Ed ora eccoci alle navi dell'Asse europee. Come sopportarono i danni in battaglia?
Il caso italiano (14/16-3-015)
L'Italia, all'inizio della guerra, aveva a in servizio una grande flotta da guerra, e in particolare questo era vero per gli incrociatori e unità leggere. In particolare, c'erano 22 incrociatori in servizio effettivo:
12 incrociatori leggeri classe Condottieri: -4 classe 'Da Giussano' -2 'Cadorna' - 2 'Montecuccoli' -2 'Aosta', 2 'Abruzzi'.
7 incrociatori pesanti: 2 classe 'Trento', 1 classe 'Bolzano' (o 'Trento modificata'), 4 classe 'Zara'.
Queste erano le unità moderne. Quelle di vecchio tipo, ancora in servizio, erano un piccolo numero: quelli leggeri 'Bari' e 'Taranto', ex navi nemiche rimesse in servizio; e l'unico incrociatore corazzato ancora in servizio in Italia come tale, il S.Giorgio (mentre altre vecchie navi erano state declassate, come il S.Marco che era oramai una nave-bersaglio, malgrado il suo apparato motore a turbina).
In tutto erano quindi 22 incrociatori.
Durante la guerra entrarono in servizio altri 2 soli incrociatori, due dei 12 'Regolo' originariamente previsti, che in pratica erano una sorta di 'esploratori' ergo super-cacciatorpediniere, anche se con una struttura apparentemente da incrociatore.
Ma forse, più che le pesanti corazzature degli Zara, che erano piuttosto differenti da tutti i punti di vista rispetto ai precedenti Trento/Bolzano, è notevole studiare l'evoluzione dei 12 Condottieri, suddivisi in ben 5 gruppi, i quali aumentarono progressivamente e in termini logici le loro caratteristiche, perdendo il mito della velocità a tutti i costi per diventare, col tempo, delle navi più equilibrate e pesanti, il tutto si può suddividere in tre generazioni, i gruppi I/II, quelli III/IV e infine il V gruppo, ovvero gli Abruzzi, che ebbero un'impostazione marcatamente differente dagli altri, nell'insieme maggiormente differenti rispetto agli Aosta/Montecuccoli di quanto questi ultimi fossero rispetto ai precedenti Da Giussano/Cadorna. Questo perché i primi 4 gruppi avevano evoluto la protezione e torrione a parte, erano rimasti per il resto abbastanza uguali, come armamento e come tendenza ad avere comunque sia, un motore molto potente e velocità da sprinter. Con gli Abruzzi si abbassò per la prima volta la potenza massima e ci si concentrò al meglio possibile sulla protezione e anche la potenza di fuoco venne molto migliorata.
Come si comportarono questi incrociatori, quando sottoposti al fuoco nemico? Ecco il riassunto.
Il caso italiano (14/16-3-015)
L'Italia, all'inizio della guerra, aveva a in servizio una grande flotta da guerra, e in particolare questo era vero per gli incrociatori e unità leggere. In particolare, c'erano 22 incrociatori in servizio effettivo:
12 incrociatori leggeri classe Condottieri: -4 classe 'Da Giussano' -2 'Cadorna' - 2 'Montecuccoli' -2 'Aosta', 2 'Abruzzi'.
7 incrociatori pesanti: 2 classe 'Trento', 1 classe 'Bolzano' (o 'Trento modificata'), 4 classe 'Zara'.
Queste erano le unità moderne. Quelle di vecchio tipo, ancora in servizio, erano un piccolo numero: quelli leggeri 'Bari' e 'Taranto', ex navi nemiche rimesse in servizio; e l'unico incrociatore corazzato ancora in servizio in Italia come tale, il S.Giorgio (mentre altre vecchie navi erano state declassate, come il S.Marco che era oramai una nave-bersaglio, malgrado il suo apparato motore a turbina).
In tutto erano quindi 22 incrociatori.
Durante la guerra entrarono in servizio altri 2 soli incrociatori, due dei 12 'Regolo' originariamente previsti, che in pratica erano una sorta di 'esploratori' ergo super-cacciatorpediniere, anche se con una struttura apparentemente da incrociatore.
Ma forse, più che le pesanti corazzature degli Zara, che erano piuttosto differenti da tutti i punti di vista rispetto ai precedenti Trento/Bolzano, è notevole studiare l'evoluzione dei 12 Condottieri, suddivisi in ben 5 gruppi, i quali aumentarono progressivamente e in termini logici le loro caratteristiche, perdendo il mito della velocità a tutti i costi per diventare, col tempo, delle navi più equilibrate e pesanti, il tutto si può suddividere in tre generazioni, i gruppi I/II, quelli III/IV e infine il V gruppo, ovvero gli Abruzzi, che ebbero un'impostazione marcatamente differente dagli altri, nell'insieme maggiormente differenti rispetto agli Aosta/Montecuccoli di quanto questi ultimi fossero rispetto ai precedenti Da Giussano/Cadorna. Questo perché i primi 4 gruppi avevano evoluto la protezione e torrione a parte, erano rimasti per il resto abbastanza uguali, come armamento e come tendenza ad avere comunque sia, un motore molto potente e velocità da sprinter. Con gli Abruzzi si abbassò per la prima volta la potenza massima e ci si concentrò al meglio possibile sulla protezione e anche la potenza di fuoco venne molto migliorata.
Come si comportarono questi incrociatori, quando sottoposti al fuoco nemico? Ecco il riassunto.
Incrociatori 'Da Giussano'
I Da Giussano erano le prime navi della categoria costruite in Italia, iniziando nel 1928 e terminando nel 1931-32.
Non erano nemmeno navi concepite come incrociatori leggeri, all'epoca erano considerati solo esploratori da contrapporre ai supercaccia Jaguar francesi che stazzavano solo 2.126 tonnellate. Con scafo finissimo e con prua simile ad uno sperone, erano navi straordinariamente veloci. Essi furono tra i primissimi incrociatori leggeri.
Dislocamento indicato 5.190 t std, 6.953 t a pieno carico.
Dimensioni 169,3x15,5x5,3 m, potenza 95.000 hp (2 assi e ), nafta 1.150-1.250 t, 36,5 kt (fino a 42+ nelle prove!), 3.800 nm a 18 kt.
507 uomini d'equipaggio.
Armi 8x152/53 mm (4x2), 6x100/47 (3x2), 2x40 mm (poi, tardi anni '30, 8x13 e poi anche 8x20 mm e 40 b.d.p.); 4 tls 533 mm (2x2), 2 idrovolanti.
Corazzatura 584 t (11,3/5 %): cintura 24 mm + paratia long. 18 mm (a circa 2 m dallo scafo): altezza circa 5 m (meno di 1 m sott'acqua); traverse 20 mm;ponte 20 o forse 25 (macchine), sicuramente 20 mm (depositi); torri 23 mm, barbette 20 mm, torrione 40-25 mm, direzioni tiro 25 mm, tubo com. 30 mm.
Questi piccoli incrociatori nacquero sopratutto per risposta ai super-cacciatorpediniere francesi, armati con 5 pezzi da 130 e 138 mm. Praticamente furono i primi 'tipo Londra' italiani, impostati in realtà con 2 anni di anticipo su quell'ulteriore trattato, del 1930. Anche se con acciai al nickel, le protezioni erano piuttosto leggere, anche se migliori di quelle degli equivalenti francesi.
Da notare i particolari: scafo spesso 10 mm, poi aumentati in chiglia a 10,5 e 11, e infine, al centro, attorno ai 12 mm, il tutto con una chiglia molto 'aguzza', non certo squadrata come le corazzate. Questo fatto rendeva più difficile la penetrazione da proiettili subacquei. Inoltre esisteva il doppio fondo che partiva da sotto la cintura.
La cintura di per sé era costituita da 24 mm di acciaio al nickel-cromo (secondo navypedia, ma vedi più sotto...), a cui, ad una distanza non indifferente di circa 2 metri, si aggiungevano anche altri 18 mm, probabilmente anch'essi di acciaio balistico, salendo da poco sotto la linea di galleggiamento (forse 0,5-1 m?) fino al ponte di batteria, dove era il ponte blindato da 20 mm.
Lo spessore esterno si riduceva a 20 mm alle estremità della cittadella. L'estensione di questa doppia struttura sui fianchi era molto buona: altezza 5 metri da 30 m a prua, fino a 27 m da poppa. La distanza tra le paratie era di 2,2 m a centro nave, 1,8-2,2 m verso le estremità. C'erano paratie da 20 mm alle estremità di questo ridotto. Doppi fondi sotto, e ponte principale da 20 mm. Anche questo era uno spessore appena superiore al minimo sindacale per il ponte principale (10-12 mm?) ma è appena sufficiente per considerare una struttura corazzata, presumibilmente in questo caso era un acciaio di tipo balistico. Totalmente, quindi, tutto si riduceva ad uno scafo un pò più spesso del normale, una paratia interna leggera, un ponte rinforzato più che corazzato. Praticamente l'unica cosa che faceva pensare che fosse un mezzo protetto, era la paratia interna antischegge.
Curiosamente, anche al pavimento, la doppia cintura era chiusa come una 'scatola', da una piastra da 12 mm, sotto cui iniziava il doppio scafo.
La cintura principale non aveva praticamente alcuna capacità di protezione subacquea, essendo troppo alta e troppo vicina al mare in ogni caso.
E per questo, c'era ancora una paratia non corazzata, spessa 4,5 e poi, più verso il fondo, 5,5 mm. Questo aiutava ad evitare allagamenti e schegge minori. Dietro la paratia da 18 mm il pavimento era 6,5 mm, fino alla paratia ultima che, da quell'altezza, scendeva con lo stesso spessore (SOTTO la paratia da 18 mm e il suo pavimento) con spessore pure di 6,5 mm, che non si può certo definire 'corazzato'.
I doppi fondi erano larghi circa 1,2 metri.
Sopra il ponte 'corazzato', c'era lo scafo, di cui la fascia inferiore era da 12 mm, mentre quella superiore era di ben 14 mm di spessore; anche il bordo esterno del ponte di coperta era più spesso del normale, 13 mm; questo fino alla paratia longitudinale, che era la continuazione di quella da 6,5-4,5 mm sotto il ponte corazzato. Stavolta era di appena 2,5 mm, per cui non aveva probabilmente nessuna funzione antischegge e certo non era stagna essendo molto sopra il galleggiamento. Il ponte di coperta, più all'interno, calava a 8, 7 e infine 6,5 mm.
Evidentemente, il fatto di avere quella specie di 'angolo' di 14 e 13 mm, serviva per rendere le cose più difficili per i colpi in arrivo sul ponte corazzato, da certe angolazioni non coperte dalla paratia interna.
Una corazzatura, a dire il vero, che era molto meno di quello che sembrerebbe. L'acciaio esterno è solo 24-20 mm, però non è una corazza sovrapposta allo scafo, ma è proprio il fasciame esterno. Lo spessore è appena maggiore dei 15-20 mm normalmente presenti in uno scafo di incrociatore. Quindi in tutto sono fanno 42 mm. Balisticamente sono l'equivalente di 33 mm circa. Per giunta, pur essendo acciaio al nichel-cromo, la durezza non può essere elevata, altrimenti la struttura si cretta di sicuro, l'acciaio strutturale deve essere per forza più elastico di un tipico modello balistico e quindi un pò meno resistente. Benché in alcune costruzioni navali sia stato davvero usato l'acciaio balistico come parte della struttura, allo scopo di alleggerire la nave eliminando lo scafo nella zona della cintura, non c'é dubbio che spessori così ridotti sarebbero un grave problema se si volessero indurire abbastanza. Per questo dubito fortemente di quel che afferma navypedia.
Nell'insieme con questa doppia difesa si poteva far esplodere un proiettile HE di medio calibro sullo scafo e fermare le schegge con la paratia interna. Ma qualsiasi proiettile AP di medio calibro sarebbe penetrato dentro il fasciame e pure dentro la paratia, al peggio esplodendo contro la struttura interna che a quel punto sarebbe stata sicuramente squarciata, proiettando schegge che difficilmente sarebbero state fermate dalla parte di ultima difesa, spessa circa mezzo centimetro...
Le torri e barbette avevano una protezione puramente nominale (23 mm?), mentre il torrione era qualcosa di meglio, ma di poco (40 mm max, 25 sul tetto), praticamente l'unica parte dell'intera nave che potesse 'sperare' di reggere ad un colpo in pieno (con molta fortuna...); mentre era encomiabile che la d.t. principale avesse 25 mm di acciaio (poco, ma meglio di niente...).
Gli spessori di altre navi, non protette, erano anche minori. I Capitani Romani (Regolo) avevano 7,5 mm esterni e 4 mm per la paratia interna. Tuttavia, la corazza, se vogliamo chiamarla così, era veramente poco più di una struttura rinforzata e meglio compartimentata del normale; cosa volessero ottenere gli italiani da questo tipo di protezione, è difficile dire. In pratica, aumentando la superficie protetta, hanno lasciato tutta la nave comunque vulnerabile ad altri mezzi similari e persino ai cacciatorpediniere, specialmente i supercaccia francesi con artiglierie di grosso calibro, da 130-138 mm, fino alle massime distanze di tiro. Molto opinabile, a dire il minimo anche se questo dava un minimo abbozzo del concetto di 'cittadella corazzata' che poi sarebbe stato sviluppato e che era già presente in altri incrociatori.
Si pensi che l'incrociatore leggero ex-tedesco TARANTO era provvisto di una blindatura di 50 mm sul ponte (il 94% della lunghezza della nave!) e di 60 mm sulla cintura (alta 2,5 metri e lunga oltre il 78% dello scafo). Con una protezione simile, persino nella II GM la nave sarebbe stata capace di incassare colpi da 152 mm a circa 16-20 km, con angoli d'impatto di 0-30°; il ponte era buono fino a circa 20 km e anche oltre. Nulla di simile poteva essere detto per i Da Giussano e i Cadorna successivi, che del resto erano definiti 'esploratori' e in quanto tali, apparentemente esonerati dal concetto di poter essere colpiti in pieno, in fondo, erano velocissimi, no?
I locali sfalsati dell'apparato motore erano un'altra garanzia di sopravvivenza in caso di danni a bordo. Ma in pratica, nelle navi italiane, malgrado questi apparati motori costruiti in maniera sensata, non vi fu mai nessuna differenza: i colpi a bordo le immobilizzavano facilmente anche se in teoria coinvolgevano solo una parte dell'apparato stesso.
Le 6 caldaie erano ripartite tra fumaiolo prodiero, sotto al torrione, e fumaiolo poppiero, in 3 locali differenti. Le due turbine erano su due altri lcoali a poppa.
La potenza di 95.000 hp nominali era ecceduta largamente alle prove:
-Da Giussano, 102.088 hp = 38,5 nodi;
-Da Barbiano, addirittura 123.479 hp per 42,05 nodi;
-Colleoni, 119.177 hp, 39,85 nodi;
-Bande Nere, 101.231 hp per 38,18 nodi.
Il Da Barbiano arrivò a 112.760 hp per 8 ore (39,6 kt) e addirittura ben 123.479 shp, a pesi leggeri, arrivando a 42,05 kt per 32 minuti! Ovviamente questo fu possibile super-forzando le turbine (che incredibilmente non esplosero) e con dislocamento di prova di 5.600 t, ma comunque sia tutte le navi mantennero oltre 39 nodi nella prova delle 8 ore.
I motori erano capaci di dare circa 1 hp per 10-11 kg, malgrado che le caldaie operassero a 24-25 kg/cm, un valore piuttosto convenzionale. Era straordinario come queste navi potessero andare così 'forti' all'inizio degli anni '30.
Anche nel 1940, comunque sia, era ancora possibile andare sui 34-35 nodi, ma certo non era un vantaggio colossale sulle navi nemiche (sui 32-33 kt). La disposizione delle caldaie era alternata, con 4 caldaie a prua in due locali, poi una delle turbine, poi due caldaie e infine l'ultima turbina.
I cannoni erano ad altissima velocità (quasi 1 km/sec!) ma altrettanta era l'imprecisione, la dispersione e il fatto che essi erano sistemati troppo vicini e con culle uniche. In seguito vennero abbassati notevolmente i livelli di velocità massima e a quel punto la gittata scese a valori 'normali' (23-24 km anzichè circa 28!).
Le munizioni pare, secondo Navypedia, ben 1800 da 152 e 336 per i pezzi da 100 mm (per ogni cannone??), 8 siluri (una ricarica, quindi), 2 idrovolanti con un hangar. Era possibile anche usare le mine (non sul Da Giussano).
Come l'apparato motore, anche il sistema di tiro fu moltiplicato: c'era un direttore di tiro principale sull'albero quadripode, ben carenato; uno sopra il torrione comando; un altro dietro l'albero poppiero, una piccola torretta pressoché scoperta. Questa ridondanza era giusta, ma per ragioni di peso e stabilità, oltre a rinforzare lo scafo contro il mare grosso, si arrivò anche a smontare il telemetro poppiero dopo appena qualche anno di servizio. Così restarono le due torri telemetriche anteriore e superiore, più -vicino a quest'ultima- due piccole torri per le armi secondarie.
Inizialmente c'erano i cannoni da 40 mm in 4 o 2 (?) impianti singoli, sostituiti da 8x13 mm binati, e infine, nel 1938-39 con 8 da 20/65 mm binati (non è chiaro se le 8 armi da 13 vennero mantenute o meno con l'arrivo dei pezzi da 20).
Per il resto, caratteristica era la sistemazione dell'hangar, sotto il torrione principale con saracinesche, per due idrovolanti e catapulta a prua funzionante ad esplosivo. Per quanto potenzialmente razionale, questa sistemazione in realtà era fonte di problemi (e pericoli) notevoli e non venne più ripetuta, anche perché il torrione diventava troppo alto, circa 28 metri sul mare, con effetti nefasti per la stabilità di uno scafo già un pò troppo fino. I due stabilizzatori giroscopici previsti non vennero mai imbarcati, rimpiazzati da due idropompe. Per il resto c'erano due stazioni di tiro sopra il torrione per la principale, e quella secondaria sopra l'hangar; c'erano anche due stazioni minori con torrette per la direzione del tiro sul torrione, utilizzabili per la direzione del tiro dei pezzi secondari. Anche le torri N.2 e N.3 avevano telemetri.
Insomma, almeno si può dire che gli italiani 'ci avevano provato', con la gestione Sirianni, la Marina doveva essere la 'più veloce' in tutti i casi, manco fosse in competizione con l'Aeronautica (beh, in effetti lo era...); che poi i risultati siano stati del tutto insufficienti all'offesa sia delle artiglierie che dei siluri è un altro discorso (5 delle 6 navi distrutte in guerra, contro 1 delle 6 degli altri 3 gruppi, è un dato che fa pensare). Erano già navi non recentissime all'inizio della II GM, ma comunque sia, potevano certo far migliore figura di quella che fecero.
Il Colleoni eseguì una prima missione di guerra già il 10 giugno, con una sortita di minamento nel canale di Sicilia. Poi combatté a Capo Spada, il 19 luglio 1940, assieme al fratello Bande Nere.
La missione consisteva nel bombardamento di Sollum. Le due navi non ebbero scorta di cacciatorpediniere perché operavano da Tripoli in quel frangente, così che ben poco naviglio poteva unirsi a loro, dato che la squadriglia Espero era stata devastata dai britannici già in quel primo mese di guerra, perdendo due navi con una terza danneggiata. Così mandarono in azione i due incrociatori, reduci da una missione di scorta, sarebbero stati prima mandati a bombardare in zona a Sollum e poi addirittura in Egeo e infine sarebbero attraccati a Lero. La velocità di crociera sarebbe stata sui 25 nodi, almeno nella fase iniziale della missione, il che avrebbe comportato un notevole consumo di carburante. La mattina del 19 luglio si videro sopraggiungere 4 cacciatorpediniere nemici e iniziarono a sparargli contro da 17.400 metri e aumentarono la velocità a 30 nodi. I caccia inglesi risposero con il tiro di cannoni e siluri, ma da distanze eccessive per colpirli; attorno alle 7 del mattino, dopo circa un'ora, erano oramai fuori portata utile dopo essersi nascosti nella foschia e nella nebbia. A quel punto, attorno alle 7.30, iniziarono i tiri da parte dell'HMS Sidney, che tirava tra la nebbia da circa 12.000 metri. Il Bande Nere venne colpito subito o quasi, per l'appunto, erano le 7.30 quando un proiettile colpì un montante del quadripode pruducendo uno squarcio di ben 5x4 metri, poi: ''Proseguendo la sua corsa il proiettile perfora la cassa nafta di servizio delle cucine sottufficiali ed equipaggio ed attraversa la cassa a fumo della caldaia n. 1. Penetrando nel fumaiolo produce uno squarcio di m. 6x5 contorcendo e schiodando lamiere. Nell’urto contro le lamiere del fumaiolo il proiettile scoppia producendo i massimi effetti dirompenti all’esterno del fumaiolo stesso e schiodando le lamiere dalle mastre che però non subiscono danni. L’osteriggio della lavanderia viene schidato e contorto. Squarci e danni nella zona antistante”.
Lo scoppio di quel primo proiettile uccise 4 marinai e ne ferì altri 4.'' (ma come può un singolo proiettile, produrre uno squarcio sulla sovrastruttura di quelle dimensioni e poi un altro ancora più grosso nel fumaiolo?)
La risposta degli italiani fu debole e imprecisa, nondimeno riuscirono a colpire il fumaiolo del Sidney causando pochi danni e un ferito. A quel punto le navi italiane dovettero allontanarsi emettendo nebbia visto che non riuscivano a rispondere al fuoco nemico.
Il Colleoni fu colpito da diversi proiettili a partire dalle 8.24 del mattino, dopo quasi un'ora di combattimento. Prima andò in avaria il timone, poi le granate, che perforavano facilmente le corazzette italiane, raggiunsero le caldaie 5 e 6, poi esplose il collettore mettendo fuori uso l'apparato motore e uccise il personale all'interno della sala caldaie. Sparò in fuoco locale con i cannoni da 100 mm, poi venne colpito da molti proiettili delle navi inglesi, infine da almeno due siluri (da parte di due caccia nemici) a prua (staccatasi di netto) e al centro; così che andò a picco poco dopo. In appena 6 minuti dopo il primo proiettile, alle 8.30, il comandante Umberto Novaro diede ordine di abbandonare la nave. Quindi essa era già malmessa prima ancora di essere silurata. Un primo lancio staccò circa 30 metri di prua, un altro squarciò la nave al centro e presto la mandò a picco. In tutto, furono diversi proiettili e 2 siluri a distruggerlo. Le perdite non furono troppo gravi, visto che i superstiti furono almeno 517, ma i morti -tra cui il comandante- furono circa 121.
Infine, il Bande Nere fu colpito da un altro proiettile (dopo il primo andato a segno) alle 8.52 (mentre era inseguito dall'incrociatore e da due dei caccia) “Il proiettile entra fra le ordinate 177-178 facendo un foro ovale di cm 30x22 con rottura del baglio del castello. Proseguendo nella sua corsa il proiettile fora il termotank (apparecchio per fornire acqua fresca potabile N.D.A.) spezza il baglio di coperta sull’ordinata 181 lacerando le lamiere del ponte e provocando un foro di cm. 80x25, fora una condotta d’aria, asporta un rinforzo longitudinale intercostale fra le ordinate 180-182 e scoppia infine sulla paratia fra la zona 1 e la zona 2 rompendo tre montanti della paratia stessa ed asportando una porta. La lacerazione provocata dallo scoppio nella paratia misurava cm. 110x80. Danni da schegge nella zona circostante. Una scheggia esce dal bagnasciuga fra le ordinate 184-185” 4 morti e 12 feriti (in tutto circa il 4% dell'intero equipaggio, 8 morti e 16 feriti, venne eliminata da questi due colpi).
Il Bande Nere era riuscito infine a scappare, dopo essere sceso a 16 km e a 29 nodi, per risalire poi a 19 km e a 32 nodi anche se aveva una delle cinque caldaie fuori uso. A quel punto l'incrociatore inglese, che aveva quasi finito le munizioni di prua, interruppe l'inseguimento. Il Bande nere scappò a Bengasi.
Il Sidney ebbe solo un marinaio ferito e il fumaiolo colpito e parzialmente squarciato (un danno simile l'ebbe anche il Bande Nere, ma con vittime a bordo). Il Sidney, basicamente, dismise la battaglia solo perché rimasto a corto di munizioni e si ritirò, dopo quasi 2 ore di battaglia.
Il Bande nere si prese una rivincita con la posa dei campi di mine, perché pare che fossero quelle poste da questo e dal Da Giussano ad affondare, nel dicembre di quello stesso anno, il Neptune e un cacciatorpediniere, oltre che a danneggiare altri due incrociatori leggeri, ponendo quindi fine alla Forza K, che fino ad allora aveva combattuto in maniera micidiale contro la Regia Marina. Fu quindi senz'altro il più pericoloso dei quattro 'Da Giussano'. E come si vedrà, anche il più longevo, sebbene i siluri inglesi avrebbero beccato anche lui.
Il Da Barbiano, veterano -tra le altre- della battaglia di Punta Stilo, venne intercettato, assieme al Da Giussano, da una flottiglia di cacciatorpediniere alleati il 12-13 dicembre 1941, mentre stava viaggiando per rifornire il Nord Africa. Era una missione difficile, e stivare barili di benzina a bordo non poteva dare alcuna sicurezza alla nave che la portava. Intercettati tramite l'intelligence prima, e dalle navi poi, questi incrociatori vennero presi sotto tiro da 4 cacciatorpediniere alleati in quella che divenne la Battaglia di Capo Bon.
I due incrociatori Da Barbiano e Da Giussano, con l'ammiraglio sulla prima delle due, salparono con 950 tonnellate di carburante in fusti sul ponte.
100 t di benzina, 250 gasolio, 600 nafta, ma anche 900 t di rifornimenti alimentari e 135 soldati in rientro da una licenza. In sostanza, queste navi da circa 5.000-7.000 tonnellate avevano circa 1.550 t di rifornimenti a bordo, operando in sovraccarico, e sopratutto con una quantità di bidoni di carburante che ingombravano addirittura la coperta fino sotto i cannoni, che così difficilmente avrebbero potuto sparare! Ai più sembrava una missione suicida e non avevano torto, in quelle condizioni.
Una grande operazione di rifornimento con sei navi scortate tra l'altro da ben 12 cacciatorpediniere, più altre navi in scorta 'indiretta' tra cui 5 incrociatori e 2 'Littorio' era stata abortita poco prima, ma non prima di vedersi silurata la Veneto nonché affondati due trasporti; la grande operazione, nota come M.41, venne rovinata dalla presenza della RN in zona, reputata sufficiente per spaventare la flotta italiana al punto da rinunciare all'importantissima missione.
Anticipando questa manovra, il 12 dicembre, i due incrociatori leggeri partirono dunque per rifornire le forze africane, portando tra l'altro circa 200 tonnellate di benzina. Si diressero verso l'Africa a 23 nodi. Un ricognitore avvistò quel pomeriggio 4 navi nemiche (erano il Sikh, Maori, Legion e Sweers), naviganti a 20 nodi; gli incrociatori scortati dalla torpediniera Cigno, mantenevano i 23 e pensavano che nemmeno a 28 nodi il nemico si sarebbe avvicinato abbastanza da tagliargli la strada a Capo Bon. Invece i ct nemici raggiunsero i 30 nodi e poco dopo le 3, incrociarono la formazione italiana. Le navi italiane, che avevano già abortito una prima missione di rifornimento il 9 dicembre (sempre partendo da Palermo), non vollero rinunciare anche stavolta, ma mal gliene incolse.
La navigazione della piccola flotta italiana, con l'ammiraglio Toscano sul Da Barbiano, era già allertato dal ricognitore (probabilmente uno Z.506) della presenza in mare della flotta nemica, ma a loro volta non ebbero alcun rinforzo e vennero avvistati da un ricognitore Wellington. La formazione italiana aveva la Cigno avanti ai due incrociatori di circa 2 km. I proiettili per l'assetto notturno erano caricati metà a palla e metà a granata e gli impianti da 100 avevano 8 colpi illuminanti e solo 2 a granata per ciascuna artiglieria, alle volte di tipo VR con o senza coda luminosa. Dopo una manovra rimasta enigmatica, la flotta italiana si trovò faccia a faccia con quella nemica in avvicinamento. Erano passate da poco le 3 del 13 dicembre. All'improvviso si videro contro i caccia nemici, iniziando dal Sikh, che lanciò da appena 1.000 metri una salva di 4 siluri sul primo incrociatore, ovvero il Da Barbiano (2 centri), seguito dal Legion (1 su ciascun incrociatore), mentre gli altri due caccia ebbero un risultato meno decisivo non mettendo a segno siluri.
Incerti sull'identità delle navi che avevano di fronte, ad un certo punto gli italiani pensavano che fosse la stessa torpediniera Cigno, non risposero subito alla minaccia benché con le armi cariche.
L'unica nave che riuscì nell'intento fu la Cigno, che lanciò anche un siluro e rivendicò qualche colpo a segno, ma poco o nulla ottenne realmente.
Il risultato fu che il Da Barbiano, dopo le 3.20, mentre stava attivandosi per aprire il fuoco, prese in rapida sequenza 3 siluri (prua, centro e poppa!), oltre al fuoco delle mitragliere. Fu quest'ultimo che incendiò il carburante sulla coperta.
“L’unità ha accostato un poco a sinistra ma subito è arrivato il primo siluro a prora a sinistra determinando un primo sbandamento. Intanto tutta la nave era investita da un furioso fuoco di mitragliere e le codette luminose dei proiettili erano visibilissime. Subito dopo è arrivato un secondo siluro e numerosi colpi a bordo che hanno fatto esplodere il carico di benzina determinando un gigantesco incendio che avvolgeva tutta la nave. Il terzo siluro è giunto dopo brevi istanti.'' stando alla relazione di un ufficiale superstite.
Ma la nave era spacciata: si rovesciò sul fianco colpito (sinistro) e affondò in un mare di fiamme alle 3.35. Stranamente, per una volta almeno, non si spezzò in più parti. Aveva preso a bordo 3 siluri e vari colpi minori.
Dei ct nemici, il Sikh lanciò le sue 4 armi e il Legion tutte quelle disponibili (6?); il primo colpì con due siluri il Da Barbiano e il secondo centrò entrambi gli incrociatori. Gli altri ct non misero a segno colpi decisivi, ma crivellarono di colpi le sovrastrutture.
Il Da Barbiano affondò quasi subito (circa 5 minuti?), il Da Giussano fu meno 'sfortunato', ma la fine giunse ugualmente: sparò alcune salve con le proprie armi, tra cui tre salve dei propri potenti cannoni di prua e due di poppa, osservando anche un possibile colpo a segno (smentito dagli alleati), facendo correre un grosso rischio agli aggressori. A sua volta, mentre manovrava per evitare la nave ammiraglia, venne centrato a mezzanave da un siluro. Di sicuro, arrivarono anche due colpi nemici da 120 mm, causando gravi distruzioni. Il siluro, comunque sia, colpì nel locale caldaie 5 e 6, facendole probabilmente anche esplodere e causando un incendio della nafta (ma non di quella caricata in coperta). Immediatamente la nave si inclinò di 15°. Poco dopo, la nave, largamente immersa verso prua, si spaccava in due e affondava in verticale, così inclinata da far sperare che si piantasse sul basso fondale invece di sparire. Probabilmente tra l'avvistamento e il siluramento passarono appena 2 minuti. La torpediniera Cigno, che attaccò poco dopo ritenendo di avere messo a segno qualche colpo, ma sicuramente subendone in risposta, con qualche ferito, fu impotente testimone della strage.
Circa mezz'ora (o quasi un'ora, a seconda delle fonti) passò prima che la nave sparisse dalla superficie, a circa le 4.20. Il Da Barbiano perse 534 uomini su 784, il Da Giussano ebbe 283 (o 437?) morti su 720. La Cigno subì qualche ferito e danno nella breve schermaglia ad alta velocità con le navi nemiche, poi si dedicò a raccogliere i superstiti, in quella cruda notte dicembrina. Dovette fare in fretta, perché faceva freddo anche lì, e successe che di un gruppo di naufraghi di circa 15 uomini, solo tre vennero salvati alle 11.30, appena 7 ore dopo. Alcune decine raggiunsero la costa da soli, ma tanti morirono nel tentativo. L'ammiraglio Toscano morì nel naufragio.
