Ora, gli elementi di superiorità della Iowa, per farla breve, sono almeno tre. Uno: la superiore velocità, che permette di ottenere le distanze d'impiego adatte alla nave americana. Due: la superiorità tecnologica del sistema di controllo del tiro radar. Tre: la potenza dei suoi cannoni, anche maggiore di quel che può essere calcolato da semplici formule.
Prestazioni e disposizione dell'apparato motore
La velocità, a sua volta, merita di essere inquadrata in un fenomeno più vasto, quello della mobilità, caratterizzato da parecchie qualità, tutte importanti e interattive.
Cominciamo dall'autonomia. La Iowa aveva circa il doppio di autonomia della Bismarck, che a sua volta aveva circa il doppio della Littorio. Quest'ultima aveva il bel record di avere l'autonomia più scarsa di tutte le corazzate moderne del periodo bellico (sebbene, curiosamente, la grossa Vanguard britannica fosse appena migliore, e addirittura peggiore di quella delle King George V). Questo era considerato adeguato, per operare stando al centro del Mediterraneo. Del resto, ogni nave deve essere valutata in relazione a cosa ci si aspetta da lei. E le K.G.V inglesi, stranamente, per le esigenze britanniche, sembrano meno adeguate di quanto non siano le Littorio per il teatro del Mediterraneo. Ma resta il fatto che avevano pur sempre attorno al 20-25% di autonomia in più. Le altre navi alleate e nemiche erano tutte superiori in questo fondamentale aspetto.
Chiaramente, se si ha una buona autonomia si può anche aprire il gas in maniera poco preoccupata dalla riserva residua, con un aumento dei consumi rilevante. E la Littorio era certo adeguata (non di molto!) per il Mediterraneo, ma totalmente inadatta per altri tipi di scenario. Se si ha poco carburante, è difficile anche poi passare a velocità elevate e/o tenerle per molto tempo.
Ma poi c'é la velocità vera e propria. Le Littorio superavano, alle prove, i 30 nodi (ci sono dati che parlano addirittura di 31,5 nodi). Questa velocità era ottima, APPARENTEMENTE paragonabile a quella delle Richelieu e quasi pari a quella delle stesse Iowa! Ma era una velocità, al solito, sopravvalutata, secondo gli standard tipici della Marina.
E' possibile che in realtà la nave italiana non superasse i 28-29 nodi, circa un nodo extra se funzionava in super potenza. La velocità di 30 nodi è ufficialmente quotata, ma è sopravvalutata nei fatti. Anche Wikipedia, cita, al riguardo della Roma, una velocità ai collaudi di poco superiore ai 29 nodi (nave nuova e carenata, ovviamente!)
La prova del nove, comunque sia, è stata la battaglia di Capo Gaudo. In quella situazione, come sarà ben noto, una divisione di 4 incrociatori inglesi venne assalita dalle navi italiane di due diverse formazioni. La prima era costituita dai veloci (ma vecchiotti) incrociatori tipo 'Trento' e 'Bolzano', tre unità in tutto. I britannici, però, non vollero cercar rogne, sebbene il più recente di questi, il Bolzano, fu colpito l'anno prima (a P. Stilo) ben tre volte (dal Neptune, un incrociatore leggero). Avendo cannoni da 203, però, le navi italiane erano troppo pericolose se lo scontro avveniva ancora a distanze molto elevate, addirittura sopra la gittata massima dei 152 inglesi. E così scapparono. Queste navi inglesi erano valutate capaci di 32 nodi circa. E il più recente e potente di questi, il Gloucester, aveva un problema alle macchine, per cui era limitato ad appena 24 (la mobilità è indubbiamente la più facile da perdere delle tre qualità di un mezzo da combattimento!). E le navi italiane erano state capaci di fare, alle prove, tra 35 e quasi 37 nodi. Ma, nonostante questo, l'avaria del Gloucester ecc, le navi inglesi riuscirono a scappare rispetto alle navi italiane, e questo malgrado fossero costrette a fare manovre per evitare di cadere sotto tiro dei cannoni nemici. Questa velocità fu la loro salvezza, Gloucester incluso. E le navi italiane, in teoria in grado di fare almeno 2-3 nodi in più delle unità inglesi, non riuscirono mai a serrare le distanze, già rilevanti. E nonostante sparassero oltre 530 colpi, non misero a segno nessun proiettile. Le navi inglesi, velocissime, riuscirono a occultarsi anche grazie ad una potente e rapida cortina fumogena, ma sopratutto scapparono a velocità sufficienti per non far avvicinare le navi italiane.
Poi fu la volta della Vittorio Veneto. Non bastando circa 40 minuti di inseguimento da parte degli incrociatori pesanti, le navi britanniche si imbatterono nella nave italiana e l'avvicinarono credendola di sua Maestà.
La V.Veneto rispose ai segnali di riconoscimento sparando con i 381 mm, più chiaro di così... gli incrociatori scapparono a velocità massima, almeno 31-32 nodi. Le fonti differiscono, anche nello stesso articolo. Ma pare che, per quel che ne sappiamo, dopo 20 minuti la distanza passasse da 23 a 26 km in aumento, oppure da 23 a 27 km ma in circa 24 minuti. In ogni caso, 9-10 km/h di differenza, pari a circa 5-5,5 nodi! E non è tutto: la flotta inglese scappava viaggiando in maniera abbastanza irregolare, per evitare d'essere 'prevista' in qualche posizione adatta dalle salve nemiche, per cui in realtà aveva fatto un percorso superiore. L'unico risultato di quasi 100 colpi (di cui 11 'falliti') fu qualche danno da schegge sull'incrociatore Orion. Ma è veramente impressionante che le navi britanniche se la cavarono rispetto ad oltre 600 colpi da 203 e 381 mm, senza subire alcuna seria conseguenza, specialmente il Gloucester, che avrebbe potuto finire più arretrato e poi, con calma, affondato come il Blucher tedesco nella Grande guerra, quando rimase distanziato dalla formazione di incrociatori da battaglia tedeschi, inseguita da una formazione britannica più forte.
E la V.Veneto, malgrado la sua 'velocità elevata', fu staccata nettamente, anche al lordo delle correzioni di manovra (che in pratica, fece solo la Royal Navy). 5-6 nodi extra significano o che le navi britanniche in realtà volavano a 35-36 nodi, oppure, se è vero che facevano sui 31-32 nodi, che la corazzata italiana arrancava a 26-27 nodi al massimo. Questo è il vero valore della velocità delle 'Littorio', visto che non c'era ragione per non dare tutta la potenza necessaria pur di agguantare le unità britanniche in fuga, facili prede per le superiori forze italiane e prive di cannoni a lungo raggio per restituire i colpi ricevuti (ancorché falliti).
Con questo non voglio dire che le Littorio non fossero capaci di andare anche più veloci, ma se nemmeno in battaglia lo dimostrano, è difficile credere che fossero davvero così rapide. Le navi britanniche, a loro volta, avranno avuto dei margini di potenza elevati, anche in 'sovragiri', ma non potevano mica raddoppiare i cavalli vapore, come una velocità passata da 31-32 a 36 nodi avrebbe certo implicato!
Tutta la flotta italiana, in quel contesto, subì l'onta di essere seminata da incrociatori per nulla eccezionali, e in particolare, da uno che sebbene nuovo, era in quel momento 'zoppo'!
Quanto alle altre marine, le cose le facevano più seriamente. Le Yamato, per esempio: accreditate ufficialmente di 27 nodi, nelle prove ne avevano fatti non meno di 27,46. Sebbene fossero state 3-4 nodi più lente delle Littorio (ufficialmente 3), in pratica, vennero viste anche in azione a velocità stimate di 27 nodi, quindi le loro velocità teoriche d'omologazione e quelle di combattimento erano, praticamente, identiche. Il che significa che, se necessario, avrebbero praticamente pareggiato la velocità delle Littorio o al più, ridotta a circa 1 nodo di differenza, pressoché irrilevante in termini tattici.
