3-8-2018
Appunti vari tratti dalle pagine del sito di Pietro Cristini, più qualche piccola integrazione. Interessante la storia di questi incrociatori italiani di 1a generazione postbellica, molto veloci e belli a vedersi, ma certo un pò fragili e sopratutto dannatamente 'sfortunati', se possiamo dire così.
PICCOLI, VELOCI E FRAGILI
Iniziamo con i Da Giussano. Incrociatori velocissimi con cannoni altrettanto 'veloci', ma poi (in entrambi i casi) la velocità si ridusse nettamente con il passare del tempo, fino a livelli 'normali' durante la II GM. Navi nate come mezzi all'avanguardia, non più realmente all'altezza durante la loro carriera bellica.
Il 19 luglio, durante la battaglia di Capo Spada, il Colleoni e il Bande Nere battagliarono duramente con i cacciatorpediniere nemici (4 unità) e sopratutto, con l'HMS Sidney, che pur non essendo superiore, sulla carta, riuscì a colpire entrambe le navi, mettendo a segno due colpi sul Bande Nere con 8 morti e 16 feriti, mentre il Colleoni fu colpito al timone
Il Colleoni fu colpito da diversi proiettili a partire dalle 8.24 del mattino, dopo quasi un'ora di combattimento. Prima andò in avaria il timone, poi le caldaie 5 e 6, poi esplose il collettore mettendo fuori uso l'apparato motore e uccise il personale all'interno della sala caldaie. Sparò in fuoco locale con i cannoni da 100 mm, poi venne colpito da almeno due siluri e andò a picco poco dopo. In appena 6 minuti, alle 8.30, il comandante Umberto Novaro diede ordine di abbandonare la nave. Quindi essa era già malmessa prima ancora di essere silurata. Un primo lancio staccò circa 30 metri di prua, un altro squarciò la nave al centro e presto la mandò a picco. Le perdite non furono troppo gravi, visto che i superstiti furono almeno 517, ma i morti -tra cui il comandante- furono circa 121.
Infine, il Bande Nere fu colpito da un altro proiettile (dopo il primo andato a segno), con vittime e feriti essendosi infilato dentro lo scafo ed esplose lì dopo vari rimbalzi, perdite umane che alla fine ammontarono a circa il 4% dell'equipaggio. Il Sidney ebbe solo un marinaio ferito e il fumaiolo colpito e parzialmente squarciato (un danno simile l'ebbe anche il Bande Nere, ma con vittime a bordo). Il Sidney, basicamente, dismise la battaglia solo perché rimasto a corto di munizioni e si ritirò, dopo quasi 2 ore di battaglia.
I due incrociatori Da Barbiano e Da Giussano, con l'ammiraglio sulla prima delle due, salparono con 950 tonnellate di carburante in fusti sul ponte.
100 t di benzina, 250 gasolio, 600 nafta, ma anche 900 t di rifornimenti alimentari e 135 soldati in rientro da una licenza. In sostanza, queste navi da circa 5.000-7.000 tonnellate avevano circa 1.550 t di rifornimenti a bordo, operando in sovraccarico, e sopratutto con una quantità di bidoni di carburante che ingombravano addirittura la coperta fino sotto i cannoni, che così difficilmente avrebbero potuto sparare! Ai più sembrava una missione suicida e non avevano torto, in quelle condizioni.
Una grande operazione di rifornimento con sei navi scortate tra l'altro da ben 2 corazzate Littorio era stata abortita poco prima, ma non prima di vedersi silurata la Veneto nonché affondati due trasporti.
Anticipando questa manovra, due incrociatori leggeri partirono dunque per rifornire le forze africane, portando tra l'altro circa 200 tonnellate di benzina. Un ricognitore avvistò quel pomeriggio 4 navi nemiche, naviganti a 20 nodi, gli incrociatori scortati dalla torpediniera Cigno, mantenevano i 23 e pensavano che nemmeno a 28 nodi il nemico si sarebbe avvicinato abbastanza da tagliargli la strada. Invece i ct nemici raggiunsero i 30 nodi e poco dopo le 3, incrociarono la formaizione italiana. Le navi italiane, che avevano già abortito una prima missione di rifornimento il 9 dicembre (sempre partendo da Palermo), non vollero rinunciare anche stavolta, ma mal gliene incolse. Incerte sull'identità delle navi che avevano di fronte, ad un certo punto pensavano che fosse la stessa torpediniera Cigno, non risposero subito alla minaccia benché con le armi cariche. Il risultato fu che il Da Barbiano, dopo le 3.20, prese in rapida sequenza 3 siluri, oltre al fuoco delle mitragliere. Fu quest'ultimo che incendiò il carburante sulla coperta. Ma la nave era spacciata: si rovesciò e affondò in un mare di fiamme alle 3.35. Stranamente, per una volta almeno, non si spezzò in più parti. Aveva preso a bordo 3 siluri e vari colpi minori.
Dei ct nemici, il Sikh lanciò le sue 4 armi e il Legion tutte quelle disponibili (6?); il primo colpì con due siluri il Da Barbiano e il secondo centrò entrambi gli incrociatori. Gli altri ct non misero a segno colpi decisivi, ma crivellarono di colpi le sovrastrutture.
Il Da Barbiano affondò quasi subito, il Da Giussano fu più lento, ma la fine giunse ugualmente: sparò alcune salve con le proprie armi, tra cui tre salve dei propri potenti cannoni, osservando anche un possibile colpo a segno (smentito dagli alleati). Di sicuro, arrivarono due colpi nemici da 120 mm, causando gravi distruzioni. Il siluro, comunque sia, colpì nel locale caldaie 5 e 6, facendole probabilmente anche esplodere e causando un incendio della nafta (ma non di quella caricata in coperta). Poco dopo, la nave si spaccava in due e affondava in verticale, così inclinata da far sperare che si piantasse sul basso fondale invece di sparire.