I superstiti -molti dei quali ustionati- vennero ulteriormente messi in pericolo dalle fiamme che rimasero in mare, dal mitragliamento che alcuni aerei inglesi eseguirono (in maniera poco comprensibile, e certo poco cavalleresca!), e persino dai pescicani. In tutto, malgrado il disastro totale e grazie alla presenza della torpediniere Cigno (l'unica nave che venne mandata a scortare gli incrociatori!!) vi furono circa 687 superstiti, di cui 250 del Da Barbiano e 437 del Da Giussano, ma 817 scomparvero quella notte. E così, in appena 5 minuti la RM perse due incrociatori e dei preziosi rifornimenti per le forze dell'Asse, che proprio in quel periodo stavano cedendo terreno e ritirandosi per l'offensiva Crusader, la cui riuscita, paradossalmente, fu sia causa che effetto di quest'altra disfatta italiana.
Il Bande nere combatté il 22-23 marzo 1942 nella Seconda Battaglia della Sirte e ad esso è attribuito l'unico colpo sugli incrociatori nemici, sull'HMS Cleopatra, colpendone le torri posteriori con un proiettile (15 vittime), malgrado fosse in comitiva con ben tre incrociatori pesanti. La distanza di tiro era molto forte (inizialmente attorno ai 22 km), anche se progressivamente in riduzione. Le condizioni del mare erano atroci, come testimoniò la perdita di cue moderni ct italiani con oltre 400 caduti (quasi tutto l'equipaggio!) per via della tempesta nel viaggio di ritorno. Le navi inglesi tirarono con precisione da 19.000 metri nella prima parte della battaglia, ma stavolta non ebbero fortuna anche se investirono le navi italiane con schegge e colonne d'acqua.
Il Bande Nere rollava fino a 27°, rischiando di ingavonarsi, e dovette rientrare a velocità ridotta e con rotta modificata per evitare le condizioni peggiori: le condizioni meteo ridussero infatti la velocità delle navi italiane prima a 28, e poi a soli 20 nodi e l'incrociatore leggero dovette cambiare rotta per evitare di naufragare, finché non arrivò a Messina il 24 marzo. In quella stessa missione due caccia italiani affondarono con quasi tutto l'equipaggio. Ma la sorte non sarebbe tardata nemmeno per questo fortunato (e ultimo) incrociatore italiano.
Il 1 aprile 1942, il 'pesce' d'aprile assunse per il Bande Nere la forma di un smg britannico (HMS Urge), che in barba allo Z.501 in pattugliamento (il 'Catalina' de noaltri) e della torpediniera Libra (con il sonar in avaria, una delle pochissime navi italiane ad averlo), il caccia Fuciliere con un guasto ad una delle due macchine, si posizionò sul bersaglio grosso e attorno alle 9 del mattino lanciò quella mattina dei siluri vicino a Stromboli. Ancora una volta, il centro vide messe fuori uso le caldaie 5 e 6. Nessuno saprà mai se questo siluro sarebbe stato sufficiente per affondare da solo il Bande Nere, anche se il centro era pieno. Però, poco dopo, arrivò un secondo siluro, vicino alle macchine di prora: la nave si spezzò letteralmente in due, facendo scomparire la nave sott'acqua dopo 3 minuti! Venne quindi colpito in tutto da due siluri da 533 mm Mk VIII.
Dei 772 a bordo, solo 391 si salvarono, tra cui -per una volta- anche il comandante. Come accadde anche sull'incrociatore Da Giussano, perirono anche dei militari dell'Aeronautica (8).
E questa fu la fine degli 'incrociatori di carta', come erano chiamati i veloci Da Giussano. Tutti e 4 affondati, e sopratutto, il Colleoni venne messo KO con appena qualche cannonata, regalando alla propaganda alleata un grande risultato, tenendo presente che era appena finita l'alquanto inconcludente battaglia di Punta Stilo (che comunque fu molto più deludente per l'Italia, che praticamente 'pareggiò in casa'), e che l'Inghilterra era in grave pericolo in quell'estate, per non parlare della situazione in Africa, dove l'Italia era nettamente più forte di Londra.
I due Cadorna
Erano appena diversi dai 4 incrociatori simili, e furono abbastanza attivi. Due navi, Cadorna e Diaz, vennero previste nel 1929, approntate nel 1930, varate nel 1931-32, e completate nel 1933. La principale differenza era lo spostamento della catapulta e degli aerei, e il torrione era ben 3,5 metri più basso e meglio strutturato. Lo scafo era leggermente irrobustito, ma lo spessore delle corazze era ancora circa lo stesso di prima.
Dislocamento indicato 5.408 t std, 7.226 t a pieno carico (Diaz: 5.406-7.309 t, ma esistono anche fonti che dicono fosse circa 6.000 tonnellate, tutto sommato più credibilmente visto il carico di nafta). Dimensioni 169,3x15,5x5,2/5,5 m, 95.000 hp (2 assi), nafta sulle 1.090-1.211 t, 36,5+ kt (sui 32 nel 1940), 2.930-3.008 nm a 16 kt
507-544 uomini d'equipaggio. Armi 8x152/53 mm (4x2), 6x100/47 (3x2), 8x20/65 mm (4x2), 8x13,2 (4x2), 4 tls 533 mm (2x2), 2 idrovolanti.
Corazzatura 575 tonnellate: ponte 25 (macchine) 20 mm (depositi), cintura 24 mm+ paratia long. 18 mm (H= circa 4,5 m), torri 23 mm, torrione 40 mm (Navypedia: 40 mm torri, 70-25 torrione). Corazza: 584 t (11,3/5 %)
Essi avrebbero dovuto essere più protetti, ma non è chiaro e e quanto sia stata davvero migliorata la protezione, visto che i valori sembrano analoghi. La struttura del torrione era diversa e più bassa, omettendo l'hangar che prima era sotto il ponte di comando (che ideona!), mentre le catapulte erano adesso nei circa 24 metri di spazio tra fumaiolo poppiero e torre N.3. Anche la rimozione della centrale di tiro posteriore (sostituita dalla catapulta) era un fatto degno di nota (sebbene ne restassero comunque due in avanti, la RM non badava a spese in questo settore). Questo e altre modifiche aumentarono la stabilità della nave e la resero più robusta. I cannoni OTO erano di tipo più moderno, il Mod 1929 anziché il M1926; e le torri più ampie. Le mine, quando presenti, erano tra 84 e 138, sistemate sul ponte in apposite rotaie. Vennero successivamente aggiunte anche due lbp con 40 cariche.
Le prove di moto videro il Diaz con 121.407 hp e 39,72 nodi, il Cadorna 112.930 hp per 38,08 nodi.
A differenza della classe Da Giussano, che pure era più vecchia e meno potente, questi due incrociatori non ebbero un grande impegno di prima linea. Il Cadorna non subì danni apprezzabili in guerra. Rimase in servizio fino al 1951, ma la sua carriera fu effettivamente usata sopratutto per trasportare truppe e mine, nonché per scorta ai convogli.
Il Diaz, che come alcuni Da Giussano, riuscì (malgrado fosse così gracile e instabile rispetto ad una vera nave 'oceanica') ad eseguire crociere fino all'Estremo Oriente, durante la guerra partecipò -come il Cadorna- a Punta Stilo. Alle prove, andando in super-potenza a 121.407 cv (anziché 95.000) raggiunse ben 39,723 nodi, anche se stazzava solo 5.530 t e sopratutto, era il 24-1-33, quand'era nuovo di zecca e a scafo pulito. In guerra, la nave avrebbe fatto sui 32 nodi, mentre l'autonomia era indicata a 3.000 nm a 16 nodi (velocità probabilmente migliore per l'autonomia massima) e con carburante di 1180 t. Svolse 41 missioni e trasferimenti in guerra, percorrendo 6.527 miglia.
Durante una missione di copertura ad un convoglio per l'Africa, la notte del 25 febbraio 1941, il Diaz era vicino a Kerkennah, quando venne colpito da un (o due?) siluro da parte dell'HMS Upright, altro sommergibile classe U inglese. La santabarbara anteriore esplose e il torrione andò distrutto, ma pare che anche la sala caldaie 3-4 ebbe la stessa sorte (il secondo siluro, presumibilmente) e la nave affondò presto con gravi perdite (454 su 611 o, stando a S.M. 10/08, 384 su 501? In ogni caso, i superstiti furono solo 147), in giusto sei minuti, danneggiando per l'effetto dello scoppio anche un caccia di scorta italiano. L'intera tragedia si consumò tra le 3.43 e le 3.49 circa.
Montecuccoli e D'Aosta
Seguirono i due grandi 'Montecuccoli', i primi veri incrociatori leggeri italiani, ovvero il capoclasse (Raimondo Montecuccoli) e il Muzio Attendolo. Queste navi pesavano oltre 2.000 tonnellate più del primo sottogruppo; erano quindi del tutto diverse dalle altre precedenti, almeno dal punto di vista delle sovra strutture, e della corazza che adesso era circa raddoppiata. Lo scafo cambiava molto, estremamente stellato e slanciato, con un lungo castello. Al posto di un torrione normale, c'era una piccola e bassa sovrastruttura leggermente blindata, che inglobava tutti i locali di navigazione e controllo tiro. A quanto pare, c'era una sola centrale di tiro principale, quella sopra il torrione. E non era poi questa grande idea, visto che era incredibilmente bassa rispetto ai fumaioli (2-3 metri più alta a far tanto).
In generale, questa era la disposizione studiata dal gen. Pugliese per le navi da guerra italiane, ma il torrione leggermente corazzato comportava inevitabilmente dimensioni e altezza insufficienti, tanto che in questa classe, così come in tutte quelle che seguirono, l'altezza era appena superiore a quella degli stessi fumaioli! Certamente erano bersagli elusivi per l'artiglieria nemica, ma quanto era davvero efficace questa soluzione è difficile dire. Di sicuro, nessuno seguì questa prassi all'estero, almeno non in maniera così estrema, mentre alla RM piacque abbastanza da adottarla anche per le corazzate nuove o ricostruite. La catapulta era adesso tra i fumaioli e veniva ruotare di 30° per lato.
Le due navi di questa classe vennero iniziate nel 1931, varate nel 1934 e completate nel 1935.
Dislocamento indicato 7.523 std, 8.994 t a pieno carico. (Attendolo, 8.848-8.989 t)
Dimensioni 182,2x16,6x5,6-6 m; potenza 106.000 hp (2 assi), nafta 1.118-1.180 o 1.275/297 t, 34-36 kt (fino a 38,7 nelle prove!), 4.122 o 4.411 nm a 18 kt.
578 (588-650) uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 8x152/53 mm (4x2), 6x100/47 (3x2), 8x37/54 mm (4x2), 8x13,2 (4x2), 4 tls 533 mm (2x2), 2 idrovolanti. 96+ mine e 12 cariche di profondità da 50 kg.
Corazzatura: 1.350-1.376 t (18,3%): cintura (H: 4,5 m??) 60 mm+25 interna a circa 1,6 m dallo scafo (60+30 mm zone depositi), cintura superiore 20 mm (fino al ponte di coperta); paratie trasversali 40-20 mm(zona bassa); ponte connesso alla cintura 30 mm (tra le paratie e scafo 20 mm) x il 75% della lunghezza nave, torri 70 mm, barbette 50 mm sopra il ponte, 45 sotto, 30 sotto ponte corazzato; torre comando 50-40 mm, torrione 100 mm lati, 30 tetto e 25 pavimento; direzione tiro 30-20 mm; tubo 30 mm.
IZ: cintura da 60 mm efficace contro i colpi da 203 mm oltre 23 km con angolo di impatto a 25° (non è chiaro se complessivo oppure conteggiando solo quello orizzontale?); contro i 152 mm solo tra 12.700-15.000 metri. Non è chiaro se in queste misurazioni si considerasse anche la presenza dello scafo e se la cintura interna/paratia longitudinale, oppure veniva considerata insufficiente (specie nella zona delle macchine) per proteggere dall'eventuale esplosione di una granata dentro lo scafo.
Questi dati aiutano a capire l'evoluzione che c'era stata in appena 2 anni. La corazza era circa raddoppiata, il ponte era del 50% più spesso (sebbene ancora sottile), la cintura era finalmente a prova di 152 mm (alle lunghe distanze), torri e torrione erano OK. L'incremento in termini percentuali era di oltre il 50%, ma a sua volta, la nave era grandemente più pesante e lunga, tanto che la lunghezza sl era di 166 m circa, ergo quasi come quella dei tipi precedenti in totale. La larghezza era aumentata di circa 1 metro, ma sorprendentemente, il rapporto lunghezza: larghezza era più o meno lo stesso. Oramai si trattava di rispettabili navi classe 7.000 t (circa 9.000 a pieno carico), quindi dei 'veri' incrociatori leggeri, e con una potenza ulteriormente aumentata rispetto alla classe precedente.
Sui Montecuccoli lo schema della cintura esterna 'a scatola' era ripetuto, ma con spessori maggiori: 60 mm esterni (anche qui, nessuna menzione dello scafo da costruzione: forse era la blindatura ad essere usata al posto di quest'ultimo, come nelle navi giapponesi e per certi versi, in quelle inglesi?), 25-30 interni, con un ponte esterno in questa zona da 20 mm superiore, ma anche un 'pavimento' da 20 mm che collega questa zona. Da notare che in questo caso, la paratia non blindata è spostata tra le due cinture corazzate, ma non è indicato lo spessore.
Come detto, la direzione tiro era semplificata: torretta anulare brandegiabile sopra il torrione, due direzioni tiro secondarie ai lati del fumaiolo prodiero, e della controplancia di poppa, per un totale di ben 4 unità su torretta girevole. Le torri N.2 e N.3 avevano telemetri propri.
La blindatura era adatta a sopportare il tiro degli incrociatori nemici alle distanze di combattimento normali, e -anche senza considerare lo scafo di per sé- sui fianchi arrivava a 85-90 mm in due strati diversi. Il torrione e le torri erano anch'essi ben corazzati, le barbette assai di meno, e meno ancora lo era il ponte, troppo sottile per garantire la resistenza ai colpi da 152 mm.
In dettaglio, queste 1.376 t di corazza (superiore a quella di molti incrociatori pesanti, anche i 'Trento' da 10.000 t italiani), permettevano una cintura da 60+25 mm ( 60+30 ai depositi), con doppia struttura con la paratia interna distante circa 1,6 metri, il tutto collegato con paratie trasversali da 40 mm; il tutto permetteva di resistere a distanze discrete al tiro dei 152 mm, ma solo in un margine limitato, perché il ponte era troppo sottile (30 mm) per reggere il fuoco dei 152 mm in pieno, al massimo potevano sperarlo se il proiettile penetrava dai fianchi e quindi era forzato ad attraversare la corazzetta dei fianchi. Le paratie laterali erano tutt'altro che spesse (40 mm sopra, 20 mm nelle parti inferiori), per cui non erano così efficaci nel resistere al tiro da 152 mm. La lunghezza della cintura era tra la torre N.1 e la N.4, il 75% della lunghezza della nave, mentre navi inglesi come i Leander arrivavano al 30% e il Southampton al 48%, ma erano cinture più alte al contempo, per cui una comparazione è difficile. Inoltre, con i Montecuccoli apparve per la prima volta il concetto di una cintura 'superiore' a quella principale, come una piccola nave da battaglia, dunque, con spessore da 20 mm (ignoro se complessivo oppure sullo scafo, come mi appare più evidente dalle foto, sempre che le sezioni siano veritiere, visto che apparentemente lo 'scalino' è visibile solo sugli Abruzzi).
La torre era molto robusta e piccola, era a prova di schegge e armi leggere, e ma era anche alquanto angusta e il direttore di tiro era troppo basso, almeno per gli standard internazionali. Il torrione era più che adeguato (100 mm) sui lati, ma solo 30 mm sul tetto. La protezione delle torri era discreta (fino a 70 mm), le barbette però non superavano i 50 mm. Quanto alla difesa antisommergibile, non è chiaro quanto essa avrebbe potuto funzionare: probabilmente meglio degli altri 6 incrociatori, ma non c'erano controcarene, solo una paratia da 25-30 mm interna, che avrebbe potuto o non potuto salvare la nave in caso di siluri a segno, anche considerando circa 2 metri di distanza dallo scafo esterno. A differenza degli altri incrociatori precedenti, tutti più o meno distrutti da siluri, qui non c'é modo di stabilire, in termini di efficacia pratica, la resistenza delle navi all'offesa subacquea.
Quindi, ricapitolando: ponte per il 75% della lunghezza, 30 mm interni, 20 mm esterni alle paratie laterali; cintura 60+25 mm oppure 60+30 mm in zona depositi; barbette 50 mm sopra ponte, 45 mm sotto, 30 mm sotto ponte corazzato. Torrione 100 mm laterale, 40-50 mm resto struttura, 20-30 mm direttore tiro, 30 mm condotto. Torri d'artiglieria: fino a 70 mm anteriori.
Le sale macchine erano simili alle altre precedenti unità, ma ogni caldaia aveva una sala propria, per migliorare la sicurezza. 6 caldaie Yarrow (ciascuna con un suo locale, anziché uno ogni due caldaie) e due turboriduttori Belluzzo. Potenza nominale: 106.000 hp.
In termini di velocità, il Montecuccoli andò a 38,72 kt durante le prove del 1935, quindi oltre i 37 nodi di disegno; tuttavia, questo avvenne al dislocamento di appena 7.020 t (sotto a quello standard) e forzando le macchine del 18%, fino ad un valore di ben 126.099 shp!
L'Attendolo, invece, ebbe 123.330 hp per 36,78 nodi.
Velocità operative di 32-34 nodi erano quelle che ci si poteva aspettare da queste navi, che in effetti erano molto più potenti di un incrociatore 'normale' dell'epoca (spesso sui 60-70.000 shp), ma non tanto da surclassare la concorrenza della misura in cui si sarebbe voluto. La disposizione era di gruppi caldaie (4 anteriori e 2 posteriori) e turbine alternati (anteriore dx e posteriore sx).
Anche queste navi vennero aggiornate sostituendo i 4 pezzi da 40 mm singoli, stavolta però con 4 binati da 37/54 (attorno al torrione), inoltre vennero installati 4 binati da 13,2 mm vicino al fumaiolo posteriore. La catapulta era adesso sempre poppiera, ma capace di ruotare parzialmente. In seguito vennero installati, durante la guerra, fino a 20 cannoni da 20/65 e 20/70 mm, sostituendo le 13,2 mm, lanciasiluri e catapulta, nonché la centrale di tiro posteriore, che apparentemente era installata solo nell'Attendolo, e che era molto più piccola di quella principale (probabilmente era per le armi da 100 mm). Anche le torri sopraelevate avevano telemetri. C'erano anche due lb AS per 12 cariche, e si potevano portare se del caso, 96 o più mine.
Nel 1943 il Montecuccoli ebbe il radar Gufo e 10 cannoni da 20/70 al posto delle 8 da 13,2 mm. Nel dopoguerra perse due caldaie e ridusse la potenza a 75.000 shp, per 29 kt, oltre a perdere una torre principale e parte delle armi secondarie, dislocamento comunque aumentato a 7.675-8.994 t e pescaggio 5,4 m.
Il Montecuccoli eseguì una lunga missione in Estremo Oriente prima della guerra. Durante questa, venne usato estensivamente in missioni sia offensive (incluse le mine e bombardamenti costieri) che difensive (protezione convogli). Ebbe danni in almeno due occasioni. Una di esse fu la battaglia di Mezzo Giugno 1942, quando, il 15 del mese, combatté con il Savoia contro uno squadrone di navi leggere inglesi. Ridussero a malpartito il Beduin e danneggiarono altre navi, ma il Montecuccoli venne danneggiato da una granata da 120 mm, subendo danni non gravi ma diverse vittime a bordo.
La battaglia di Mezzo giugno merita più di una spiegazione. Tutto iniziò la mattina presto, mentre le navi italiane andavano a caccia del convoglio inglese. Lo trovarono, difeso da una mezza dozzina di cacciatorpediniere e da un piccolo incrociatore a.a., il vecchio HMS Cairo. La battaglia iniziò attorno alle 5.39 da 19 km, quando i cannoni da 120, 140 e 152 italiani aprirono il fuoco contro convogli e scorte. Circa 10 minuti dopo colpirono il caccia Beduin a prua, dove causarono un buco sul ponte da circa 3 mq. Alle 5.50 e 5.54 i caccia Marne e Ithuriel colpirono entrambi gli incrociatori italiani, causando danni all'infermeria del Savoia (2 morti e 2 feriti) e colpendo il Montecuccoli con 9 feriti nel quadrato ufficiali a poppa. Le armi degli incrociatori erano però più potenti e riuscirono a colpire con circa 15 colpi il Beduin, in avanzata verso la formazione italiana, specialmente da parte del Montecuccoli, che causò anche qualche danno al Marne inglese, tirandogli contro con le armi da 100 mm da 15 km. Ma fu sopratutto il Beduin che venne colpito duro, mentre il Savoia colpiva il Partdrige, altro caccia inglese lanciato all'attacco. Una granata colpì un lanciasiluri di quest'ultimo, causando l'esplosione dei siluri, le cui testate, però, vennero scagliate in mare. La distanza finì a circa 8 km se non di meno, e il Beduin alla fine venne immobilizzato, mentre il Cairo venne colpito dal Premuda da un colpo non esploso, ma che causò comunque danni allo scafo trapassandolo.
I due caccia 'M' spararono un'enormità di colpi da 120 mm: Marne 704 e Matchless 746, mentre l'Ithuriel ne aveva tirati 260. Il Cairo fu colpito da un near miss e poi da un colpo dietro il fumaiolo, alle 6.40, dopo circa un'ora di combattimento. Verso le 7 ebbe altri 3-4 near miss su di un fianco, subendo vari danni da schegge. Poi si ritirò, aveva sparato 690 colpi da 102 mm durante la battaglia. IL Beduin, colpito ripetutamente, era ancora in grado di muovere quando venne silurato da un S.79, che peraltro abbatté a sua volta, attorno alle 13.30. Nel mentre gli incrociatori, benché ostacolati dalle cortine nebbiogene, riuscirono a trovare le navi inglesi da trasporto, ma solo quelle abbandonate di già. La situazione fu comica, perché praticamente tutti si attribuirono l'affondamento di queste unità, dall'S.79 di Buscaglia alla RM. Nel mentre, alle 6.07 circa, il caccia Vivaldi venne centrato dal Matchless, e sebbene fosse un colpo solo, presto le fiamme lo costrinsero a fermare le macchine e a farsi rimorchiare a Palermo.
In tutto, dopo che la battaglia finì oltre le 14.00, la RM aveva anche tirato 3.371 colpi, quando per esempio a P.Stilo erano stati solo 1.200 circa e alla seconda Sirte 1.490, a Capo Spada 500, e alla Prima Sirte 629, mentre gli inglesi avevano sparato parecchio di più (circa 2.500 a P.Stilo, 2.807 alla Seconda Sirte ecc). I colpi a segno furono circa 20 più quelli di grazia per le navi inglesi abbandonate (Burdwan e Kentucky). I due incrociatori italiani tirarono oltre 800 colpi l'uno. E questa, fu la splendida vittoria della marina italiana, in pratica riuscirono giusto a distruggere alcune navi abbandonate per le precedenti incursioni aeree (con il dubbio di uno dei trasporti alleati, colpito da un siluro italiano secondo la ricostruzione del solito Enrico Cernuschi, a mio avviso alquanto fazioso nella sua ricostruzione dei fatti, specie quando c'é la RM da una parte, e la RN dall'altra). La querelle dell'affondamento del Beduin durò almeno fino agli anni '60, prima di ottenere l'attribuzione all'S.79 di Aichmer (che poi, andrà a fargli compagnia negli abissi, pur salvandosi l'equipaggio). Non male per un cacciatorpediniere, anche se piuttosto grosso.
Poi, quello stesso anno, il 4 dicembre, alle 16.40, la 7a divisione incrociatori era a Napoli, quando comparvero una ventina di B-24. In quello che è ricordato come il bombardamento di S.Barbara (giornata... indovinata, diciamo), la 7a divisione venne annientata in maniera efficace, anche se in porto c'erano anche altre navi più pesanti, che non vennero colpite e forse nemmeno attaccate. I bombardieri giunsero inaspettati, anche perché scambiati inizialmente per aerei amici. Quando iniziò il bombardamento, da 6.200 m, le armi a.a. avevano appena iniziato a sparare, e i portelli non erano chiusi.
Il Savoia ebbe danni da schegge a prua, e da una bomba che gli scoppiò vicino allo scafo, su di una panchina, squarciandogli le lamiere dell'opera viva per 3x4 m nella zona del timone, nonché un incendio che durò fino alle 23.00 circa, deformazioni e danni ai ponti fino a quello di coperta, schegge penetrate nello scafo dietro la paratia corazzata poppiera ecc. Non vennero colpiti gli organi vitali della nave, ma le perdite umane furono alte: 17 morti e 47 feriti. Il tutto comportò circa 40 giorni di lavori di riparazione.
Il Montecuccoli non fu così fortunato: si beccò una bomba (da 500 o 1000 lb) in un fumaiolo, che esplose contro il grigliato di base, ma aprì un vero 'cratere' devastando le sovrastrutture. I danni, però, furono contenuti e il ponte corazzato venne solo leggermente deformato, mentre le caldaie erano state solo lievemente intaccate. Tutte le 4 caldaie di prua erano inutilizzabili o per danni alle casse di fumo e tubazioni, oppure per il fatto che il fumaiolo era comunque distrutto. Le caldaie n.5 e 6, di poppa, erano invece utilizzabili. Nell'insieme, nonostante vi fossero stati vari danni da schegge tutt'attorno, il Montecuccoli era ancora in grado, se necessario, di muoversi autonomamente. Gli incendi furono poca cosa, malgrado il centro pieno. A bordo vi furono però 44 morti e 36 feriti.
L'Attendolo eseguì varie missioni di posa mine, scorta convogli e persino, nell'emergenza albanese (dopo il disastro della controffensiva greca), l'antivigilia di Natale trasportò 3 battaglioni di camicie nere a Valona.
Non ebbe danni di rilievo durante la guerra, finché il 13 agosto 1942, durante Pedestal, venne colpito da un siluro dal piccolo sommergibile Unbroken, che gli devastò la zona prodiera, tanto che questa si distaccò poco dopo l'esplosione del siluro. Malgrado i 25 metri di prua persi, però, la nave non corse il rischio di affondare grazie alla tenuta della paratia avanti la torre n.1.
Riparato a tempo di record prima a Messina e poi, dal 6 settembre 1942, a Napoli, l'Attendolo era, nel dicembre di quell'anno, nuovamente operativo, anche se non ancora entrato in azione.
Quando venne colpito il 4 dicembre, l'Attendolo ebbe una o forse, meno probabilmente, due bombe a bordo, alcuni near miss più un'abbondanza di schegge, che di per sé causarono pochi danni, ma per colpo di sfortuna, l'equipaggio era radunato in quell'ora sui ponti, per il saluto a voce, come anche in altre unità. Il che causò perdite elevatissime. Nel mentre, la bomba aveva colpito nella zona poppiera vicino ad uno dei cannoni da 100 mm binati, presumibilmente esplodendo al contatto con il ponte corazzato. Stavolta, la situazione diventò subito disastrosa. L'esplosione causò un cratere nelle strutture della nave, e tosto si svilupparono forti incendi che tagliarono praticamente in due l'incrociatore. I due gruppi di diesel generatori smisero di funzionare per allagamento del quadro del gruppo di poppa, e per avaria in quello di prua; e non potevano farlo nemmeno i turbogeneratori perché non c'era vapore. Come se non bastasse, l'equipaggio era rimasto per lo più nella zona di prua, tagliato fuori dalla parte più 'calda' del fronte. Altre disgrazie nella disgrazia: sia il comandante che il vice erano morti. La fornitura di energia elettrica da parte di altre unità non ebbe successo. Attorno alle 20 vennero domati gli incendi, si cominciò a svuotare i depositi munizioni di poppa (provvidenzialmente allagati per evitare il peggio) e così via. L'incrociatore era sbandato solo di 4° a dritta, e leggermente appoppato, per cui si poteva senz'altro salvare Se i soccorsi fossero continuati. Invece, attorno alle 21.17, un allarme aereo -poi rivelatosi infondato- causò la fuga delle navi e del personale e questo significò l'abbandono dell'Attendolo fino al termine dell'allarme, ovvero le 22.15. Appena 4 minuti dopo, la zona poppiera dell'Attendolo toccò il fondo e il movimento che causò quest'impatto scosse l'incrociatore, già instabile per gli allagamenti, tanto da rovesciarsi su di un fianco.
Questa fu la fine della nave, con almeno 188 morti e 86 feriti (non è noto quanti fossero davvero a bordo in quel momento, tra cui dei civili della OTO per il collaudo delle artiglierie). In tutto, quindi, quest'incursione, con sole 2-3 bombe mise KO l'intera 7a divisione. Per giunta, causò in termini di perdite: 2 ufficiali morti e 6 dispersi, 43 sottufficiali e comuni morti e 201 dispersi (!) più 174 feriti, per un totale di 252 vittime e 174 feriti accertati, più quelli a terra: 157 morti (120 civili e 37 militari di cui 3 tedeschi), 332 feriti gravi (di cui almeno 179 militari) e 320 leggeri, stando ad un rapporto inviato il 13 dicembre successivo. In tutto, quindi, 426 vittime (almeno!) a bordo delle tre navi, e un totale di 409 in tutto solo considerando i morti (289 militari) e 826 feriti (1237 in tutto), causati da appena 20 B-24 Liberator!
Per l'Attendolo si pensava ad un recupero in 3-4 mesi più 7-8 per la riparazione; per i Montecuccoli 3 mesi, e l'Eugenio di Savoia, 40 giorni. In realtà, le stime erano ottimistiche, l'Eugenio rimase ai lavori fino al 27 febbraio 1943 (quindi 85 giorni), il Montecuccoli fino al 13 luglio (quindi ben 7 mesi e 9 giorni) e l'Attendolo non venne risollevato se non nel dopoguerra, utilizzato nel mentre giusto come 'molo' per i movimenti di truppe nel porto. (ref: A. de Toro, Storia militare 12/1996). Alla Regia Marina era andata comunque assai bene: nella stessa base navale c'era anche la IX divisione n.b. con tutte e tre le Littorio, che se non altro avrebbero incassato con minore dramma le bombe americane, per cui è difficile dire se davvero la scelta dei bersagli fu giusta o meno, ergo se fu più importante mettere KO degli incrociatori leggeri, oppure causare qualche danno serio ma non devastante a delle corazzate.
Nel dopoguerra lo si sarebbe voluto trasformare in un moderno incrociatore antiaereo, ma dopo il sollevamento dal fondo del porto di Napoli, dove era da circa 4 anni, alla fine non se ne fece nulla e venne demolito.
Beh, sia come sia, i Montecuccoli furono estremamente attivi in guerra. Il capoclasse sopravvisse restando in servizio fino al 1 giugno 1964. Stando alla targa commemorativa esso navigò per circa 77.000 miglia in oltre 3.000 ore di moto, il che significa che tenne oltre 20 nodi di media. Per quel che mi riguarda, è un dato lievissimamente non credibile, visto che la velocità di crociera era calcolata sui 18 nodi e in tempo di pace specialmente non dev'essere stata tanto facile da superare, specie negli anni postbellici, quando questa nave era già logora e ridotta principalmente a compiti addestrativi.
Condottieri sr IV: gli 'Aosta'
Poi, arrivò il quarto gruppo dei 'Condottieri', i due 'Savoia/Aosta'. Si trattava del Duca D'aosta e dell'Emanuele Filiberto. Vennero iniziati nel 1932-33, varati nel 1934-35, e completati nel 1935-36.