Le Littorio, senza super potenza, erano teoricamente capaci di andare, a dislocamento normale, a circa 29 nodi, 30 'forzando'. Ma in pratica, questi valori operativi devono essere scalati di almeno 2 o 3 nodi, stando alle esperienze pratiche, persino in alto mare e con onde non particolarmente pericolose (a Gaudo era la visibilità che non era ottimale, non lo stato del mare).
Per quello che riguarda la sistemazione dell'apparato motore delle Littorio.
Vi sono state molte tipologie adottate dalle marine, che hanno cercato di quagliare le differenti esigenze di sicurezza e di economia (anche di spazi e pesi). Essenzialmente, la cosa migliore era quella di non concentrare troppe uova in un solo paniere, per evitare troppi danni con un eventuale colpo a segno. Perché non c'era modo di assicurare al 100% la sicurezza delle parti vitali della nave, anche le più protette. Certo che i depositi munizioni erano da proteggere al massimo, ma questo aveva a che fare più che altro con le esplosioni e gli incendi. Gli allagamenti non li avrebbero fatti esplodere, però li avrebbero comunque resi inutilizzabili. L'apparato motore era anche più grande, ma se anche fosse stato solo allagato anziché incendiato, non avrebbe potuto comunque funzionare. Così i depositi munizioni dovevano essere quanto meno protetti con corazze extra per evitare che arrivassero proiettili e bombe fin dentro di essi, provocandone l'esplosione. L'apparato motore era meno critico e più esteso, per cui si poteva tollerare che i colpi nemici arrivassero, anche in maniera diretta. Essendo in buona parte sotto il livello del mare, o appena sopra, era comunque probabile che i proiettili delle navi da battaglia nemici avrebbero provocato anche allagamenti, anche se fossero riusciti a penetrare dentro i comparti. Erano gli attacchi aerei che potevano causare incendi gravi. In ogni caso, le caldaie, anche esplodendo, non avrebbero affondato una corazzata.
Quindi, l'importante era almeno di evitare che un colpo a segno potesse fermare tutto il sistema propulsivo. E questo si poteva fare con una spinta compartimentazione, assieme ad una lunghezza dell'apparato motore che, inevitabilmente, comprendesse anche lunghezze elevatissime, ben oltre 50 metri e alle volte anche vicine ai 100.
Ma per rendere migliore questa distribuzione, tanto valeva sfalsare i componenti dell'apparato motore. Per esempio, un gruppo di 2-4 caldaie, seguito da uno di due turbine, e poi altre caldaie e le ultime due turbine. Così fecero britannici, francesi e americani. Questa disposizione era molto buona, perché in pratica era come se le navi avessero due apparati motori interamente indipendenti, che coesistevano all'interno di uno stesso scafo, ciascuno con le turbine, le caldaie e le eliche proprie.. L'Asse, invece, ebbe idee diverse. La Germania e il Giappone avevano uno schema simile a quello degli incrociatori, così che tutte le turbine erano dietro, e tutte le caldaie avanti. Questa era una disposizione rischiosa, perché raggruppava tutte le caldaie in un punto, e tutte le turbine in un altro.
E gli italiani? Ovviamente, non erano nulla di tutto questo. Erano troppo 'avanti'. Infatti, sistemarono tutte le caldaie al centro, e due turbine a poppavia. Le altre due... davanti.
L'irrazionalità di questa cosa è ben chiara: due assi portaelica corti, altri due lunghi, quando con la sistemazione sfalsata avresti avuto due assi corti e due medi. Considerando il costo, il peso e la vulnerabilità di questi enormi assi, la scelta italiana è veramente difficile da comprendere. Chi elogia la velocità delle 'Littorio' dovrebbe invece tenere conto che quell'apparato motore è sistemato in maniera dispendiosa e inutilmente complessa.
Il suo unico vantaggio apparente è l'aver distanziato enormemente le turbine. Ma che importa, se poi le caldaie sono tutte assieme? E le turbine a vapore, a differenza di quelle a gas, non possono fare a meno delle caldaie! Dall'altro canto abbiamo una struttura degli assi portaelica che è lungi dall'esser ottimale.
In sostanza, rispetto alle navi da battaglia precedenti, ci si limitò ad aggiungere due turbine in avanti (infatti le Cavour, a differenza degli incrociatori italiani, avevano tutte le turbine dietro e le caldaie avanti) per aumentare la potenza.
Da notare che, a Gaudo, il siluro inglese distrusse uno degli assi esterni (e quindi uno dei due anteriori, i più lunghi), oltre a danneggiare anche uno di quelli interni (e più corti) e il timone.
La sistemazione tedesca e giapponese in teoria, sarebbe anch'essa criticabile. Ma se l'aver accorpato le turbine le rende più vulnerabili, dall'altro canto: 1- sono dotate TUTTE di assi portaelica corti il che significa che sono 2-tutti poco vulnerabili e 3- costano e pesano poco. L'aver sistemato turbine e caldaie tutte assieme non passò inosservato, comunque sia, e la supposta vulnerabilità di questa sistemazione venne corretta dall'aver dato a ciascuna delle turbine e caldaie un suo singolo compartimento. La Yamato, per esempio, aveva ben 16 compartimenti, contro i 6 della Littorio. A questo aggiungiamo che sia la Yamato che la Bismarck avevano una larghezza di scafo semplicemente esuberante: ben 36 metri la Bismarck, quasi 39 la Yamato, mentre la Littorio era larga poco meno di 33. Questo rendeva possibile una sistemazione più comoda ed efficiente dell'apparato motore interno, e riduceva il rischio di danni da colpi esterni.
Per tutti questi motivi, la sistemazione delle 'Littorio' è la meno razionale di tutte quelle delle corazzate di ultima generazione.
La presenza di 3 timoni, di cui due ausiliari, è certamente un fatto positivo, che aiutava, assieme ai 4 assi, a migliorare la manovrabilità della nave. Però i due timoni ausiliari, non essendo in asse, non avevano una grande capacità di manovra. Più semplice sarebbe stato usare un timone ausiliario in asse, come era stato già fatto con le 'Cavour', e quindi con le Yamato, ma forse questo non avvenne per via del pescaggio troppo profondo che ne derivava. Non è affatto sicuro che, se un siluro avesse bloccato il timone principale alla massima deflessione, magari causando danni ad un asse portaelica e ad uno dei timoni laterali, la nave avrebbe avuto un destino diverso da quello della Bismarck. Nel caso della Vittorio Veneto, comunque sia, sarebbe bastato essere presa a rimorchio da un incrociatore pesante, e il problema si sarebbe risolto. Se la Bismarck fosse stata ancora in compagnia del Prinz Eugen, si sarebbe salvata. Ma nessuna nave, per quanto grande e potente, può operare da sola contro ogni sorta di minaccia!
Sempre a questo proposito: quando a Gaudo la V.Veneto venne colpita, il timone principale si bloccò, due assi portaelica andarono fuori uso, uno dei timoni laterali venne demolito, e la nave imbarcò 4.000 t d'acqua, inclinando la nave fino a 6° a sinistra, e rendendola immobile per circa 6 minuti. Il siluramento avvenne attorno alle 15.29, quando uno dei tre 'Albacore' riuscì, aiutato dai Fulmar (che 'distrassero' i serventi dell'a.a.) e a prezzo della sua stessa salvezza, a silurare la nave. Ripartita attorno alle 15.36, solo dopo un'ora abbondante riuscì a riprendere la velocità di 15 nodi, e sopratutto, non prima di avere fatto un giro di 360°. Guidata con il timone 'a mano' (comandi d'emergenza, probabilmente il meccanismo principale del timone era fuori uso, ma poteva ancora essere manovrato con un back-up meccanico), a quel punto riuscì a riprendere la rotta giusta. Fortuna volle che in giro non ci fossero anche i sommergibili: è molto probabile che la nave italiana non l'avrebbe potuta raccontare, se il siluro che poi incasserà in dicembre (con altre 3.000 tonnellate d'acqua) l'avesse subito quello stesso giorno.