Circa mezz'ora passò prima che la nave sparisse dalla superficie, a circa le 4.20. Il Da Barbiano perse 534 uomini su 784, il Da Giussano ebbe 283 (o 437?) morti su 720. La Cigno subì qualche ferito e danno nella breve schermaglia ad alta velocità con le navi nemiche, poi si dedicò a raccogliere i superstiti, in quella cruda notte dicembrina.
I superstiti -molti dei quali ustionati- vennero ulteriormente messi in pericolo dalle fiamme che rimasero in mare, dal mitragliamento che alcuni aerei inglesi eseguirono (in maniera poco comprensibile, e certo poco cavalleresca!), e persino dai pescicani. In tutto, malgrado il disastro totale e grazie alla presenza della torpediniere Cigno (l'unica nave che venne mandata a scortare gli incrociatori!!) vi furono circa 687 superstiti, di cui 250 del Da Barbiano e 437 del Da Giussano, ma 817 scomparvero quella notte. E così, in appena 5 minuti la RM perse due incrociatori e dei preziosi rifornimenti per le forze dell'Asse, che proprio in quel periodo stavano cedendo terreno e ritirandosi per l'offensiva Crusader, la cui riuscita, paradossalmente, fu sia causa che effetto di quest'altra disfatta italiana.
Il Bande nere combatté il 22-23 marzo 1942 nella Seconda Battaglia della Sirte e ad esso è attribuito l'unico colpo sugli incrociatori nemici, sull'HMS Cleopatra. La distanza di tiro era molto forte, anche se progressviamente in riduzione. Le condizioni del mare erano atroci, come testimoniò la perdita di cue moderni ct italiani con oltre 400 caduti (quasi tutto l'equipaggio!) per via della tempesta nel viaggio di ritorno. Le navi inglesi tirarono con precisione da 19.000 metri nella prima parte della battaglia, ma stavolta non ebbero fortuna.
Il Bande Nere rollava fino a 27°, rischiando di ingavonarsi, e dovette rientrare a velocità ridotta e con rotta modificata per evitare le condizioni peggiori: le condizioni meteo ridussero infatti la velocità delle navi italiane prima a 28, e poi a soli 20 nodi. Ma la sorte non sarebbe tardata nemmeno per questo fortunato (e ultimo) incrociatore italiano.
Il 1 aprile 1942, il 'pesce' d'aprile assunse per il Bande Nere la forma di un smg britannico (HMS Urge), che lanciò quella mattina dei siluri vicino a Stromboli. Ancora una volta, il centro vide messe fuori uso le caldaie 5 e 6. Nessuno saprà mai se questo siluro sarebbe stato sufficiente per affondare da solo il Bande Nere, anche se il centro era pieno. Però, poco dopo, arrivò un secondo siluro, vicino alle macchine di prora: la nave si spessò letteralmente in due, facendo scomparire la nave sott'acqua dopo 3 minuti!
Dei 772 a bordo, solo 391 si salvarono, tra cui -per una volta- anche il comandante.
I PRIMI WASHINGTON D'ITALIA
Entrati in servizio ancora prima dei Da Giussano, con una potenza realmente incredibile per l'epoca, i 'Trento' rimasero effettivamente, e sono a tutt'oggi, 90 anni dopo il loro inizio di carriera, le navi più potenti della marina italiana. I progressi fatti dalle turbine negli anni del primo dopoguerra erano prodigiosi, ma non meno prodigiosa fu l'ambizione tutta italiana (anche se trascinarono i francesi in questo 'gioco') di avere potenze pazzesche, dalla dubbia utilità, per navi che dopotutto non erano particolarmente potenti: come giustificare un incrociatore che ha più cavalli di una corazzata? Eppure è così che vennero concepite. E il bello è che questo avvenne malgrado i costi elevatissimi, e che venne ottenuto malgrado le sfide tecniche mostruose che questo tipo di macchinari comportava. In pratica, sotto la gestione Siriani si pensava di costruire delle macchine da corsa, più che da guerra. Per fortuna, a parte che con i Regolo, negli anni successivi la Regia Marina tornò con i piedi più 'a terra' nelle specifiche per le loro nuove navi.
Comunque sia, piccoli accenni ai Trento e simili.
Durante la battaglia di Punta Stilo, il Trento e le altre navi italiane della classe intervennero sparando diverse salve. Il Trento, secondo E.Cernuschi, colpì da vicino (un proiettile scoppiato a mezz'aria, forse dopo avere colpito un cavo?) la HMS Warspite, e questo con appena 3 salve tirate da oltre 26 km, un 'near miss'm ma anche una delle distanze maggiori a cui si sia mai ottenuta qualche soddisfazione sparando contro navi in movimento (sempre che la ricostruzione sia vera). Il Bolzano, nella stessa situazione, fu colpito da distanze elevatissime dai cannoni da 152 mm del Neptune inglese, e stavolta non solo con 'near miss' ma anche con 3 colpi a segno.
Il Trento, l'11-12 novembre 1940, ebbe a bordo una bomba rimasta inesplosa dopo uno sgancio da 500-600 metri di quota.
Il Trento partecipò anche alla battaglia di Capo Teulada, quando il 27, la RM sfidò la RN in una battaglia che vide l'HMS Berwick colpito da 2 colpi da 203 mm, mentre un caccia italiano, il Lanciere, ne prese 3 restando immobilizzato.