Dislocamento indicato 8.450 std, 10.539 t a pieno carico. (Savoia, 8.747 e 10.842 t)
Dimensioni 186,9 x 17,5 x 6,5 m. Due turbine Parsons (o Belluzzo per l'Eugenio) e 6 caldaie Thornycroft per 110.000 shp; 36,5 kt teorici, pratici quasi 34 kt, 1.460 t o 1.653 o 1.680 (a seconda fonti); 3.900 nm a 14 kt
578-700 ca uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 8x152/53 mm (4x2), 6x100/47 (3x2), 8x37/54 mm (4x2), 8 (o 12?)x13,2 (4x2), 6 tls 533 mm (3x2), 2 idrovolanti. 96-146 mine e 12 cariche di profondità da 50 kg.
Corazzatura: cintura (H= circa 4,2 m, di cui 0,5-1 sott'acqua): 70 mm tra le torri + cintura superiore 20 mm (H: 2,5-2,8 m?), cintura interna 30 mm (35 nella zona depositi) a 2 (o 3,5 ?) metri dallo scafo, con pavimento da 20 mm tra le due; paratie trasversali 50-30 (sup-inf) mm; ponte 35 mm (30 alle estremità laterali fuori dalle paratie longitudinali), torri 90 mm, barbette 70 mm, 60 sotto coperta, 50 sotto ponte principale; torrione 100 mm lati, 30 tetto e 25 pavimento, resto 50-40 mm. Totale corazza circa 1.700 t (22%).
I due 'Aosta' erano navi ulteriormente migliorate rispetto anche ai Montecuccoli, con il 29% di corazza in più, e caratteristiche di stabilità ulteriormente migliorate rispetto alle classi precedenti, dopo che gli stessi Montecuccoli erano senza dubbio migliori dei tipi precedenti che a loro volta erano meglio dei Da Giussano.
Oramai erano navi da quasi 200 metri di lunghezza, a pieno carico superavano le 8.000 tonnellate, e a pieno carico superavano le 10.000. In tutto, aggiunsero circa 1.000 tonnellate ai Montecuccoli, di cui circa 400 erano di acciaio da corazza. In termini dimensionali, ebbero 4 metri di lunghezza, 1 di larghezza e 0,5 di immersioni in più. La blindatura del torrione era come i Montecuccoli, l'armamento pure (a parte l'aumento delle 13,2 mm da 8 a 12), ma con maggiore protezione per le torri principali, mentre la cintura era valutata essere capace di reggere il 203 mm tra 16 e 17 km con angolo di almeno 45°.
Velocità: 110.000 hp teorici x 36,5 nodi, ma alle prove il Duca D'Aosta arrivò a 127.924 hp e 37,35 nodi, mentre l'Eugenio di Savoia raggiunse i 121.380 ho per 37,33 nodi.
La corazza era sensibilmente superiore, aumentava di 10 mm quella della cintura, ma di soli 5 mm quella del ponte corazzato entro la zona protetta dalle paratie interne (sempre dello spesso spessore, a quanto pare, di 25 o 30 mm a seconda delle zone), e di 10 mm fuori dal ridotto interno, quindi 35 mm nel ponte zona centrale, 30 mm in quello laterale (vs 30 e 20 mm dei Montecuccoli), cosa sensata se si considera che le parti esterne erano fuori dalle paratie longitudinali esterne. Però, anche con 1.700 tonnellate non era ancora abbastanza per dare una difesa totale dai 152 mm, sempre a causa dello scarso spessore del ponte blindato. Inoltre, la corazza sui lati non era ancora sufficiente per la difesa dal tiro diretto dei 152 mm, e meno che mai dai 203 mm.
L'Aosta ha ripetuto il discorso della cintura corazzata doppia probabilmente alta 4,2 metri, ma con 70+35 mm, probabilmente con tanto di una di paratia non corazzata in mezzo (larghezza totale, probabilmente 3,5 metri); il tetto, però, era adesso di 30 mm mentre il pavimento era sempre di 20, così come 20 mm era lo spessore della corazza dei fianchi del piano superiore (è sempre e solo un piano solo quello sopra il ponte corazzato negli incrociatori italiani!)
La cintura era molto alta, apparentemente, anche se quasi tutta fuori dal livello del mare! Lo scafo era più robusto, forse, certo meglio protetto: ma era meno 'acuto' di quello dei primi incrociatori, per cui forse bisognava fare più attenzione alla struttura di protezione subacquea, visto che sotto la cintura corazzata doppia c'é solo una paratia (o due?) non protetta. Anche qui, è difficile capire l'utilità del pavimento blindato tra le due cinture, quando avrebbe potuto essere convenientemente usato per corazzare il lato immerso della nave fino al doppio fondo. I doppi fondi erano sempre sui 1,2 metri.
I motori erano ancora più potenti, non sia mai che la RM non avesse il massimo del massimo quando si trattava di potenza motrice, anche se stavolta erano a gruppi di tre caldaie per turbina, sempre alternate e spaziate tra di loro; tutte le caldaie erano allineate e con un locale per ciascuna, seguite da un locale turbine. Il fatto che tutti i fumaioli servivano lo stesso numero di caldaie comportò che fossero di dimensioni uguali. La velocità rimase quasi la stessa dei tipi precedenti. L'armamento era pressoché identico a parte la capacità di portare fino a 100-185 mine e i siluri aumentati a 6, sempre in lanciasiluri siti sul ponte e brandeggiabili. Gli idrovolanti teoricamente potevano essere fino a tre, anche se il carico normale era di due.
Le navi erano veloci, ovviamente: alle prove arrivarono fino a 37,35 nodi, sempre con condizioni irrealistiche (quella pratica era dell'ordine dei 34 nodi).
Non ebbero molte modifiche durante la guerra, a parte togliere i lanciasiluri e catapulta nel 1943, e sostituire le armi da 13 con un massimo di 12 da 20 mm.
Tanto per cambiare, anche il Savoia andò a fare una lunga missione internazionale nel 1938, assieme al fratello, addirittura il giro del mondo, non prima di avere anche fatto parte dello schieramento italiano che appoggiava la guerra in Spagna. La missione venne comunque interrotta dopo avere raggiunto il Sud America. Come 7a divisione, faranno poi parecchia attività bellica, a cominciare da Punta Stilo, anche se poi il D'Aosta venne mandato alla 8a divisione. Vi furono diverse missioni belliche da parte di entrambe le navi, anche come posamine.
Non vi sono molti dati sull'attività di questo gruppo, probabilmente il meno impegnato in guerra dei vari 'Condottieri', e sopratutto, il meno provato dalle armi nemiche.
Il Filiberto combatté a Mezzogiugno, subendo pochi danni e qualche perdita a causa di una cannonata da parte di un caccia inglese, ma anche stavolta un proiettile da 120 non poteva fare davvero la differenza.
A Dicembre, circa 6 mesi dopo, il Filiberto subì seri danni dall'incursione di cui sopra, con la 7a divisione. Successivamente, nel 1943, ebbe 10 cannoni da 20 al posto delle 13,2 mm.
Nel dopoguerra queste due navi erano ancora abbastanza moderne ed efficienti; l'Aosta venne mandato però all'URSS il 2 marzo 1949 come Z15 poi Stalingrad poi Kerch. Il suo fratello Filiberto venne invece mandato in Grecia dal 1 luglio 1951, come Helli, il nome del piccolo incrociatore che venne proditoriamente affondato da siluri di un sommergibile italiano prima dell'inizio della guerra tra le due nazioni, nell'autunno del 1940
Seguirono i due grandi 'Montecuccoli', i primi veri incrociatori leggeri italiani, ovvero il capoclasse (Raimondo Montecuccoli) e il Muzio Attendolo. Queste navi pesavano oltre 2.000 tonnellate più del primo sottogruppo; erano quindi del tutto diverse dalle altre precedenti, almeno dal punto di vista delle sovra strutture, e della corazza che adesso era circa raddoppiata. Lo scafo cambiava molto, estremamente stellato e slanciato, con un lungo castello. Al posto di un torrione normale, c'era una piccola e bassa sovrastruttura leggermente blindata, che inglobava tutti i locali di navigazione e controllo tiro. A quanto pare, c'era una sola centrale di tiro principale, quella sopra il torrione. E non era poi questa grande idea, visto che era incredibilmente bassa rispetto ai fumaioli (2-3 metri più alta a far tanto).
In generale, questa era la disposizione studiata dal gen. Pugliese per le navi da guerra italiane, ma il torrione leggermente corazzato comportava inevitabilmente dimensioni e altezza insufficienti, tanto che in questa classe, così come in tutte quelle che seguirono, l'altezza era appena superiore a quella degli stessi fumaioli! Certamente erano bersagli elusivi per l'artiglieria nemica, ma quanto era davvero efficace questa soluzione è difficile dire. Di sicuro, nessuno seguì questa prassi all'estero, almeno non in maniera così estrema, mentre alla RM piacque abbastanza da adottarla anche per le corazzate nuove o ricostruite. La catapulta era adesso tra i fumaioli e veniva ruotare di 30° per lato.
Le due navi di questa classe vennero iniziate nel 1931, varate nel 1934 e completate nel 1935.
Dislocamento indicato 7.523 std, 8.994 t a pieno carico. (Attendolo, 8.848-8.989 t)
Dimensioni 182,2x16,6x5,6-6 m; potenza 106.000 hp (2 assi), nafta 1.118-1.180 o 1.275/297 t, 34-36 kt (fino a 38,7 nelle prove!), 4.122 o 4.411 nm a 18 kt.
578 (588-650) uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 8x152/53 mm (4x2), 6x100/47 (3x2), 8x37/54 mm (4x2), 8x13,2 (4x2), 4 tls 533 mm (2x2), 2 idrovolanti. 96+ mine e 12 cariche di profondità da 50 kg.
Corazzatura: 1.350-1.376 t (18,3%): cintura (H: 4,5 m??) 60 mm+25 interna a circa 1,6 m dallo scafo (60+30 mm zone depositi), cintura superiore 20 mm (fino al ponte di coperta); paratie trasversali 40-20 mm(zona bassa); ponte connesso alla cintura 30 mm (tra le paratie e scafo 20 mm) x il 75% della lunghezza nave, torri 70 mm, barbette 50 mm sopra il ponte, 45 sotto, 30 sotto ponte corazzato; torre comando 50-40 mm, torrione 100 mm lati, 30 tetto e 25 pavimento; direzione tiro 30-20 mm; tubo 30 mm.
IZ: cintura da 60 mm efficace contro i colpi da 203 mm oltre 23 km con angolo di impatto a 25° (non è chiaro se complessivo oppure conteggiando solo quello orizzontale?); contro i 152 mm solo tra 12.700-15.000 metri. Non è chiaro se in queste misurazioni si considerasse anche la presenza dello scafo e se la cintura interna/paratia longitudinale, oppure veniva considerata insufficiente (specie nella zona delle macchine) per proteggere dall'eventuale esplosione di una granata dentro lo scafo.
Questi dati aiutano a capire l'evoluzione che c'era stata in appena 2 anni. La corazza era circa raddoppiata, il ponte era del 50% più spesso (sebbene ancora sottile), la cintura era finalmente a prova di 152 mm (alle lunghe distanze), torri e torrione erano OK. L'incremento in termini percentuali era di oltre il 50%, ma a sua volta, la nave era grandemente più pesante e lunga, tanto che la lunghezza sl era di 166 m circa, ergo quasi come quella dei tipi precedenti in totale. La larghezza era aumentata di circa 1 metro, ma sorprendentemente, il rapporto lunghezza: larghezza era più o meno lo stesso. Oramai si trattava di rispettabili navi classe 7.000 t (circa 9.000 a pieno carico), quindi dei 'veri' incrociatori leggeri, e con una potenza ulteriormente aumentata rispetto alla classe precedente.
Sui Montecuccoli lo schema della cintura esterna 'a scatola' era ripetuto, ma con spessori maggiori: 60 mm esterni (anche qui, nessuna menzione dello scafo da costruzione: forse era la blindatura ad essere usata al posto di quest'ultimo, come nelle navi giapponesi e per certi versi, in quelle inglesi?), 25-30 interni, con un ponte esterno in questa zona da 20 mm superiore, ma anche un 'pavimento' da 20 mm che collega questa zona. Da notare che in questo caso, la paratia non blindata è spostata tra le due cinture corazzate, ma non è indicato lo spessore.
Come detto, la direzione tiro era semplificata: torretta anulare brandegiabile sopra il torrione, due direzioni tiro secondarie ai lati del fumaiolo prodiero, e della controplancia di poppa, per un totale di ben 4 unità su torretta girevole. Le torri N.2 e N.3 avevano telemetri propri.
La blindatura era adatta a sopportare il tiro degli incrociatori nemici alle distanze di combattimento normali, e -anche senza considerare lo scafo di per sé- sui fianchi arrivava a 85-90 mm in due strati diversi. Il torrione e le torri erano anch'essi ben corazzati, le barbette assai di meno, e meno ancora lo era il ponte, troppo sottile per garantire la resistenza ai colpi da 152 mm.
In dettaglio, queste 1.376 t di corazza (superiore a quella di molti incrociatori pesanti, anche i 'Trento' da 10.000 t italiani), permettevano una cintura da 60+25 mm ( 60+30 ai depositi), con doppia struttura con la paratia interna distante circa 1,6 metri, il tutto collegato con paratie trasversali da 40 mm; il tutto permetteva di resistere a distanze discrete al tiro dei 152 mm, ma solo in un margine limitato, perché il ponte era troppo sottile (30 mm) per reggere il fuoco dei 152 mm in pieno, al massimo potevano sperarlo se il proiettile penetrava dai fianchi e quindi era forzato ad attraversare la corazzetta dei fianchi. Le paratie laterali erano tutt'altro che spesse (40 mm sopra, 20 mm nelle parti inferiori), per cui non erano così efficaci nel resistere al tiro da 152 mm. La lunghezza della cintura era tra la torre N.1 e la N.4, il 75% della lunghezza della nave, mentre navi inglesi come i Leander arrivavano al 30% e il Southampton al 48%, ma erano cinture più alte al contempo, per cui una comparazione è difficile. Inoltre, con i Montecuccoli apparve per la prima volta il concetto di una cintura 'superiore' a quella principale, come una piccola nave da battaglia, dunque, con spessore da 20 mm (ignoro se complessivo oppure sullo scafo, come mi appare più evidente dalle foto, sempre che le sezioni siano veritiere, visto che apparentemente lo 'scalino' è visibile solo sugli Abruzzi).
La torre era molto robusta e piccola, era a prova di schegge e armi leggere, e ma era anche alquanto angusta e il direttore di tiro era troppo basso, almeno per gli standard internazionali. Il torrione era più che adeguato (100 mm) sui lati, ma solo 30 mm sul tetto. La protezione delle torri era discreta (fino a 70 mm), le barbette però non superavano i 50 mm. Quanto alla difesa antisommergibile, non è chiaro quanto essa avrebbe potuto funzionare: probabilmente meglio degli altri 6 incrociatori, ma non c'erano controcarene, solo una paratia da 25-30 mm interna, che avrebbe potuto o non potuto salvare la nave in caso di siluri a segno, anche considerando circa 2 metri di distanza dallo scafo esterno. A differenza degli altri incrociatori precedenti, tutti più o meno distrutti da siluri, qui non c'é modo di stabilire, in termini di efficacia pratica, la resistenza delle navi all'offesa subacquea.
Quindi, ricapitolando: ponte per il 75% della lunghezza, 30 mm interni, 20 mm esterni alle paratie laterali; cintura 60+25 mm oppure 60+30 mm in zona depositi; barbette 50 mm sopra ponte, 45 mm sotto, 30 mm sotto ponte corazzato. Torrione 100 mm laterale, 40-50 mm resto struttura, 20-30 mm direttore tiro, 30 mm condotto. Torri d'artiglieria: fino a 70 mm anteriori.
Le sale macchine erano simili alle altre precedenti unità, ma ogni caldaia aveva una sala propria, per migliorare la sicurezza. 6 caldaie Yarrow (ciascuna con un suo locale, anziché uno ogni due caldaie) e due turboriduttori Belluzzo. Potenza nominale: 106.000 hp.
In termini di velocità, il Montecuccoli andò a 38,72 kt durante le prove del 1935, quindi oltre i 37 nodi di disegno; tuttavia, questo avvenne al dislocamento di appena 7.020 t (sotto a quello standard) e forzando le macchine del 18%, fino ad un valore di ben 126.099 shp!
L'Attendolo, invece, ebbe 123.330 hp per 36,78 nodi.
Velocità operative di 32-34 nodi erano quelle che ci si poteva aspettare da queste navi, che in effetti erano molto più potenti di un incrociatore 'normale' dell'epoca (spesso sui 60-70.000 shp), ma non tanto da surclassare la concorrenza della misura in cui si sarebbe voluto. La disposizione era di gruppi caldaie (4 anteriori e 2 posteriori) e turbine alternati (anteriore dx e posteriore sx).
Anche queste navi vennero aggiornate sostituendo i 4 pezzi da 40 mm singoli, stavolta però con 4 binati da 37/54 (attorno al torrione), inoltre vennero installati 4 binati da 13,2 mm vicino al fumaiolo posteriore. La catapulta era adesso sempre poppiera, ma capace di ruotare parzialmente. In seguito vennero installati, durante la guerra, fino a 20 cannoni da 20/65 e 20/70 mm, sostituendo le 13,2 mm, lanciasiluri e catapulta, nonché la centrale di tiro posteriore, che apparentemente era installata solo nell'Attendolo, e che era molto più piccola di quella principale (probabilmente era per le armi da 100 mm). Anche le torri sopraelevate avevano telemetri. C'erano anche due lb AS per 12 cariche, e si potevano portare se del caso, 96 o più mine.
Nel 1943 il Montecuccoli ebbe il radar Gufo e 10 cannoni da 20/70 al posto delle 8 da 13,2 mm. Nel dopoguerra perse due caldaie e ridusse la potenza a 75.000 shp, per 29 kt, oltre a perdere una torre principale e parte delle armi secondarie, dislocamento comunque aumentato a 7.675-8.994 t e pescaggio 5,4 m.
Il Montecuccoli eseguì una lunga missione in Estremo Oriente prima della guerra. Durante questa, venne usato estensivamente in missioni sia offensive (incluse le mine e bombardamenti costieri) che difensive (protezione convogli). Ebbe danni in almeno due occasioni. Una di esse fu la battaglia di Mezzo Giugno 1942, quando, il 15 del mese, combatté con il Savoia contro uno squadrone di navi leggere inglesi. Ridussero a malpartito il Beduin e danneggiarono altre navi, ma il Montecuccoli venne danneggiato da una granata da 120 mm, subendo danni non gravi ma diverse vittime a bordo.
La battaglia di Mezzo giugno merita più di una spiegazione. Tutto iniziò la mattina presto, mentre le navi italiane andavano a caccia del convoglio inglese. Lo trovarono, difeso da una mezza dozzina di cacciatorpediniere e da un piccolo incrociatore a.a., il vecchio HMS Cairo. La battaglia iniziò attorno alle 5.39 da 19 km, quando i cannoni da 120, 140 e 152 italiani aprirono il fuoco contro convogli e scorte. Circa 10 minuti dopo colpirono il caccia Beduin a prua, dove causarono un buco sul ponte da circa 3 mq. Alle 5.50 e 5.54 i caccia Marne e Ithuriel colpirono entrambi gli incrociatori italiani, causando danni all'infermeria del Savoia (2 morti e 2 feriti) e colpendo il Montecuccoli con 9 feriti nel quadrato ufficiali a poppa. Le armi degli incrociatori erano però più potenti e riuscirono a colpire con circa 15 colpi il Beduin, in avanzata verso la formazione italiana, specialmente da parte del Montecuccoli, che causò anche qualche danno al Marne inglese, tirandogli contro con le armi da 100 mm da 15 km. Ma fu sopratutto il Beduin che venne colpito duro, mentre il Savoia colpiva il Partdrige, altro caccia inglese lanciato all'attacco. Una granata colpì un lanciasiluri di quest'ultimo, causando l'esplosione dei siluri, le cui testate, però, vennero scagliate in mare. La distanza finì a circa 8 km se non di meno, e il Beduin alla fine venne immobilizzato, mentre il Cairo venne colpito dal Premuda da un colpo non esploso, ma che causò comunque danni allo scafo trapassandolo.
I due caccia 'M' spararono un'enormità di colpi da 120 mm: Marne 704 e Matchless 746, mentre l'Ithuriel ne aveva tirati 260. Il Cairo fu colpito da un near miss e poi da un colpo dietro il fumaiolo, alle 6.40, dopo circa un'ora di combattimento. Verso le 7 ebbe altri 3-4 near miss su di un fianco, subendo vari danni da schegge. Poi si ritirò, aveva sparato 690 colpi da 102 mm durante la battaglia. IL Beduin, colpito ripetutamente, era ancora in grado di muovere quando venne silurato da un S.79, che peraltro abbatté a sua volta, attorno alle 13.30. Nel mentre gli incrociatori, benché ostacolati dalle cortine nebbiogene, riuscirono a trovare le navi inglesi da trasporto, ma solo quelle abbandonate di già. La situazione fu comica, perché praticamente tutti si attribuirono l'affondamento di queste unità, dall'S.79 di Buscaglia alla RM. Nel mentre, alle 6.07 circa, il caccia Vivaldi venne centrato dal Matchless, e sebbene fosse un colpo solo, presto le fiamme lo costrinsero a fermare le macchine e a farsi rimorchiare a Palermo.
In tutto, dopo che la battaglia finì oltre le 14.00, la RM aveva anche tirato 3.371 colpi, quando per esempio a P.Stilo erano stati solo 1.200 circa e alla seconda Sirte 1.490, a Capo Spada 500, e alla Prima Sirte 629, mentre gli inglesi avevano sparato parecchio di più (circa 2.500 a P.Stilo, 2.807 alla Seconda Sirte ecc). I colpi a segno furono circa 20 più quelli di grazia per le navi inglesi abbandonate (Burdwan e Kentucky). I due incrociatori italiani tirarono oltre 800 colpi l'uno. E questa, fu la splendida vittoria della marina italiana, in pratica riuscirono giusto a distruggere alcune navi abbandonate per le precedenti incursioni aeree (con il dubbio di uno dei trasporti alleati, colpito da un siluro italiano secondo la ricostruzione del solito Enrico Cernuschi, a mio avviso alquanto fazioso nella sua ricostruzione dei fatti, specie quando c'é la RM da una parte, e la RN dall'altra). La querelle dell'affondamento del Beduin durò almeno fino agli anni '60, prima di ottenere l'attribuzione all'S.79 di Aichmer (che poi, andrà a fargli compagnia negli abissi, pur salvandosi l'equipaggio). Non male per un cacciatorpediniere, anche se piuttosto grosso.
Poi, quello stesso anno, il 4 dicembre, alle 16.40, la 7a divisione incrociatori era a Napoli, quando comparvero una ventina di B-24. In quello che è ricordato come il bombardamento di S.Barbara (giornata... indovinata, diciamo), la 7a divisione venne annientata in maniera efficace, anche se in porto c'erano anche altre navi più pesanti, che non vennero colpite e forse nemmeno attaccate. I bombardieri giunsero inaspettati, anche perché scambiati inizialmente per aerei amici. Quando iniziò il bombardamento, da 6.200 m, le armi a.a. avevano appena iniziato a sparare, e i portelli non erano chiusi.
Il Savoia ebbe danni da schegge a prua, e da una bomba che gli scoppiò vicino allo scafo, su di una panchina, squarciandogli le lamiere dell'opera viva per 3x4 m nella zona del timone, nonché un incendio che durò fino alle 23.00 circa, deformazioni e danni ai ponti fino a quello di coperta, schegge penetrate nello scafo dietro la paratia corazzata poppiera ecc. Non vennero colpiti gli organi vitali della nave, ma le perdite umane furono alte: 17 morti e 47 feriti. Il tutto comportò circa 40 giorni di lavori di riparazione.
Il Montecuccoli non fu così fortunato: si beccò una bomba (da 500 o 1000 lb) in un fumaiolo, che esplose contro il grigliato di base, ma aprì un vero 'cratere' devastando le sovrastrutture. I danni, però, furono contenuti e il ponte corazzato venne solo leggermente deformato, mentre le caldaie erano state solo lievemente intaccate. Tutte le 4 caldaie di prua erano inutilizzabili o per danni alle casse di fumo e tubazioni, oppure per il fatto che il fumaiolo era comunque distrutto. Le caldaie n.5 e 6, di poppa, erano invece utilizzabili. Nell'insieme, nonostante vi fossero stati vari danni da schegge tutt'attorno, il Montecuccoli era ancora in grado, se necessario, di muoversi autonomamente. Gli incendi furono poca cosa, malgrado il centro pieno. A bordo vi furono però 44 morti e 36 feriti.
L'Attendolo eseguì varie missioni di posa mine, scorta convogli e persino, nell'emergenza albanese (dopo il disastro della controffensiva greca), l'antivigilia di Natale trasportò 3 battaglioni di camicie nere a Valona.
Non ebbe danni di rilievo durante la guerra, finché il 13 agosto 1942, durante Pedestal, venne colpito da un siluro dal piccolo sommergibile Unbroken, che gli devastò la zona prodiera, tanto che questa si distaccò poco dopo l'esplosione del siluro. Malgrado i 25 metri di prua persi, però, la nave non corse il rischio di affondare grazie alla tenuta della paratia avanti la torre n.1.
Riparato a tempo di record prima a Messina e poi, dal 6 settembre 1942, a Napoli, l'Attendolo era, nel dicembre di quell'anno, nuovamente operativo, anche se non ancora entrato in azione.
Quando venne colpito il 4 dicembre, l'Attendolo ebbe una o forse, meno probabilmente, due bombe a bordo, alcuni near miss più un'abbondanza di schegge, che di per sé causarono pochi danni, ma per colpo di sfortuna, l'equipaggio era radunato in quell'ora sui ponti, per il saluto a voce, come anche in altre unità. Il che causò perdite elevatissime. Nel mentre, la bomba aveva colpito nella zona poppiera vicino ad uno dei cannoni da 100 mm binati, presumibilmente esplodendo al contatto con il ponte corazzato. Stavolta, la situazione diventò subito disastrosa. L'esplosione causò un cratere nelle strutture della nave, e tosto si svilupparono forti incendi che tagliarono praticamente in due l'incrociatore. I due gruppi di diesel generatori smisero di funzionare per allagamento del quadro del gruppo di poppa, e per avaria in quello di prua; e non potevano farlo nemmeno i turbogeneratori perché non c'era vapore. Come se non bastasse, l'equipaggio era rimasto per lo più nella zona di prua, tagliato fuori dalla parte più 'calda' del fronte. Altre disgrazie nella disgrazia: sia il comandante che il vice erano morti. La fornitura di energia elettrica da parte di altre unità non ebbe successo. Attorno alle 20 vennero domati gli incendi, si cominciò a svuotare i depositi munizioni di poppa (provvidenzialmente allagati per evitare il peggio) e così via. L'incrociatore era sbandato solo di 4° a dritta, e leggermente appoppato, per cui si poteva senz'altro salvare Se i soccorsi fossero continuati. Invece, attorno alle 21.17, un allarme aereo -poi rivelatosi infondato- causò la fuga delle navi e del personale e questo significò l'abbandono dell'Attendolo fino al termine dell'allarme, ovvero le 22.15. Appena 4 minuti dopo, la zona poppiera dell'Attendolo toccò il fondo e il movimento che causò quest'impatto scosse l'incrociatore, già instabile per gli allagamenti, tanto da rovesciarsi su di un fianco.
Questa fu la fine della nave, con almeno 188 morti e 86 feriti (non è noto quanti fossero davvero a bordo in quel momento, tra cui dei civili della OTO per il collaudo delle artiglierie). In tutto, quindi, quest'incursione, con sole 2-3 bombe mise KO l'intera 7a divisione. Per giunta, causò in termini di perdite: 2 ufficiali morti e 6 dispersi, 43 sottufficiali e comuni morti e 201 dispersi (!) più 174 feriti, per un totale di 252 vittime e 174 feriti accertati, più quelli a terra: 157 morti (120 civili e 37 militari di cui 3 tedeschi), 332 feriti gravi (di cui almeno 179 militari) e 320 leggeri, stando ad un rapporto inviato il 13 dicembre successivo. In tutto, quindi, 426 vittime (almeno!) a bordo delle tre navi, e un totale di 409 in tutto solo considerando i morti (289 militari) e 826 feriti (1237 in tutto), causati da appena 20 B-24 Liberator!
Per l'Attendolo si pensava ad un recupero in 3-4 mesi più 7-8 per la riparazione; per i Montecuccoli 3 mesi, e l'Eugenio di Savoia, 40 giorni. In realtà, le stime erano ottimistiche, l'Eugenio rimase ai lavori fino al 27 febbraio 1943 (quindi 85 giorni), il Montecuccoli fino al 13 luglio (quindi ben 7 mesi e 9 giorni) e l'Attendolo non venne risollevato se non nel dopoguerra, utilizzato nel mentre giusto come 'molo' per i movimenti di truppe nel porto. (ref: A. de Toro, Storia militare 12/1996). Alla Regia Marina era andata comunque assai bene: nella stessa base navale c'era anche la IX divisione n.b. con tutte e tre le Littorio, che se non altro avrebbero incassato con minore dramma le bombe americane, per cui è difficile dire se davvero la scelta dei bersagli fu giusta o meno, ergo se fu più importante mettere KO degli incrociatori leggeri, oppure causare qualche danno serio ma non devastante a delle corazzate.
Nel dopoguerra lo si sarebbe voluto trasformare in un moderno incrociatore antiaereo, ma dopo il sollevamento dal fondo del porto di Napoli, dove era da circa 4 anni, alla fine non se ne fece nulla e venne demolito.
Beh, sia come sia, i Montecuccoli furono estremamente attivi in guerra. Il capoclasse sopravvisse restando in servizio fino al 1 giugno 1964. Stando alla targa commemorativa esso navigò per circa 77.000 miglia in oltre 3.000 ore di moto, il che significa che tenne oltre 20 nodi di media. Per quel che mi riguarda, è un dato lievissimamente non credibile, visto che la velocità di crociera era calcolata sui 18 nodi e in tempo di pace specialmente non dev'essere stata tanto facile da superare, specie negli anni postbellici, quando questa nave era già logora e ridotta principalmente a compiti addestrativi.
Condottieri sr IV: gli 'Aosta'
Poi, arrivò il quarto gruppo dei 'Condottieri', i due 'Savoia/Aosta'. Si trattava del Duca D'aosta e dell'Emanuele Filiberto. Vennero iniziati nel 1932-33, varati nel 1934-35, e completati nel 1935-36.
Dislocamento indicato 8.450 std, 10.539 t a pieno carico. (Savoia, 8.747 e 10.842 t)
Dimensioni 186,9 x 17,5 x 6,5 m. Due turbine Parsons (o Belluzzo per l'Eugenio) e 6 caldaie Thornycroft per 110.000 shp; 36,5 kt teorici, pratici quasi 34 kt, 1.460 t o 1.653 o 1.680 (a seconda fonti); 3.900 nm a 14 kt
578-700 ca uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 8x152/53 mm (4x2), 6x100/47 (3x2), 8x37/54 mm (4x2), 8 (o 12?)x13,2 (4x2), 6 tls 533 mm (3x2), 2 idrovolanti. 96-146 mine e 12 cariche di profondità da 50 kg.
Corazzatura: cintura (H= circa 4,2 m, di cui 0,5-1 sott'acqua): 70 mm tra le torri + cintura superiore 20 mm (H: 2,5-2,8 m?), cintura interna 30 mm (35 nella zona depositi) a 2 (o 3,5 ?) metri dallo scafo, con pavimento da 20 mm tra le due; paratie trasversali 50-30 (sup-inf) mm; ponte 35 mm (30 alle estremità laterali fuori dalle paratie longitudinali), torri 90 mm, barbette 70 mm, 60 sotto coperta, 50 sotto ponte principale; torrione 100 mm lati, 30 tetto e 25 pavimento, resto 50-40 mm. Totale corazza circa 1.700 t (22%).