Tutto questo dimostra come, in effetti, il timone principale fosse comunque determinante, e solo con grande fatica e tempo buono, la 'Veneto' riuscì a riprendere la rotta giusta: i timoni ausiliari, infatti, da soli non potevano bastare (anche perché... uno era andato distrutto) per contrastare un angolo non neutrale. Per dirla con Wikipedia (Battaglia di Matapan):
A partire dalle 14:30, una serie di attacchi aerei britannici si scatenarono sulla squadra italiana, condotti sia dagli aerosiluranti della Formidable sia dai bombardieri della Royal Air Force decollati dagli aeroporti greci; vennero contati due attacchi contro il Vittorio Veneto, due contro la III Divisione incrociatori e quattro contro la I Divisione, ma nessuna nave venne colpita[26]. Invece, fu il terzo attacco contro l'ammiraglia italiana, intorno alle 15:20, a riportare un successo: cinque aerosiluranti (tre Albacore e due Fairey Swordfish) della Formidable, scortati da alcuni caccia ed appoggiati dai bombardieri Bristol Blenheim della RAF, si avvicinarono al Vittorio Veneto e, mentre i caccia si buttavano in picchiata sulla corazzata per distrarre i serventi della contraerea, i tre Albacore si disposero a ventaglio davanti alla prua della nave per lanciare un attacco da più direzioni[32]; due degli aerosiluranti lanciarono i loro ordigni da distanza troppo elevata e mancarono il bersaglio, ma l'apparecchio del capitano di corvetta Dalyell-Stead riuscì ad avvicinarsi a meno di 1.000 m dalla nave prima di lanciare il suo siluro, finendo abbattuto subito dopo dalla contraerea italiana con la perdita di tutto l'equipaggio[33]. Il Vittorio Veneto cercò di schivare l'ordigno, ma senza successo: il siluro strusciò contro la prua ed esplose a poppa all'altezza dell'elica sinistra, più o meno intorno alle 15:29; l'albero motore esterno sinistro si spezzò e quello interno si fermò a causa delle infiltrazioni, il timone rimase bloccato e la nave imbarcò 4.000 t d'acqua a poppa, sbandando anche di 6º a sinistra[30]. Per sei minuti la nave rimase immobile, poi alle 15:36 riuscì a rimettere in funzione le macchine e a procedere guidata dal timone a mano, anche se solo alle 16:42 riuscì a riprendere la rotta con la velocità ridotta a 15 nodi[32] dopo aver fatto un giro completo di 360°.
A parte la sistemazione irrazionale, aggiungiamo anche che l'apparato motore della 'Littorio', per quanto affidabile, aveva alcuni limiti propri. Uno era il limitato margine di super-potenza (almeno, se è vero che sviluppava 130.000 hp e come 'extra', un massimo di 140.000). Un altro, più importante, era che pressione e la temperatura (circa 25 atm e 320°) erano praticamente le più basse in assoluto tra quelle delle navi da battaglia moderne. Il rapporto tra peso e potenza era anch'esso piuttosto scadente (il migliore era quello della Richelieu, circa 12 kg per hp). Anche se la marina tedesca ebbe problemi con la ricerca delle super pressioni ad altissima temperatura (sui 450°!) del vapore (peraltro, più marcati nei cacciatorpediniere e incrociatori leggeri, che in quelli pesanti e le corazzate), e la USN aveva dei sistemi propulsivi pesanti, è anche vero che la ricerca tecnico-scientifica dei tedeschi, e l'efficienza nei consumi degli americani giustificavano sistemi che potevano essere anche pesanti o scarsamente affidabili. La scelta tecnica degli italiani, invece, era fin troppo conservativa e non offriva nulla se non una discreta affidabilità. Non c'erano l'efficienza dei consumi degli apparati americani e britannici (le Prince of Whales erano particolarmente buone in questo senso), né l'estrema potenza, o la grande efficacia della compartimentazione interna. La cosa anche più bizzarra, è che poi gli italiani, praticamente in contemporanea con l'entrata in servizio delle ultime 'Littorio', avevano cominciato a costruire incrociatori super veloci, i 'Regolo/capitani romani', che erano incredibilmente quasi pari, in potenza, alle corazzate italiane, pur pesando poco più del 10%! Del resto, già i vecchi incrociatori 'Trento' ebbero l'incredibile potenza di 150.000 hp, nonostante che fossero navi antecedenti le 'Littorio' di circa 10 anni, e che fossero un quarto del dislocamento.
L'autonomia era poi notevolmente limitata. Certamente, per una nave 'mediterranea', fare missioni veloci di 2-3 giorni era già un buon piano d'azione, e l'autonomia era quindi adeguata. Ma le altre navi non erano concepite in maniera così restrittiva, tanto che quando gli italiani proposero l'uso delle 'Littorio' in ausilio agli alleati, nella lotta contro i Giapponesi, questi rifiutarono anche per ragioni tecniche, certo non ultima la scarsa autonomia sia chilometrica che in termini di potenza di fuoco. Le altre navi avranno potuto essere leggermente meno potenti, come le 'Prince of Whales', ma erano certo superiori per molti versi, sopratutto in termini strategici. Anche questo contava, nella valutazione delle capacità belliche, anche se da noi molti hanno la fissa del 'corazza di cintura vs cannone'. Le Prince of Whales, per esempio, benché ad alta velocità non fossero molto migliori delle 'Littorio', potevano spostarsi per oltre 10.000 miglia se avevano la cura di limitare l'autonomia a 12 nodi. Ideale, tutto sommato, più per scortare un convoglio, che per una missione d'accompagnamento ad una portaerei; ma nondimeno, ben maggiore di quel che poteva fare la Littorio anche al meglio di sé, per esempio circa 4.500 miglia a 16 nodi, o probabilmente, circa 5.000 a 12-13 circa.
Questo fatto dell'autonomia è pure importante, perché andava comunque ad incidere su ALTRI aspetti della progettazione. Supponiamo che la Bismarck, che era simile in dislocamento, età e concezione alla Littorio, avesse avuto differenti requisiti, per esempio quello di combattere sì, ma soltanto nel Mare del Nord. E l'autonomia, e quindi la dotazione di carburante, fosse circa la metà di quella effettivamente usata realmente. Questo avrebbe comportato circa 4.000 tonnellate di nafta in meno. Se ciò avesse avuto solo questo cambiamento, allora la Bismarck a pieno carico sarebbe stata circa 41.000 t, e probabilmente almeno un nodo più veloce (per le Iowa la differenza calcolata è in effetti 0,25 nodi per ogni 1.000 tonnellate più o meno). E acciaio sufficiente per costruire almeno 4-5 sottomarini, oppure circa 70 carri Tiger. Non male come cambio!
Oppure, avrebbe avuto qualche altra combinazione, per esempio altre 2.000 tonnellate di acciaio da corazza, così facevano circa 20.000 tonde tonde. Se si usava appieno il margine, si sarebbe arrivati a 22.000 tonnellate, giusto come la Yamato!
E' un fatto notevole, perché a quel punto la cintura corazzata poteva diventare di 350, persino 380 mm, e il ponte corazzato principale 120-150 o addirittura, 160-180 mm. E le torri e torrione, fino a 400 mm nei punti più spessi.
Oppure, una corazza meno spessa e torri da 406 mm, o ancora una combinazione (chissà perché scartata fin dall'inizio) di torri trinate, o un misto di trinate e binate, per un totale di 9 o 10 cannoni da 380 o 406 mm. Più ponte principale da 100-150 mm e cintura da 350. Praticamente come sulle 'Littorio'. E persino di più, se con tre sole torri (minore lunghezza della cittadella).