Il 27-29 marzo 1941 vi fu l'operazione che condusse allo scontro di Gaudo e poi Matapan. L'unica cosa che si può dire in merito è che le distanze rilevate dai telemetri italiani erano anche di 10 km differenti dal reale, tanto che all'inizio spararono a distanza creduta di 22 km mentre era di circa 32!
Il 23 agosto 1941, il Bolzano fu silurato da un smg britannico, il potente Triumph (classe T), dato per affondato dagli italiani, ma senza danni in realtà. Il Bolzano riuscì a contenere i danni e rientrò a Messina qualche ora dopo.
La mattina del 9 novembre, gli incrociatori pesanti italiani fallirono miserabilmente la difesa del convoglio Duisburg, che fu devastato dalla forza K che si avvicinò nottetempo fino a 5 km, distruggendo o mettendo KO praticamente tutte le navi di scorta diretta e poi tutti i 7 cargo, mentre gli incrociatori pesanti tirarono oltre 200 colpi da 203 e altri di calibro più piccolo, ma ci misero molti minuti per salire di velocità da 12 a 18 nodi e nel frattempo le navi britanniche, al riparo delle stesse cortine fumogene stese dalla scorta italiane, completarono la distruzione del convoglio stesso. Fu forse la peggiore sconfitta per gli itlaiani in mare, dopo Matapan, e certo umiliante, con gli incrociatori pesanti che eseguirono un tiro irrilevante anche da soli 8 km di distanza.
Il 21 novembre, di mattina, il Trieste venne danneggiato gravemente da un siluro dell'ennesimo smg britannico (Utmost), causando addirittura l'esplosione della caldaia N.3, ma se non altro, il vapore spense l'incendio iniziale. Dopo ben 90 minuti fu possibile rimettere in moto le caldaie superstiti e rientrare a moto lentissimo per Messina, raggiunta la mattina successiva. Quella stessa notte era stato anche silurato il Duca degli Abruzzi, a sua volta seriamente danneggiato, tanto che gli ci vollero diverse ore per rimettere in moto e rientare infine a Messina alle 11.40, diverse ore dopo il Trieste. Questa catastrofe, sempre nell'ambito dei rifornimenti per fronteggiare l'VIII armata in Africa, che aveva appena iniziato la sua offensiva Crusader (19 novembre), fu il secondo disastro in breve tempo: circa 12 giorni prima c'era stato il Duisburg (con la distruzione del 100% dei 7 trasporti e anche di parte della scorta), di lì a circa 20 giorni sarebbero affondati due incrociatori impegnati direttamente nei rifornimenti. Non fosse stato perchè la RN aveva a sua volta molte perdite (la HMS Barham e la Ark Royal per i sommergibili tedeschi; la fine della forza K per i campi minati italiani e poi il minamento di due corazzate ad Alessandria), la situazione sarebbe diventata davvero difficile per la marina italiana, che perse in poco tempo due incrociatori leggeri, ne ebbe altri due danneggiati gravemente e anche una delle corazzate Littorio (la V.Veneto) venne danneggiata da siluro.
Le navi italiane di tutte le categorie parteciparono anche alla Seconda Battaglia della Sirte, quando tirarono 181 colpi da 381 mm, 581 da 203, 552 da 152, 84 da 120, 87 da 100 e 21 da 90 mm, ma solo lo 0,3% andò a segno, danneggiando un incrociatore e tre cacciatorpediniere, più qualche scheggia, mentre il mare arrivò a forza 8/9.
Nella Battaglia di Mezzo Giugno gli incrociatori pesanti italiani non ebbero molta parte: 9 aerosiluranti Beaufort attaccarono ad ondate i cinque incrociatori italiani in mare, ma solo uno ebbe successo: centrò il Trento, leggermente dietro al centro nave, con un lancio da poche centinaia di metri. La nave venne totalmente messa fuori uso, mettendo Ko sia il locale caldaie di prora che il locale macchine vicino, immobilizzando la nave per mancanza di vapore. Le fiamme a bordo aumentarono l'intensità mentre mancava l'energia, ma l'incendio parve essere in calo verso le 9 di mattina. Per adesso non c'era modo di riattivare le macchine, ma si cercava di rimorchiare l'incrociatore. Nessuno sa se sarebbe potuto sopravvivere senza cedimenti e ulteriori allagamenti, a quel punto fatali, ma non pareva essere un pericolo imminente. In compenso, però, arrivò un altro siluro (o, stando alle fonti nemiche, due) dell'ennesimo smg britannico (il P.35). Scoppiando sotto la torre 2, causò l'esplosione dei depositi munizioni. Poco dopo la nave si immergeva di prua praticamente verticalmente. Un disastro con 602 caduti inclusi 22 ufficiali, su 1151 presenti a bordo.
Durante la battaglia di Mezz'agosto, invece, avvenne un altro disastro per la linea di incrociatori italiani. Il 12 agosto 1942, infatti, la 3a divisione incrociatori (l'unica rimasta con tutti e tre gli incrociatori pesanti ancora in linea), uscì con la 7a divisione incrociatori leggeri. Ma all'uscita dello Stretto di Messina, l'HMS Unbroken, quella mattina del 13 agosto, era posto in agguato. I 4 siluri lanciati, tutti quelli pronti nei tubi, andarono a segno a metà e su metà degli incrociatori: uno colpì l'Attendolo asportandogli la prua fino alla torre N.2 e solo per miracolo non gli causò danni irreparabili e perdite umane. Il Bolzano non fu così fortunato: centrato in pieno, ebbe un incendio gravissimo a centro nave e venne portato a Panarea a spiaggiarsi, dove affondò in acque basse. Ma restando parzialmente esposto, in molti testi è considerato solo 'incagliato'. In realtà venne riportato a galla dopo un mese di sforzi e trasferito prima a Napoli e poi a La Spezia, non venne mai riparato.