I due 'Aosta' erano navi ulteriormente migliorate rispetto anche ai Montecuccoli, con il 29% di corazza in più, e caratteristiche di stabilità ulteriormente migliorate rispetto alle classi precedenti, dopo che gli stessi Montecuccoli erano senza dubbio migliori dei tipi precedenti che a loro volta erano meglio dei Da Giussano.
Oramai erano navi da quasi 200 metri di lunghezza, a pieno carico superavano le 8.000 tonnellate, e a pieno carico superavano le 10.000. In tutto, aggiunsero circa 1.000 tonnellate ai Montecuccoli, di cui circa 400 erano di acciaio da corazza. In termini dimensionali, ebbero 4 metri di lunghezza, 1 di larghezza e 0,5 di immersioni in più. La blindatura del torrione era come i Montecuccoli, l'armamento pure (a parte l'aumento delle 13,2 mm da 8 a 12), ma con maggiore protezione per le torri principali, mentre la cintura era valutata essere capace di reggere il 203 mm tra 16 e 17 km con angolo di almeno 45°.
Velocità: 110.000 hp teorici x 36,5 nodi, ma alle prove il Duca D'Aosta arrivò a 127.924 hp e 37,35 nodi, mentre l'Eugenio di Savoia raggiunse i 121.380 ho per 37,33 nodi.
La corazza era sensibilmente superiore, aumentava di 10 mm quella della cintura, ma di soli 5 mm quella del ponte corazzato entro la zona protetta dalle paratie interne (sempre dello spesso spessore, a quanto pare, di 25 o 30 mm a seconda delle zone), e di 10 mm fuori dal ridotto interno, quindi 35 mm nel ponte zona centrale, 30 mm in quello laterale (vs 30 e 20 mm dei Montecuccoli), cosa sensata se si considera che le parti esterne erano fuori dalle paratie longitudinali esterne. Però, anche con 1.700 tonnellate non era ancora abbastanza per dare una difesa totale dai 152 mm, sempre a causa dello scarso spessore del ponte blindato. Inoltre, la corazza sui lati non era ancora sufficiente per la difesa dal tiro diretto dei 152 mm, e meno che mai dai 203 mm.
L'Aosta ha ripetuto il discorso della cintura corazzata doppia probabilmente alta 4,2 metri, ma con 70+35 mm, probabilmente con tanto di una di paratia non corazzata in mezzo (larghezza totale, probabilmente 3,5 metri); il tetto, però, era adesso di 30 mm mentre il pavimento era sempre di 20, così come 20 mm era lo spessore della corazza dei fianchi del piano superiore (è sempre e solo un piano solo quello sopra il ponte corazzato negli incrociatori italiani!)
La cintura era molto alta, apparentemente, anche se quasi tutta fuori dal livello del mare! Lo scafo era più robusto, forse, certo meglio protetto: ma era meno 'acuto' di quello dei primi incrociatori, per cui forse bisognava fare più attenzione alla struttura di protezione subacquea, visto che sotto la cintura corazzata doppia c'é solo una paratia (o due?) non protetta. Anche qui, è difficile capire l'utilità del pavimento blindato tra le due cinture, quando avrebbe potuto essere convenientemente usato per corazzare il lato immerso della nave fino al doppio fondo. I doppi fondi erano sempre sui 1,2 metri.
I motori erano ancora più potenti, non sia mai che la RM non avesse il massimo del massimo quando si trattava di potenza motrice, anche se stavolta erano a gruppi di tre caldaie per turbina, sempre alternate e spaziate tra di loro; tutte le caldaie erano allineate e con un locale per ciascuna, seguite da un locale turbine. Il fatto che tutti i fumaioli servivano lo stesso numero di caldaie comportò che fossero di dimensioni uguali. La velocità rimase quasi la stessa dei tipi precedenti. L'armamento era pressoché identico a parte la capacità di portare fino a 100-185 mine e i siluri aumentati a 6, sempre in lanciasiluri siti sul ponte e brandeggiabili. Gli idrovolanti teoricamente potevano essere fino a tre, anche se il carico normale era di due.
Le navi erano veloci, ovviamente: alle prove arrivarono fino a 37,35 nodi, sempre con condizioni irrealistiche (quella pratica era dell'ordine dei 34 nodi).
Non ebbero molte modifiche durante la guerra, a parte togliere i lanciasiluri e catapulta nel 1943, e sostituire le armi da 13 con un massimo di 12 da 20 mm.
Tanto per cambiare, anche il Savoia andò a fare una lunga missione internazionale nel 1938, assieme al fratello, addirittura il giro del mondo, non prima di avere anche fatto parte dello schieramento italiano che appoggiava la guerra in Spagna. La missione venne comunque interrotta dopo avere raggiunto il Sud America. Come 7a divisione, faranno poi parecchia attività bellica, a cominciare da Punta Stilo, anche se poi il D'Aosta venne mandato alla 8a divisione. Vi furono diverse missioni belliche da parte di entrambe le navi, anche come posamine.
Non vi sono molti dati sull'attività di questo gruppo, probabilmente il meno impegnato in guerra dei vari 'Condottieri', e sopratutto, il meno provato dalle armi nemiche.
Il Filiberto combatté a Mezzogiugno, subendo pochi danni e qualche perdita a causa di una cannonata da parte di un caccia inglese, ma anche stavolta un proiettile da 120 non poteva fare davvero la differenza.
A Dicembre, circa 6 mesi dopo, il Filiberto subì seri danni dall'incursione di cui sopra, con la 7a divisione. Successivamente, nel 1943, ebbe 10 cannoni da 20 al posto delle 13,2 mm.
Nel dopoguerra queste due navi erano ancora abbastanza moderne ed efficienti; l'Aosta venne mandato però all'URSS il 2 marzo 1949 come Z15 poi Stalingrad poi Kerch. Il suo fratello Filiberto venne invece mandato in Grecia dal 1 luglio 1951, come Helli, il nome del piccolo incrociatore che venne proditoriamente affondato da siluri di un sommergibile italiano prima dell'inizio della guerra tra le due nazioni, nell'autunno del 1940
Condottieri a confronto:
Da Giussano________Cadorna_______Montecuccoli___________Aosta____________Abruzzi
Anno: 1931-32 1933 1934-35 1935-36 1936-37
Dislocamento: 5.190-6.953 t________5.408-7.226_____7.523-8.994________8.450-10.539_______9.591-11.760
Lunghezza: 169,3 m_____________169,3__________182,2______________186,9____________187 totale
Larghezza: 15,5 m______________15,5___________16,6_______________17,5______________18,9
Immersione: 5,3 m______________5,2_____________5,6________________6,5_______________6,1-6,8
Equipaggio: 507_______________507_____________578_______________578_______________640
Potenza: 95.000 hp___________95.000__________106.000___________110.000____________100.000
Carburante: 1.150-1.250 t________1.090-1.211______1.118-1.297________1.460-1.680_________1.650
Velocità: 36,5 nodi___________36,5_____________36_______________36,5_______________34
Autonomia: 3.800 NM a 18 nodi___3.000/16_________4.411/18__________3.900/14___________4.125/17 (5.363/14)
Armi principali: 8x152 mm__________8x152____________8x152____________8x152_____________10x152
Armi secondarie: 6x100 mm__________6x100____________6x100____________6x100____________ 8x100
Armi a.a.: 8x20 mm (1940)_____8x13_____________8x37+8x13________8x37+8x13_________8x37+8x13
Aerei: 2 idro______________2 _______________2_________________2________________2
Siluri: 4x533 mm__________4x533____________4x533___________6x533_____________6x533
Da Giussano_______Cadorna_______Montecuccoli_________Aosta____________Abruzzi
Corazzatura: 584 t_____________575-584________1.350________________1.700___________2.131 t (24%)
Cintura: 24 mm (H 5 m)______24____________60 (H 4,5)___________70(H 4,2)__________30 ( H 4,8) mm
Cintura interna: 18 mm (2 m)________18 (2)_________25-30(2 )____________30-35 (2 )_________100 (1?) mm
Cintura superiore: 0__________________0____________20__________________20 _______________20 mm
Traverse: 20 mm_____________20___________40-20_______________50-30____________100-30 mm
Ponte principale: 20-25 mm__________20-25?_________30__________________35_______________40
Ponte coperta: 0_________________0_____________0___________________0________________15?
Ponte fuori ridotto: 20 mm?____________20?___________20__________________30_______________?
Barbetta superiore: 20 mm ___________ _20 ___________50__________________70______________100 mm
Barbetta intermedia: 20 mm ___________ _20 ___________45__________________60______________90 mm
Barbetta inferiore: 0 mm______________0 ___________30___________________50______________30-50 mm
Torri frontale: 23 mm_____________23 ___________70___________________90_______________135 mm
Torri lati: 20 mm?____________20?____________?___________________?_______________?
Torri tetto: 20 mm?____________20 ?___________?___________________?_______________?
Torrione lati: 40 mm______________40 ___________100________________100_____________140 mm
Torrione tetto: 25 mm______________25____________30_________________30______________70 mm
Torrione fondo: 25 mm?_____________25?___________25_________________25______________25 mm
Struttura torrione: 0 mm______________0 ___________40-50________________40-50___________40-50 mm
Tubo: 30 mm_____________30?____________30_________________?_______________30 mm
Direzioni tiro: 25 mm_____________25?_____________?_________________?_______________30 mm
Prove di velocità:
-Da Giussano (95.000 hp), 102.088 hp = 38,50 nodi (37 kt nominali)
-Da Barbiano 123.479 hp = 42,05 nodi
-Colleoni 119.177 hp = 39,85 nodi
-Bande Nere 101.231 hp = 38,18 nodi
-Cadorna 112.930 hp = 38,08 nodi. (37 kt)
-Diaz 121.407 hp = 39,72 nodi
-Montecuccoli (106.000hp) 126.099 hp = 38,72 nodi (36-36,,5 kt)
-Attendolo 123.330 hp = 36,78 nodi
-D'Aosta (110.000hp) 127.924 hp = 37,35 nodi (36,5-37 kt)
-E.Savoia 121.380 ho = 37,33 nodi
-D.Abruzzi (100.000 hp)103.991 hp = 34,78 nodi (33-34 kt)
-G.Garibaldi 104.030 hp = 33,62 nodi
I due estremi: Abruzzi e Regolo
I due 'Abruzzi' erano l'ultima evoluzione, in attesa dei 'Costanzo Ciano' del periodo bellico, mai entrati in servizio, iniziati nei cantieri CRDA e OTO nel 1933, varati nel 1936 e entrato in servizio nel dicembre 1937.
Dislocamento indicato 9.591 t std, 11.760 t a pieno carico. (Garibaldi, 9.194 e 11.294 t; probabilmente perché l'Abruzzi era una nave 'ammiraglia' con strutture più sviluppate)
Dimensioni 187 m (171,8 sl) x 18,9 x 6,1-6,8 m. Motori: 2 turbine da 100.000 hp Parsons, 8 caldaie Yarrow (o RM?); 33-34 nodi; 1.650 t, 4.125 nm a 17 kt (o anche: 5.363 a 14 kt)
640-692 uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 10x152/55 mm (2xIII 2xII), 8x100/47 (4x2), 8x37/54 mm (4x2), 8x13,2 (4x2), 6 tls 533 mm (2x2), 2-4 idrovolanti. 96-120 mine e 12 cariche di profondità da 50 kg.
Corazzatura: 2.131 t (24 o 25%); cintura 30+100 mm (H: circa 4,8 m di cui 1,5/1,8 sott'acqua?), supporto con 8 mm; paratia interna 12 mm (spessore complessivo circa 2,1 metri e 150 mm di acciaio); cintura oltre il ridotto, 30 mm (?); paratie trasversali 30-100 mm; cintura superiore 20 mm (H: circa 2,8 m?); ponte coperta 10-15 mm; ponte principale 40 mm; torri fino a 135 mm, barbette 100 mm sopra ponte, 90 interponte, 30-50 sotto ponte corazzato; torrione 140-30 mm (140 lati, 70 tetto, 25 pavimento), torre 50-40 mm; SDT 30 mm; tunnel 30 mm; fumaioli (base!) da 20 a fino a 50 o 90 mm. Locale timone: 30 mm sia verticali che orizzontali.
Doppi fondi fino a 1,2+ metri, spessori scafo esterni 10-21 mm.
Queste navi erano più larghe di oltre 1 metro, a parità di lunghezza, mentre la potenza venne leggermente diminuita (quasi una bestemmia per la RM!). La lunghezza dell'apparato motore calava di circa un terzo, il che rese necessario mettere la catapulta a poppavia, una per lato. La corazza era adesso sulle 2.131 t o il 24%, praticamente al livello di un incrociatore da battaglia britannico, pensata per dare una certa protezione anche contro il 203 mm, anche se solo nella cintura.
Bisogna ricordare che oramai parliamo di navi da 9.000 tonnellate standard, quindi erano navi molto più potenti di incrociatori dei primi gruppi di Condottieri, sebbene non avessero centrali di tiro per ingaggiare più di un bersaglio alla volta. Un altro problema degli ultimi 6 Condottieri, ad ogni modo, era che l'altezza era ridotta. Sebbene fossero bersagli difficili da colpire, e ben protetti, le loro sovrastrutture erano troppo poche e troppo basse: probabilmente le torri telemetriche erano circa 10 metri più basse di quelle di un incrociatore normale, per cui la torretta 'tipo Pugliese' era tutt'altro che a costo zero. In condizioni di visibilità non ottimali, questo poteva essere un problema.
La stabilità era probabilmente dello stesso livello degli Aosta, essendoci più pesi in alto, ma non è chiaro quanta fosse la differenza. Però erano allargati di 1,5 metri e la velocità calò di circa 2 nodi.
La corazzatura era, come già spiegato altrove, adesso invertita: 30 mm esterna (non è affatto chiaro se dietro c'era anche lo scafo oppure era una corazza 'nuda', antiscappucciante, e 100 mm interna (di acciaio indurito tipo KC, o meglio, presumibilmente tipo OD italiano), inclinata per giunta a 12°, fissata su cuscino di legno e lamiera di fasciame da 8 mm, il tutto poi che si congiungeva con una sezione a D tra il bordo esterno superiore e inferiore della corazza a 30 mm. Il tutto era stagno. Questo se non altro eliminava il pavimento da 20 mm dei tipi precedenti, ma a prezzo di una struttura che era quanto di meno ottimale si potesse pensare per reggere al tiro dei cannoni (concava!) e per giunta, un pò troppo vicina allo scafo contro le esplosioni subacquee. L'unica consolazione è che probabilmente la cintura scendeva a circa 1,8 m sott'acqua, anziché 0,5-1 m come negli altri incrociatori, cosa che probabilmente salvò il Garibaldi da sorte peggiore.
Dietro vi era anche una paratia, sempre per l'altezza della cintura, di 12 mm, che correva a circa 0,8-1,3 metri di distanza ed era normalmente vuota, ma utilizzabile per controallagamenti se necessario. Il tutto era alto poco più di un ponte. Tuttavia, lo spessore della protezione laterale era più sottile: le due cinture erano ad un massimo di circa 1 metro, e considerando anche la piastra da 12 mm, circa 1,6-2,1 metri.
Riassunto di questo dedalo blindato: 30 mm (scafo esterno) + 0,8 m(V)+100 mm OD+legno+8 mm @ 12° max (cintura principale)+0,8/1,3 m(V)+ 12 mm. Come diceva quel tale, in Italia il percorso più breve tra due punti è l'arabesco.
Il tutto era chiuso da traverse corazzate da 30 e 100 mm (30 mm erano forse la parte esterna della traversa?).
La struttura dello scafo degli 'Abruzzi': scafo esterno superiore di 20 mm (cintura superiore); uno inferiore esterno di 30 mm (cintura corazzata esterna); sotto era di 10 mm, ma passate le alette di rollio arrivava a 15 mm, e infine lungo la chiglia era spesso ben 21 mm.
All'interno, il doppio fondo è spesso 7,5, poi verso il centro, 8 mm, con una strana struttura aggiuntiva centrale da 9 mm, evidentemente per migliorare la resistenza della nave. Lo spessore è comunque nettamente maggiore dei primi 'Condottieri'.
Superiormente alla cintura principale (che si estendeva tra le torri) c'era per l'appunto, il ponte corazzato, da 40 mm uniforme su tutta la sua estensione, malgrado l'aumento della larghezza della nave; lo scafo superiore era spesso 20 mm (anche qui è probabile che sia lo spessore totale, così come i 30 mm sotto, visto che nemmeno nello schema dettagliato degli spessori si parla di acciaio da costruzione interno, mentre della cintura da 100 mm si dice che aveva un'altra piastra da 8 mm a supporto, cosa usualmente non conteggiata);
Lo scafo era completato dal ponte di coperta da 15 mm, che però, oltre le strutture e le paratie, calava a soli 10 mm (quindi non era più realmente corazzato, e probabilmente nemmeno costruito con materiali balistici), mentre sotto c'era sempre il ponte da 40 mm. Questo spessore così limitato, in tutta onestà, è difficilmente definibile come 'blindato', sarebbe interessante sapere se era fatto in acciaio ordinario oppure balistico, ma in ogni caso è troppo poco per essere davvero efficace contro qualsiasi cosa arrivasse dal ponte. Così, anche se invariabilmente molti lo citano nello 'schema di protezione' come ponte superiore, a me pare evidente che sia in realtà soltanto un normale ponte di coperta, e anche se fosse in acciaio balistico non farebbe quasi nessuna differenza.
Al contrario di questo discorso, gli scarichi dei fumaioli erano protetti alla loro base, da corazze da 20, 30, 50 o 90 mm a seconda della posizione.
Le torri e il torrione erano nettamente più spessi degli Aosta. Delle torri non conosco gli spessori, a parte il frontale da 135 mm frontali; il torrione era dotato di una struttura bassa (praticamente stentava ad andare sopra i fumaioli, che pure erano bassissimi!), spesso 50 mm esternamente; il torrione, nel piano più alto della struttura, era 100 mm; il tetto di questo era spesso 70 mm; sotto c'era, pare, 25 mm di pavimento; inoltre c'era un tunnel centrale da 30 mm; anche la direzione tiro aveva una leggera protezione, da 30 mm. Del resto era l'unica della nave, per cui era necessario proteggerla (anche le torri avevano telemetri e qualche forma di DT, ma erano poca roba).
Il ponte era forse capace di reggere i colpi da 152 mm anche da lungo raggio (ma probabilmente non oltre i 20 km); il 203 mm, invece, era probabilmente senza IZ, perché una corazza esterna antiscappucciante può rallentare un 203 mm, ma la corazza interna da 100 mm non è detto che lo fermi, specie se riesce ad esplodere prima di frantumarsi. Mentre ponti da 15 e 40 mm erano onestamente di scarso livello contro una munizione da 203 mm.
Nonostante questo, la protezione era considerata paragonabile a quella dei più grossi e vecchi Zara, però a parte la cintura (monoblocco da 150 mm), il ponte principale di questi ultimi era da 70 anziché 40 mm, quello di coperta da 20 anziché 10-15 mm, e questo faceva la differenza, certamente contro i colpi da 203 mm e contro quelli da 152 mm, i primi contenuti oltre una distanza notevole di tiro, prossima alla massima pratica, mentre i secondi proprio 'non passavano'. Lo stesso si potrebbe dire di appena 40 mm degli Abruzzi? A mio avviso, no. Il Bolzano venne perforato facilmente nel locale timone malgrado i 30 mm di spessore, mentre il ponte principale resistette grazie a 50 mm. I 40 mm sono proprio a metà, per cui bisogna incrociare le dita, e sperare che il colpo in arrivo sia rallentato dalla corazza sui fianchi o dal ponte di coperta. Ma granate lente e pesanti come quelle americane, non sarebbero così facili da fermare nei tiri a forte distanza, da corazze così sottili. Con gli Zara sarebbe stato possibile.
Quanto all'apparato propulsivo, i motori erano adesso raggruppati in maniera diversa: le caldaie (tipo RM), 4 per turbina, erano tutte in linea, rendendo più corto il tutto, anche se raggruppati in coppie per ciascun locale, anziché individuali. Il peso calò per questo di 100 t, e vennero irrobustite le corazze, ora che era possibile fare un ridotto corazzato più corto. La potenza nominale era di 100.000 hp, ma era possibile arrivare ad un +15% in casi d'emergenza. Questo valore, comunque, non pare essere stato esercitato nelle prove, piuttosto singolarmente per una nave italiana.
Prove di velocità: DUCA DEGLI ABRUZZI, 103.991 HP, per 34,78 nodi; GIUSEPPE GARIBALDI, 104.030 HP, per 33,62 nodi.
Le armi a.a. erano simili ai tipi precedenti, ma c'era una torre da 100 in più ed erano più ampiamente disperse e non concentrate verso poppa. Così era possibile tirare anche contro nemici provenienti da prua, mentre prima non lo era.
I cannoni principali erano da 152/55 mm Mod 34 anziché i precedenti (iniziando dai Mod 27 dei Da Giussano), con una velocità più bassa, munizioni più pesanti, e affusti indipendenti e per giunta, assai più spaziati di prima. Per questo erano armi più precise dei tipi precedenti, e poco importa se esprimessero o meno maggiore energia cinetica. I direttori di tiro erano singoli per ciascuna nave, con una torre telemetrica sistemata sopra il torrione leggermente corazzato, con telemetro da 5 metri. Anche tutte le torri principali (anziché solo le due sopraelevate) erano provviste di telemetri. Infine c'erano 2 torri telemetriche da 3 metri per il tiro a.a. nella zona del fumaiolo anteriore. Come sempre nella marina italiana, le complicazioni erano una sorta di vanto, in nome della superiorità tecnica, così tutte queste torri di direzione tiro erano stabilizzate, differentemente dai precedenti incrociatori. Resta il fatto che la DT principale per i cannoni era soltanto una.
Infine c'erano due catapulte anziché una, con un massimo teorico di 4 idrovolanti, ma sempre e comunque senza hangar. Nell'insieme erano navi di prima qualità, passando, come doti belliche, da qualcosa di meno della concorrenza come incrociatori leggeri (Condottieri 1o e 2o gruppo), a qualcosa di paragonabile (3o e 4o gruppo) a qualcosa di migliore della media, anche se non necessariamente rispetto agli incrociatori coevi (come i possenti Mogami e i Brooklyn o i 'Town', tutti con 12-15 cannoni da 152-155 mm). Però erano soltanto due esemplari.
Durante la loro carriera ebbero, in guerra, pochi cambiamenti, tra cui il radar per l'Abruzzi e il rimpiazzo delle armi da 13 con 10 da 20 mm (4x2 e 2x1 Mod 40) e nell'Abruzzi, radar. Nel 1945 vennero sbarcate le catapulte e vennero installati radar inglesi. Successivamente vennero rimosse 2 caldaie riducendo il totale a 6 per 85.000 hp e 29 kt. Armi da 20, 37 e anche parte da 100, con 20 Bofors da 40 mm tra singoli e quadrupli.
Quanto alle prestazioni, l'Abruzzi iniziò le prove ufficiali già alla fine del 1937. Arrivò a 34,78 kt, che non erano male, ma con potenza leggermente 'forzata' a 103.991 shp, e sopratutto, con un dislocamento da appena 8.635 t. Tanto è vero, che il Garibaldi, con 104.030 shp (appena di più), venne provato a 10.281 t, raggiungendo a quel punto 33,62 kt. Questa era la velocità pratica, in azione si arrivava sui 31-33 nodi verosimilmente, anche se lo scafo delle navi italiane era usualmente assai pulito, visto che le missioni erano di breve durata.
I due 'Abruzzi' parteciparono in pratica solo alle operazioni legate alla guerra di Spagna, poi all'occupazione dell'Albania nel 1939.
In guerra parteciparono attivamente come 8a divisione, combattendo con qualche risultato a Punta Stilo (leggeri danni al Neptune che per prudenza dovette lanciare in mare il ricognitore Seafox, essendo danneggiato).
Dopo di che, non riuscirono più ad ingaggiare le navi inglesi, mancandole per varie ragioni. A Gaudo avrebbero potuto farlo, ma gli incrociatori inglesi, inseguiti dalla flotta italiana, riuscirono a far perdere le loro tracce persino alla divisione dei 'Trento', che erano i più veloci tra gli incrociatori coinvolti in quella battaglia; nessuna delle tre divisioni di incrociatori italiani riuscì a raggiungere le navi inglesi, i 'Trento' vennero leggermente distanziati, alla faccia dei loro 150.000 shp; la Veneto sparò da distanze elevate, ma senza colpire, a parte qualche scheggia a bordo di un incrociatore inglese, ma anch'essa venne distanziata; gli Zara e gli Abruzzi nemmeno riuscirono ad avvicinarsi per sparare.
Il 27 luglio 1941, il Garibaldi venne colpito dal sommergibile Upholder, durante una missione di scorta fatta appena dopo la sua partecipazione a 'Substance' (23-24 luglio). La questione non è così semplice da dipanare, perché alcune fonti parlano di DUE siluri (forse uno non esplose??) e altre, come nel caso dei siti internet consultati, dicono UN siluro. Il Garibaldi sopravvisse, non è facile con i siluri Mk VIII (circa 340+ kg di esplosivo), per cui sarei dell'idea che il siluro fu soltanto uno. Esso danneggiò la nave nella zona della torre A, ma la corazza lo protesse abbastanza bene (evidentemente il siluro era settato per quote troppo basse, oppure la cintura degli Abruzzi era eccezionalmente profonda?). Incassò 700 t d'acqua e rientrò allo stesso porto di Palermo da dove era partito poche ore prima. Le riparazioni a Napoli richiesero 4 mesi, quindi fino a novembre 1941.
A fine novembre, i due potenti incrociatori erano nuovamente capaci di muoversi assieme, come VIII divisione. Stavano partecipando alla scorta dei convogli, quando nelle prime ore del 22 novembre, il Duca degli Abruzzi venne silurato da un aerosiluro inglese, prese 600 t d'acqua a bordo, e sopratutto rischiò di perdere la zona poppiera. Arduo dire quanto tempo richiesero le riparazioni, ma nonostante il siluro fosse da 457 mm e quindi con circa metà della carica esplosiva, stavolta i danni apparvero maggiori, nonostante il quantitativo d'acqua imbarcato fosse stato, anche stavolta, assai ridotto e persino minore che nel Garibaldi.
La divisione fu pronta a muovere nuovamente assieme nel luglio del 1942 per una nuova missione, ma oramai il vento stava cambiando: pochi mesi dopo arrivò El Alamein e buona notte ai sogni di gloria dell'Asse in Mediterraneo.
L'ultima missione dei due incrociatori fu quella in Agosto del 1943, per fare una missione contro gli sbarchi a Palermo, ma un sottomarino inglese li avvistò; i siluri, tirati contro gli incrociatori, avrebbero potuto fare molti danni, ma ancora una volta furono fortunati, però fu colpito e affondato il caccia Gioberti. Le navi italiane si ritirarono, oramai scoperte.
Dopo essere riusciti a scappare a Malta dopo l'Armistizio, i due incrociatori finirono nel 1944 addirittura a Freetown, e l'Abruzzi riuscì ad eseguire 5 missioni di pattugliamento nell'Atlantico meridionale.
Nel dopoguerra restarono praticamente gli unici incrociatori efficienti della Marina italiana e vennero aggiornati, specie il Garibaldi che divenne un'unità lanciamissili/cannoniera. Ma questa è un'altra storia.
Nell'insieme queste due navi hanno avuto fortuna, dimostrando una valida resistenza ai siluri che entrambe hanno assaggiato, sebbene l'Abruzzi, colpito con un'arma più piccola ma in una zona meno protetta, subì danni rilevanti. Nel dopoguerra l'Abruzzi servì fino al 1961, il Garibaldi fino all'inizio degli anni '70 grazie alla costosa modernizzazione ne aumentò la capacità bellica ma che ebbe breve vita, essenzialmente per ragioni economiche.
I piccoli Capitani Romani originariamente 12 navi pianificate, erano navi veloci iniziate nel 1939-40, con il Regolo completato già il 14 maggio 1942 e lo Scipione il 23 aprile 1943. Anche il Pompeo Magno venne completato, il 24 giugno 1943. Un'altra nave venne completata nel dopoguerra (il Germanico). Due di queste navi vennero date alla Francia, le altre restarono in Italia.
Unità da 3.745-3.987 t, max 5.419-5600 t, 142,9x14,4x4,87 (o 6,4) m, 2 turbine da 110.000 hp, circa 38-40 nodi (fino a 41 in teoria, ma probabilmente in condizioni operative sui 36-38); 1.400 tonnellate di nafta, 3.000 nm a 25 kt, 8x135 mm, 8x37 singoli, e 8x20 mm, nonché 8x533 mm (con 4 siluri di riserva), 24 bdp e mine (fino a 1114-138), ma nessun aereo. 418 uomini d'equipaggio.
Le corazze erano pressoché nulle, torrione 15 e torri con spessori sui 20-6 mm (secondo Cernuschi SM 3/15: 23 mm per torrione, 23 mm per le torri). Erano nati per contrastare le navi francesi classe 2.600 t con i cannoni da 138 mm.
Le torri erano provviste di corazze da 20 mm anteriori, ma solo 6 mm per il tetto e presumibilmente, per il resto della struttura. Il sistema di controllo del tiro tornava ad essere doppio, con due torri di cui una a poppavia, entrambe con telemetri da 4 metri; c'erano 160 granate per ciascun cannone (?). Vennero anche installati radar del tipo EC3 Gufo (modello italiano).
Di queste navi non c'é molto da dire in termini di resistenza; il Regolo uscì per una missione bellica da Palermo, assieme a 6 cacciatorpediniere, per deporre l'ennesimo campo di mine nel Canale di Sicilia. Le depose, ma al ritorno venne silurato dall'ennesimo sottomarino tipo U, e perse la prua dalla torre A. Fu mancato da un altro 'U', e riuscì a salvarsi. A dimostrazione di come la velocità è la meno affidabile delle qualità belliche, dovette rientrare ad appena 4 nodi, in retromarcia, ad un decimo della velocità di progetto!
Venne rimesso in servizio con l'8a divisione a metà 1943. Il Pompeo Magno servì solo per 3 mesi prima dell'Armistizio, ma eseguì 10 missioni belliche.
Lo Scipione, durante una missione bellica, si scontrò di notte con 4 motosiluranti, affondandone una e danneggiandone un'altra, anche se gli italiani rivendicarono 3-4 motosiluranti, prima di scappare dallo stretto di Sicilia e raggiungendo Taranto, dove eseguì altre missioni di minamento.
L'ultimo degli incrociatori di questo tipo ad avere 'attività bellica' fu l'Ulpio Traiano, che era pronto attorno al 90-95% a Palermo, quando il 3 gennaio venne minato dai 'maiali' inglesi giunti da un sottomarino. Non solo affondò, ma si spezzò in due. Così non verrà mai riparato.
I 'Regolo' erano navi estremamente leggere, con lamiere di scafo spesse solo 4 mm, e ampio uso di leghe d'alluminio. L'unica loro vera qualità era la velocità, ma non si capisce bene a cosa servissero navi di questo tipo quanto il dominio dell'aria era così ampio come nel periodo bellico. Erano talmente 'compressi' che i tubi lanciasiluri erano su lanciatori doppi sovrapposti, e i cannoni erano in torri estremamente ravvicinate tra di loro, oltre che pressoché sprotette, a causa dell'enorme apparato motore, che era 'sdoppiato' per avere la massima resistenza ai danni, ma era del tutto vulnerabile a qualsiasi arma. Fortunatamente, questi piccoli incrociatori non vennero colpiti mai in pieno per capire cosa avrebbero potuto reggere o meno dalle armi della guerra.
I pesi 'massimi' della RM
I 'Trento' erano le 'formula 1' della situazione, assieme ai 'Condottieri', ovviamente. Vennero iniziati nel 1925 e completati nel dicembre 1928 (Trieste) e 1929.
Dislocamento indicato sui 10.679 t std, 13.764 t a pieno carico.
Dimensioni 196,6/197 m (171,8 sl) x 20,6 x 6,8 m. Motori: 4 turbine da 150.000 hp (12 caldaie Yarrow, ma potenza normale 120.000 hp: peso 2.300 t); 35 nodi, 2120-2.214 t nafta, 4.160 nm a 16 kt
723/781 uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 8x203/50 mm, 12x100/47 mm, 8x37 mm, 8x13 mm, 8x533 mm, 2 idro.