Non c'é da stupirsene, già le Bismarck avevano, nella misura in cui vennero realizzate, circa 4.000 tonnellate di corazza extra rispetto alle Littorio (+22%), oltre ovviamente al doppio della nafta.
Oppure, al contrario, si sarebbe potuto immaginare le Littorio con un margine di 45.000 tonnellate, ma 8.000 in quota 'nafta'. Risultato, la cintura corazzata passata da 70+280 a 50+250 mm; il ponte principale sceso a 80-120 mm a far tanto (come sulle Bismarck!), torri e barbette spesse sui 300 mm al massimo, più probabilmente 280. Torre n.2 rimpiazzata da un sistema binato. Torri secondarie da 152 mm diventate binate anziché trinate,e con spessori massimi di 100 mm (di nuovo, come sulle Bismarck, che però ne avevano sei).
E' un calcolo spannometrico, ma rende l'idea di quello che sarebbe stato cambiare i requisiti della nave. Del resto, la Regia Marina aveva costruito decine di sommergibili oceanici nel periodo prebellico, quindi perché non anche delle corazzate?
Detto questo, per quanto riguarda la comparazione dei sistemi propulsivi.
Protezione della Littorio: pregi e difetti
La Littorio e le sue sorelle avevano complessivamente un'ottima protezione, e senz'altro essa era caratterizzata da molte soluzioni innovative, oltre ad essere estesa e con una moltitudine di spessori e piastre variamente distribuite.
In realtà, essa è la vera 'chicca' dell'analisi sulla Littorio. Non solo per la super-cintura, di cui si è già parlato prima. E non solo per i cilindri Pugliese, ma anche per altri aspetti, come la volontà precisa di usare piastre scappuccianti a protezione di quelle principali, più piastre leggere anti-schegge per riparare gli organi interni.
Protezione orizzontale
Iniziamo quindi dal ponte, anzi dai ponti, perché essi, malgrado siano meno conosciuti, NON SONO MENO COMPLESSI delle protezioni verticali!
Quello di coperta, innanzitutto: a quel che se ne sa, era 36 mm a centro nave, 45 mm sui depositi.
Poi c'era il ponte intermedio, 12 (o forse 14, in certe zone) mm.
E infine, il ponte corazzato principale: era spesso fino a 162 mm.
Si potrebbe fare una comparazione con le corazzate tipo 'Richelieu', che avevano un ponte da 150-170 mm, e pertanto concludere che fossero dello stesso livello. Ma sarebbe vero?
No, ovviamente! Niente è facile, quando bisogna analizzare il design di queste navi da guerra italiane!
Spieghiamo bene il perché. Il ponte di coperta, anzitutto, è fatto non di 45 mm di acciaio balistico (omogeneo), ma di 36 mm più 9 di acciaio da costruzioni (ER, elevata resistenza, quello che in UK è il Ducol o in USA è l'STS), che però era utilizzabile anche come corazza. Il ponte intermedio, oltre ad essere sottile (è praticamente quel che ci si può aspettare in una nave rispettabilmente robusta: forse i punti da 14 mm, se ci sono, sono considerabili come 'rinforzati', ma per avere una 'vera' corazzatura bisognerebbe arrivare attorno ai 20!).
E poi c'é il ponte principale. Suddiviso in ben NOVE differenti settori:
-Prua, centro e poppa
-Centrale e laterali (per ciascun settore).
In tutto, la distribuzione della blindatura era così fatta:
-Centro nave: quella più spessa, si estende sul 60% del totale
-Lati: 20% l'uno, che complessivamente fanno un non trascurabile 40% della larghezza dei ponti
Spessori effettivi:
-Centro nave: 112 mm centrali, 99 mm laterali
-Estremità: 162 mm centrali, 109 mm laterali
Chiaro? Mentre la Richelieu, complessivamente, aveva 150 mm su TUTTA la zona centrale, mentre arrivava a 170 sui magazzini. Quindi in realtà, il valore di '162 mm' non era affatto intermedio tra quelli della cuggina francese. La 'media' suggerisce invece che, conteggiando la zona magazzini come la metà (?) della superficie centrale (a sua volta il 60% del totale), abbiamo: 162 mm x 30% + 112 mm x 30% + 99 mm x 20% + 109 mm x 20% = spessore medio sui 123 mm. Che non è, sia chiaro, nemmeno male: ma che protegge in maniera efficace SOLO i depositi munizioni, mentre i macchinari sono senz'altro molto più vulnerabili.
Questo, senza però considerare il fatto che gli spessori di corazza 'balistica' vera e propria erano minori, ovvero:
-Centro nave: 100 mm e 90 mm laterali
-Estremità: 150 mm e 100 mm laterali.
Riassumendo: la protezione orizzontale delle 'Littorio' si potrebbe definire così:
-Coperta: 36 o 45 mm
-intermedio: 12 (-14?) mm
-Principale: 99, 109 o 162 mm.
MA, depurato dalla struttura ER (acciaio da costruzione di elevate caratteristiche, in pratica dalla 'nave' vera e propria):
-Coperta: 36 mm
-intermedio: 0 mm
-Principale 90, 100 o 150 mm.
Quale delle due è 'giusta'?
Nessuna delle due, sostanzialmente: il fatto che l'acciaio è da costruzione non autorizza ad ignorarlo, ma nemmeno a considerarlo parte della protezione balistica a pieno titolo. Nathan Okun, per esempio, calcola lo spessore equivalente (in acciaio omogeneo) del ponte di coperta in circa 42 mm, e quello principale in 157 mm (sui depositi). Questo, probabilmente è dovuto anche alla regola empirica che, a quanto pare, considera come di due piastre d'acciaio giustapposte, la protezione totale equivalente è pari a quella della più spessa più il 70% di quell'altra (e quindi 36+6 = 42 mm! Oppure 150+8 mm = 158 mm, al netto delle differenti qualità balistiche).
Ad ogni modo, non c'é alcun dubbio che un colpo 'pesante', sarebbe stato pericoloso solo a fortissime distanze sui depositi... mentre le sale macchine erano francamente un pò troppo vulnerabili. Addirittura, sembra che il centro delle 'Littorio' fosse più vulnerabile di quello delle vecchie 'Cavour', perché queste ultime avevano pur sempre coperta di 42 mm, intermedio di 30 e principale di 80 mm. Posto che, a dire il vero, un singolo ponte corazzato di spessore equivalente a due spaziati, in teoria dà una maggiore resistenza alla penetrazione (ma più ponti corazzati possono anche anticipare le esplosioni, o deviare i proiettili!).
Nell'insieme, le criticità appaiono due: una, è l'insufficiente protezione a centro nave, per le ragioni di cui sopra. L'altra, è la protezione laterale, che costituisce un problema da non sottovalutare. Infatti, il 40% di protezione dei ponti in zona depositi, era drammaticamente debole! Se un proiettile o meglio ancora, una bomba, fosse arrivata lì, esplodendo o continuando la penetrazione, avrebbe perforato con una certa facilità il ponte corazzato, e dopo, tra la minaccia e i depositi munizioni, ci sarebbe stata solo una corazzetta paraschegge da 24 mm, e una paratia non protetta da 8 mm. Il peggio, oltretutto, è che la corazzetta era inclinata all'indietro, che era cosa buona se doveva fermare minacce provenienti dalla cintura corazzata... ma non era affatto buona, se arrivava un colpo tramite il ponte, perché si sarebbe fatta trovare 'inclinata' proprio nel modo migliore per essere più facilmente penetrata! E la paratia da 8 mm non avrebbe potuto praticamente nulla per evitare il peggio.