10 aprile. Formazioni di bombardieri B-24 da alta quota giungono su quel che restava della 3a divisione navale, adesso stanziata a La Maddalena dal 9 dicembre precedente. Era il pomeriggio del 10 aprile 1943. Almeno 3 bombe centrarono il Trieste che affondò dopo circa 100 minuti. Nello stesso tempo venne colpito anche il Gorizia. Probabilmente per via del ponte corazzato più spesso di 20 mm, o forse per pura fortuna, il ponte corazzato tenne, a differenza di quello del Trieste, e le macchine e lo scafo non vennero danneggiati più di tanto. Benché demolito a centro nave da due bombe in pieno, riuscì a ripartire poco tempo dopo. Che le bombe potessero perforare anche la sua corazza, almeno nominalmente, è comunque provato dal fatto che un'altra bomba centrò una delle torri, passando il cielo della stessa in maniera netta, pur essendo spesso ben 100 millimetri, più dei due ponti corazzati messi insieme (20+70 mm), esplodendo dentro, ma fallendo ad innescare esplosioni nel deposito munizioni sottostante.
Nella notte tra il 21 e 22 giugno 1944, il Bolzano venne minato da un gruppo di incursori inglesi. La nave, già inefficiente al momento dell'armistizio (dopo ben 13 mesi dall'ultimo siluramento) si rovesciò a affondò.
Fu senz'altro l'incrociatore italiano più sfortunato. Colpito da 3 proiettili con danni non gravi nel 1940 a Punta Stilo, centrato e gravemente danneggiato da un siluro nell'estate del 1941, nuovamente colpito, pochi mesi dopo essere rientrato in servizio, da un siluro nell'estate del 1942 e mai rimesso in servizio da allora, venne infine affondato pur essendo soltanto un rottame galleggiante nel 1944, con una copia dei 'maiali' italiani, ma equipaggio inglese (suprema ironia).
EPILOGO
L'unico dei 7 incrociatori pesanti italiani ancora testardamente a galla alla fine della guerra era il Gorizia, ma soltanto perché adagiato semi-affondato, su di un fondale basso. Assieme al relitto del Trieste (risollevato e poi demolito) e a quello dell'incrociatore corazzato San Giorgio (il più vecchio, ma anche il più 'dignitoso' degli incrociatori italiani, autoaffondatosi dopo avere difeso per mesi Tobruk, risollevato ma poi perduto), era tutto quel che restava di una magnifica epoca di navi di pura potenza e velocità.
Anche tutti i primi 4 Condottieri e più in generale, 5 su 6 dei primi incrociatori di questo tipo, noti come 'incrociatori di carta', erano andati perduti. 5 dei 6 dei gruppi successivi, invece, sopravvissero, mente gli incrociatori pesanti, benché più robusti e grandi, non ebbero alcuna fortuna: gli Zara, i più corazzati della categoria, vennero affrontati a bruciapelo e la loro corazza poté solo fargli da zavorra di fronte ai grossi calibri inglesi. I Trento, con la loro immensa potenza motrice, non riuscirono tanto meglio: a Capo Gaudo non riuscirono a raggiungere i 'deboli' incrociatori inglesi in fuga per un'ora intera, mentre quando si trattò di incassare, vennero eliminati con 3 bombe e 5 (o 6) siluri. Precisamente: Trento, 2 siluri; Trieste: 1 siluro e 3 bombe; Bolzano, 2 siluri. Quando fu affondato era così malmesso che nemmeno venne sabotato all'Armistizio, così come non venne toccato nemmeno il Gorizia.
Così, gli incrociatori italiani di prima generazione, non ebbero molto successo.
Con gli altri andò meglio: gli ultimi 6 Condottieri ebbero 5 superstiti alla guerra, e la maggior parte rimase in servizio nel periodo postbellico, in particolare il Garibaldi venne ricostruito ed entrò in servizio nel 1962, niente di meno che come il primo incrociatore lanciamissili europeo, armato -caso unico- di lanciamissili Polaris oltre che di artiglierie moderne e missili Terrier. Da notare che i Polaris non vennero mai accordati all'Italia, così rimase un primato tecnico e basta.
Quanto alla generazione successiva, arrivarono ben 4 incrociatori portaelicotteri e portaeromobili, in pratica dei surrogati 'leggeri' delle portaerei a cui gli italiani non erano di fatto in grado di accedere. Il più recente di questi è ancora, un 'Garibaldi', nato come incrociatore 'portaelicotteri', poi 'portaeromobili', di fatto è una piccola portaerei, specialmente ora che da un lato, opera con gli AV-8 Harrier e dall'altro, ha perso gli inutili missili Teseo/OTOMAT che in effetti, in una portaerei ben poca ragione d'essere si ritrovano ad avere. Anche la Marina sovietica copiò (in grande) il concetto, ma decise ben presto di passare alle portaerei vere e proprie, che è la stessa cosa che è riuscita (dopo quasi un secolo di tentativi...) a fare la marina italiana con la Cavour.