Corazzatura 888 tonnellate: cintura 70 mm x 4,8 m H (1,6 circa sott'acqua) tra hangar e depositi posteriori (circa 8 m avanti alla torre A-5 m dietro torre Y), e tra ponte corazzato e inizio doppi fondi), traverse a prua 40 mm e poppa 60 mm; ponte 50 mm, ponte superiore 20 mm; torri fino a 100 mm, barbette 70 mm; torrione 100 mm, 50 tetto e 40 pavimento, direttore tiro 80 mm lati e 60 tetto, tubo com. 70-60 mm. Timone/poppa 20 mm superiore, 30 inclinati.
I Trento vennero costruiti con criteri di grande ambizione e finirono inevitabilmente fuori limite di almeno il 3-5%, ergo 300-500 e passa tonnellate, quasi i due terzi del peso della corazzatura, tanto per dire.
La protezione era affidata essenzialmente ad una cintura nella zona tra le torri d'estremità da 70 mm, alta tra il doppio fondo e il ponte di batteria, che era a sua volta spesso 50 mm. Le traverse che chiudevano questa scatola erano spesse 60 mm superiormente, 40 mm inferiormente. Le piccole e anguste torri erano se non altro difficili da colpire, e spesse fino a 100 mm frontalmente. Non era abbastanza contro i cannoni da 203 mm, ma lo era contro armi entro i 152 mm. Non male, visto che i Kent e le navi francesi come i Suffren erano molto meno protette. Non c'era protezione a prua, hangar incluso, ma c'era un leggero sistema di difesa per il timone, 20 mm per il tetto e 30 per le parti inclinate. Sotto circa un metro circa dal livello dell'acqua la cintura cessava, mentre i doppi fondi facevano una specie di paratia laterale non corazzata, ampia fino a circa 1,5-1,8 metri circa.
Le armi Mod 1924 erano capaci di 28 km di raggio ma inizialmente erano anche più potenti, prima di calare la velocità iniziale per migliorare la precisione di tiro. Ognuno aveva 162 colpi , ma le torri erano troppo strette e la cadenza era limitata rispetto ai 3 c.min originariamente intesi. L'apparato motore era potente, con caldaie in gruppi separati tramite le turbine. Pesava oltre 2.200 tonnellate. La velocità alle prove arrivò nondimeno a valori non così strabilianti, forse per via della cavitazione. Il Trento, nel 1929, ottenne 35,6 kt, ma ad un dislocamento di 11.203 tonnellate, molto leggero, e forzando a 146.975 shp, nella prova a 8 ore. Bisogna dire che questo significa che in realtà la potenza dei motori 'normale' era inferiore, forse sui 130.000 hp (anche se in genere vengono riportati 150.000 hp, senza chiedersi a quanto potevano spingersi in sovrapotenza). C'erano potenti vibrazioni ad alta velocità, e il massimo pratico era dell'ordine dei 31 kt.
Queste navi erano armate potentemente in un pò tutti gli ambiti, avevano un pò di tutto e l'armamento a.a. era eccezionalmente pesante, tra 2 e 4 volte più degli incrociatori dell'epoca! L'armamento di 4 pezzi da 40/39 singoli era scarsamente potente per la difesa ravvicinata. L'armamento venne migliorato sostituendo i pezzi da 40 e 4x100 con 8x37 mm binati e 8x13,2 mm.
I Trento vennero costruiti con criteri di grande ambizione e finirono inevitabilmente fuori limite di almeno il 3-5%, ergo 300-500 e passa tonnellate, quasi i due terzi del peso della corazzatura, tanto per dire.
La protezione era affidata essenzialmente ad una cintura nella zona tra le torri d'estremità da 70 mm, alta tra il doppio fondo e il ponte di batteria, che era a sua volta spesso 50 mm. Le traverse che chiudevano questa scatola erano spesse 60 mm superiormente, 40 mm inferiormente. Le piccole e anguste torri erano se non altro difficili da colpire, e spesse fino a 100 mm frontalmente. Non era abbastanza contro i cannoni da 203 mm, ma lo era contro armi entro i 152 mm. Non male, visto che i Kent e le navi francesi come i Suffren erano molto meno protette. Non c'era protezione a prua, hangar incluso, ma c'era un leggero sistema di difesa per il timone, 20 mm per il tetto e 30 per le parti inclinate. Sotto circa un metro circa dal livello dell'acqua la cintura cessava, mentre i doppi fondi facevano una specie di paratia laterale non corazzata, ampia fino a circa 1,5-1,8 metri circa.
Le armi Mod 1924 erano capaci di 28 km di raggio ma inizialmente erano anche più potenti, prima di calare la velocità iniziale per migliorare la precisione di tiro. Ognuno aveva 162 colpi , ma le torri erano troppo strette e la cadenza era limitata rispetto ai 3 c.min originariamente intesi. L'apparato motore era potente, con caldaie in gruppi separati tramite le turbine. Pesava oltre 2.200 tonnellate. La velocità alle prove arrivò nondimeno a valori non così strabilianti, forse per via della cavitazione. Il Trento, nel 1929, ottenne 35,6 kt, ma ad un dislocamento di 11.203 tonnellate, molto leggero, e forzando a 146.975 shp, nella prova a 8 ore. Bisogna dire che questo significa che in realtà la potenza dei motori 'normale' era inferiore, forse sui 130.000 hp (anche se in genere vengono riportati 150.000 hp, senza chiedersi a quanto potevano spingersi in sovrapotenza). C'erano potenti vibrazioni ad alta velocità, e il massimo pratico era dell'ordine dei 31 kt.
Queste navi erano armate potentemente in un pò tutti gli ambiti, avevano un pò di tutto e l'armamento a.a. era eccezionalmente pesante, tra 2 e 4 volte più degli incrociatori dell'epoca! L'armamento di 4 pezzi da 40/39 singoli era scarsamente potente per la difesa ravvicinata. L'armamento venne migliorato sostituendo i pezzi da 40 e 4x100 con 8x37 mm binati e 8x13,2 mm.
Il Trento partecipò a diverse missioni belliche: nel luglio 1940, a P.Stilo, secondo il Cernuschi, riuscì a colpire 'di striscio' la corazzata Warspite dalla massima distanza (sui 28.000 metri!!) con la terza salva, con una granata che esplose in aria dopo avere forse colpito un cavo, causando danni da esplosione e schegge. A Capo Gaudo inseguì gli incrociatori inglesi e assieme agli altri due incrociatori della 3a divisione sparò oltre 500 colpi, ma non colpì alcun bersaglio e non riuscì ad avvicinarsi agli incrociatori leggeri inglesi, che sebbene fossero inferiori in gittata dei cannoni, malgrado la velocità teoricamente inferiore, riuscirono a filarsela.
Durante la guerra, a Taranto (11 novembre 1940), il Trento venne colpito da una bomba (da 113 kg), ma che non esplose. Aveva comunque sfondato il ponte corazzato da 50 mm nonché lo scudo del cannone binato da 100 mm. E dire che era solo un'arma da 250 lb sganciata da circa 600 metri di quota...
Passarono solo poche settimane e alla fine del mese, vi fu una nuova battaglia contro gli inglesi, quella di Capo Teulada, quando le navi italiane colpirono uno degli incrociatori inglesi con due colpi da 203 mm (era l'HMS Berwick), mentre le navi inglesi immobilizzarono con tre colpi un caccia italiano. A parte lo spreco di munizioni da 203 mm (qualche centinaio tirate, assieme anche a 19 colpi da 381 mm, che misero in fuga le navi maggiori inglesi che erano intervenute, a loro volta, per tenere lontani gli incrociatori italiani da quelli leggeri inglesi, tra l'altro carichi di truppe), la battaglia poco ottenne tatticamente, mentre gli inglesi passarono senza troppi danni e gli italiani non riuscirono a fermarli.
Successivamente, le armi da 13 mm degli incrociatori italiani vennero sostituite da fino a 8 cannoni da 20 mm.
Il 27-29 marzo 1941 le navi della 3a divisione incrociatori pesanti parteciparono anche alla famosa e sfortunata missione che portò al disastro di Matapan. Navigando diverse miglia avanti al gruppo della Veneto, gli incrociatori videro attorno alle 6.35 quattro incrociatori leggeri, che prontamente fuggirono senza esservi la possibilità di raggiungerli, malgrado che tutti e tre gli incrociatori italiani alle prove avevano superato i 35 nodi e il loro nemico, peraltro più moderno, ne facesse soltanto 32, anzi il più moderno e potente di questi incrociatori, il Gloucester, aveva anche dei problemi alle macchine e stentava a stare al passo degli altri. Le navi italiane iniziarono a circa le 8.12 l'azione di fuoco su distanza telemetrata di circa 22.000 metri, ma a quanto pare... erano 10 km più lontane. I vecchi telemetri a coincidenza non erano i migliori per quella giornata di scarsa visibilità, e secondo Jachino sbagliavano di circa 10 km, il Bolzano un pò più preciso degli altri due perché più moderno, ma pur sempre in errore. Alla fine, alle 8.55, le navi italiane smisero di sparare. Avevano tirato complessivamente circa 600 colpi da 203 mm.
Un'altra battaglia in cui il Trento prese parte fu quella per difendere il convoglio Duisburg, ma la forza K riuscì a distruggerlo alla faccia delle navi italiane della scorta indiretta, che pure tiravano tra 8 e 17 km, e per un totale di ben 207 colpi da 203 mm e 82 da 100 mm, in un'azione di 22 minuti. La velocità degli incrociatori italiani, inizialmente, era di soli 12 nodi e con gli apparati a vapore era difficile aumentare rapidamente l'andatura, così i britannici fecero quel che vollero e poi scapparono via. Fu una situazione penosa, mentre dopo ben 12 minuti dall'inizio dello scontro (che, di notte, è sempre molto breve!) la velocità era passata da 12 a 18 nodi, mentre il nemico faceva quel che voleva e poi scappava via.
Vi furono parecchie missioni di guerra e la nave venne danneggiata dal maltempo nella Sirte 2 del marzo 1942, quando le navi di scorta inglesi, numerose ma poco armate rispetto ai pesi massimi italiani, difesero a spada tratta le navi da trasporto, pur riportando dei danni gravi. Inizialmente, alle 15.30, la distanza era di soli 14 km, ma alle 17 era sui 10, e quando i caccia inglesi riemergevano dalle cortine fumogene per passare all'attacco con i siluri, la distanza era scesa fino a circa 6.000 metri! Verso le 19 venne cessato il fuoco, con il mare in tempesta sempre più agitata, e il buio sopraggiunto. In tutto, la RM sparò ben 181 colpi da 381 mm (dalla Littorio), 581 da 203 mm, 552 da 152 mm, 84 da 120, 87 da 100 e 21 da 90 mm. Ma solo lo 0,3% andò a segno, danneggiando un incrociatore (il Cleopatra) e almeno 3 cacciatorpediniere. Nella notte successiva il mare arrivò a forza 8-9 e affondarono i caccia Lanciere e Scirocco.
Nella Battaglia di Mezzo Giugno gli incrociatori pesanti italiani non ebbero molta parte, prendendo il mare solo il 14 giugno da Taranto per cercare di intercettare il convoglio Vigorous, ma già alle 5 del mattino successivo la formazione italiana subì una grossa battuta d'arresto: 9 aerosiluranti Beaufort attaccarono ad ondate i cinque incrociatori italiani in mare, ma solo uno ebbe successo: centrò il Trento, leggermente dietro al centro nave, con un lancio da poche centinaia di metri. La nave venne totalmente messa fuori uso, mettendo Ko sia il locale caldaie di prora che il locale macchine vicino, immobilizzando la nave per mancanza di vapore. Le fiamme a bordo aumentarono l'intensità mentre mancava l'energia, ma l'incendio parve essere in calo verso le 9 di mattina. Per adesso non c'era modo di riattivare le macchine, ma si cercava di rimorchiare l'incrociatore con un cacciatorpediniere. Nessuno sa se sarebbe potuto sopravvivere senza cedimenti e ulteriori allagamenti, a quel punto fatali, ma non pareva essere un pericolo imminente. In compenso, però, arrivò un altro siluro (o, stando alle fonti nemiche, due) dell'ennesimo smg britannico (il P.35). Scoppiando sotto la torre 2, causò l'esplosione dei depositi munizioni. Poco dopo la nave si immergeva di prua praticamente verticalmente. Un disastro con 602 superstiti, inclusi 22 ufficiali, sui 1151 presenti a bordo. Ovvero, con 516 morti. Il lancio del siluro fu del smg P.35, che aveva vinto la gara con altri due per arrivare per primo alla nave ferita, la cui presenza era tradita dal fumo che emetteva.
Il Trieste, come il Trento, partecipò a varie battaglie generalmente proprio con il gemello Trento, assegnato nella stessa divisione incrociatori.
Il 21 novembre 1941, di sera, il Trieste era stato mandato in missione di scorta per un nuovo convoglio a favore delle truppe africane, con 6 navi scortate da gran parte della flotta italiana. In questo caso il Trieste venne danneggiato gravemente da un siluro dell'ennesimo smg britannico (Utmost), causando addirittura l'esplosione della caldaia N.3, ma se non altro, il vapore spense l'incendio iniziale. Dopo ben 90 minuti fu possibile rimettere in moto le caldaie superstiti e rientrare a moto lentissimo per Messina, raggiunta la mattina successiva. Quella stessa notte era stato anche silurato il Duca degli Abruzzi, (da un aerosilurante) a sua volta seriamente danneggiato, tanto che gli ci vollero diverse ore per rimettere in moto e rientrare infine a Messina alle 11.40, diverse ore dopo il Trieste (ps altro che danni leggeri, come spesso si sente dire di quest'azione). Le navi scortate dovettero tornare indietro. L'efficienza dell'equipaggio qui fu fondamentale, così come la fortuna dello spegnimento dell'incendio e la non reiterazione degli attacchi in quella notte terribile.
Questa catastrofe, sempre nell'ambito dei rifornimenti per fronteggiare l'VIII armata in Africa, che aveva appena iniziato la sua offensiva Crusader (19 novembre), fu il secondo disastro in breve tempo: circa 12 giorni prima c'era stato il Duisburg (con la distruzione del 100% dei 7 trasporti e anche di parte della scorta), di lì a circa 20 giorni sarebbero affondati due incrociatori impegnati direttamente nei rifornimenti. Non fosse stato perchè la RN aveva a sua volta molte perdite (la HMS Barham e la Ark Royal per i sommergibili tedeschi; la fine della forza K per i campi minati italiani e poi il minamento di due corazzate ad Alessandria), la situazione sarebbe diventata davvero difficile per la marina italiana, che perse in poco tempo due incrociatori leggeri, ne ebbe altri due danneggiati gravemente e anche una delle corazzate Littorio (la V.Veneto) venne danneggiata da siluro.
Riparato dai gravi danni subiti entro 8 mesi circa, operò anche assieme al Gorizia, l'unico altro incrociatore pesante in servizio, nella 3a divisione.
Il 10 aprile 1943, alla Maddalena, essendo considerati giustamente una minaccia per i traffici alleati in Nord Africa (quando in realtà erano tutt'altro che interessati a missioni offensive...), questi ultimi due dinosauri vennero attaccati entrambi dai B-17. Era una missione assolutamente micidiale: un gruppo per ciascuno dei due incrociatori e uno per la base. Ciascun gruppo era provvisto di bombe da 454 kg AP, ma di tipo ottimizzato: spolettate per le corazze da 2 pollici (51 mm) per il gruppo verso il Trieste; e per quelle da 3 pollici per il Gorizia. Un terzo gruppo da 24 aerei aveva invece bombe normali (da 113 kg?) per colpire le infrastrutture di terra. Arrivarono da quasi 6.000 metri e sganciarono con grande precisione, malgrado il tiro a.a. delle stesse navi. Erano circa le 14.50 (o 14.40, le fonti discordano sull'allarme che secondo le navi venne dato alle 14.35 e non alle 14.45) e dopo 6 minuti si allontanarono senza alcun danno. Non così per quello che si lasciarono dietro.
Il Trieste venne colpito da 3 bombe da 454 kg AP in pieno, più vari 'near miss'. Di sicuro, una colpì all'estrema poppa, sul pnte, a dritta, allagando con una grande falla la zona del timone. Altre due colpirono in pieno il quadripode, demolendo in larga parte la sovrastruttura nei locali di comando e controllo tiro. Una esplose contro il ponte di batteria, l'altra perforò anche questo (50 mm in aggiunta, presumibilmente, al copertino da 20 e alle sovrastrutture), esplodendo poco dopo nel locale caldaie di prua. Altre danneggiarono il fasciame esterno con le loro esplosioni (forse sui 60-80 kg di carica) esterni, allagando caldaie e motrici a poppa. I soccorsi della base furono necessari, ma insufficienti: l'apparato motore era KO a parte le calderine, e la lentezza nell'apertura della rete antisiluri risultò fatale per il piano di spiaggiamento della nave, così vicina alla cosa. Malgrado tutto, non fu così lento l'affondamento del Trieste, ma alle 16:00 era sbandato di 40° e il comandante ordinò l'abbandono della nave. In tutto morirono 67 marinai e 69 altri restarono feriti. La nave affondò attorno alle 16.13, 98 minuti dopo l'inizio dell'allarme e circa 90-95 dal bombardamento vero e proprio.
Nel dopoguerra verrà considerata l'idea di recuperarlo, sebbene fosse capovolto, per ricostruirlo. Questo perché le macchine erano state conservate dalla ruggine grazie alla nafta rimasta dentro la nave per via dei depositi schiantati dalle bombe. Si pensava di ricostruirlo come portaerei leggera per la Spagna, ma non se ne fece nulla e il relitto venne alfine demolito attorno al 1956.
Anche il Gorizia venne colpito da 3 bombe, ma sopravvisse. Ma questa è un'altra storia.
Il Bolzano venne varato per ultimo dei 'magnifici sette' tra gli incrociatori pesanti.
Venne iniziato nel 1930 e varato nel 1932, completato nel 1933.
Questa potente nave era considerata un 'errore eseguito a regola d'arte', una specie di Trento potenziato, con le artiglierie in stile Zara.
Dislocamento indicato 11.064 t std, 13.883 t a pieno carico.
Dimensioni 196,9 m (171,8 sl) x 20,6 x 6,8 m. Motori: 4 turbine da 150.000 hp (10 caldaie Yarrow); 33+ nodi, 2224 t nafta, 4.432 nm a 16 kt
725 uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 8x203/50 mm, 12x100/47 mm, 8x37 mm, 8x13 mm, 8x533 mm, 2 idro. Le modifiche erano come gli altri incrociatori pesanti, ma nel 1942 vennero sostituite le 8x13 con 4 da 20 mm.
Corazzatura: cintura 70 mm (tra hangar e depositi posteriori e tra ponte corazzato e inizio doppi fondi) alta circa 4,8 m (1,1 circa sott'acqua); traverse a prua 60 mm e poppa 50 mm; ponte 50 mm principale, 20 mm copertino; torri fino a 100 mm (lati e tetto, 80 mm, retro 80 mm?), barbette 60 mm; torrione 100 mm lati, 50 tetto, 40 pavimento, tubo com 70 mm, 60 sotto il ponte coperta. Direttore tiro 80 mm lati, 60 tetto. Timone 20 mm orizzontale e 30 mm inclinata.
La nave era capace di galleggiare con tre compartimenti contigui allagati. Il ponte corazzato esterno era anche sul ponte, 20 mm superiore e 30 inclinato. Vennero eliminati i diesel generatori avanti alla torre A e quindi la paratia corazzata venne spostata all'indietro e così la cintura venne ridotta in lunghezza. I cannoni da 203 migliorati richiesero una torre ingrandita e le barbette, essendo più grandi, ebbero corazze ridotte da 70 a 60 mm.
La dotazione munizioni, apparentemente, fu lievemente incrementata, se è vero, come è vero, che il Bolzano, nel siluramento del 1941, fu colto con circa 170-180 colpi per cannone nei depositi.
Da notare che le turbine erano sempre 4, con 6 caldaie in 3 locali per le macchine anteriore con 2 macchine; e poi altri 2 locali (4 caldaie) con un'altra sala macchine posteriore. Però non esistevano più i diesel dinamo, solo le turbo-dinamo, un rischio enorme per la nave in caso di problemi.
Grande innovazione fu l'abolizione del nefasto hangar di prua, a differenza di tutti gli altri incrociatori italiani pesanti, e in similitudine a quelli leggeri più recenti: gli aerei rimasero sempre 2 sul ponte + uno teoricamente sulla catapulta: ma in pratica solo 2 vennero imbarcati.
Il Bolzano era veramente una nave incredibile in termini di potenza: nel 1932 venne provato arrivando a ben 173.772 shp, una mostruosità, che gli permise di arrivare a 36,81 kt. Però a bordo, a parte la sovrapotenza del 15% circa, non erano presenti ancora né armi, catapulte e aerei.
Il Bolzano partecipò a Punta Stilo, il 9 luglio 1940, e divenne particolarmente noto perché si beccò i 3/4 dei colpi sicuramente messi a segno in quella battaglia: 3 cannonate da 152 dell'incrociatore Neptune, tirate alla massima distanza, probabilmente sui 22 km. Questo lo si deduce dall'angolo di caduta dei colpi.
Il Bolzano iniziò la sua missione il 7 luglio, e quel pomeriggio di 2 giorni dopo faceva parte della 3a divisione, che cercò di ingaggiare le corazzate britanniche verso le 16. Ma venne contrastata dal fuoco degli incrociatori leggeridella Forza A inglese.
Alle 16.05 la forza A di incrociatori inglesi stava tentando di impegnare le unità pesanti italiane (intente a minacciare la Warspite, già in battaglia contro le corazzate italiane), e il piccolo Neptune riuscì a fare centro ripetutamente, sparando da distanze stimate in 18-21 km, quindi davvero molto da lontano per una nave col 152 mm. In realtà, le distanze potrebbero essere state anche maggiori di così, come si vedrà.
Il Neptune era stato leggermente danneggiato da schegge del Garibaldi, tanto da buttare fuori bordo il suo Seafox per sicurezza, cercava vendetta. E la trovò, sia pure contro un bersaglio incolpevole. La prima granata, una sorta di SAP (i 152 mm inglesi non avevano veri colpi AP), entrò nella fiancata da destra, passando con un angolo di caduta di ben 53° e verso prua per 45°. Passò di slancio il trincarino del ponte di batteria (lì non corazzato), entrando poi nel ponte di corridoio, quello corazzato per la protezione della macchina del timone, passando per giunta nella zona con la corazza inclinata da 30 mm. Lo scoppio causò un gran numero di schegge, l'interruzione di circuiti elettrici, danni alle paratie, e l'allagamento del deposito nafta n.19 -in quel momento vuoto, del locale timone a mano e altri locali, persino uno degli assi dell'elica. Uno dei motori di azionamento del timone fu danneggiato, e l'altro funzionava a potenza ridotta. In tutto vennero imbarcate 312 tonnellate d'acqua (circa 100 nel deposito), e a causa di un altro proiettile arrivato a segno lì vicino, stavolta in mare, il timone venne intraversato a lato, così che per circa 6 minuti la nave andò fuori controllo e percorse un giro di 360°.
Il secondo colpo andò a segno sulla torre n.2, a circa un metro dall'estremità di uno dei due cannoni, che tuttavia continuò a sparare. Quando verrà provato a terra, successivamente alla battaglia, si spezzò dopo il primo colpo! Anche il secondo cannone, danneggiato anch'esso da schegge, venne rottamato. Un puntatore venne ucciso da una scheggia penetrata in una feritoia, altri piccoli danni li ebbero i sistemi di puntamento, tra cui il telemetro da 7,2 m della torre.
Il terzo colpo andò sul trincarino, nelle ordinate 31-32 AD, con un angolo di ben 57° e 15° verso prua, il che significa che probabilmente colpì da oltre 22 km di distanza (se è così, fu record per i 152 mm)! La granata penetrò anche qui nel trincarino del ponte (di coperta), non è chiaro se penetrò o meno i 20 mm di acciaio che lo costituivano (il trincarino è diciamo, il sostegno del ponte stesso alla murata, per cui non è certo 'sottile'). Poi venne deviata, e infine rimbalzò sul ponte da 50 mm, bozzandolo leggermente, prima di esplodere. Causò danni a un lanciasiluri binato, uccise 2 uomini e ne ferì 14, distruggendo parecchie attrezzature e condotte, e generando fumo denso all'interno della nave, tanto da necessitare delle maschere antigas per operare all'interno. Altri colpi scoppiati vicino causarono schegge a bordo, danni alle cucciaie esterne di un altro lanciasiluri, due fori in un'elica e ingobbamento del timone (il near miss di cui sopra), rendendo necessario disinnestare i meccanismi del timone per renderlo nuovamente funzionante. Inoltre molte schegge colpirono le sovrastrutture, distrussero un proiettore, ne danneggiarono un altro. Persino mitragliamenti a bordo causarono danni, tra cui quello ad un otturatore di un'arma da 13 mm. Altri danni vennero dalla concussione degli stessi cannoni da 203 e 100 della nave, specie a condotte dell'apparato motore e di tiro.
La nave non ebbe gravi danni, ma di sicuro passò giorni migliori; si rilevarono anche la difficoltà a passare le comunicazioni in sala macchine, con ordini a voce tra la centrale di controllo motore e i vari locali(!), la mancanza di estintori portatili e un unico generatore 'barellabile'.
Tornato a Messina il 10 luglio, il Bolzano era già in notevole situazione di instabilità, tanto da dover pompare parecchia acqua di zavorra nei serbatoi: dopo la battaglia, persino con mare calmo, il rollio era aumentato a ben 11°!
Il pescaggio, al rientro, era di 6,60 m a prua e 6,68 a poppa, corrispondenti a circa 13.360 t, mentre il Bolzano partì a ben 14.260. In tutto, subito dopo l'azione aveva consumato già circa 100 colpi da 203, molti colpi a.a., 800 t di carburante (in appena 2 giorni) e 400 di acqua dolce.
Il Bolzano tornò a La Spezia, partendo il 12 luglio e arrivando il 13, scortato da due caccia. La riparazione dei danni durò fino al 3 e già il giorno dopo la nave ripartì per Messina.
Il 25 agosto 1941, il Bolzano era in missione bellica, cercando di contrastare i movimenti britannici (Operazione Mincemeat, con tanto di bombardamento incendiario sui boschi di sughero da parte degli Swordfish, e minamento da parte del Manxman entrato nel Tirreno). La 3a divisione, o quel che ne restava (adesso aveva tutti e 4 gli incrociatori pesanti) era partita da Messina il 22, alle 16.00. Ma non ottenne nessun risultato.
Al ritorno dalla infruttuosa missione, il Bolzano venne colpito dal smg Triumph inglese, vicino lo stretto di Messina. Questa nave inglese, dribblata la scorta, lanciò una coppiola di armi, avvistata appena in tempo dal Bolzano, che eseguì una manovra d'emergenza per evitare gli impatti. Un siluro da 533 esplose nella zona poppiera destra. Subito dietro la paratia dell'ultimo comparto motore, irruppe una massa d'acqua di circa 2.000 tonnellate. La falla era lunga 15 metri per 10 di altezza, e i danni erano talmente seri che persino la parete sinistra della nave era danneggiata e tutti i ponti erano sollevati e deformati dallo scoppio di circa 340 kg di TNT. L'effetto fu tale, che in realtà la nave riuscì a malapena a tenere attaccata la poppa, grazie alla struttura delle lamiere della fiancata sinistra e dei ponti, sebbene molto deformati. Degli assi, quelli delle due macchine poppiere erano danneggiati o comunque poco o nulla utilizzabili, le caldaie funzionavano tutte, il timone in qualche modo venne sbloccato anche se il locale timone a mano era KO. Il deposito munizioni della torre n.4 venne subito allagato (con oltre 340 proiettili).
Il siluramento avvenne con il lancio delle armi alle 6.40. Il Bolzano, inizialmente fermo, ripartì quasi subito a lento moto, e con l'aiuto di un rimorchiatore, riuscì a tornare a Messina, percorrendo circa 30 km in 4 ore, arrivando alle 10.55, quando a prua era immerso a 5,6 anziché 6,8 metri (a p.c.), mentre a poppa era aumentato prima a 8,8 e poi a 9,1 metri.
C'erano stati 7 morti (3 ufficiali) e 19 feriti.
Se questi danni fossero stati causati, diciamo, in mezzo all'Egeo, il Bolzano non sarebbe certo potuto tornare a casa. Fu solo con l'aiuto di vari rimorchiatori che in diverse ore fu possibile riportarlo a Messina. Ad ogni modo, fu sopratutto merito della velocità del servizio di sicurezza, specie nel chiudere le paratie, che il Bolzano non subì danni anche maggiori. L'altezza metacentrica era ridotta a meno di un metro, forse solo 60-70 cm. Per ora non era risultato in pericolo, ma a poppa l'acqua era arrivata sopra il ponte di batteria e questo non era certo un bel segnale per l'eventuale continuazione di una navigazione su spazi molto ampi...
Il Bolzano, tuttavia, non poteva essere riparato in una base avanzata, che per giunta aveva un bacino di appena 105 metri. Il 9 settembre la RAF attaccò con i Wellington di Malta. L'allarme venne dato (con gli aerofoni?) attorno alle 23.15 e cessò solo attorno alle 3.20 del 10 settembre. In tutto, la 'flak' sparò ben 16.500 colpi di cannone e oltre 72.000 di mitragliatrice. La sola 3a divisione risulta avere sparato 1786 colpi da 100 mm (da soli, circa 30-50 tonnellate!), 8783 da 37, 15.560 da 20 e 21980 da 13 mm, più 3000 di calibri minori(quali?). E' un valore interessante, perché almeno stando a Navypedia non c'erano armi da 20 mm a bordo degli incrociatori pesanti di quell'epoca: che siano stati invece, i cacciatorpediniere della squadriglia cacciatorpediniere? A quanto pare, comunque sia, il Bolzano ebbe le armi da 20 solo dopo l'aggiornamento.
Fu forse sopratutto la nebbia sollevata per tempo che impedì di causare danni significativi, oltre al fuoco di quasi 100.000 proiettili per settori (di sbarramento). Non abbatterono nessun aereo della RAF, comunque sia. Dal canto loro, anche i britannici non causarono molti danni, a parte uno di rilievo.
Una bomba, presumibilmente una SAP da 113 kg (come quella che l'11 novembre 1940 cadde sul Trento, ma senza esplodere), cadde sul ponte della nave, appena dopo mezzanotte, perforando il cielo della tuga, a dritta della catapulta, poi il ponte di coperta (da 20 mm) ed esplose su quello corazzato, di batteria, da 50 mm. Causò uno squarcio di circa 20 cm anche in una delle piastre blindate di questo ponte, lanciando fiamme e schegge sotto, tanto che i tre generatori elettrici vennero spenti e la nave ebbe un momentaneo black-out. Ponte di coperta rialzato, calderine ausiliarie crivellate (erano sopra il ponte corazzato), e altro ancora.
Le fiamme a bordo durarono fino alle 5 del mattino. Vi furono 12 morti e 34 feriti. La nave fu forse salvata dal fatto che i siluri erano stati sbarcati il giorno prima, visto che uno (o entrambi) dei lanciasiluri di prua era stato crivellato di schegge. Impressionante il numero di proiettili sparati: 1.786 da 100 mm, 8783 da 37, 15560 da 20, 21980 da 13 e 3000 di 'calibri minori', dalla sola 3a Divisione. In tutto erano stati tirati 16.486 granate e 72.171 di mitragliera.