Poi certo, un colpo dal lato avrebbe significato 70 mm +scafo (verticali/inclinati) + 100 mm+12 mm (orizzontali) + 24 mm (inclinata all'indietro)+ 8 mm (verticale), e un colpo dal ponte avrebbe significato 100+12 mm + 12(14?) mm + 100+12 mm +24 mm (inclinata)+ 8 mm (verticale). Non proprio uno scherzetto, insomma. Ma nemmeno impossibile, per un grossissimo calibro o una potente bomba.
Questo vale, anche se con conseguenze minori, anche per le sale macchine, con l'aggravante che lì il ponte da superare era di soli 90+9 mm, e per giunta, quello di centro nave pare fosse solo di 36 mm (in coperta).
Il fatto che le navi da battaglia americane avessero corazze più spesse nella zona più esterna del ponte, non è un caso, basandosi anche nel fatto che sopra la zona centrale c'erano delle robuste sovrastrutture, fonte di altra protezione.
Altro errore notato da Okun: sarebbe stato molto meglio cambiare la disposizione delle corazzette antischegge esterne, mettendo quella da 24 dietro la cintura, e quella da 36 mm (ben più robusta e credibile) più all'interno (queste due corazze, tra l'altro, determinavano gli spazi delle casse di compenso).
Nell'insieme, solo nei 2/9 dei settori (circa il 30% della superficie totale del ponte corazzato, a sua volta probabilmente solo circa il 70% dell'intera nave), c'era una blindatura sufficiente, ma con gravi problemi di affidabilità se qualche colpo fosse arrivato 'per le strade laterali' vicine ai depositi.
Disposizione molto complessa, insomma, ma dall'affidabilità più che dubbia, malgrado lo spessore non fosse particolarmente esile.
La Bismarck, per fare un esempio, era pure provvista di nove settori: solo che erano: quello centrale, 80 mm più ali da 110; quelli d'estremità (depositi), 95 (o 100) mm, lati 120 mm (inclinati). Nell'insieme, i due ponti principali avevano spessori da 130-170 mm, più i 13 o 20 (a seconda delle fonti; Okun dice 13) mm del ponte intermedio. Notare che, intermedio a parte, tutti i ponti erano in acciaio balistico puro, senza supporti 'non balistici'.
Cintura corazzata
Quanto alla leggendaria cintura corazzata delle Littorio, essa è senz'altro un capolavoro di complessità, nell'insieme abbastanza efficace. Qui, per brevità, tralasciamo le cinture secondarie (a seconda delle fonti, 60 o 70 mm fino a prua, 90-100 mm verso poppa), più snelle e meno estese.
Anzitutto, la posizione in cui essa insisteva. Essa proteggeva la cittadella ed era quindi, presumibilmente, pari ai 'tubi assorbitori Pugliese', ergo lunga 120 metri (appena il 51% della lunghezza f.t. della nave, o meglio ancora, circa il 53% della linea di galleggiamento). Si sviluppava da poco oltre un metro sotto il livello di galleggiamento, sostituendo quindi i cilindri Pugliese, procedendo verso l'alto.
Come era fatta la cintura della Littorio?
BEH, questa è una bella domanda.
La risposta, più o meno, è '350 mm di spessore'. Costante (a differenza di altre cinture).
No, non proprio. Magari fosse così semplice.
La risposta più precisa è: 70 mm di corazza esterna, più 280 mm interna.
No aspettate, nemmeno questa è la verità assoluta.
Bisogna aggiungere 10 mm di acciaio 'da costruzione' alla corazza esterna, così abbiamo in realtà 80 mm (a cosa serve, visto che non fa parte dello scafo, è difficile dire), però va notato che l'acciaio usato non è del tipo indurito, ma omogeneo e da costruzione. Poi abbiamo 250 mm di vuoto, che secondo alcune fonti è riempito, in realtà, da cemento... poi abbiamo 280 mm di acciaio ad alta resistenza indurito... poi 15 mm di quello ad alta resistenza (presumibilmente lo scafo vero e proprio), con uno strato di legno di qualche cm a fare da ammortizzatore tra i due (almeno da quel che ho capito). POI, non bastando... 36 mm di acciaio di tipo probabilmente omogeneo, ad una certa distanza (1-1,5 m?) dalla struttura principale. Il tutto è inclinato, e questo lo diciamo poi, con calma, perché ovviamente, nemmeno stavolta la risposta è semplice! E infine, 24 mm di acciaio sistemato con una diversa inclinazione (verso l'interno) ancora più dietro.
Anche senza considerare l'inclinazione, abbiamo quindi: 70 mm AO+10 AC+ 250 cemento (non pienamente confermabile, a dire il vero) + 280 mm AI, più xxmm legno (50 mm?)+ 15 mm AC+ 36 mm + 24 mm interni.
BEH, non è un lavoretto fatto bene? La somma totale fa ben 350 mm acciaio balistico, 35 mm da costruzione, più 60 mm paratie interne (balistiche?), totalizzando la mostruosa cifra di 445 mm, in non meno di 6 (sei!) piastre diverse.
E, ad essere pignoli, anche una paratia da 8 mm non corazzata, che era pure presente in funzione anti-allagamento.
E il tutto va visto anche alla luce dell'eccellenza raggiunta dalle acciaierie speciali ternane nelle leghe ad alta resistenza.
Questa gigantesca struttura è significativa perché, sostanzialmente, è progettata per fermare praticamente qualunque proiettile con un'azione tripla, come nei ponti corazzati delle navi. La RM, per qualche ragione, è stata la sola ad avere ben chiara la questione dei proiettili perforanti con il cappuccio (APC) e dei loro limiti. Per perforare acciai induriti senza rischiare di frantumarsi, infatti, questi proiettili dovrebbero far affidamento al loro cappuccio balistico, spesso a sua volta coperto -essendo tozzo- da un frangivento appuntito, dentro cui è anche solitamente sistemata la vernice che serve per riconoscere (dal colore) le salve di una nave da battaglia da quelle delle altre similari in azione. Una volta che la granata impatta contro una piastra d'acciaio, però, il cappuccio generalmente si frantuma, perché non è concepito per penetrare molto a fondo nelle piastre d'acciaio, ma per sacrificarsi erodendo la superficie della piastra indurita (che è quella più dura) per permettere al proiettile di entrare più facilmente (e sopratutto, senza sbriciolarsi). Questo è un fatto ben noto (gli APC, armour piercing capped, esistevano anche prima della Grande Guerra), per cui è davvero sorprendente che questo tipo di soluzione non sia stato adottato da altre marine, a parte (sulle South Dakota e le Iowa), dalla Marina americana (ma non in maniera davvero sistematica, non quanto fecero gli italiani, almeno). Una volta che il proiettile perde il cappuccio, ha una perdita di potere perforante data dalla massa di questa parte della munizione, che andando persa, si porta dietro anche l'energia cinetica. E poi, aggiungendo a questa piastra una seconda, di tipo indurito (possibilmente anche di più del proiettile stesso), si ottiene con una certa facilità la disintegrazione del proiettile, anche quando questo avrebbe potuto entrare! E infine, per evitare che schegge provenienti dalla corazza principale si stacchino facendo comunque danni (per non parlare dello stesso proiettile), vi erano ben due e assai robuste paratie di acciaio, inclinate a loro volta (la seconda, a dire il vero, per coprire sopratutto lo scafo interno dai colpi in arrivo dai ponti).
E poi c'é l'inclinazione. Già, ma quant'é l'inclinazione?
Nathan Okun dice 8°. Whitley pare che sostenga 11°; altri, come Giorgerini e Cernuschi, sui 14 o 15°. L'ottimo Gino Galuppini, nella sua guida a tutte le corazzate della storia (niente di meno!) sostiene addirittura...25 gradi.
Per capire quant'é importante l'inclinazione, basti dire al riguardo che una corazza inclinata di 10° è più o meno equivalente al 10% di resistenza extra, anche se in realtà, dal punto di vista geometrico, lo spessore virtuale incrementa di meno del 5%. L'aumento dell'inclinazione, di fatto, è superato dall'efficacia pratica, e più l'inclinazione aumenta, e più la piastra offre protezione. Quindi stabilire se è 8, 11, 14, 15 o 25° è importantissimo per calcolare l'efficacia di questa protezione.
