di quella combattuta in Europa, è una cosa chiara e netta. Ma che episodi del genere non siano mai stati perseguiti come CRIMINI DI GUERRA è scandaloso!
Del resto, volete saperne un'altra? Novembre 2001, circa 2.000 prigionieri talebani, catturati da americani e forze alleate di terra, furono lasciati morire dentro dei container e poi sepolti in fosse comuni. Chi testimoniò l'accaduto venne ucciso o torturato o entrambe le cose, e la fossa fu poi parzialmente 'rimossa' per distruggere le prove del massacro. Ecco, questa è la famosa civilità occidentale, nel XXI secolo. E se non è per Pearl Harbour, è per le Twin Towers, un motivo lo si troverà sempre!
Gli aerei 'veloci' come i Jill (B6N), i Judy (D4Y) e i Frances (P1Y), o i Ki-67 'Peggy', erano tra gli aerei migliori per le azioni kamikaze.
Un esempio di come essi potessero avere minore successo lo diede l'esempio che segue. I D4Y, velocissimi e con buon carico utile (fino a 500-800 kg) erano ideali per questo compito, veloci come gli Zero e armati come un bombardiere, furono massacrati durante la battaglia delle Marianne (celebri i 6 abbattuti dal solo pilota Vraciu, si dice, con appena 360 colpi); eppure, nella loro carriera dell'ultimo anno, tra kamikaze e attacchi convenzionali, centrarono molte navi americane, e in particolare furono impareggiabili nel colpire le portaerei, sebbene le identificazioni non sempre siano così semplici da fare su quale sia stato l'autore di questo o quell'attacco. Resta il fatto che, con oltre 2.000 esemplari costruiti, questi velivoli erano tra quelli più numerosi in mano al Giappone.
In questo caso venne attaccata l'USS Yorktown (classe Essex). Il 18 marzo 1945, al largo delle coste giapponesi, venne prima attaccata da un bimotore che probabilmente era un P1Y, attorno alle 8 del mattino. Colpito quasi subito, incendiato, esso si infilò in mare dopo avere letteralmente sorvolato la prua della nave.
Di pomeriggio 3 Judy attaccarono la nave ma i primi due fallirono e vennero abbattuti dal tiro della portaerei (che complessivamente aveva circa 100 armi a.a. di vario tipo). L'ultimo, invece, centrò il ponte dei segnali e scoppiò vicino allo scafo, causando due fori e uccidendo 5 uomini, ferendone altri 26. La contraerea però abbatté anche questo bombardiere e la nave rimase operativa per altre settimane. Il 29 marzo un ulteriore Judy apparve, ma venne colpito mentre si avvicinava per fare un'azione kamikaze, e finì per mancare la nave di appena 18 metri!
Il 7 aprile i suoi piloti rivendicarono diversi siluri sulla Yamato, 3 bombe da 500 lb (?) sullo Yahagi e diversi mitragliamenti sulle navi di scorta; l'11 aprile abbatté un altro bimotore diretto verso di lei e in seguito ottenne un altro abbattimento con la contraerea. In seguito continuò le operazioni aeree attorno al Giappone senza altri problemi, ma come visto sopra, non tutte le sue sorelle furono così fortunate.
Il 30 ottobre 1944 la sua gemella USS Franklyn venne centrata da un kamikaze. Aveva circa 90 aerei a bordo, di cui circa la metà nell'hangar e sembrava una situazione di tutta tranquillità, quando una mezza dozzina di aerei giapponesi, tra Zero e Judy, apparvero alti nel cielo, malgrado la sorveglianza radar. Tre di essi si gettarono contro la nave. Il primo venne distrutto dal fuoco della portaerei e cadde 20-30 metri dallo scafo. Il secondo la centrò in pieno; il terzo sganciò la bomba mancandola, ma poi proseguì incendiandosi contro una mezza dozzina di aerei della USS Belleau Wood. La Franklyn ebbe esplosioni serie nell'hangar, prima le munizioni e circa 20 minuti dopo, benzina avio. Inoltre altri aerei giapponesi tentarono di finirla. Quando il fuoco venne domato, i morti erano 56 e decine gli aerei distrutti. I morti vennero sepolti in mare con le sacche appesantite da proiettili da 127 mm, quelli stessi che avrebbero dovuto proteggerli dagli attaccanti giapponesi.
La USS Franklyn ritornò rapidissimamente in azione, dopo qualche mese era già rimessa in sesto, ma mal gliele incolse, perché il 19 marzo successivo ebbe un altro bombardamento a segno (2 bombe, pare lanciate da un D4Y), e oltre 10 volte tanto di caduti. Ma questa è un'altra storia. Qui giova ricordare che nell'hangar esplosero almeno 12 razzi Tiny Tim, evidentemente già all'epoca disponibili a bordo delle navi americane.
La mattina dell'11 maggio 1945, vicino Okinawa, la USS Bunker Hill fu sorpresa da due Zero cacciabombardieri-kamikaze. Uno sganciò una bomba da 250 kg che sfondò il ponte di volo e uscì dal lato della nave, prima di scoppiera in mare, mentre l'aereo riprendeva il volo per schiantarsi contro gli aerei sul ponte, distruggendone decine. L'altro Zero, invece, arrivò 30 secondi dopo sganciando una bomba da 250 kg e poi si schiantò sul ponte, apparentemente senza incendiarsi malgrado una picchiata pressoché verticale. Gli incendi distrussero decine di aerei, uccisero 30 piloti, le perdite arrivarono a 390 uomini e 264 feriti, mentre la nave andò fuori uso per il resto della guerra. Qualche altro successo del genere avrebbe dismesso la flotta americana che assediava il Giappone da mesi.