In seguito, il Bolzano venne ancora attaccato, ma anche qui la flak fu forte e un aereo venne abbattuto (l'11 settembre). Il Bolzano, lasciato finalmente in pace, e sebbene con parti della nave ancora a contatto col mare, venne rinforzato, riparato, prosciugato per quanto possibile, e dentro ebbe addirittura una paratia stagna d'emergenza. Partì con 1850 t di carburante, 31 olio, 266 acqua, senza più colpi nel deposito n.3 ma ancora con il pieno nei due prodieri, malgrado che l'uso dei 203 mm... fosse escluso per evitare concussioni gravi. Le munizioni a prua erano 414 AP e 302 HE, nel deposito n.4 (ancora allagato) ce n'erano 204 AP e 140 HE. La nave venne provata in mare già il 29 settembre, e nel periodo 4-6 ottobre percorse circa 900 km per La Spezia, alla media di 12 nodi circa; il 9 era invece alla sua 'base madre' di Genova.
A quel punto fu riparato fino alla fine di aprile 1942 con grande profusione di mezzi e uomini: ben 995 ancora il 20 di aprile. La zona poppiera fu praticamente ricostruite, installate armi da 20, rimossi i lanciasiluri anteriori. Il Bolzano si trasferì da Genova a La Spezia, quasi 100 km percorsi in circa 8 ore (5.20-3.30) il 15 maggio. Durante il trasferimento ottenne ben 34 nodi di velocità, ma bisogna dire che era scarico di munizioni e siluri, ed era anche a corto di carburante. Il suo completamento 'bellico' con relativo dislocamento, fu solo a La Spezia. Da qui non si mosse finché non fu pronto per unirsi all'incrociatore Abruzzi, silurato il 22 novembre a poppa da un aerosilurante inglese, e in riparazione. Di fatto, le due navi partirono solo il 4 luglio, con quello leggero che -dopo circa 7 mesi e 10 giorni, tornò in azione (evidentemente i danni erano stati piuttosto seri), proseguendo fino a Navarino (Grecia) mentre il Bolzano si fermò a Messina. La scorta era stata svolta da varie navi, tra cui una torpediniera con il sonar.
Il Bolzano non eseguì ulteriori missioni belliche, finché non vi fu la grande battaglia navale di metà agosto 1942. La mattina del 12 la 3a divisione era salpata da Messina, per intercettare le navi inglesi, che nella notte tra il 12 e il 13 avevano subito gravi danni (2 incrociatori affondati e 2 danneggiati), tanto che alla fine avrebbero avuto ancora modo di scortare le loro navi da trasporto superstiti solo con 2 incrociatori (uno dei quali silurato!) e 6 caccia, contro 6 incrociatori e 11 caccia italiani. Ma alla fine, gli italiani desistettero, credendo che la minaccia aerea nemica fosse troppo forte. Tornati indietro, gli incrociatori italiani vennero avvistati, la mattina del 13 agosto 1942, dall'HMS Unbroken, che subito lanciò una salva di 4 siluri da 1800 metri. Nonostante gli aerei Z.506 e due caccia muniti di sonar, nessuno s'era accorto del sottomarino! Uno dei siluri, evitato di poco dal Bolzano, colpì l'Attendolo, frantumandogli 25 metri di prua, tanto che fu difficile recuperarlo finché la prua non si staccò 'naturalmente' (altrimenti gli rendeva impossibile anche navigare in retromarcia, a 5 nodi).
L'altro siluro a segno fu proprio contro il Bolzano. Erano le 8.13 quando questo esplose appena dietro il torrione, nei locali caldaie 1 e 2, aprendo una falla di 16x8 metri, malgrado la presenza della cintura corazzata in questa zona della nave! La sala caldaie 1-2 la 3-4 si allagarono subito, poi toccò per cedimento delle paratie, alla 5-6. Circa 500 tonnellate di carburante uscirono dalle casse squarciate e in buona parte entrarono dentro i locali, dove presero fuoco. Il torrione venne evacuato passando da sopra la torre n.2! Le riservette da 100 e di piccolo calibro esplosero. I locali da 203 prodieri cominciarono ad aumentare la temperatura e vennero allagati per precauzione. In tutto, la nave imbarcò almeno 4.500 tonnellate d'acqua, prima ancora dell'incaglio, avvenuto con un cacciatorpediniere che la prese a rimorchio (il Geniere). La nave venne portata ad incagliarsi a Panarea, che era distante appena 7,5 km, cosa compiuta entro le 13. Per fortuna, la sala caldaie 1-2 era spenta e le altre erano col cambio di personale in atto, per cui i morti furono pochi: 4, più 70 feriti, ergo molto meno di quello che successe con la singola bomba di settembre, che fu l'evento più grave per l'equipaggio.
Vi furono molte critiche, a differenza delle altre situazioni in cui fu coinvolto il Bolzano, sulla condotta dell'azione. Anche se la situazione era grave, l'incertezza e la mancanza di efficienza nel comando probabilmente condannò la nave ad una fine prematura. Ad un certo punto venne anche ordinato l'abbandono nave, quando questa aveva assunto un angolo di 15°, durante il traino.
Il Bolzano era affondato su di una profondità media di circa 12 metri, e si volle subito recuperarlo, cosa fatta con grandi mezzi una volta in più; già a metà settembre venne sollevato dal fondale, dopo essere stato alleggerito dei cannoni da 100, dei due inutili obici da 120, persino delle armi da 20 e dei sistemi DT. Il Bolzano lasciò Panarea attorno alle 15.30 del 14 settembre, dopo un impegno dioturno di personale civile e militare. Arrivò trainato il 16 settembre, e dopo circa 3 mesi, il 10 dicembre, seppure con grande difficoltà, la nave fu capace di andarsene da sola per La Spezia, ad una media di 14 nodi. Una volta qua si pensava di togliere totalemnte le due caldaie distrutte, riducendo la velocità a 33 nodi (contro i 32 del Trieste e i 30 del Gorizia), ma aumentando l'autonomia a 14 nodi da 3680 a 4040 nm e a 16 kt, da 3690 a 4060 kt. Ma non se ne fece granché. La nave era troppo danneggiata per riattarla davvero bene, e così all'armistizio non era ancora riparata in maniera apprezzabile, tanto che non venne nemmeno sabotata l'8 settembre.
Infine, lo sfortunato incrociatore, che per ogni anno di guerra ebbe una disgrazia, finì la sua carriera nel 1944. Il 21 giugno di quell'anno venne affondato da un chariot inglese, allo scopo di impedire che potesse essere usato per bloccare il porto di La Spezia. La carica esplosiva che spezzandone la chiglia, lo mandò a picco, fu l'ultimo round della vita di un 'errore a regola d'arte'. Colpito da 3 proiettili nel 1940, da un siluro nel 1941, da un altro siluro nel 1942 (pochi mesi dopo essere rientrato in servizio) e infine affondato nel 1944.
I 4 'Zara'
Gli Zara erano incrociatori formidabili, almeno sulla carta. La loro principale dote era la blindatura eccezionalmente pesante. Per far questo bisognò oltrepassare il dislocamento massimo consentito di almeno il 15%. Venne anche rimodellato lo scafo riducendo l'altezza di un ponte nella zona poppiera, e togliendo i siluri, mentre l'hangar restava nella solita bislacca posizione davanti ai cannoni di prua, con l'enorme rischio di danneggiare gli aerei per il maltempo, o per il fuoco dei propri stessi cannoni se in azione. Tanto valeva allora metterci i siluri, lì.
Ad ogni modo, gli Zara erano massicci davvero. La costruzione iniziò nel 1929/31, varati nel 1930/31 e completati nel 1931/32.
Dislocamento indicato 11.866 t std, 14.528 t a pieno carico. Dislocamento (fonte alternata navypedia): Zara 11.866-14.528 t, Pola 11.709-14.359 t, Fiume 11.507-14.160 t, Gorizia 11.900-14.560 t.
Dimensioni 182,8 m (171,8 sl) x 20,62 x 7,2 m. Motori: 2 turbine da 95.000 hp (8 caldaie Yarrow); 32 nodi, circa 2400 t nafta (2.362 t?), 4.480-5.434 nm a 16 kt (5.360/16 kt per lo Zara 'pare', eh).
841 uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 8x203/50 mm, 12x100/47 mm, 8x37 mm, 8x13 mm, 8x533 mm, 2 idro.
Corazzatura circa 2.500 o 2.700 tonnellate (dipende... dalle fonti!):
-cintura principale di lunghezza 90 m, altezza 5 metri (1,6 m sott'acqua circa), fatta da 15 piastre 6 m, spessore 150 mm sopra galleggiamento (H = circa 3,8 m?) e 100-30 mm (sott'acqua, circa 1,5 metri per un totale generale fino a 5 m H)-150 mm fino a p.batteria, cintura superiore 30 mm (100x2,5 m circa), traverse inferiori 120 mm, superiori 20 mm; ponte principale 70 mm (più sottile alle estremità laterali); ponte superiore 20 mm; barbette 120 (sotto ponte)-140 (intermedio)-150 mm; torri 203 mm frontale, 152 lati, 100 superiore (indicati anche come 75 e 70 mm rispettivamente da navypedia); torrione 150 mm (lati), 80 (sup.), 50 mm (pavimento, indicato anche come 70 mm); torre tiro 120 mm (lati), 95 mm (sup); scatola timone e locale calderine, 20 mm (probabilmente lati angolo del timone, 30 mm come nei Trento?).
Piccole scudature laterali per i cannoni.
Per capire la differenza con i precedenti 'Trento':
ZARA TRENTO
peso scafo 41,9% vs 49,2%;
motori 13,1 vs 22,4%;
protezione 24,8 vs 8,7%,
armamento 12,2 vs 10%,
allestimento e vari 8,0 vs 9,7%.
Il tipo di scafo adottato era non solo senza ponte continuo, ma era anche più corto di oltre 10 metri, e nell'insieme si salvò fino al 28% del peso. L'apparato motore era sistemato in maniera simile a quella degli incrociatori leggeri e questo significava 2 soli assi, il che permise la riduzione di peso del 39%, anche se tutte le caldaie erano in locali singoli. In origine dovevano essere navi con ben 203 mm di cintura (se 150 sembra tanto...), ma queste mini-corazzate erano troppo pesanti (sulle 14.000 t), richiedendo di ridurre i cannoni a 6 se si voleva restare nel trattato; presto si riconobbe l'assurdità di una nave del genere e allora si ridusse la cintura, si eliminarono i lanciasiluri e i cannoni divennero definitivamente 8. I motori erano quelli dei Condottieri dei primi modelli, le caldaie però diventarono 8 anziché 6 e la disposizione divenne alternata.
Il tutto permise di liberare sulle 1.500 tonnellate.
E anche così, gli Zara superarono il peso consentito di circa 1.500-1.900 tonnellate, specie nel caso del Gorizia. Le macchine erano potenti, ma la velocità teorica era lontana: in pratica, velocità sui 29 nodi erano più comuni.
I cannoni da 203/53 mm M1927, sempre montati troppo ravvicinati, in affusti comuni, e attivati elettricamente. Però erano armi più potenti, capaci di oltre 31 km per proiettili da 125 kg. Peraltro la dotazione di colpi era calata a 100 per arma, molti di meno dei 'Trento'. Per ulteriori dettagli, vedi Cristini oppure la pagina Zara vs Graf Spee qui nel sito.
I cannoni da 100 mm erano disseminati in varie parti della sovrastruttura, ma i cannoni da 40 inizialmente non erano sempre installati. Quanto agli idrovolanti, la RM ne sostituì un gran numero, iniziando con il Piaggio P6, poi il Macchi M41, il Cant 25AR, il CMASA MF6 e arrivando poi al definitivo IMAM Ro.43.
Quanto alla protezione: questa era eccezionalmente pesante, tanto da farne più delle corazzate veloci miniaturizzate, anziché incrociatori pesanti. Gli spessori erano adeguati per la difesa dai 152 e 203 mm, persino esuberanti in molti casi. Il ridotto corazzato era però praticamente l'unica parte della nave corazzata, più le torri e torrione. La cintura era fatta da grosse piastre, che erano 15 per fianco, per una lunghezza totale di 90 metri. L'altezza, a quanto pare, era sui 5 metri, per cui avremmo avuto piastre da 6x5 metri; la gran parte della superficie era da 150 mm, ma sott'acqua calava a 100 mm, più in alto sulla zona macchine, e un pò sotto nella zona dei depositi munizioni. Lo spessore sarà stato mediamente sui 140 mm, così che il peso dev'essere stato sulle 30-32 tonnellate per ciascuna delle 30 piastre dei fianchi! Erano circa 1.000 tonnellate solo per questa parte della nave! La cintura superiore era fatta da circa 10 piastre di circa 2,5 metri per 9, tutte da 30 mm costanti. La massa di queste altre enormi piastre era di circa 5 tonnellate, per un totale di circa 100 tonnellate. Quindi i fianchi erano corazzati con circa 1000 e passa tonnellate.
Tuttavia, l'immersione delle piastre era di circa 1,6 metri circa. Sotto di che, non esistevano più corazze di protezione, come del resto non c'era in nessun altro incrociatore italiano!
Da notare altre cose: 1) che la cintura seguiva le linee della nave, ed era un pò come la Bismarck, tendeva ad essere inclinata sensibilmente alle estremità, sopratutto a prua e sopratutto il ponte superiore (vedi schema). 2) che dallo schema si vede che vi sono delle piastre d'acciaio posteriori per il sostegno di queste strutture, almeno stando allo schema; 3) come già nel caso degli incrociatori precedenti, a lato dello scafo vi è il doppio fondo, che lateralmente diventa di fatto una paratia (non corazzata) di limitato spessore (8-10 mm?), fino al ponte corazzato. La distanza? I doppi fondi delle navi arrivavano a 1,5-2 metri dallo scafo esterno. La struttura dello scafo degli Zara, comunque sia, era molto più squadrata -a mò di nave da battaglia- di quella rotondeggiante dei Trento/Bolzano.
Il doppio ponte corazzato, 70 mm al livello di batteria (in realtà rastremato verso la parte d'estremità) e 20 sul copertino era un altro valore elevato, probabilmente sui 1.700 metri quadri (in aggiunta ai circa 1.350 lateralmente delle cinture). Quanto al resto della protezione, le torri erano pesantemente protette (non è chiaro se frontalmente fossero 203 mm o 152 mm, ma non mi stupirei del valore più grande), 150 mm lati, 100 mm tetto e posteriore (quanto meno, ma i valori non sono univoci!).
Le barbette erano alte, sottoponte, circa 2,2 metri x 140 mm; sopra il ponte, le torri sopraelevate continuavano con 150 mm di spessore per circa 3,8 metri (totalizzando sui 6 metri complessivi ad oltre 145 mm di media!); non conosco il diametro, ma sarà stato sui 6 metri. Il torrione era fortemente protetto, ma solo nella zona corazzata, non si trattava del tipo 'Montecuccoli' (Pugliese). Il locale calderine e quello timone erano le uniche altre parti leggermente protette (20-30 mm).
L'apparato motore era sfalsato: sala caldaie n.1 (2 caldaie), sala macchine n.1 con turbina a sinistra e locale n.2 caldaie (1 caldaia), poi le sale n.3 e 4 (2 caldaie ciascuna), sala caldaie n.5 (una caldaia) e sala macchine n.2 (turbina destra) a lato di un'altra sala caldaie (2 altre?). Queste macchine, che derivavano da quelle dei Condottieri delle prime serie, davano teoricamente 76.000 hp, 95.000 forzato, ma in realtà, arrivarono sui 120.000 hp(!) alle prove; la potenza diede modo di raggiungere velocità fino a circa 35,2 nodi in dislocamento leggero. Però, nella loro azione normale, gli incrociatori arrivavano solo sui 29-30 nodi.
Come nel caso dei 'Trento', 4 cannoni da 100 e i 4 da 40 vennero sostituiti, attorno al 1937, con 2 binati da 37, e 4 binati da 13, mentre nel 1940 arrivarono anche due obici da 120/15 illuminanti per il tiro notturno, che peraltro non riuscirono ad evitare il peggio.
Il servizio bellico di queste possenti 'incrociatori corazzati' (come era definito anche l'Algérie; infatti inizialmente erano considerati incrociatori 'leggeri', poi 'corazzati' e infine 'pesanti'!) doveva essere senz'altro interessante, per numero e per potenza. Parteciparono a Punta Stilo, ma non ebbero quasi modo di sparare in battaglia, se non qualche raffica di colpi alla fine.
La sera del 14 dicembre 1940, mentre era sistemato a Napoli, il Pola venne colpito da bombe inglesi, sganciate da qualcuno dei nove Wellington che colpirono il porto quella sera in due ondate. Qui successe un problema inatteso: gli ordigni, a quanto pare, erano solo 2 bombe AP da 113 kg, sganciate per giunta a quote assai basse, tra 1000 e 2.000 metri. Non avrebbero dovuto causare problemi particolari. E invece non fu così. Il Pola, dopo l'attacco delle 21, venne scoperto in grave rischio di affondamento.
Cosa era successo? La coppia di bombe era caduta al centro della nave (attorno all'ordinata 90). La prima colpì a circa 2,8 metri dalla murata, attraversò facilmente il copertino da 20 mm, e poi scoppiò contro quello principale da 70 mm. Un ponte così massiccio avrebbe dovuto fermare facilmente un ordigno da 113 (o al più, da 226 kg), anche se di tipo perforante-esplosivo (SAP). In effetti riuscì a fermarlo, ma l'esplosione fu così potente, da aprirvi uno squarcio di circa 1 metro quadro, sparando quintali di acciaio nel sottostante locale caldaie n.3, l'unica accesa, per dare energia alla nave in porto. Tubi e macchinari vennero così danneggiati, malgrado i 90 mm di acciaio soprastante che avrebbero dovuto proteggerli da questa 'facile' minaccia, oltretutto portata da quote molte ridotte. Sopra, i danni furono considerevoli con tanto di un principio d'incendio, ma sopratutto ben 22 morti e 33 feriti tra cui il comandante in seconda!
Ma l'altra bomba non fu da meno: colpì la coperta a poca distanza, stavolta vicina alla fiancata, passando attraverso ben tre protezioni, iniziando con lo scudo di un pezzo binato da 100 mm, poi il ponte di coperta in zona trincarino (dove si congiungeva con la murata), il ponte corazzato (nella 'zona franca' dove si assottigliava per congiungersi alla fiancata, per un'estensione non ben nota), ponte di corridoio ed esplodendo in un cofferdam vicino alla sala n.3. Lo scoppio aprì una falla di 3x 2,5 m a 4 metri sotto la linea d'acqua, quindi ben sotto la cintura; subito si allagò la sala delle caldaie n.3, 4, 5 e la centrale elettrica di prua (i cui 3 generatori erano, per l'appunto, nella sala caldaie n.3) e fuoriuscite di nafta al cofferdam colpito. Non causò danni alle persone, se non altro; ma non così fu per la nave.
A quel punto ci si rese conto del disastro imminente, puntellando le paratie interne; ma i locali delle caldaie n.1, 2, 6 e 7 cominciarono ad allagarsi a loro volta, così che ben presto TUTTO l'apparato motore era KO! Anche le poche calderine e caldaie non interessate (un solo locale caldaie sopravvisse) non si accesero, e irregorare fu anche il funzionamento dei diesel-generatori dei gruppi torri! La nave imbarcò migliaia di tonnellate d'acqua e lo sbandamento passò a 7 gradi.
Nell'insieme, i lavori di aspirazione acqua, e di alleggerimento dell'incrociatore (per farlo entrare nel bacino) furono penosi e durarono fino al pomeriggio del 16 dicembre, quando finalmente venne fatto 'alare' lo scafo fin dentro il vicino, provvidenziale bacino. C'erano voluto sforzi concentrati da parte dei soccorsi del porto. Il possente incrociatore rischiò di affondare.. in una commedia kafkiana, a causa di avarie nel sistema d'emergenza, paratie stagne 'permeabili' (nelle zone di passaggio di cavi e tubi), e dall'inquinamento della nafta con acqua (per quanto possa suonare paradossale!) dopo l'allagamento iniziale. E' già tanto che non prese fuoco, come accadde al Bolzano due anni dopo.
Bisogna considerare che il Pola era pur sempre un incrociatore pesantemente protetto, ma solo nella metà della lunghezza, quella centrale. Praticamente, fuori dalla 'scatola' della cinturaxil pontexle traverse, più le torri e il torrione (inclusa la SDT più bassa, quella sopra il torrione), non c'era quasi nulla. Oltre il 50% della lunghezza non aveva praticamente alcuna progettazione. E nondimeno, fu colpito proprio in quella zona, senza riuscire a sopportare delle bombe 'facili'. O forse quelle britanniche erano molto più temibili di altri modelli? Sta di fatto che le 2.500 tonnellate di acciaio balistico furono solo una zavorra, ma come protezione risultarono poco più che carta stagnola!
I danni, però, non furono così gravi, visto che la nave ebbe essenzialmente una falla nello scafo, e allagamenti, ma non venne devastata da esplosioni e incendi, se non in minima parte.
Il 28 marzo 1941, a Gaudo, il Pola era nuovamente in azione (era stato rapidamente riparato), così come altre 2 navi della classe, i Trento e il Bolzano, e i due Abruzzi, in altre parole tutti gli incrociatori più potenti, più l'unica corazzata moderna attiva, e 10-13 cacciatorpediniere.
Quel pomeriggio venne colpito da un Albacore, e il siluro squarciò lo scafo. Gli 'Zara' praticamente non avevano alcuna protezione interna, a parte la compartimentazione trasversale. Il Pola venne silurato da un'arma da 457 mm Mk 12 e il locale macchine anteriore venne allagato, così come i locali caldaie centrali. La nave non rischiava, però, di affondare sull'immediato, anche se rimase immobilizzata. Il siluro aveva colpito a dritta, locale caldaie n.4 e 5 (erano nello stesso ambiente), poi le paratie cedettero anche ai lati e furono allagate anche quelli della macchina di prora (dritta), caldaia n.3 e poi quello delle n.6 e 7. Restavano comunque le caldaie n.1, 2 e 8, ancora fuori dall'acqua, ma vennero spente per non scaricarne il vapore; il gruppo diesel delle torri di prua funzionava ancora. La nave non si inclinò in maniera apprezzabile, ma il galleggiamento era quasi al livello del bordo superiore della cintura corazzata. A quel punto, si riaccese la caldaia n.8 più le calderine ausiliarie, però la caldaia venne poi spenta per non emettere fumo (in situazione di guerra era pericoloso), e la turbopompa (n.3) a quel punto cessò probabilmente di funzionare per conseguenza. La macchina di poppa aveva infiltrazioni d'acqua e non funzionava. L'artiglieria principale funzionava solo con le due torri di prua grazie ai generatori diesel, ma per farle azionare bisognava togliere praticamente energia all'illuminazione interna della nave; inoltre non c'era modo di usare la centrale DT principale e quindi avrebbero dovuto far fuoco solo con comandi locali. In sostanza, il Pola non era ancora in imminente pericolo di affondamento, malgrado la silurata incassata. In quella circostanza, però, era praticamente perduto. Forse da solo avrebbe potuto tornare a casa? Difficile, specie se non ci fosse stato modo di riattivare le caldaie 1 e 2, visto che la 8 da sola era un pò pochino per mandare la nave, e le altre 5 erano sott'acqua. Solo con grande fortuna (e mare calmo) sarebbe stato possibile percorrere i quasi 1.000 km di distanza da casa, con quelle condizioni e un incrociatore appesantito da una grande quantità d'acqua interna.
Con la RN in caccia, però, sarebbe stato praticamente impossibile farlo, e allora bisognava almeno cercare di salvare l'equipaggio, che in parte s'era addirittura buttato in acqua dopo il siluro, temendo l'affondamento della nave. Così vennero ripescati e gli vennero dati dei liquori per scaldarsi. Quando i britannici arrivarono a ridosso del Pola, pensarono che vi fossero problemi di disciplina molto seri a bordo del Pola, vedendo tanti mezzi ubriachi senza divise regolari: invece era stata solo un'emergenza alquanto goffamente gestita..
Nella notte vennero mandati i soccorsi, gli altri due incrociatori 'Zara' e 4 cacciatorpediniere. Ignari dell'arrivo della flotta inglese, Zara e Fiume vennero avvistati di notte e le pur lente navi inglesi si avvicinarono fino a circa 3 km, in quella che divenne nota come battaglia di Capo Matapan. Improvvisamente le navi italiane vennero illuminate per alcuni interminabili secondi, e poi disintegrate dal fuoco dei 381 mm in qualche minuto di fuoco, ciascuna con diversi colpi di grosso calibro a segno. Anche due dei caccia vennero affondati, e incredibilmente solo una di queste navi riuscì a tirare 3 salve di cannone prima di essere affondata.
Le navi italiane vennero avvistate attorno alle 22.27 e in 3-4 minuti tutto finì: lo Zara prese 4 salve dalla corazzata Warspite, 5 dalla Valiant e 4 dalla Barham, il Fiume venne invece colpito da due salve della Warspite e una della Valiant.
Il primo della formazione, lo Zara, fu colpito e incendiato in appena 4 minuti, senza nemmeno rispondere al fuoco. Di lì a poco, pare che il comandante ordinasse l'autoaffondamento; nel mentre, i britannici attaccarono con il caccia 'Jarvis' che lanciò 4 siluri di cui almeno uno o forse due andarono a segno. Lo Zara Esplose e affondò. Morirono 782 uomini dei 1098 a bordo, incluso l'amm. Cattaneo e il com. Corsi. 279 vennero fatti prigionieri dai britannici.
Dei caccia che seguivano, l'Alfieri venne danneggiato seriamente e immobilizzato; in seguito cercò di rispondere al fuoco con tre salve (le uniche sparate dagli italiani!), ma poi si prese un siluro in pieno e affondò con quasi tutti a bordo. Il Carducci tentò invece di stendere una cortina fumogena, ma venne colpito in pieno. Gli altri due caccia, tutti di tipo moderno (erano la classe 'Poeti') scapparono, anche se uno era danneggiato seriamente. I britannici tornarono in zona dopo essersi allontanati inizialmente, temendo un contrattacco silurante, e finirono anche l'altro caccia italiano alle 23.45.
Quanto al Fiume, era affondatò alle 23.15 dopo essersi capovolto a seguito dell'allagamento della zona poppiera, con 813 caduti su 1104. Lo Zara, malgrado tutto, pare che resistette fino alle 2.40 del 29 marzo, anche se non è chiaro se venne affondato da siluri oppure si autodistrusse (a seconda delle fonti).
Il Pola, colpito da un siluro lanciato dal Jervis alle 3.55, affondò attorno alle 4.03, ma l'equipaggio era stato tratto in salvo dai britannici, anche se ebbe comunque 328 perdite su 1041.
E buona notte alla 1a divisione incrociatori pesanti.
I britannici soccorsero molti naufraghi italiani, ma non poterono fare tutto da soli: oramai era quasi l'alba e avevano paura degli attacchi aerei. Lasciarono molti in mare, ma chiesero agli italiani di intervenire per salvarli. Però era disponibile solo una lenta nave ospedale, la Gradisca, che impiegò circa due giorni prima di arrivare finalmente in zona. Questa fu la causa sicura delle perdite elevatissime subite, perché molti marinai vennero ritrovati con i giubbotti di salvataggio ancora addosso.
Alla fine oltre 2.300 marinai italiani persero la vita: 782 dello Zara, 813 del Fiume, 328 del Pola, 211 dell'Alfieri, 169 del Carducci e 28 di altre unità. I britannici fecero prigionieri circa 1163 uomini. Persero 3 uomini e un aerosilurante, malgrado la pretesa italiana di avere affondato un incrociatore (cosa che accadrà davvero, circa una settimana più tardi, per mano di un sottomarino, ma questa è un'altra storia), in cambio misero KO la marina italiana per il resto dell'anno.
Il Gorizia combatté come elefante bianco, o forse come mosca bianca, nelle battaglie della Sirte e Mezzo Giugno e Mezzo Agosto.
Il 10 aprile 1943, come già detto, venne attaccato dai B-17 (stavolta ben 36 aerei anziché 24) e -sebbene in allarme, tra le 14.37 e le 14.40 circa venne colpito da tre bombe da 454 kg AP americane. Stranamente, mentre quelle sul Trieste fecero effetto pieno, il Gorizia riuscì a sopravvivere. Le due bombe che lo centrarono in non riuscirono a passare il ponte corazzato (forse furono attivate prematuramente dal ponte da 20 mm o dalle strutture?). Resta il fatto che la terza bomba colpì una delle torri, nella zona superiore-posteriore, dove c'era uno spessore che era di ben 100 millimetri, MOLTO più robusta come corazza dei due strati da 20 e 70 mm. Eppure perforò la corazza in maniera netta. Evidentemente, le bombe americane non temevano le corazze spesse, perché la regola base è che una corazza distanziata vale più o meno come la piastra più spessa e la metà di quella meno spessa, quindi sarebbero l'equivalente di 80 mm anziché 100 mm come il tetto della torre. Da ricordare come il Pola venne perforato sul ponte principale anche da due bombe (da 250, massimo 500 lb) inglesi nel 1940, mentre una da 250 lb perforò il Trento e un'altra simile squarciò il ponte corazzato del Bolzano. E' dunque ben strano che questa volta il ponte resistette a bombe da 1.000 lb AP lanciate da altezze 6-10 volte maggiori.
Nella zona centrale, attorno all'ordinata 80, le due bombe esplose a sinistra gettarono a mare uno dei cannoni binati da 100 mm e scardinarono un secondo impianto. Il ponte corazzato però resse, ma fu ingobbatto fortemente, tanto che un piccolo tratto si distaccò dal bordo superiore della cintura. Sopra era un disastro: tra le ordinate 65 e 95 lo scafo venne praticamente aperto. Le bombe erano esplose molto vicine alla murata, come nel caso del Pola nel 1940, ma incredibilmente non penetrarono il ponte, forse perché trovarono la struttura a spessore pieno. Vi furono diversi principi d'incendio, ma non troppo gravi. Vi furono falle causate dai near miss sia nella prua che nella poppa estreme, nella zona del timone, e vi furono allagamenti nel deposito munizioni n.4 sia nel piano inferiore (proiettili) che superiore (cariche), a causa di entrate d'acqua tra cui quella di un tunnel eliche. In tutto, si stima che il Gorizia stazzava 14.185 t prima dell'attacco, e incassò circa 500 tonnellate d'acqua. Le torri principali non potevano funzionare per danni diretti o per avarie ai circuiti aria ed elettrici, 3 delle caldaie avevano le tubazioni rotte dalle concussioni, mentre l'unica accesa, la n.4 riuscì a funzionare per circa mezz'ora. Esistevano ancora in efficienza le caldaie più lontane dalle esplosioni, le n.1,2,3 e 8. Il timone poteva essere comandato ancora con uno dei due macchinari idraulici (ma solo in maniera ridotta). Infine, le calderine ausiliarie erano andate distrutte, così come ponti e strutture nella zona colpita, ridotta ad un mucchio di rottami. Le DT erano tutte più o meno danneggiate, ma i gruppi diesel e i generatori erano efficienti; presto vennero rimessi in sesto i cavi aerei delle radio (tutti rotti) e 40 dei 70 telefoni interni.
I morti furono parecchi: 63 di cui 4 ufficiali, più 95 feriti. Anche a terra la base navale venne demolita in larga misura, con sensibili -ma non note- perdite, nonché danni e perdite a MAS e sommergibili.
Per cui il Gorizia fu fortunato. La bomba esplose dentro la torre, sfasciandola, ma il botto si estese fuori, anche se massacrò i serventi delle armi a.a. che all'epoca, tra l'altro erano molto numerose (12x100 mm, 12x37, 8x20 e 4x13 mm, tutti in sistemi binati).
Nell'arco di 2 giorni, la nave fu pronta a muoversi, nonostante tutto, dato che aveva bisogno di riparazioni considerevoli anche se non correva nell'immediato il rischio di affondare. La zona devastata a sinistra era stata liberata dai rottami, ma adesso il bordo libero (cintura corazzata) era appena 150 cm sopra la linea d'acqua (cosa? ma allora quant'era alta realmente la cintura?)