Dico subito che Galuppini ha preso un abbaglio: 25° sono troppi, non c'é nulla da fare, specie se si calcola l'angolo a metà nave o anche nella zona dei depositi.
Per capire questo, basti dire che diverse corazzate americane,francesi e giapponesi ebbero corazze sistemate internamente allo scafo, con il grande vantaggio di non dover rispondere alle leggi dell'idrodinamica, nello stabilire la propria forma, visto che a questo ci pensavano le piastre (non protette, o anche leggermente corazzate) esterne. Questo permetteva anche di estendere la cintura fino al galleggiamento, aumentando progressivamente la distanza dallo scafo e formando una paratia antisiluro. Soluzione persino elegante, rispetto ad avere una cintura corazzata e sotto, una paratia antisiluro del tutto slegata dalla prima.
Ma c'erano anche delle controindicazioni. la piastra corazzata era un pò troppo vicina allo scafo, e sopratutto era troppo rigida, mentre la giuntura tra la cintura superiore e le piastre più leggere era vulnerabile alle grosse esplosioni subacquee, per cui doveva essere rinforzata adeguatamente (come accadde alla Yamato, per esempio).
Nell'insieme, comunque sia, questa soluzione era assai efficace rispetto ai proiettili veri e propri, arrivati sott'acqua da distanze relativamente ridotte. Se si pensa che questa sia un'esagerazione, si consideri che la marina giapponese aveva dei veri e propri proiettili concepiti per questo scopo (non bastando i siluri 'Long lance', che già pareggiavano in gittata i cannoni di grosso calibro!).
Le King George V avevano una cintura più corta, ma era alta il 50% in più, ergo ben 7,2 metri, di cui circa 4,6 sotto il livello del mare (una grossa mano per la protezione anti-siluro!), quando la Bismarck ne aveva solo 1,6 metri su 4,8 (il 33%). Queste navi avevano quindi una protezione eccezionale, eppure essa non venne sfidata alle distanze normali di combattimento, nonostante i numerosi colpi arrivati a segno, ben più di quelli che vennero messi a segno dalle Littorio in tutta la II guerra mondiale.
Le paratie corazzate di tipo normale, potevano se non altro essere sistemate molto più indietro, e quindi più al sicuro dalle esplosioni più potenti. Meglio se inclinate verso il basso, come sulle Scharnorst; ma andavano bene anche verticali. La Bismarck era capace di reggere esplosioni di 250 kg di TNT, malgrado avesse una distanza dallo scafo della paratia corazzata di appena 3,7-5,5 metri. Troppo poco, forse, e sopratutto con una disposizione un pò discutibile (uso di paratie 'piene' di liquido a ridosso della paratia, senza altre paratie di separazione, né dietro la stessa per contenere eventuali allagamenti dovuti a rotture della pur robusta struttura da 45 mm).
L'impressione, tornando alla cintura delle Littorio, è che essa fosse 8, al più 11° di inclinazione. Questo è dovuto ai disegni disponibili, che dimostrano, quelli più dettagliati in particolare, come l'inclinazione fosse piuttosto modesta. Del resto, se persino le cinture interne non arrivavano che a 20° (nella Yamato), perché mai quelle esterne avrebbero potuto raggiungere angoli particolarmente acuti?
Le foto disponibili fanno capire chiaramente che la fiancata era effettivamente inclinata, ma non in maniera particolarmente elevata. Una decina di gradi è quello che ci si può aspettare al massimo, l'unico dubbio è se sono 8 o 11, per come la vedo io. 14-15 sono ancora possibili, ma ben poco probabili.
Ma tutto questo non è ancora sufficiente, perché manca un'altra cosa: l'estensione. Ovviamente, se la cintura è troppo piccola, non sarà efficace nel parare i colpi, anche se l'hanno fatta 'imperforabile'.
La lunghezza dovrebbe essere esattamente di 120 metri (quando la lunghezza della Impero è di 237,8 m, 224,5 m sulle perpendicolari, per 32,9 m f.t. o alla carena, di 32,4 metri; immersione p.c. 10,5 m e bordo libero 16,6 m, per un dislocamento di 41.377-45.963 t v. SM 3/14).
L'altezza della cintura, secondo gli schemi disponibili, sembra molto ampia: in realtà non proprio, sono gli schemi che esagerano. Secondo Whitley, quanto meno, era sui 3,76 metri. Anche per questo era così spessa. Ma la sua estensione era, a quel punto appena sui 450 mq. Secondo SM, invece, stando allo schema illustrato, dev'essere stato verso i 4,5 metri di altezza (circa 540 mq complessivi), ma ancora non è chiaro affatto, che tipo di raccordo viene fatto con lo scafo, con una sorta di inclinazione alta probabilmente circa un metro. Non è affatto chiaro se sia solo una specie di scalino vuoto, tanto per raccordare una cintura molto voluminosa e totalmente appoggiata all'esterno, oppure ha un suo spessore blindato, ancorché decrescente (in questo è molto simile, apparentemente, alle navi tedesche coeve).
Questo valore è poco più della metà delle Bismarck, per cui si può cominciare a capire bene come mai, malgrado la quantità di corazzatura superiore, la nave tedesca avesse una minore grossezza della cintura! Inoltre la Bismarck aveva un ponte inclinato di ben 68° dietro, spesso 110 mm (praticamente, la protezione di un carro T-64). Combinando le due strutture, più la paratia antischegge da 30 mm sopra il ponte corazzato, o quella antisiluro da 45 mm sotto, si capisce come mai fosse praticamente impossibile passare attraverso questa eccellente protezione (anche considerando gli acciai speciali tedeschi, al solito eccellenti). Probabilmente solo dei colpi a segno da distanze 'alla corsara' (bruciapelo) da parte dei cannoni delle navi da battaglia dell'epoca erano capaci, colpendo obliquamente, di perforare questa struttura, che comportava complessivamente circa 600 mm di spessore totale.
I cilindri Pugliese
Il sistema di protezione subacqueo, non meno caratteristico della cintura corazzata stratificata, era quello noto come 'Pugliese', dal nome dell'ideatore.
Il 'Pugliese', fa parte del fascino di queste corazzate. A vederlo in sezione, sembra un occhio, quasi una figura mistica disegnata in qualche geroglifico maya. Invece, era di fatto un'estrema interpretazione dello schema protettivo introdotto dai britannici con le navi da battaglia della Grande guerra, come le Revenge. Esso si basava su una carena dentro la quale c'erano una serie di tubi vuoti e sigillati. Una buona idea, che comportava, per l'esplosione, il dispendio di risorse per frantumare i tubi e passare oltre; e non solo, la presenza di questi tubi tendeva a spezzettare il fronte d'urto dello scoppio, riducendone ulteriormente l'efficacia.
La soluzione escogitata da Pugliese era portare all'estremo questa teoria. Partendo dalla considerazione che più i tubi erano di ampio diametro, e più erano efficaci, finì per sistemarne uno solo! In teoria, questo grosso tubo veniva distrutto dall'esplosione e implodeva, essendo circondato da liquido (prima nafta, poi, come veniva sostituita, da acqua di mare), prima che l'esplosione raggiungesse la paratia corazzata dietro. Eventuali perdite sarebbero state parate dalla paratia finale, circa 8 mm di spessore, ovviamente non corazzata, ma nondimeno, a tenuta stagna.
Un sistema non propriamente infallibile, e soggetto a critiche dagli storici, quanto da adulazione da gente 'dilettante' che scrive della sua efficacia. Per fortuna i giudizi sono più bilanciati, mano a mano che la conoscenza filtra (sic) attraverso la Rete.