Fonti: molto è tratto dal sito di Pietro Cristini, per esempio la pagina dei Trento è questa:
http://www.pietrocristini.com/incrociatori_cl_trento.htm
Appunti vari tratti dalle pagine del sito di Pietro Cristini, più qualche piccola integrazione. Interessante la storia di questi incrociatori italiani di 1a generazione postbellica, molto veloci e belli a vedersi, ma certo un pò fragili e sopratutto dannatamente 'sfortunati', se possiamo dire così.
PICCOLI, VELOCI E FRAGILI
Iniziamo con i Da Giussano. Incrociatori velocissimi con cannoni altrettanto 'veloci', ma poi (in entrambi i casi) la velocità si ridusse nettamente con il passare del tempo, fino a livelli 'normali' durante la II GM. Navi nate come mezzi all'avanguardia, non più realmente all'altezza durante la loro carriera bellica.
Il 19 luglio, durante la battaglia di Capo Spada, il Colleoni e il Bande Nere battagliarono duramente con i cacciatorpediniere nemici (4 unità) e sopratutto, con l'HMS Sidney, che pur non essendo superiore, sulla carta, riuscì a colpire entrambe le navi, mettendo a segno due colpi sul Bande Nere con 8 morti e 16 feriti, mentre il Colleoni fu colpito al timone
Il Colleoni fu colpito da diversi proiettili a partire dalle 8.24 del mattino, dopo quasi un'ora di combattimento. Prima andò in avaria il timone, poi le caldaie 5 e 6, poi esplose il collettore mettendo fuori uso l'apparato motore e uccise il personale all'interno della sala caldaie. Sparò in fuoco locale con i cannoni da 100 mm, poi venne colpito da almeno due siluri e andò a picco poco dopo. In appena 6 minuti, alle 8.30, il comandante Umberto Novaro diede ordine di abbandonare la nave. Quindi essa era già malmessa prima ancora di essere silurata. Un primo lancio staccò circa 30 metri di prua, un altro squarciò la nave al centro e presto la mandò a picco. Le perdite non furono troppo gravi, visto che i superstiti furono almeno 517, ma i morti -tra cui il comandante- furono circa 121.
Infine, il Bande Nere fu colpito da un altro proiettile (dopo il primo andato a segno), con vittime e feriti essendosi infilato dentro lo scafo ed esplose lì dopo vari rimbalzi, perdite umane che alla fine ammontarono a circa il 4% dell'equipaggio. Il Sidney ebbe solo un marinaio ferito e il fumaiolo colpito e parzialmente squarciato (un danno simile l'ebbe anche il Bande Nere, ma con vittime a bordo). Il Sidney, basicamente, dismise la battaglia solo perché rimasto a corto di munizioni e si ritirò, dopo quasi 2 ore di battaglia.
I due incrociatori Da Barbiano e Da Giussano, con l'ammiraglio sulla prima delle due, salparono con 950 tonnellate di carburante in fusti sul ponte.
100 t di benzina, 250 gasolio, 600 nafta, ma anche 900 t di rifornimenti alimentari e 135 soldati in rientro da una licenza. In sostanza, queste navi da circa 5.000-7.000 tonnellate avevano circa 1.550 t di rifornimenti a bordo, operando in sovraccarico, e sopratutto con una quantità di bidoni di carburante che ingombravano addirittura la coperta fino sotto i cannoni, che così difficilmente avrebbero potuto sparare! Ai più sembrava una missione suicida e non avevano torto, in quelle condizioni.
Una grande operazione di rifornimento con sei navi scortate tra l'altro da ben 2 corazzate Littorio era stata abortita poco prima, ma non prima di vedersi silurata la Veneto nonché affondati due trasporti.
Anticipando questa manovra, due incrociatori leggeri partirono dunque per rifornire le forze africane, portando tra l'altro circa 200 tonnellate di benzina. Un ricognitore avvistò quel pomeriggio 4 navi nemiche, naviganti a 20 nodi, gli incrociatori scortati dalla torpediniera Cigno, mantenevano i 23 e pensavano che nemmeno a 28 nodi il nemico si sarebbe avvicinato abbastanza da tagliargli la strada. Invece i ct nemici raggiunsero i 30 nodi e poco dopo le 3, incrociarono la formaizione italiana. Le navi italiane, che avevano già abortito una prima missione di rifornimento il 9 dicembre (sempre partendo da Palermo), non vollero rinunciare anche stavolta, ma mal gliene incolse. Incerte sull'identità delle navi che avevano di fronte, ad un certo punto pensavano che fosse la stessa torpediniera Cigno, non risposero subito alla minaccia benché con le armi cariche. Il risultato fu che il Da Barbiano, dopo le 3.20, prese in rapida sequenza 3 siluri, oltre al fuoco delle mitragliere. Fu quest'ultimo che incendiò il carburante sulla coperta. Ma la nave era spacciata: si rovesciò e affondò in un mare di fiamme alle 3.35. Stranamente, per una volta almeno, non si spezzò in più parti. Aveva preso a bordo 3 siluri e vari colpi minori.
Dei ct nemici, il Sikh lanciò le sue 4 armi e il Legion tutte quelle disponibili (6?); il primo colpì con due siluri il Da Barbiano e il secondo centrò entrambi gli incrociatori. Gli altri ct non misero a segno colpi decisivi, ma crivellarono di colpi le sovrastrutture.
Il Da Barbiano affondò quasi subito, il Da Giussano fu più lento, ma la fine giunse ugualmente: sparò alcune salve con le proprie armi, tra cui tre salve dei propri potenti cannoni, osservando anche un possibile colpo a segno (smentito dagli alleati). Di sicuro, arrivarono due colpi nemici da 120 mm, causando gravi distruzioni. Il siluro, comunque sia, colpì nel locale caldaie 5 e 6, facendole probabilmente anche esplodere e causando un incendio della nafta (ma non di quella caricata in coperta). Poco dopo, la nave si spaccava in due e affondava in verticale, così inclinata da far sperare che si piantasse sul basso fondale invece di sparire.