In tutto, la nave aveva ancora funzionanti 4 caldaie, i gruppi diesel-torri, 4 turbodinamo (altre due erano inattive già da tempo per avarie). Tappata alla bell'e meglio una parte delle falle, rifatte parte delle comunicazioni e impianti interni, eretto un fianco di legno nella zona lesionata laterale, il Gorizia venne approntato entro 48 ore e venne poi fatto partire nella notte del 13-14, quando l'incrociatore partì scortato da una mezza dozzina di navi, e riuscì senza apprezzabili problemi, a mantenere 15 nodi (malgrado i compartimenti di prua allagati, con il rinforzo delle paratie trasversali per evitare altre infiltrazioni) e a manovrare da solo, percorrendo circa 320 km e venendo portato in salvo a La Spezia poco dopo, senza altri problemi meccanici, meteo o di attacchi nemici.
Ma all'armistizio non era stato ancora riparato. In seguito venne ritrovato semi-affondato, ancora diritto e imponente, alla fine della guerra.
Gli Zara erano incrociatori formidabili, almeno sulla carta. La loro principale dote era la blindatura eccezionalmente pesante. Per far questo bisognò oltrepassare il dislocamento massimo consentito di almeno il 15%. Venne anche rimodellato lo scafo riducendo l'altezza di un ponte nella zona poppiera, e togliendo i siluri, mentre l'hangar restava nella solita bislacca posizione davanti ai cannoni di prua, con l'enorme rischio di danneggiare gli aerei per il maltempo, o per il fuoco dei propri stessi cannoni se in azione. Tanto valeva allora metterci i siluri, lì.
Ad ogni modo, gli Zara erano massicci davvero. La costruzione iniziò nel 1929/31, varati nel 1930/31 e completati nel 1931/32.
Dislocamento indicato 11.866 t std, 14.528 t a pieno carico. Dislocamento (fonte alternata navypedia): Zara 11.866-14.528 t, Pola 11.709-14.359 t, Fiume 11.507-14.160 t, Gorizia 11.900-14.560 t.
Dimensioni 182,8 m (171,8 sl) x 20,62 x 7,2 m. Motori: 2 turbine da 95.000 hp (8 caldaie Yarrow); 32 nodi, circa 2400 t nafta (2.362 t?), 4.480-5.434 nm a 16 kt (5.360/16 kt per lo Zara 'pare', eh).
841 uomini d'equipaggio.
Armi (al 1940): 8x203/50 mm, 12x100/47 mm, 8x37 mm, 8x13 mm, 8x533 mm, 2 idro.
Corazzatura circa 2.500 o 2.700 tonnellate (dipende... dalle fonti!):
-cintura principale di lunghezza 90 m, altezza 5 metri (1,6 m sott'acqua circa), fatta da 15 piastre 6 m, spessore 150 mm sopra galleggiamento (H = circa 3,8 m?) e 100-30 mm (sott'acqua, circa 1,5 metri per un totale generale fino a 5 m H)-150 mm fino a p.batteria, cintura superiore 30 mm (100x2,5 m circa), traverse inferiori 120 mm, superiori 20 mm; ponte principale 70 mm (più sottile alle estremità laterali); ponte superiore 20 mm; barbette 120 (sotto ponte)-140 (intermedio)-150 mm; torri 203 mm frontale, 152 lati, 100 superiore (indicati anche come 75 e 70 mm rispettivamente da navypedia); torrione 150 mm (lati), 80 (sup.), 50 mm (pavimento, indicato anche come 70 mm); torre tiro 120 mm (lati), 95 mm (sup); scatola timone e locale calderine, 20 mm (probabilmente lati angolo del timone, 30 mm come nei Trento?).
Piccole scudature laterali per i cannoni.
Per capire la differenza con i precedenti 'Trento':
ZARA TRENTO
peso scafo 41,9% vs 49,2%;
motori 13,1 vs 22,4%;
protezione 24,8 vs 8,7%,
armamento 12,2 vs 10%,
allestimento e vari 8,0 vs 9,7%.
Il tipo di scafo adottato era non solo senza ponte continuo, ma era anche più corto di oltre 10 metri, e nell'insieme si salvò fino al 28% del peso. L'apparato motore era sistemato in maniera simile a quella degli incrociatori leggeri e questo significava 2 soli assi, il che permise la riduzione di peso del 39%, anche se tutte le caldaie erano in locali singoli. In origine dovevano essere navi con ben 203 mm di cintura (se 150 sembra tanto...), ma queste mini-corazzate erano troppo pesanti (sulle 14.000 t), richiedendo di ridurre i cannoni a 6 se si voleva restare nel trattato; presto si riconobbe l'assurdità di una nave del genere e allora si ridusse la cintura, si eliminarono i lanciasiluri e i cannoni divennero definitivamente 8. I motori erano quelli dei Condottieri dei primi modelli, le caldaie però diventarono 8 anziché 6 e la disposizione divenne alternata.
Il tutto permise di liberare sulle 1.500 tonnellate.
E anche così, gli Zara superarono il peso consentito di circa 1.500-1.900 tonnellate, specie nel caso del Gorizia. Le macchine erano potenti, ma la velocità teorica era lontana: in pratica, velocità sui 29 nodi erano più comuni.
I cannoni da 203/53 mm M1927, sempre montati troppo ravvicinati, in affusti comuni, e attivati elettricamente. Però erano armi più potenti, capaci di oltre 31 km per proiettili da 125 kg. Peraltro la dotazione di colpi era calata a 100 per arma, molti di meno dei 'Trento'. Per ulteriori dettagli, vedi Cristini oppure la pagina Zara vs Graf Spee qui nel sito.
I cannoni da 100 mm erano disseminati in varie parti della sovrastruttura, ma i cannoni da 40 inizialmente non erano sempre installati. Quanto agli idrovolanti, la RM ne sostituì un gran numero, iniziando con il Piaggio P6, poi il Macchi M41, il Cant 25AR, il CMASA MF6 e arrivando poi al definitivo IMAM Ro.43.
Quanto alla protezione: questa era eccezionalmente pesante, tanto da farne più delle corazzate veloci miniaturizzate, anziché incrociatori pesanti. Gli spessori erano adeguati per la difesa dai 152 e 203 mm, persino esuberanti in molti casi. Il ridotto corazzato era però praticamente l'unica parte della nave corazzata, più le torri e torrione. La cintura era fatta da grosse piastre, che erano 15 per fianco, per una lunghezza totale di 90 metri. L'altezza, a quanto pare, era sui 5 metri, per cui avremmo avuto piastre da 6x5 metri; la gran parte della superficie era da 150 mm, ma sott'acqua calava a 100 mm, più in alto sulla zona macchine, e un pò sotto nella zona dei depositi munizioni. Lo spessore sarà stato mediamente sui 140 mm, così che il peso dev'essere stato sulle 30-32 tonnellate per ciascuna delle 30 piastre dei fianchi! Erano circa 1.000 tonnellate solo per questa parte della nave! La cintura superiore era fatta da circa 10 piastre di circa 2,5 metri per 9, tutte da 30 mm costanti. La massa di queste altre enormi piastre era di circa 5 tonnellate, per un totale di circa 100 tonnellate. Quindi i fianchi erano corazzati con circa 1000 e passa tonnellate.
Tuttavia, l'immersione delle piastre era di circa 1,6 metri circa. Sotto di che, non esistevano più corazze di protezione, come del resto non c'era in nessun altro incrociatore italiano!
Da notare altre cose: 1) che la cintura seguiva le linee della nave, ed era un pò come la Bismarck, tendeva ad essere inclinata sensibilmente alle estremità, sopratutto a prua e sopratutto il ponte superiore (vedi schema). 2) che dallo schema si vede che vi sono delle piastre d'acciaio posteriori per il sostegno di queste strutture, almeno stando allo schema; 3) come già nel caso degli incrociatori precedenti, a lato dello scafo vi è il doppio fondo, che lateralmente diventa di fatto una paratia (non corazzata) di limitato spessore (8-10 mm?), fino al ponte corazzato. La distanza? I doppi fondi delle navi arrivavano a 1,5-2 metri dallo scafo esterno. La struttura dello scafo degli Zara, comunque sia, era molto più squadrata -a mò di nave da battaglia- di quella rotondeggiante dei Trento/Bolzano.
Il doppio ponte corazzato, 70 mm al livello di batteria (in realtà rastremato verso la parte d'estremità) e 20 sul copertino era un altro valore elevato, probabilmente sui 1.700 metri quadri (in aggiunta ai circa 1.350 lateralmente delle cinture). Quanto al resto della protezione, le torri erano pesantemente protette (non è chiaro se frontalmente fossero 203 mm o 152 mm, ma non mi stupirei del valore più grande), 150 mm lati, 100 mm tetto e posteriore (quanto meno, ma i valori non sono univoci!).
Le barbette erano alte, sottoponte, circa 2,2 metri x 140 mm; sopra il ponte, le torri sopraelevate continuavano con 150 mm di spessore per circa 3,8 metri (totalizzando sui 6 metri complessivi ad oltre 145 mm di media!); non conosco il diametro, ma sarà stato sui 6 metri. Il torrione era fortemente protetto, ma solo nella zona corazzata, non si trattava del tipo 'Montecuccoli' (Pugliese). Il locale calderine e quello timone erano le uniche altre parti leggermente protette (20-30 mm).
L'apparato motore era sfalsato: sala caldaie n.1 (2 caldaie), sala macchine n.1 con turbina a sinistra e locale n.2 caldaie (1 caldaia), poi le sale n.3 e 4 (2 caldaie ciascuna), sala caldaie n.5 (una caldaia) e sala macchine n.2 (turbina destra) a lato di un'altra sala caldaie (2 altre?). Queste macchine, che derivavano da quelle dei Condottieri delle prime serie, davano teoricamente 76.000 hp, 95.000 forzato, ma in realtà, arrivarono sui 120.000 hp(!) alle prove; la potenza diede modo di raggiungere velocità fino a circa 35,2 nodi in dislocamento leggero. Però, nella loro azione normale, gli incrociatori arrivavano solo sui 29-30 nodi.
Come nel caso dei 'Trento', 4 cannoni da 100 e i 4 da 40 vennero sostituiti, attorno al 1937, con 2 binati da 37, e 4 binati da 13, mentre nel 1940 arrivarono anche due obici da 120/15 illuminanti per il tiro notturno, che peraltro non riuscirono ad evitare il peggio.
Il servizio bellico di queste possenti 'incrociatori corazzati' (come era definito anche l'Algérie; infatti inizialmente erano considerati incrociatori 'leggeri', poi 'corazzati' e infine 'pesanti'!) doveva essere senz'altro interessante, per numero e per potenza. Parteciparono a Punta Stilo, ma non ebbero quasi modo di sparare in battaglia, se non qualche raffica di colpi alla fine.
La sera del 14 dicembre 1940, mentre era sistemato a Napoli, il Pola venne colpito da bombe inglesi, sganciate da qualcuno dei nove Wellington che colpirono il porto quella sera in due ondate. Qui successe un problema inatteso: gli ordigni, a quanto pare, erano solo 2 bombe AP da 113 kg, sganciate per giunta a quote assai basse, tra 1000 e 2.000 metri. Non avrebbero dovuto causare problemi particolari. E invece non fu così. Il Pola, dopo l'attacco delle 21, venne scoperto in grave rischio di affondamento.
Cosa era successo? La coppia di bombe era caduta al centro della nave (attorno all'ordinata 90). La prima colpì a circa 2,8 metri dalla murata, attraversò facilmente il copertino da 20 mm, e poi scoppiò contro quello principale da 70 mm. Un ponte così massiccio avrebbe dovuto fermare facilmente un ordigno da 113 (o al più, da 226 kg), anche se di tipo perforante-esplosivo (SAP). In effetti riuscì a fermarlo, ma l'esplosione fu così potente, da aprirvi uno squarcio di circa 1 metro quadro, sparando quintali di acciaio nel sottostante locale caldaie n.3, l'unica accesa, per dare energia alla nave in porto. Tubi e macchinari vennero così danneggiati, malgrado i 90 mm di acciaio soprastante che avrebbero dovuto proteggerli da questa 'facile' minaccia, oltretutto portata da quote molte ridotte. Sopra, i danni furono considerevoli con tanto di un principio d'incendio, ma sopratutto ben 22 morti e 33 feriti tra cui il comandante in seconda!
Ma l'altra bomba non fu da meno: colpì la coperta a poca distanza, stavolta vicina alla fiancata, passando attraverso ben tre protezioni, iniziando con lo scudo di un pezzo binato da 100 mm, poi il ponte di coperta in zona trincarino (dove si congiungeva con la murata), il ponte corazzato (nella 'zona franca' dove si assottigliava per congiungersi alla fiancata, per un'estensione non ben nota), ponte di corridoio ed esplodendo in un cofferdam vicino alla sala n.3. Lo scoppio aprì una falla di 3x 2,5 m a 4 metri sotto la linea d'acqua, quindi ben sotto la cintura; subito si allagò la sala delle caldaie n.3, 4, 5 e la centrale elettrica di prua (i cui 3 generatori erano, per l'appunto, nella sala caldaie n.3) e fuoriuscite di nafta al cofferdam colpito. Non causò danni alle persone, se non altro; ma non così fu per la nave.
A quel punto ci si rese conto del disastro imminente, puntellando le paratie interne; ma i locali delle caldaie n.1, 2, 6 e 7 cominciarono ad allagarsi a loro volta, così che ben presto TUTTO l'apparato motore era KO! Anche le poche calderine e caldaie non interessate (un solo locale caldaie sopravvisse) non si accesero, e irregorare fu anche il funzionamento dei diesel-generatori dei gruppi torri! La nave imbarcò migliaia di tonnellate d'acqua e lo sbandamento passò a 7 gradi.
Nell'insieme, i lavori di aspirazione acqua, e di alleggerimento dell'incrociatore (per farlo entrare nel bacino) furono penosi e durarono fino al pomeriggio del 16 dicembre, quando finalmente venne fatto 'alare' lo scafo fin dentro il vicino, provvidenziale bacino. C'erano voluto sforzi concentrati da parte dei soccorsi del porto. Il possente incrociatore rischiò di affondare.. in una commedia kafkiana, a causa di avarie nel sistema d'emergenza, paratie stagne 'permeabili' (nelle zone di passaggio di cavi e tubi), e dall'inquinamento della nafta con acqua (per quanto possa suonare paradossale!) dopo l'allagamento iniziale. E' già tanto che non prese fuoco, come accadde al Bolzano due anni dopo.
Bisogna considerare che il Pola era pur sempre un incrociatore pesantemente protetto, ma solo nella metà della lunghezza, quella centrale. Praticamente, fuori dalla 'scatola' della cinturaxil pontexle traverse, più le torri e il torrione (inclusa la SDT più bassa, quella sopra il torrione), non c'era quasi nulla. Oltre il 50% della lunghezza non aveva praticamente alcuna progettazione. E nondimeno, fu colpito proprio in quella zona, senza riuscire a sopportare delle bombe 'facili'. O forse quelle britanniche erano molto più temibili di altri modelli? Sta di fatto che le 2.500 tonnellate di acciaio balistico furono solo una zavorra, ma come protezione risultarono poco più che carta stagnola!
I danni, però, non furono così gravi, visto che la nave ebbe essenzialmente una falla nello scafo, e allagamenti, ma non venne devastata da esplosioni e incendi, se non in minima parte.
Il 28 marzo 1941, a Gaudo, il Pola era nuovamente in azione (era stato rapidamente riparato), così come altre 2 navi della classe, i Trento e il Bolzano, e i due Abruzzi, in altre parole tutti gli incrociatori più potenti, più l'unica corazzata moderna attiva, e 10-13 cacciatorpediniere.
Quel pomeriggio venne colpito da un Albacore, e il siluro squarciò lo scafo. Gli 'Zara' praticamente non avevano alcuna protezione interna, a parte la compartimentazione trasversale. Il Pola venne silurato da un'arma da 457 mm Mk 12 e il locale macchine anteriore venne allagato, così come i locali caldaie centrali. La nave non rischiava, però, di affondare sull'immediato, anche se rimase immobilizzata. Il siluro aveva colpito a dritta, locale caldaie n.4 e 5 (erano nello stesso ambiente), poi le paratie cedettero anche ai lati e furono allagate anche quelli della macchina di prora (dritta), caldaia n.3 e poi quello delle n.6 e 7. Restavano comunque le caldaie n.1, 2 e 8, ancora fuori dall'acqua, ma vennero spente per non scaricarne il vapore; il gruppo diesel delle torri di prua funzionava ancora. La nave non si inclinò in maniera apprezzabile, ma il galleggiamento era quasi al livello del bordo superiore della cintura corazzata. A quel punto, si riaccese la caldaia n.8 più le calderine ausiliarie, però la caldaia venne poi spenta per non emettere fumo (in situazione di guerra era pericoloso), e la turbopompa (n.3) a quel punto cessò probabilmente di funzionare per conseguenza. La macchina di poppa aveva infiltrazioni d'acqua e non funzionava. L'artiglieria principale funzionava solo con le due torri di prua grazie ai generatori diesel, ma per farle azionare bisognava togliere praticamente energia all'illuminazione interna della nave; inoltre non c'era modo di usare la centrale DT principale e quindi avrebbero dovuto far fuoco solo con comandi locali. In sostanza, il Pola non era ancora in imminente pericolo di affondamento, malgrado la silurata incassata. In quella circostanza, però, era praticamente perduto. Forse da solo avrebbe potuto tornare a casa? Difficile, specie se non ci fosse stato modo di riattivare le caldaie 1 e 2, visto che la 8 da sola era un pò pochino per mandare la nave, e le altre 5 erano sott'acqua. Solo con grande fortuna (e mare calmo) sarebbe stato possibile percorrere i quasi 1.000 km di distanza da casa, con quelle condizioni e un incrociatore appesantito da una grande quantità d'acqua interna.
Con la RN in caccia, però, sarebbe stato praticamente impossibile farlo, e allora bisognava almeno cercare di salvare l'equipaggio, che in parte s'era addirittura buttato in acqua dopo il siluro, temendo l'affondamento della nave. Così vennero ripescati e gli vennero dati dei liquori per scaldarsi. Quando i britannici arrivarono a ridosso del Pola, pensarono che vi fossero problemi di disciplina molto seri a bordo del Pola, vedendo tanti mezzi ubriachi senza divise regolari: invece era stata solo un'emergenza alquanto goffamente gestita..
Nella notte vennero mandati i soccorsi, gli altri due incrociatori 'Zara' e 4 cacciatorpediniere. Ignari dell'arrivo della flotta inglese, Zara e Fiume vennero avvistati di notte e le pur lente navi inglesi si avvicinarono fino a circa 3 km, in quella che divenne nota come battaglia di Capo Matapan. Improvvisamente le navi italiane vennero illuminate per alcuni interminabili secondi, e poi disintegrate dal fuoco dei 381 mm in qualche minuto di fuoco, ciascuna con diversi colpi di grosso calibro a segno. Anche due dei caccia vennero affondati, e incredibilmente solo una di queste navi riuscì a tirare 3 salve di cannone prima di essere affondata.
Le navi italiane vennero avvistate attorno alle 22.27 e in 3-4 minuti tutto finì: lo Zara prese 4 salve dalla corazzata Warspite, 5 dalla Valiant e 4 dalla Barham, il Fiume venne invece colpito da due salve della Warspite e una della Valiant.
Il primo della formazione, lo Zara, fu colpito e incendiato in appena 4 minuti, senza nemmeno rispondere al fuoco. Di lì a poco, pare che il comandante ordinasse l'autoaffondamento; nel mentre, i britannici attaccarono con il caccia 'Jarvis' che lanciò 4 siluri di cui almeno uno o forse due andarono a segno. Lo Zara Esplose e affondò. Morirono 782 uomini dei 1098 a bordo, incluso l'amm. Cattaneo e il com. Corsi. 279 vennero fatti prigionieri dai britannici.
Dei caccia che seguivano, l'Alfieri venne danneggiato seriamente e immobilizzato; in seguito cercò di rispondere al fuoco con tre salve (le uniche sparate dagli italiani!), ma poi si prese un siluro in pieno e affondò con quasi tutti a bordo. Il Carducci tentò invece di stendere una cortina fumogena, ma venne colpito in pieno. Gli altri due caccia, tutti di tipo moderno (erano la classe 'Poeti') scapparono, anche se uno era danneggiato seriamente. I britannici tornarono in zona dopo essersi allontanati inizialmente, temendo un contrattacco silurante, e finirono anche l'altro caccia italiano alle 23.45.
Quanto al Fiume, era affondatò alle 23.15 dopo essersi capovolto a seguito dell'allagamento della zona poppiera, con 813 caduti su 1104. Lo Zara, malgrado tutto, pare che resistette fino alle 2.40 del 29 marzo, anche se non è chiaro se venne affondato da siluri oppure si autodistrusse (a seconda delle fonti).
Il Pola, colpito da un siluro lanciato dal Jervis alle 3.55, affondò attorno alle 4.03, ma l'equipaggio era stato tratto in salvo dai britannici, anche se ebbe comunque 328 perdite su 1041.
E buona notte alla 1a divisione incrociatori pesanti.
I britannici soccorsero molti naufraghi italiani, ma non poterono fare tutto da soli: oramai era quasi l'alba e avevano paura degli attacchi aerei. Lasciarono molti in mare, ma chiesero agli italiani di intervenire per salvarli. Però era disponibile solo una lenta nave ospedale, la Gradisca, che impiegò circa due giorni prima di arrivare finalmente in zona. Questa fu la causa sicura delle perdite elevatissime subite, perché molti marinai vennero ritrovati con i giubbotti di salvataggio ancora addosso.
Alla fine oltre 2.300 marinai italiani persero la vita: 782 dello Zara, 813 del Fiume, 328 del Pola, 211 dell'Alfieri, 169 del Carducci e 28 di altre unità. I britannici fecero prigionieri circa 1163 uomini. Persero 3 uomini e un aerosilurante, malgrado la pretesa italiana di avere affondato un incrociatore (cosa che accadrà davvero, circa una settimana più tardi, per mano di un sottomarino, ma questa è un'altra storia), in cambio misero KO la marina italiana per il resto dell'anno.
Il Gorizia combatté come elefante bianco, o forse come mosca bianca, nelle battaglie della Sirte e Mezzo Giugno e Mezzo Agosto.
Il 10 aprile 1943, come già detto, venne attaccato dai B-17 (stavolta ben 36 aerei anziché 24) e -sebbene in allarme, tra le 14.37 e le 14.40 circa venne colpito da tre bombe da 454 kg AP americane. Stranamente, mentre quelle sul Trieste fecero effetto pieno, il Gorizia riuscì a sopravvivere. Le due bombe che lo centrarono in non riuscirono a passare il ponte corazzato (forse furono attivate prematuramente dal ponte da 20 mm o dalle strutture?). Resta il fatto che la terza bomba colpì una delle torri, nella zona superiore-posteriore, dove c'era uno spessore che era di ben 100 millimetri, MOLTO più robusta come corazza dei due strati da 20 e 70 mm. Eppure perforò la corazza in maniera netta. Evidentemente, le bombe americane non temevano le corazze spesse, perché la regola base è che una corazza distanziata vale più o meno come la piastra più spessa e la metà di quella meno spessa, quindi sarebbero l'equivalente di 80 mm anziché 100 mm come il tetto della torre. Da ricordare come il Pola venne perforato sul ponte principale anche da due bombe (da 250, massimo 500 lb) inglesi nel 1940, mentre una da 250 lb perforò il Trento e un'altra simile squarciò il ponte corazzato del Bolzano. E' dunque ben strano che questa volta il ponte resistette a bombe da 1.000 lb AP lanciate da altezze 6-10 volte maggiori.
Nella zona centrale, attorno all'ordinata 80, le due bombe esplose a sinistra gettarono a mare uno dei cannoni binati da 100 mm e scardinarono un secondo impianto. Il ponte corazzato però resse, ma fu ingobbatto fortemente, tanto che un piccolo tratto si distaccò dal bordo superiore della cintura. Sopra era un disastro: tra le ordinate 65 e 95 lo scafo venne praticamente aperto. Le bombe erano esplose molto vicine alla murata, come nel caso del Pola nel 1940, ma incredibilmente non penetrarono il ponte, forse perché trovarono la struttura a spessore pieno. Vi furono diversi principi d'incendio, ma non troppo gravi. Vi furono falle causate dai near miss sia nella prua che nella poppa estreme, nella zona del timone, e vi furono allagamenti nel deposito munizioni n.4 sia nel piano inferiore (proiettili) che superiore (cariche), a causa di entrate d'acqua tra cui quella di un tunnel eliche. In tutto, si stima che il Gorizia stazzava 14.185 t prima dell'attacco, e incassò circa 500 tonnellate d'acqua. Le torri principali non potevano funzionare per danni diretti o per avarie ai circuiti aria ed elettrici, 3 delle caldaie avevano le tubazioni rotte dalle concussioni, mentre l'unica accesa, la n.4 riuscì a funzionare per circa mezz'ora. Esistevano ancora in efficienza le caldaie più lontane dalle esplosioni, le n.1,2,3 e 8. Il timone poteva essere comandato ancora con uno dei due macchinari idraulici (ma solo in maniera ridotta). Infine, le calderine ausiliarie erano andate distrutte, così come ponti e strutture nella zona colpita, ridotta ad un mucchio di rottami. Le DT erano tutte più o meno danneggiate, ma i gruppi diesel e i generatori erano efficienti; presto vennero rimessi in sesto i cavi aerei delle radio (tutti rotti) e 40 dei 70 telefoni interni.
I morti furono parecchi: 63 di cui 4 ufficiali, più 95 feriti. Anche a terra la base navale venne demolita in larga misura, con sensibili -ma non note- perdite, nonché danni e perdite a MAS e sommergibili.
Per cui il Gorizia fu fortunato. La bomba esplose dentro la torre, sfasciandola, ma il botto si estese fuori, anche se massacrò i serventi delle armi a.a. che all'epoca, tra l'altro erano molto numerose (12x100 mm, 12x37, 8x20 e 4x13 mm, tutti in sistemi binati).
Nell'arco di 2 giorni, la nave fu pronta a muoversi, nonostante tutto, dato che aveva bisogno di riparazioni considerevoli anche se non correva nell'immediato il rischio di affondare. La zona devastata a sinistra era stata liberata dai rottami, ma adesso il bordo libero (cintura corazzata) era appena 150 cm sopra la linea d'acqua (cosa? ma allora quant'era alta realmente la cintura?)
In tutto, la nave aveva ancora funzionanti 4 caldaie, i gruppi diesel-torri, 4 turbodinamo (altre due erano inattive già da tempo per avarie). Tappata alla bell'e meglio una parte delle falle, rifatte parte delle comunicazioni e impianti interni, eretto un fianco di legno nella zona lesionata laterale, il Gorizia venne approntato entro 48 ore e venne poi fatto partire nella notte del 13-14, quando l'incrociatore partì scortato da una mezza dozzina di navi, e riuscì senza apprezzabili problemi, a mantenere 15 nodi (malgrado i compartimenti di prua allagati, con il rinforzo delle paratie trasversali per evitare altre infiltrazioni) e a manovrare da solo, percorrendo circa 320 km e venendo portato in salvo a La Spezia poco dopo, senza altri problemi meccanici, meteo o di attacchi nemici.
Ma all'armistizio non era stato ancora riparato. In seguito venne ritrovato semi-affondato, ancora diritto e imponente, alla fine della guerra.
Tra le altre navi, il San Giorgio era il 'peso massimo', costruito dal 1905, varato nel 1908 e completato il 1 luglio 1910, seguito dal gemello l'anno successivo.
Il dislocamento standard era 10.167 t, max 11.300, 140,8 x21x 7,3 m, 2 motrici e 14 caldaie per 19.500 hp (S.Marco, 4 turbine su 4 assi per 23.000 hp), velocità massima alle prove 23,2 kt (S.Marco: 23,8). Carburante 1.560 t (carbone), autonomia indicata variamente, per esempio 6.270 nm a 10 kt (S.Marco: 4.800 nm a 10 kt).
Corazza: cintura 200-80 mm, torri principali 180 mm, secondarie 160, ponti 45 e 30 mm, traverse 150 mm, torrione 250 mm. Armamento: 4x254/45 mm binati, 8x190/45 binati, 18x76, 2x47 mm, 2x6,5 mm, 3x450 tls. Equipaggio 698-705.
Queste navi erano simili agli Amalfi/Pisa, di poco precedenti, ma con maggiori qualità in protezione e tenuta al mare, nonché abitabilità. Erano navi toste, e il S.Marco ebbe anche -per la prima volta nella marina italiana- con le turbine a vapore.
Mentre il S.Marco venne trasformato in nave bersaglio, il S.Giorgio divenne una nave addestrativa e poi nave a.a. con 8-10 cannoni da 100 mm.
La conversione alla sola nafta, causò peraltro una riduzione della potenza a 18.200 hp e la velocità calò grandemente a 18,6 kt (con 1.300 t di nafta), mentre due fumaioli vennero rimossi, così come lanciasiluri, cannoni da 76 e armi da 6,5 mm, mentre vennero aggiunti 4 impianti binati da 100, poi aumentati nel 1940 a 5, più 2x2 da 13,2 mm. Il dislocamento venne ridotto a 9.470-11.500 t, ma in seguito aumentò con il quinto impianto da 100 e 6x2 da 20 mm, nonché 5x2 da 13,2 mm, totalizzando quindi 10 cannoni da 100, 12 da 20 e presumibilmente 14 da 13 mm.
Queste due navi, comunque sia, non ebbero danni in guerra.. il S.Giorgio venne mandato a Tobruk come nave a.a. Strano ma vero, non ebbe alcuna bomba a segno, e le reti antisiluri fermarono, pare, oltre 40 siluri. Venne auto-affondato prima della caduta della città. Il S.Marco, trasformato in nave bersaglio entro il 1935, calò a 8600-8966 t, 13.000 hp, 18 kt. Venne catturato a La Spezia nel 1943, e auto-affondato dai tedeschi nel 1944.
La RM aveva anche altri due incrociatori, due unità leggere. Una, la Bari era ex tedesca, varata nel 1914, da 5.156 t, max 5.305, lungo 134,3 mx 13,6 x 5,98 m.
2 motori da 28.000 shp totali, 28 nodi, circa 1100 t, 2600 nm a 14 kt, 8 cannoni da 149 mm, 2 tls da 500 mm, corazza 20-80 mm sul ponte, scudi 50, torre 75 mm. Circa 440 uomini d'equipaggio. In origine era stato ordinato dalla Russia, in Germania, poi confiscato dalla Germania e infine assegnato all'Italia nel dopoguerra.
Venne modernizzato in vari settori, aumentando l'autonomia a scapito della potenza, e vennero a quanto pare installati anche 6 cannoni da 20 e 6 da 13.
Il Bari non venne usato molto in guerra, era troppo vecchio. Il 28 giugno 1943 venne affondato da bombe americane in porto.
Il Taranto era un altro incrociatore vecchio, del 1911-12, una nave tedesca da 4.500-5.300 t circa, 136 m di lunghezza, 27.000 hp e 27,5 kt, autonomia 5.820 kt a 12 kt, corazza 60 mm (cintura lunga 80% dello scafo, 18 mm verso prua estrema), scudi 50 mm, ponti 20-40 mm e 40-60 di inclinazione, 100 mm torrione. 7x149 mm, 4 tls da 500 mm, armi minori e 120 mine. 486 uomini.
Assegnato nel 1920 all'Italia, venne modernizzato in diverse occasioni, la velocità ridotta a 21 kt, aggiunto un aereo, e nel 1940-41 8 cannoni da 20 e 6 da 13. Ebbe poco impiego in guerra, malgrado l'armamento a.a. moderno, e venne affondato dagli italiani a La Spezia il 9 settembre, e poi affondato ancora dagli americani il 23 ottobre successivo; i tedeschi lo risollevarono, ma il 23 settembre 1944 venne affondato per la terza volta! Il relitto venne poi demolito nel dopoguerra.
La Grande Germania e la sua piccola flotta
Il primo incrociatore fu l'Emden, che ricominciò quella lunga e fruttuosa tradizione che i Tedeschi, in competizione con i britannici,svilupparono nel settore degli incrociatori leggeri. Questa nave venne impostata nel 1921, varata nel 1925 ed entrò in servizio nell'ottobre dello stesso 1925.
Dislocamento 5.689 t st, 7.102 p.c. Dimensioni 155,5x14,3x5,15-6,60 m; 2 turbine e 10 caldaie per 46.900 hp; 860+875 tons e 29,4 kt; 1.200 t per 5.300 nm a 18 kt.