La Littorio aveva una protezione capace di reggere 300-350 kg, le Re Giorgio V arrivavano a 450 kg.
Bisogna dire che questi erano valori 'garantiti', si poteva anche fare di meglio. Ma solo al centro nave, dove lo spessore del sistema antisiluro era superiore.
Nel caso della Littorio, questo sistema era spesso quasi 7 metri (con un fronte esterno di 14-15 mm, e un doppio fondo da 9-11 mm a circa 1-1,5 m distante, cilindri spesso 6 mm, e paratia di 40 mmm curva, ridotta a 28 mm nella parte inferiore), ma a quanto pare senza considerare la paratia da 7,9 mm dietro a quella corazzata da 40 (28 mm nella parte più in basso). Per questo era marginalmente più efficace di quello della Bismarck (spesso al massimo 5,4 metri, ma alle estremità solo 3,75), perché un metro è tantissimo per un sistema anti-siluro, che è concepito come avente spazio 'sacrificale' per permettere all'esplosione di espandersi.
I Tedeschi, per esempio, testarono il sistema di protezione della Impero, nell'estate del '44. Francamente è difficile capire cosa gli importasse, all'epoca, di una tale sperimentazione, visto che oramai di navi da battaglia non ne avrebbero mai più costruite, e lo sapevano bene.
Comunque sia, sebbene la Impero abbia resistito bene ai test, va detto che si trattava di una nave enormemente più leggera (10.000 t?) di una vera 'Littorio' in assetto di combattimento, con le relative immersioni (e pressioni dell'acqua).
Ma quali erano gli inconvenienti del 'Pugliese'? A parte che il sistema doveva essere posto in opera con la massima cura, perché era basato su di un principio piuttosto delicato da mettere in pratica.. la teoria era a sua volta discutibile. La paratia interna era a 'diga'. L'esplosione avrebbe avuto pochi problemi a seguire 'istintivamente' la superficie del tubone, per concentrarsi nella concavità della paratia, errore madornale nella concezione di questa struttura. Era quella più gradita all'onda d'urto di una qualunque esplosione. Una paratia inclinata avrebbe potuto farla deviare (nelle navi americane, tendenzialmente, le paratie erano multiple e convesse), una verticale avrebbe 'incassato' lo stesso ammontare di carico equamente ripartito (o almeno, ci si sarebbe avvicinata). Ma una struttura concava è a tutti gli effetti quel che nella terminologia dei carri armati è definita 'shot trap', trappola per colpi. Ergo, punti in cui i proiettili, anziché essere invogliati ad andarsene, sono trattenuti a forza, o deviati in maniera strana e pericolosa (per esempio, i pur potenti Panther avevano una pericolosa shot trap nel mantello inferiore del cannone).
Non solo questo: poniamo che la cintura fosse stata evitata da un proiettile a traiettoria subacquea, questo molto probabilmente avrebbe percorso tutta la struttura del sistema antisiluro e sarebbe esploso contro la paratia antisiluro. Quest'esplosione era ovviamente molto meno potente di quella di una testata di siluro o mina; ma le esplosioni decrescono in efficacia con la radice cubica! E la paratia da 40 mm poco avrebbe potuto fare. Già sulla Bismarck, uno colpo della P.o.W. causò, sulla paratia, un discreto danno, con tanto di allagamenti locali. Ed era una paratia verticale da 45 mm.
Per giunta, la parte inferiore della paratia antisiluro Pugliese era quasi verticale, ma spessa, almeno sulla Impero, 28 mm appena. Questo non era solo uno spessore meno grande, ma era proprio una soluzione di continuità tra la piastra più spessa e inclinata, e quella più in basso. E questa differenza era fonte di notevole debolezza strutturale (proprio una bella idea, quella di interrompere una paratia antisiluro praticamente a metà, eh?).
Poi c'era il problema della disponibilità di spazio. La struttura del tubo antisiluro era di 380 cm di spessore, nella parte centrale della nave. Beh, all'altezza delle torri di grosso calibro, a quanto pare sia a prua (più comprensibile) sia a poppa (molto di meno), calava notevolmente: si dice fino ad appena 230 cm, ergo un terzo in meno. Quando un siluro di un sommergibile britannico (l'Urge, se ricordo bene), colpì la V. Veneto in zona della torre C, non c'é quindi da stupirsi se le paratie cedettero di schianto e la nave imbarcò 3.000 tonnellate d'acqua, uccidendo 40 persone, per lo più nei magazzini di grosso calibro. La nave di per sé non ebbe gravi conseguenze, ma la struttura aveva dimostrato di essere molto vulnerabile e che le esplosioni subacquee di grossi ordigni non erano assolutamente parabili dal sistema antisiluro.
Quanto di questo fosse dovuto al sistema Pugliese di per sé è materia di discussione.
Però:
1-il sistema Pugliese si estendeva per 120 metri, il che significa poco oltre la metà della lunghezza della nave.
2-anche nella zona del ridotto corazzato, la struttura era di spessore pieno solo a centro nave, dove c'erano i locali macchine, peccato che questi erano anche i più sacrificabili rispetto alle riservette di munizioni.
3-il sistema non era capace di reagire in nessun modo né alle estremità dello scafo, né sotto di esso, dove piuttosto c'era un convenzionale doppio scafo, che diventava addirittura triplo nella zona del ridotto (dove era anche presente la cintura principale e il cilindro assorbitore Pugliese).
Nelle relativamente frequenti 'sperimentazioni' dal vivo che subirono le corazzate Littorio, sei siluri colpirono lo scafo sott'acqua (probabilmente la bomba è quella che attraversò la Roma). Di questi, solo due siluri e una bomba Fritz-X colpirono la zona dei cilindri assorbitori. Ma nessuno di questi ordigni colpì la parte più spessa degli stessi!
Quindi, viene un pò il dubbio: se su una mezza dozzina di colpi solo un terzo arrivò al sistema Pugliese e nessuno nel punto più spesso, era questo un tipico caso di soluzione teoricamente ingegnosa, ma di tipo poco pratico?
I sistemi antisiluro sono tutti deficitari in copertura, specie verso le estremità (del resto considerate più sacrificabili). Ma a Taranto 5 siluri su 5 impattarono le navi da battaglia tutte 'pugliesizzate', e il risultato fu catastrofico. La Littorio non affondò nettamente, solo perché portata in acque basse.
Si beccò tre falle da 7x1,5 m, 12x9 m e sopratutto, 15x10 metri, tanto da andare ad incagliarsi per evitare l'affondamento. La Littorio venne risollevata solo un mese dopo, e buon per lei che un quarto siluro rimase inesploso lì vicino alla nave, invece di fare il suo 'lavoro'. Tutto quel che si può dire è che le riparazioni furono velocissime (circa 4 mesi), però a scapito di quelle di altre navi.
La Duilio andò a spiaggiarsi dopo avere subito una falla di 11x7 metri; la Cavour ne ebbe una di 12x8 metri e affondò davvero, anche perché tutti i soccorsi erano orientati eccessivamente alle altre due unità. Ora, i siluri colpirono praticamente al di fuori della zona più protetta dai sistemi Pugliese. Ma questa non è una buona scusa perché questi non abbiano funzionato. che sistema è quello che proteggerebbe, ma solo se il siluro ha la delicatezza e la sensibilità di colpire esattamente i punti dove è presente, possibilmente nei massimi spessori? Non è un pò chiedere troppo dalla fortuna? E alla cattiva mira del nemico?
Va ricordato che la Yamato venne affondata con molti meno siluri della Musashi, anche perché apparentemente gli americani mirarono sopratutto alle zone più estreme, in maniera tale da trovare dei punti meno protetti e più danneggiabili, in base al ragionamento che è meglio danneggiare seriamente un punto secondario, che non fare quasi niente con un uno primario ma ben protetto. E funzionò, a dire il vero: 10-12 siluri e una mezza dozzina di bombe fecero esplodere la Yamato poco più di un'ora dall'inizio degli attacchi, mentre la Musashi sopravvisse per 4 ore a 19 siluri e 16 bombe, tanto che per poco non riuscì a spiaggiarsi (se solo la costa fosse stata entro 15-20 km, per esempio, ci sarebbe riuscita).