Circa mezz'ora passò prima che la nave sparisse dalla superficie, a circa le 4.20. Il Da Barbiano perse 534 uomini su 784, il Da Giussano ebbe 283 (o 437?) morti su 720. La Cigno subì qualche ferito e danno nella breve schermaglia ad alta velocità con le navi nemiche, poi si dedicò a raccogliere i superstiti, in quella cruda notte dicembrina.
I superstiti -molti dei quali ustionati- vennero ulteriormente messi in pericolo dalle fiamme che rimasero in mare, dal mitragliamento che alcuni aerei inglesi eseguirono (in maniera poco comprensibile, e certo poco cavalleresca!), e persino dai pescicani. In tutto, malgrado il disastro totale e grazie alla presenza della torpediniere Cigno (l'unica nave che venne mandata a scortare gli incrociatori!!) vi furono circa 687 superstiti, di cui 250 del Da Barbiano e 437 del Da Giussano, ma 817 scomparvero quella notte. E così, in appena 5 minuti la RM perse due incrociatori e dei preziosi rifornimenti per le forze dell'Asse, che proprio in quel periodo stavano cedendo terreno e ritirandosi per l'offensiva Crusader, la cui riuscita, paradossalmente, fu sia causa che effetto di quest'altra disfatta italiana.
Il Bande nere combatté il 22-23 marzo 1942 nella Seconda Battaglia della Sirte e ad esso è attribuito l'unico colpo sugli incrociatori nemici, sull'HMS Cleopatra. La distanza di tiro era molto forte, anche se progressviamente in riduzione. Le condizioni del mare erano atroci, come testimoniò la perdita di cue moderni ct italiani con oltre 400 caduti (quasi tutto l'equipaggio!) per via della tempesta nel viaggio di ritorno. Le navi inglesi tirarono con precisione da 19.000 metri nella prima parte della battaglia, ma stavolta non ebbero fortuna.
Il Bande Nere rollava fino a 27°, rischiando di ingavonarsi, e dovette rientrare a velocità ridotta e con rotta modificata per evitare le condizioni peggiori: le condizioni meteo ridussero infatti la velocità delle navi italiane prima a 28, e poi a soli 20 nodi. Ma la sorte non sarebbe tardata nemmeno per questo fortunato (e ultimo) incrociatore italiano.
Il 1 aprile 1942, il 'pesce' d'aprile assunse per il Bande Nere la forma di un smg britannico (HMS Urge), che lanciò quella mattina dei siluri vicino a Stromboli. Ancora una volta, il centro vide messe fuori uso le caldaie 5 e 6. Nessuno saprà mai se questo siluro sarebbe stato sufficiente per affondare da solo il Bande Nere, anche se il centro era pieno. Però, poco dopo, arrivò un secondo siluro, vicino alle macchine di prora: la nave si spessò letteralmente in due, facendo scomparire la nave sott'acqua dopo 3 minuti!
Dei 772 a bordo, solo 391 si salvarono, tra cui -per una volta- anche il comandante.
I PRIMI WASHINGTON D'ITALIA
Entrati in servizio ancora prima dei Da Giussano, con una potenza realmente incredibile per l'epoca, i 'Trento' rimasero effettivamente, e sono a tutt'oggi, 90 anni dopo il loro inizio di carriera, le navi più potenti della marina italiana. I progressi fatti dalle turbine negli anni del primo dopoguerra erano prodigiosi, ma non meno prodigiosa fu l'ambizione tutta italiana (anche se trascinarono i francesi in questo 'gioco') di avere potenze pazzesche, dalla dubbia utilità, per navi che dopotutto non erano particolarmente potenti: come giustificare un incrociatore che ha più cavalli di una corazzata? Eppure è così che vennero concepite. E il bello è che questo avvenne malgrado i costi elevatissimi, e che venne ottenuto malgrado le sfide tecniche mostruose che questo tipo di macchinari comportava. In pratica, sotto la gestione Siriani si pensava di costruire delle macchine da corsa, più che da guerra. Per fortuna, a parte che con i Regolo, negli anni successivi la Regia Marina tornò con i piedi più 'a terra' nelle specifiche per le loro nuove navi.
Comunque sia, piccoli accenni ai Trento e simili.
Durante la battaglia di Punta Stilo, il Trento e le altre navi italiane della classe intervennero sparando diverse salve. Il Trento, secondo E.Cernuschi, colpì da vicino (un proiettile scoppiato a mezz'aria, forse dopo avere colpito un cavo?) la HMS Warspite, e questo con appena 3 salve tirate da oltre 26 km, un 'near miss'm ma anche una delle distanze maggiori a cui si sia mai ottenuta qualche soddisfazione sparando contro navi in movimento (sempre che la ricostruzione sia vera). Il Bolzano, nella stessa situazione, fu colpito da distanze elevatissime dai cannoni da 152 mm del Neptune inglese, e stavolta non solo con 'near miss' ma anche con 3 colpi a segno.
Il Trento, l'11-12 novembre 1940, ebbe a bordo una bomba rimasta inesplosa dopo uno sgancio da 500-600 metri di quota.
Il Trento partecipò anche alla battaglia di Capo Teulada, quando il 27, la RM sfidò la RN in una battaglia che vide l'HMS Berwick colpito da 2 colpi da 203 mm, mentre un caccia italiano, il Lanciere, ne prese 3 restando immobilizzato.