Armi: 8x150 mm singoli, 3x88 mm, 4x533 mm, 8x88 mm, 120 mine. Nel 1939 aggiunti 6x20 mm C/38.
Corazza: cintura 50 mm (3 m H, 70% lungh), ponte 40 mm inclinato esternamente, 20 mm; elevatori 20 mm, paratia anteriore 40 mm; estremità oltre ridotto, torrione 100-50 mm lati e 20 mm tetto. Equipaggio: 630-650.
L'Emden era una nave obsoleta al completamento, ma robusta e costruita con tecniche d'avanguardia come la saldatura elettrica. Dopo l'invasione della Norvegia nell'aprile del 1940 ebbe poche occasioni per farsi notare, essendo sopratutto una nave ridotta all'attività addestrativa. Si incagliò in Norvegia, nel dicembre 1944, ma sopravvisse. Nel marzo 1945 venne colpita da ordigni incendiari e poi bombardata nel mese successivo, e anche in seguito, finché non venne spiaggiata per evitarne l'affondamento.
Konigsberg
La classe successiva era la Konigsberg, tre navi iniziate nel 1926, varate nel 1927-28 e completate nel 1929-30.
Dislocamento 6.756 st, 8.260 t p.c. Dimensioni 174x15,3x5,56-6,28 m; Motori: 2 turbine, 2 diesel e 6 caldaie per 68.000+1800 hp e 32,5 kt (10 su diesel); 1.184+261 t per 3.100 nm a 13 kt (??) 7.300 nm a 17 kt. L'autonomia era fino a 5.700 nm a 19 kt, o 7.300 a 17 kt. C'erano 3 turbogeneratori e 2 diesel generatori, per un totale di 540 kW (720 hp) a 220V.
Armi: 9x150/57 mm tripli, 6x88 mm binati (in origine erano 3 singoli), 8x37 mm binati, 4x20 singoli, 12x533 mm tripli, due aerei Ar 196, mine.
Corazza: cintura 50 mm, paratie longitudinali 10-15 mm (quindi senza capacità di resistenza balistica, giusto antischegge o anti-allagamento); traverse 70 mm (e una da 20 anteriore), ponte fino 20 e fino a 40 mm (su depositi), torri 30-20 mm; torrione 100-30 mm.
Equipaggio: 820-850.
Questi incrociatori, a differenza dell'Emden, non erano una versione aggiornata dei progetti bellici, ma delle navi di nuova generazione, sempre negli stringentissimi limiti dei trattati di pace, che richiedevano stazze entro le 6.000 tonnellate. Ebbero caratteristiche eccezionalmente buone, per compattare nel minor peso possibile, una potenza sufficiente per reggere il confronto o superare ogni avversario. Apparentemente almeno, ci riuscirono, ma a quanto pare lo scafo era troppo debole per reggere davvero, specie nelle cattive condizioni del mare nel Nord Europa/Atlantico. Però, almeno sulla carta, erano navi davvero formidabili. Avevano tre torri trinate da 150 mm per ridurre il peso rispetto alle torri binate e aumentare di un cannone rispetto al classico layout dell'epoca (4 torri binate). Inoltre, i cannoni erano di un tipo molto più potente e di gittata eccellente, sui 25 km, anche se tirava sempre granate da circa 45 kg.
Per bilanciare meglio la nave e darle maggiori possibilità di difesa dagli inseguitori (visto che dopotutto, era una nave di tipo 'esplorante'), due torri erano a poppa, sovrapposte. Potevano portare anche mine, ma con cautela vista la loro relativa instabilità e scarsa resistenza. Notevole la presenza di motori diesel per le andature di crociera, per economizzare i consumi, anche se il sistema di accoppiamento idraulico degli assi era assai ingombrante. La terza nave doveva avere 3 torri binate da 190 mm, ma poi finì, dopo vari ritardi, che ottenne anch'essa i cannoni da 15 cm. Tra gli elementi interessanti, l'avere ben tre centrali di tiro nello stesso stile delle navi maggiori che poi verranno nella Kriegsmarine (uno sul torrione, uno sull'albero e uno posteriore), e un armamento a.a. di tutto rispetto per un incrociatore leggero.
E l'apparato motore, sebbene non particolarmente efficiente, fu il primo combinato turbine-diesel, anche se con i soli diesel la velocità era di appena 10 kt e bisognava disconnetterli per ottenere il moto delle turbine.
Uno degli incrociatori, il Karlsruhe, venne danneggiato da un tifone nel Pacifico e si ricostruì in maniera ulteriormente innovativa, ricevendo uno 'scafo esterno' che allargava la nave di 1,6 metri, mentre il dislocamento aumentava di 700 t ergo circa il 10%, calando la velocità di 2 nodi. Però, adesso c'era anche una cintura superiore da 14 mm, e un ponte di coperta spesso 16 mm, migliorando sensibilmente il livello della resistenza della nave.
La struttura della cintura era normale, da 50 mm, connessa alla paratia antisiluro inferiore da 15 mm, tramite una struttura inclinata di 10 mm; le torrette erano da 30 mm solo davanti, 20 per il resto della nave; torre di comando 100-50 mm lati, 30 mm tetto. 19 compartimenti stagni e il 72% della lunghezza scafo era doppia, mentre l'85% dello scafo era saldato. Il timone, però, era singolo.
Tra gli aggiornamenti, anche la sostituzione dei siluri da 500 con quelli da 533 mm, e i cannoni binati da 88/72 mm al posto dei singoli 88/45 mm. 8x37/80 mm binati, 4x20/65 singoli, e la catapulta più 2 He 60/Ar 194.
I tre incrociatori ebbero impegno iniziale limitato ad alcuni pattugliamenti e posa di mine; poi vennero mandati ad invadere la Norvegia nell'aprile 1940, ma solo uno tornò.
L'8 aprile 1940, scattò l'invasione tedesca della Norvegia, che in realtà fu solo una corsa contro il tempo, perché anche gli anglo-francesi stavano per fare lo stesso: la Norvegia, semplicemente, non poteva essere lasciata neutrale. Il Konigsberg e il Koln contrastarono le difese costiere di Bergen durante gli sbarchi nella città, ma il fuoco dei norvegesi causò danni seri alla nave, colpendo due delle 4 postazioni da 37 mm, così come motori, sistemi di controllo antincendio e di potenza ausiliaria. Questo non era certo un buon inizio, e per giunta la RAF iniziò subito gli attacchi aerei, con una formazione di Wellington che il 9 aprile lanciarono 30 bombe da 227 kg, però mancarono il bersaglio. Nondimeno, mitragliarono il Koln uccidendo 3 uomini e ferendone 5. Poi arrivarono anche gli Hampden, ma non ottennero successi.
La mattina dopo arrivarono invece 16 Skua (uno perse il contatto con i compagni e attaccò dopo, per questo in genere si parla di 15 aerei), decollati dalla Ark Royal, che ne aveva ben due squadroni, ma il numero dei piloti addestrati per il dive bombing era il vero limite. Gli squadroni 800 e 803 giunsero attorno alle 7.20, circa 2h5' dopo il decollo, al limite del loro raggio d'azione massimo con una bomba a bordo, e avvicinandosi a 3.600 metri da Sud Est. Picchiarono con il Sole nascente alle loro spalle, e scesero fino a circa 450-900 metri prima di lanciare le bombe, ma ci fu chi eseguì anche una seconda azione, scendendo fino a 60 metri. La picchiata era da prua verso poppa. Le batterie da 88 erano a poppa e non riuscirono a sparare, quelle da 37 erano KO, e solo due dei cannoni da 20 mm spararono, causando qualche danno a due aerei. I britannici stimarono 3 centri e un near miss, in realtà secondo i tedeschi vi furono almeno 5 o 6 bombe a segno, incluse due rimbalzate dal vicino molo dov'era ormeggiato il Konigsberg. Un'altra bomba esplose vicinissima e causò danni.
La nave era stata colpita così verosimilmente da 5-6 bombe e un near miss, un risultato eccellente per dei piloti appena addestrati al bombardamento in picchiata, per giunta su di un aereo pessimo come lo Skua (molto instabile in picchiata). Purtroppo per il Konigsberg c'era stata quindi una brutta sopresa. Se non ci fossero stati tutti i danni del duello con le artiglierie, molto probabilmente sarebbero riusciti a salvare il Konigsberg, ma la sfortuna colpì duro. Già la prima bomba mise KO il sistema elettrico, mettendo KO il sistema elettrico e quindi tutti i cannoni da 88 (a quanto pare senza un back up meccanico) e rendendo più lenti quelli superstiti da 37 mm. Alla fine, i piloti inglesi non erano sicuri di avere affondato la nave tedesca, e del resto avevano anche sottovalutato il totale di bombe messe a segno, nella confusione. Un aereo cadde al rientro, perché perse il controllo durante la risalita in quota. Alla fine, però, la Royal Navy aveva dimostrato che il bombardamento in picchiata era un mezzo efficace per affondare navi, mentre la RAF aveva fallito sistematicamente nei mesi precedenti, subendo per giunta gravi perdite, ma continuando ad ignorare questa tecnica d'attacco. Il Konigsberg affondò solo dopo una dura lotta, 2 ore e 45 minuti dal primo attacco (nel frattempo era anche giunto lo Skua ritardatario).
Non affondò per i danni diretti, ma solo per l'incapacità di tenere sotto controllo gli allagamenti e i danni a causa sopratutto della mancanza di energia e dei danni subiti dalle artiglierie il giorno prima. Altrimenti, questo 'debole' incrociatore, avrebbe potuto ancora salvarsi, da colpi a segno che avrebbero certo affondato navi ben più robuste e pesanti! In realtà, sebbene scarsamente buoni per lunghe missioni oceaniche, questi incrociatori furono sopratutto sfortunati.
Questa fu la prima grande nave affondata da aerei durante la guerra, sebbene fosse ormeggiata. In tutto vi furono 18 morti e 23 feriti, più i 3 e 18 della battaglia della giornata precedente.
In seguito si cercò in due occasioni diverse di risollevare lo sfortunato incrociatore, ma non riuscirono a recuperarlo e alla fine venne demolito nel dopoguerra entro il 1947.
Il Karlsruhe venne avvistato, il 9 aprile, dall'HMS Truant, mentre navigava vicino Kristiansand. Le scie dei siluri vennero avvistate troppo tardi, e la nave venne colpita in pieno da 2 siluri da 533 mm Mk VIII, uno a prua e uno a mezzanave. L'incrociatore prese migliaia di tonnellate d'acqua e venne deciso di abbandonarlo, perché non c'era apparentemente potenza per le pompe di bordo. In realtà, questa perdita fu molto criticata, infatti la nave, malgrado fosse stata presa in pieno da due siluri, era ancora a galla due ore dopo, cosa che persino il grosso incrociatore gen.Belgrano, nel 1982, non poté garantire(!) Non solo, ma per affondarla fu comunque necessario lanciargli contro altri due siluri, e pare che non fosse totalmente vero che le pompe non funzionassero, per cui si criticò largamente la decisione di abbandonarla, perché se servirono comunque due siluri per colarla a picco, sarebbe stato probabilmente possibile portarla ad incagliare nelle vicine coste norvegesi.
Il Koln fu l'unico superstite di quella campagna, e sopravvisse per tutta la guerra, tanto da essere danneggiato dai Beaufighter il 13 dicembre ad Oslo, e poi affondato da bombardamenti soltanto il 30 marzo 1945, a Kiel.
Leipgzig e oltre
Il Leipzig fu una nave singola rispetto alle altre, nota anche come Kreuzer E (il quinto incrociatore). Venne realizzato tra l'aprile 1928, varo ott 29 e completato l'8 ottobre 1931.
Dislocamento 6.619 t st, 8.382 t p.c. Dimensioni 177,1x16,2x4,88-5,69 m; 2 turbine, 1 diesel e 6 caldaie per 60.000+12.400 hp e 32 kt (18 diesel); 1.253+348 t per 3.800 nm a 15 kt o anche 2800/16 o 3900/10
Armi: 9x150 mm tripli, 6x88 mm binati (in origine erano 2 singoli), 8x37 mm binati, 4x20 singoli, 12x533 mm tripli, due aerei Ar 196, 120 mine.
Corazza: cintura 50(a 18°)mm nel ridotto (70%), 20 anteriore e 35 posteriore, paratie laterali 10-15 mm (quindi senza capacità di resistenza balistica, giusto antischegge o anti-allagamento); traverse 70 mm, traversa anteriore 20 mm; ponte 20-25 mm (congiunto al bordo inferiore cintura), torri 20-30 mm; torrione 100-50 mm, 50 mm tetto, elevatori 30 mm, tubo comunicazioni 50 mm. Equipaggio: 850.
Esso aveva un solo fumaiolo, era un pò più grande, e con saldature elettriche ancora più estese, allo scopo di salvare il peso, torri poppiere allineate sull'asse longitudinale, scafo irrobustito anche se non ancora in maniera particolarmente encomiabile. Non c'erano le turbine di crociera, ma 4 motori diesel MAN per l'asse centrale (dei 3), così da essere totalmente indipendente dalle turbine, omettendo quindi il meccanismo d'accoppiamento. La corazza orizzontale era adesso collegata in maniera classica rispetto alla cintura, anziché essere totalmente piatta. In pratica, era di 20 mm sulla zona piana, e 25 nella zona inclinata, che si congiungeva al bordo inferiore della cintura da 50 mm, e in tutto questa struttura era lunga il 70% del pur allungato scafo dell'incrociatore: inoltre c'erano 14 compartimenti stagni e l'83% della lunghezza era a doppio fondo. Era usato anche il nuovo acciaio Wothan Hart ad alta resistenza.
Il Leipzig iniziò la carriera con poche armi a.a., ma si rimediò: altri due cannoni da 88 singoli, 4 binati da 37 e 4 singoli da 20 mm, più aumento calibro siluri da 500 a 533 mm, il tutto nel 1934. Nel 1936 vennero sostituiti i 4 pezzi da 88/45 C/13 con 6x88/72 mm binati C/32, e per completare il tutto, una catapulta e due He 60.
Nel periodo bellico arrivarono molte altre armi a.a. tra cui 4 Bofors da 40 mm.
Nel 1937 la nave venne danneggiata dal mare grosso, e si programmò un rinforzo generale che avrebbe dovuto aggiungere fino a 320 tonnellate, ma la guerra non consentì questo intervento.
Ad ogni modo, il Leipzig era una nave temibile per qualsiasi altra della categoria '7.000 tonnellate', inclusi gli incrociatori La Galissonniére. Gli mancavano un pò di corazze protettive, ma la potenza di fuoco era OK. Ad ogni modo, il 13 dicembre 1939 l'incrociatore stava coprendo una missione di minamento da parte dei cacciatorpediniere tedeschi, quando venne silurato dall'HMS Salmon. L'esplosione del siluro avvenne piuttosto vicino alla linea d'acqua, ma danneggiò chiglia e ponte corazzato, ed entrarono ben 1700 t d'acqua all'interno, allagando due delle tre sale caldaie. Questo danneggiamento fu così pesante, che la nave non tornò più quella di prima, anche se sopravvisse. A quel punto venne usata solo come nave addestrativa, dato che senza 4 caldaie la velocità cadde a 24 nodi; ma terminò anche questa carriera, quando fu accidentalmente investita dal Prinz Eugen nell'ottobre del 1944, con un impatto praticamente a 90° avvenuto nella nebbia (e con il grande incrociatore a 20 nodi), che gli causò gravi danni a centronave, con 39 tra morti e feriti. Il Leipzig era oramai menomato e non poteva sviluppare più di 6 nodi, ad ogni modo continuò a combattere sparando contro l'avanzata delle truppe sovietiche e poi fuggendo ad Ovest, sopravvivendo a numerosi attacchi aerei russi.
Venne affondata nel dopoguerra, caricata di armi chimiche, nello Skagerrack.
L'ultima classe degli incrociatori leggeri fu la Nurnberg, anch'essa con un solo esemplare, varato nel 1934 e completato il 2 novembre 1935, circa 2 anni dopo l'impostazione. Era una nave assai simile alle altre, ma ancora più lunga.
Dislocamento: 7.091 t 9.115 t a pieno carico. Dimensioni 181,3x16,4x4,9-6,4 m, 2 turbine e motori diesel MAN (66+12,4 khp), 32 kt, 1055+255 (o 1100+348?) nafta/gasolio. Raggio 2.400 nm a 13 kt oppure 2800 a 16 kt + 3900 a 10 kt.
Armi: 9x150 mm (fino a 1.500 cp), 8x88 mm, 8x37, 4x20, 12x533 mm (24 siluri quando erano da 500), 2 idrovolanti, mine.
Corazza: cintura 50(a 18°)-18 mm, 70 mm traverse, 20 mm paratia anteriore; ponte 20 piatto-25 mm inclinato verso la cintura inferiore (e alle estremità 10 mm nel p.inferiore), torri 80 mm frontali, 20 lati e tetto, 32-35 posteriore; barbette 60 mm, torrione 60 mm (oppure 100-30 mm, 50-100 lati, 50 tetto ? pavimento); tubo com 50 mm. Equipaggio 896.
Questa nave, ordinata ben 5 anni dopo l'ultimo incrociatore tedesco, fu la prima nave richiesta dal regime nazista. Tra i miglioramenti, c'era il fatto che questa nave venne completata con tutte le attrezzature previste, inclusi i nuovi cannoni binati e gli idrovolanti. La corazzatura fu rinforzata per quanto possibile, con la diminuzione del torrione, e l'aumento della blindatura delle torri, effettivamente troppo modeste (mentre il torrione era troppo spesso) nelle torri precedenti (giusto anti-schegge). Il raggio d'azione non era molto elevato, anche per via del fatto che c'era un limite pratico entro cui non si poteva scendere in termini di carburante a bordo, probabilmente per motivi di stabilità.
Bisogna dire che tutte queste navi tedesche 'leggere' erano provviste di scafi lunghi e sottili, mentre le sovrastrutture erano basse, anche se tutt'altro che semplici, e con un alto albero con la relativa centrale di tiro. La potenza di fuoco non mancava, ma comunque per il giugno del '40 metà lanciasiluri vennero sbarcati, nel '42 la catapulta venne rimpiazzata da un impianto binato da 37, poi vennero aggiunti cannoni quadrupli da 20 mm e un set radar, e persino due Bofors singoli da 40 mm. Alla fine c'erano questi due, 8 x37 mm, e 29x20 mm tra quadrupli, binati e singoli, finalmente provvisti di scudi protettivi (che nelle navi italiane e tedesche erano, sorprendentemente, assenti).
Questa nave era con il Leipzig quando, il 13 dicembre, il sommergibile Salmon attaccò con il siluro. Il Nurnberg venne colpito da un siluro a prua, causando danni seri ma non catastrofici; poco dopo vennero visti altri 3 siluri in avvicinamento, ma la nave fu ancora in grado di manovrare per evitarli e questi esplosero nella scia della stessa, causando solo qualche allagamento minore. Il Nurnberg era stato fortunato, ma certo che fu una dimostrazione di robustezza non così comune, il fatto che riuscì ad allontanarsi dalla zona a ben 18 nodi, rendendo vano l'inseguimento del piccolo smg Ursula. Le riparazioni durarono circa 4 mesi.
Nondimeno, la sua attività fu sopratutto legata all'addestramento. Venne poi ceduta all'URSS nel dopoguerra, dove divenne addirittura l'ammiraglia dell'8a flotta per diversi anni, prima che incrociatori più moderni la sostituissero.
Nell'insieme, gli incrociatori leggeri tedeschi non brillarono per efficienza, ma sopratutto per la debolezza dello scafo dovuta ai limiti di dislocamento e per la scarsa autonomia pratica. Inoltre furono sfortunati con il doppio siluramento del 13 dicembre 1939, e la disastrosa giornata del 10 aprile 1940. In sostanza, il Leipzig era troppo vecchio per rappresentare un nemico temibile nella II guerra mondiale, degli altri cinque, due andarono distrutti in Norvegia, e un altro venne rovinato dai siluri nel 1939. Due vennero distrutti dalle bombe verso la fine della guerra, e alla fine restarono solo le due navi più recenti, poi date all'URSS. Nell'insieme, però, non si dimostrarono tanto 'teneri': due di essi sopravvissero ai siluri in mare aperto, uno sopportò anche una collisione con un incrociatore il doppio più pesante, e la nave persa per bombardamento in mare fu affondata solo dopo diverse ore e per mancanza di soccorsi, dopo avere subito numerosi colpi a segno. Soltanto questa e una nave silurata (probabilmente con più di un siluro) vennero perdute in guerra. Però è certo, che dopo il 1940, praticamente gli incrociatori leggeri superstiti non diedero più segno di sé, i 4 rimasti erano praticamente trascurabili, non potevano competere con le maggiori navi inglesi -sebbene avessero cannoni di gittata superiore ai 152 mm- e potevano al più essere impiegati per azioni difensive, oltretutto uno era obsoleto e un altro, sebbene moderno, troppo danneggiato dai siluri, per cui restavano soltanto 2 navi abbastanza valide per portare la guerra contro l'URSS e la marina inglese.
Per tutte queste ragioni, gli incrociatori leggeri tedeschi non riuscirono a emulare minimamente l'ottima tradizione di raider dei loro antenati della Grande guerra, che sebbene fossero infinitamente meno potenti bellicamente, per tenuta al mare e autonomia si dimostrarono adatti alle incursioni in tutti gli oceani del mondo.
Pesi massimi tedeschi
Gli Hipper furono gli unici incrociatori pesanti tedeschi, anche se il Prinz Eugen era assai diverso dagli altri due.
Di 5 unità, solo 3 vennero completati e un altro ceduto all'URSS come Petropavlosk, nel febbraio 1940. Gli altri vennero realizzati a partire dal 6 luglio 1935, varo 1937-38, entrata in servizio 29 aprile 1939 (Hipper)-1 agosto 1940 (P.Eugen).
Dislocamento: 14.475 t, 18.500 t a pieno carico. Dimensioni 205,9x21,3x5,83-7,9 m, 3 turbine e 12 caldaie su 3 assi; 133.631 shp, 32,5 kt, 3.050 t, 6.500 nm a 17 kt (oppure 6.800 a 20 kt)
Armamento 8x203/60 binati, 12x105/60 mm, 12x37 mm, 8-10x20 mm singoli; 12x533 mm tripli, 3 aerei. 1.600 uomini.
Corazza: cintura interna 80 mm a 12,5°(2,75 m H, 70% lunghezza nave); traverse 80 mm; cintura anteriore 40 mm (3,85 m H), posteriore fino a 20 mm, ma è anche citata una zona dove è 2,75 m H e 70 mm spessa; paratie antisiluro 20 mm; ponti principale da 30 mm (50 zone inclinate connesse con la cintura inferiore) e di coperta da 12-30 mm. Torri 160 mm fronte, 70 mm lati e tetto, 105 incl. anteriore, 80 incl. lati. Barbette 80 mm. Torrione 150 mm (50 tetto), torre secondaria 30 mm (20 mm tetto); le 'sfere' dei direttori a.a. avevano 17 mm; cannoni da 105 binati: 10-15 mm.
Il Prinz Eugen era diverso, ma non di molto: 19.000 t p.c., 207,7 mx 21,9x6,37-7,2 m, carburante 3.250 t, autonomia 5.050 nm a 15 kt(?) o 6800 a 20 (??).
Peso corazza 2.525 t. Cintura corazzata principale lunga 167,5 metri (o è la lunghezza totale?), alta 3,75 metri; spessore 80-70 mm, inclinata di 15° e coperta da scafo esterno (spesso 10 mm); cintura anteriore 3,85 m per 40 mm di spessore, ma che calavano a 20 in avanti la barbetta A (o dall'ordinata 191,5, e 20 mm solo verso prua); cintura da 70 mm ma alta 2,75 m nella parte posteriore della nave, chiusa (all'ordinata 6) da una paratia ulteriore da 70 mm per la protezione del timone; cintura superiore laterale, spessa 20-25 mm. Traverse 80 mm; Spessore paratia antisiluro 20 mm e protezione larga fino a 3,7 m con le controcarene incluse.
2 ponti corazzati, di cui il superiore da 30 mm, quello principale di 30 mm, forse nelle zone inclinate di 50 mm verso l'esterno (a protezione dei serbatoi e di altre parti importanti) e che poi si estendeva oltre la cittadella con spessore di 40 mm. Torri frontali 160 mm, frontale sup 105 mm, tetto 80 mm, lati 70 (superiore inclinato 80) mm, retro 70 o (torre D) 90 mm; barbette 80 mm; torrione 150 mm (50 tetto).
Concepiti dall'inizio degli anni '30, in ritardo rispetto a tutte le altre marine principali, questi incrociatori in teoria dovevano essere proibiti dal trattato di Versailles, ma la Germania volle comunque costruirli per non restare troppo indietro nelle costruzioni navali rispetto ai potenziali avversari.
Ad un certo punto vennero anticipate ben 2.140 t di corazza e 1980 per le macchine, su di un dislocamento di 10.700 t.
La realizzazione di questi grandi incrociatori divenne quella che è diventata, grazie all'abrogazione di Hitler del trattato di Versailles, nel 1935. Le nuove navi da guerra, simili come scafo al Leipzig ingrandito, erano provviste di 4 torri binate con cannoni ad alta velocità e forte gittata, 12 cannoni da 105 binati in impianti stabilizzati, forte contraerea leggera, hangar (doppi dal Prinz Eugen in poi), 12 siluri in impianti tripli. I sistemi di direzione tiro erano 3 principali e 4 a.a. in stile Bismarck, inoltre c'erano anche il radar e un grosso sonar passivo; poi c'erano 3 o 4 aerei e il Prinz Eugen aveva i lanciasiluri protetti. La forma delle navi era molto simile, volutamente, a quella delle Bismarck.
La corazza era invece assai moderata: 70-80 mm, corazza del ponte di 30 mm nelle zone piane, in certe zone -forse- da 40 mm; non molto aiutava il fatto che il ponte superiore, di coperta, era di 30 mm, 12 alle estremità (non è chiaro dove, forse sopra i depositi??); le barbette erano da 80 mm. C'erano anche controcarene e paratie interne da 20 mm. Le corazze erano in WH.
L'apparato motore era ad alta pressione (70 o 80 atm), ma non si dimostrò efficiente ed affidabile quanto avrebbe dovuto.
In battaglia, queste nuove unità entrarono già dall'inizio, prima con l'attacco dell'Hipper ai convogli nei mari settentrionali, e poi invadendo la Norvegia nell'aprile 1940. L'Hipper avvistò il cacciatorpediniere Gloworm, ma alla faccia di tutti i sistemi di tiro e armi a lungo raggio, in realtà la distanza d'ingaggio si ridusse. Il caccia inglese era tornato indietro per cercare un uomo in mare, ma si imbatté in questo incrociatore. La battaglia si portò a corto raggio al punto che l'Hipper tentò di speronare il caccia inglese, il quale a sua volta riuscì a manovrare e speronare il grande vascello tedesco, prima di affondare a causa dei danni subiti dalle artiglierie.
Il Blucher non ebbe più fortuna dell'omonimo della I guerra mondiale, e andò perduto nell'invasione della Norvegia il 9 aprile 1940, nel fiordo di Narvik. Entratovi all'alba, venne inquadrato dal fuoco dei cannoni norvegesi, che sebbene vecchi, da quella distanza non potevano mancarlo: diversi proiettili da 280 mm e non meno di 25 da 150 mm, colpirono da breve distanza la nave tedesca. Inoltre, all'insaputa degli invasori, c'erano anche dei lanciasiluri. I vecchi siluri impiegati erano dell'inizio del XX secolo, e nemmeno si sapeva se avrebbero funzionato. Purtroppo per i tedeschi, funzionarono e due vecchi siluri colpirono il fianco della nave. Peggio che mai, cominciarono incendi ed esplosioni a bordo. La nave resistette quanto poté, cercando anche di avvicinarsi alla costa. A bordo c'erano circa 1.000 soldati di terra. In poco tempo, però, la situazione uscì di controllo e la nave si rovesciò in un fianco, andando a picco prima di raggiungere terra. Vi furono molte vittime, specie tra i soldati tedeschi.
L'Hipper venne riparato presto, e nel dicembre del '40 eseguì un'altra missione in Atlantico, affondando una sola nave, ma battagliando con gli incrociatori inglesi, colpendo il grosso Berwich con 4 colpi e danneggiandolo seriamente, senza subire danni. Nel febbraio successivo eseguì un'altra missione, affondando 7 navi.
Il 31 dicembre del '42 attaccò un convoglio diretto in URSS, ma stavolta venne contrastato dagli incrociatori Sheffield e Jamaica, subendo seri danni, con una caldaia distrutta e incendi all'hangar, generati dal tiro ravvicinato dei 152 mm. In quella battaglia, l'Hipper affondò il caccia Achates, ma gli incrociatori inglesi affondarono una nave tedesca analoga, e il convoglio venne lasciato andare pressoché indenne.
In seguito ebbe danni ulteriori a causa di bombardamenti aerei, e venne messo fuori servizio, finendo poi autoaffondato il 3 maggio 1945.
Il Prinz Eugen, invece, fu protagonista dello scontro contro l'Hood, ma poi per problemi alle macchine, dovette abbandonare la Bismarck e tornando a casa se non altro illeso.
Questa nave sopravvisse a tutta la guerra, ma non fu senza problemi: il 2 luglio 1940 venne leggermente danneggiata da 2 bombe, prima ancora di essere completata; il 23 aprile 1941 finì su di una mina riportando altri danni; dopo il rientro dall'operazione Rheinemburg, il 1 luglio fu bombardata a Brest, perdendo 60 uomini tra cui il capitano di fregata; il 23 febbraio 1942 venne silurata dal smg Trident, e il siluro colpì a poppa, rendendo la nave immanovrabile. Riparata alla meno peggio in Norvegia, venne inviata poi in Germania dopo avere tagliato l'intera zona poppiera, installando una coppia di timoni a mano! Le riparazioni, iniziate dopo il viaggio di ritorno (16 maggio), durarono altri 5 mesi, e le prove in mare iniziarono solo ad ottobre; infine il 25 ottobre 1944 speronò l'incrociatore leggero Leipzig, a causa della nebbia. Le due navi rimasero incastrate per 14 ore (o addirittura, per oltre un giorno, a seconda delle fonti).
Venne usato per gli esperimenti nucleari a Bikini nel '46, ma non affondò né ebbe danni significativi all'opera viva. Solo mesi dopo venne affondato accidentalmente, a causa di una falla al suo interno, che non poteva essere riparata perché la nave era stata massicciamente contaminata dalle radiazioni. Per la stessa ragione la nave non venne mai recuperata, visto che il governo americano non voleva l'immissione nel mercato di acciaio radioattivo. Purtroppo, dallo scafo ha continuato ad uscire una scia di nafta che inquina la zona circostante, una fine non bella per una splendida nave da guerra, che fu pure fortunata.
Secondo gli equipaggi alleati, questo incrociatore era una specie di 'yacht', mentre in termini di efficienza meccanica lasciava molto a desiderare quanto ad affidabilità.
Il Lutzow venne venduto all'URSS come Petropavlosk. Venne usato, ancorché incompleto, dai sovietici, sparando contro le truppe tedesche in avanzata. Venne peraltro danneggiato da una cinquantina di cannonate di grosso calibro (150 e 170 mm) causandone l'allagamento. Affondato su acque basse, continuò peraltro ad essere usato almeno parzialmente, ma nel dopoguerra non venne recuperato e fu demolito negli anni successivi. I Russi catturarono anche il Seydlitz, ma non ne fecero alcun uso.
Fonti: vedi Wikipedia (it e en)
http://www.navypedia.org
http://www.world-war.co.uk
Vari articoli di Storia Militare
Discussione interessante sugli incrociatori italiani in Warship forum
e questo:
http://forum.worldofwarships.eu/index.php?/topic/2786-italian-light-cruisers-condottieri-class/
http://www.steelnavy.com/RMGGaribaldiWW2.htm
Corazzatura dell'Adm Hipper (su Bismark.com)