Il 27-29 marzo 1941 vi fu l'operazione che condusse allo scontro di Gaudo e poi Matapan. L'unica cosa che si può dire in merito è che le distanze rilevate dai telemetri italiani erano anche di 10 km differenti dal reale, tanto che all'inizio spararono a distanza creduta di 22 km mentre era di circa 32!
Il 23 agosto 1941, il Bolzano fu silurato da un smg britannico, il potente Triumph (classe T), dato per affondato dagli italiani, ma senza danni in realtà. Il Bolzano riuscì a contenere i danni e rientrò a Messina qualche ora dopo.
La mattina del 9 novembre, gli incrociatori pesanti italiani fallirono miserabilmente la difesa del convoglio Duisburg, che fu devastato dalla forza K che si avvicinò nottetempo fino a 5 km, distruggendo o mettendo KO praticamente tutte le navi di scorta diretta e poi tutti i 7 cargo, mentre gli incrociatori pesanti tirarono oltre 200 colpi da 203 e altri di calibro più piccolo, ma ci misero molti minuti per salire di velocità da 12 a 18 nodi e nel frattempo le navi britanniche, al riparo delle stesse cortine fumogene stese dalla scorta italiane, completarono la distruzione del convoglio stesso. Fu forse la peggiore sconfitta per gli itlaiani in mare, dopo Matapan, e certo umiliante, con gli incrociatori pesanti che eseguirono un tiro irrilevante anche da soli 8 km di distanza.
Il 21 novembre, di mattina, il Trieste venne danneggiato gravemente da un siluro dell'ennesimo smg britannico (Utmost), causando addirittura l'esplosione della caldaia N.3, ma se non altro, il vapore spense l'incendio iniziale. Dopo ben 90 minuti fu possibile rimettere in moto le caldaie superstiti e rientrare a moto lentissimo per Messina, raggiunta la mattina successiva. Quella stessa notte era stato anche silurato il Duca degli Abruzzi, a sua volta seriamente danneggiato, tanto che gli ci vollero diverse ore per rimettere in moto e rientare infine a Messina alle 11.40, diverse ore dopo il Trieste. Questa catastrofe, sempre nell'ambito dei rifornimenti per fronteggiare l'VIII armata in Africa, che aveva appena iniziato la sua offensiva Crusader (19 novembre), fu il secondo disastro in breve tempo: circa 12 giorni prima c'era stato il Duisburg (con la distruzione del 100% dei 7 trasporti e anche di parte della scorta), di lì a circa 20 giorni sarebbero affondati due incrociatori impegnati direttamente nei rifornimenti. Non fosse stato perchè la RN aveva a sua volta molte perdite (la HMS Barham e la Ark Royal per i sommergibili tedeschi; la fine della forza K per i campi minati italiani e poi il minamento di due corazzate ad Alessandria), la situazione sarebbe diventata davvero difficile per la marina italiana, che perse in poco tempo due incrociatori leggeri, ne ebbe altri due danneggiati gravemente e anche una delle corazzate Littorio (la V.Veneto) venne danneggiata da siluro.
Le navi italiane di tutte le categorie parteciparono anche alla Seconda Battaglia della Sirte, quando tirarono 181 colpi da 381 mm, 581 da 203, 552 da 152, 84 da 120, 87 da 100 e 21 da 90 mm, ma solo lo 0,3% andò a segno, danneggiando un incrociatore e tre cacciatorpediniere, più qualche scheggia, mentre il mare arrivò a forza 8/9.
Nella Battaglia di Mezzo Giugno gli incrociatori pesanti italiani non ebbero molta parte: 9 aerosiluranti Beaufort attaccarono ad ondate i cinque incrociatori italiani in mare, ma solo uno ebbe successo: centrò il Trento, leggermente dietro al centro nave, con un lancio da poche centinaia di metri. La nave venne totalmente messa fuori uso, mettendo Ko sia il locale caldaie di prora che il locale macchine vicino, immobilizzando la nave per mancanza di vapore. Le fiamme a bordo aumentarono l'intensità mentre mancava l'energia, ma l'incendio parve essere in calo verso le 9 di mattina. Per adesso non c'era modo di riattivare le macchine, ma si cercava di rimorchiare l'incrociatore. Nessuno sa se sarebbe potuto sopravvivere senza cedimenti e ulteriori allagamenti, a quel punto fatali, ma non pareva essere un pericolo imminente. In compenso, però, arrivò un altro siluro (o, stando alle fonti nemiche, due) dell'ennesimo smg britannico (il P.35). Scoppiando sotto la torre 2, causò l'esplosione dei depositi munizioni. Poco dopo la nave si immergeva di prua praticamente verticalmente. Un disastro con 602 caduti inclusi 22 ufficiali, su 1151 presenti a bordo.
Durante la battaglia di Mezz'agosto, invece, avvenne un altro disastro per la linea di incrociatori italiani. Il 12 agosto 1942, infatti, la 3a divisione incrociatori (l'unica rimasta con tutti e tre gli incrociatori pesanti ancora in linea), uscì con la 7a divisione incrociatori leggeri. Ma all'uscita dello Stretto di Messina, l'HMS Unbroken, quella mattina del 13 agosto, era posto in agguato. I 4 siluri lanciati, tutti quelli pronti nei tubi, andarono a segno a metà e su metà degli incrociatori: uno colpì l'Attendolo asportandogli la prua fino alla torre N.2 e solo per miracolo non gli causò danni irreparabili e perdite umane. Il Bolzano non fu così fortunato: centrato in pieno, ebbe un incendio gravissimo a centro nave e venne portato a Panarea a spiaggiarsi, dove affondò in acque basse. Ma restando parzialmente esposto, in molti testi è considerato solo 'incagliato'. In realtà venne riportato a galla dopo un mese di sforzi e trasferito prima a Napoli e poi a La Spezia, non venne mai riparato.
10 aprile. Formazioni di bombardieri B-24 da alta quota giungono su quel che restava della 3a divisione navale, adesso stanziata a La Maddalena dal 9 dicembre precedente. Era il pomeriggio del 10 aprile 1943. Almeno 3 bombe centrarono il Trieste che affondò dopo circa 100 minuti. Nello stesso tempo venne colpito anche il Gorizia. Probabilmente per via del ponte corazzato più spesso di 20 mm, o forse per pura fortuna, il ponte corazzato tenne, a differenza di quello del Trieste, e le macchine e lo scafo non vennero danneggiati più di tanto. Benché demolito a centro nave da due bombe in pieno, riuscì a ripartire poco tempo dopo. Che le bombe potessero perforare anche la sua corazza, almeno nominalmente, è comunque provato dal fatto che un'altra bomba centrò una delle torri, passando il cielo della stessa in maniera netta, pur essendo spesso ben 100 millimetri, più dei due ponti corazzati messi insieme (20+70 mm), esplodendo dentro, ma fallendo ad innescare esplosioni nel deposito munizioni sottostante.
Nella notte tra il 21 e 22 giugno 1944, il Bolzano venne minato da un gruppo di incursori inglesi. La nave, già inefficiente al momento dell'armistizio (dopo ben 13 mesi dall'ultimo siluramento) si rovesciò a affondò.
Fu senz'altro l'incrociatore italiano più sfortunato. Colpito da 3 proiettili con danni non gravi nel 1940 a Punta Stilo, centrato e gravemente danneggiato da un siluro nell'estate del 1941, nuovamente colpito, pochi mesi dopo essere rientrato in servizio, da un siluro nell'estate del 1942 e mai rimesso in servizio da allora, venne infine affondato pur essendo soltanto un rottame galleggiante nel 1944, con una copia dei 'maiali' italiani, ma equipaggio inglese (suprema ironia).
EPILOGO
L'unico dei 7 incrociatori pesanti italiani ancora testardamente a galla alla fine della guerra era il Gorizia, ma soltanto perché adagiato semi-affondato, su di un fondale basso. Assieme al relitto del Trieste (risollevato e poi demolito) e a quello dell'incrociatore corazzato San Giorgio (il più vecchio, ma anche il più 'dignitoso' degli incrociatori italiani, autoaffondatosi dopo avere difeso per mesi Tobruk, risollevato ma poi perduto), era tutto quel che restava di una magnifica epoca di navi di pura potenza e velocità.
Anche tutti i primi 4 Condottieri e più in generale, 5 su 6 dei primi incrociatori di questo tipo, noti come 'incrociatori di carta', erano andati perduti. 5 dei 6 dei gruppi successivi, invece, sopravvissero, mente gli incrociatori pesanti, benché più robusti e grandi, non ebbero alcuna fortuna: gli Zara, i più corazzati della categoria, vennero affrontati a bruciapelo e la loro corazza poté solo fargli da zavorra di fronte ai grossi calibri inglesi. I Trento, con la loro immensa potenza motrice, non riuscirono tanto meglio: a Capo Gaudo non riuscirono a raggiungere i 'deboli' incrociatori inglesi in fuga per un'ora intera, mentre quando si trattò di incassare, vennero eliminati con 3 bombe e 5 (o 6) siluri. Precisamente: Trento, 2 siluri; Trieste: 1 siluro e 3 bombe; Bolzano, 2 siluri. Quando fu affondato era così malmesso che nemmeno venne sabotato all'Armistizio, così come non venne toccato nemmeno il Gorizia.
Così, gli incrociatori italiani di prima generazione, non ebbero molto successo.
Con gli altri andò meglio: gli ultimi 6 Condottieri ebbero 5 superstiti alla guerra, e la maggior parte rimase in servizio nel periodo postbellico, in particolare il Garibaldi venne ricostruito ed entrò in servizio nel 1962, niente di meno che come il primo incrociatore lanciamissili europeo, armato -caso unico- di lanciamissili Polaris oltre che di artiglierie moderne e missili Terrier. Da notare che i Polaris non vennero mai accordati all'Italia, così rimase un primato tecnico e basta.
Quanto alla generazione successiva, arrivarono ben 4 incrociatori portaelicotteri e portaeromobili, in pratica dei surrogati 'leggeri' delle portaerei a cui gli italiani non erano di fatto in grado di accedere. Il più recente di questi è ancora, un 'Garibaldi', nato come incrociatore 'portaelicotteri', poi 'portaeromobili', di fatto è una piccola portaerei, specialmente ora che da un lato, opera con gli AV-8 Harrier e dall'altro, ha perso gli inutili missili Teseo/OTOMAT che in effetti, in una portaerei ben poca ragione d'essere si ritrovano ad avere. Anche la Marina sovietica copiò (in grande) il concetto, ma decise ben presto di passare alle portaerei vere e proprie, che è la stessa cosa che è riuscita (dopo quasi un secolo di tentativi...) a fare la marina italiana con la Cavour.
Fonti: molto è tratto dal sito di Pietro Cristini, per esempio la pagina dei Trento è questa:
http://www.pietrocristini.com/incrociatori_cl_trento.htm