Quindi, tanto per cambiare, il sistema Pugliese è la solita soluzione brillante ma non molto pratica, bella a vedersi con quell'occhio che ti guarda, nelle sezioni (è inconfondibile!) della nave, ma ha un'utilità marginale a dire già in teoria e certamente non è stata confermata dalla pratica come migliore dei tipi tradizionali.
Tanto per intendersi: la Littorio prese 3 siluri dello stesso tipo di quelli che ebbe la Bismarck (forse addirittura 4 in tutto). Se la Bismarck avesse avuto la stessa vulnerabilità (o sfortuna?) della Littorio, non ci sarebbe stato bisogno di finirla con le cannonate a bruciapelo. Sarebbe affondata da sola, e le navi inglesi avrebbero dovuto solo raccogliere le scialuppe in mare. Beh, almeno si sarebbe evitato un evidente spreco di vite umane, come accadde alla coriacea nave tedesca.
NB: la Littorio, a differenza di quanto spesso si legge, NON FU PRESA DI SORPRESA: infatti gli aerofoni avevano dato l'allarme e la nave era in assetto d'allarme, e quindi anche i compartimenti erano chiusi. Inoltre i siluri andarono a segno nelle due ondate, giusto come furono due gli attacchi che affondarono poi la Roma nel settembre 1943 (anche la Roma era in assetto di combattimento, ma fu presa di sorpresa nel vedersi attaccare da aerei quasi sulla verticale, apparentemente fuori dalla possibilità di lanciare... bombe normali; però, dopo la prima bomba a segno, Roma e Italia ebbero tutto il tempo per reagire, inteso il nuovo pericolo, eppure vennero colpite ugualmente).
Il Torrione
Adesso, per quanto riguarda il torrione di comando, che probabilmente -pur essendo poco citato- era la caratteristica PIU' distintiva delle unità della Regia Marina. Le navi italiane si facevano notare per l'eleganza delle forme, ma l'essenzialità della loro sovrastruttura era evidente, stranamente, sopratutto nelle navi più grandi (mentre i cacciatorpediniere e persino le torpediniere erano caratterizzate da sovrastrutture francamente un pò troppo massiccie e 'superflue' per navi di quella classe, che tra l'altro erano tra quelle meno armate). A dire il vero, dovremmo dire LA sovrastruttura, perché c'era, praticamente, solo un grande torrione integrato.
Il torrione di comando era essenziale, perché permetteva di ridurre le sovrastrutture, e al contempo di proteggere quelle che c'erano. Così c'erano meno bersagli da colpire per i cannoni nemici, e quello che c'era, era tutto protetto, molto compatto e ben integrato.
Il torrione delle Littorio era con la stessa filosofia delle altre navi nuove o ricostruite della flotta principale italiana. Anche se inevitabilmente parte delle strutture fossero esterne ad esso, come le plance comando e timoneria, era pur sempre un concetto molto ardito e semplificatore, che spiega in parte come mai le Littorio sembrassero quasi come navi della Grande Guerra, non fosse stato per la batteria di cannoni da 90 mm laterali.
Ma il problema era, in realtà, solo apparentemente risolto.
Da un lato, questi torrioni erano troppo stretti per ospitare tutto quel che c'era, e anche con le strutture esterne, lo spazio non abbondava. E meno che mai abbondava, quando a bordo c'erano i comandi di divisione o di squadra.
Del resto, c'é una ragione per la quale le altre marine non ebbero questo tipo di sistemazione, preferendo la classica separazione tra una plancia medio-bassa, e un alto albero per la S.D.T. La Yamato è un'eccezione parziale, ma il suo torrione era ben più grande e massiccio anche di quello delle Littorio.
Dall'altro lato, la corazzatura di protezione non era poi così buona, anzi!
Le Cavour, per esempio, avevano un torrione rivestito con 24 mm di corazza (non è chiaro se essa si aggiungeva ad altre piastre, forse di acciaio da costruzione?). Questo 'collo' aveva al suo interno una spina dorsale da 100 mm, che collegava il cervello della nave, il torrione vero e proprio (260 mm), con il corpaccione della corazzata, arrivando fino al ponte corazzato principale (come del resto lo stesso torrione). In verità, questo spessore era appena superiore a quello che sarebbe servito per sopportare la struttura stessa, così pesante, della torre di comando.
Questo torrione, nel suo muro 'esterno', poteva reggere ragionevolmente bene al fuoco di mitragliere, schegge non troppo pesanti e poco altro. Ma persino un cannone da 75-76 mm, entro qualche km, avrebbe potuto causare seri danni, specie se con proiettili AP.
I pezzi di medio calibro erano più temibili: i 90-100 mm probabilmente potevano, con la forza dell'esplosione, danneggiare le pareti anche senza riuscire a penetrarle, e questo anche a distanze elevate.
I 120-127 mm, erano perfettamente capaci di perforare questo tipo di struttura con gli AP, e i 127 mm con le granate 'common' (HE, le più usate), potevano ancora perforare quasi 40 mm di acciaio a 9.150 m, per cui probabilmente potevano minacciare questo tipo di torrione fino quasi alla loro massima gittata (15-16 km).
I proiettili degli incrociatori leggeri erano capaci di penetrare o di danneggiare questi torrioni senza problemi, potendo, nel caso dei cannoni inglesi da 133-152 mm, perforare 76 mm a 9-11 km di distanza, e tirando proiettili HE assai 'convincenti' nel frantumare pareti d'acciaio non molto spesse. La 'spina dorsale' poteva essere raggiunta e perforata solo da cannonate da 152 molto vicine, oppure dai pezzi da 203 mm. Questi ultimi non potevano perforare le pareti del torrione, essendo spesse ben 260 mm (forse a brevissima distanza?)
Ma questa è paccottiglia, perché il vero nemico sarebbero state le navi da battaglia e i loro cannoni pesanti. Non c'é modo che il torrione di comando potesse reggere la potenza dei 381 mm, se non a distanze elevate (18-20 km?); appena sopra, in ogni caso, avrebbe potuto eventualmente perforare il tetto della torre, essendo questo spesso solo 120 mm.
Nessuna speranza, invece, per il 'collo' della nave, troppo sottile per le ragioni di cui sopra.
E la centrale di tiro? a quanto pare era blindata con appena 16 mm, giusto sufficienti per funzione antischegge/antimitragliera.
E la Littorio? Il valore era di 60 mm esterno, 200 mm per la 'spina dorsale' e il torrione era sempre di 260 mm, però con 130 mm per il tetto. Questo torrione di comando aveva caratteristiche eccezionali, perché si allungava in ben tre piani diversi.
Però: lo spessore di 60 mm era perforabile probabilmente fino ad almeno 10 km dai cannoni degli incrociatori leggeri o anche dalle armi secondarie delle navi da battaglia nemiche. Lo spessore di 200 della 'spina' (attraverso la quale passavano i cavi, le comunicazioni, e una scala per accedervi), era invulnerabile anche ai pezzi da 203 mm.
Ma, ancora una volta, nulla che un colpo da 330-406 mm non potesse bucare, e anche da distanze nient'affatto ridotte.
Lo stesso torrione, oltre ad essere un bersaglio più grande, aveva spessori variabili, tanto che i 260 mm venivano raggiunti solo nella parte frontale dei due piani inferiori; sopra era di 250 mm, e nella parte posteriore della struttura calava a 200-210 mm. La cosa era comprensibile, essendo quelle strutture meno esposte al tiro nemico. Tuttavia, bisognerebbe capire quanto ampio fosse l'arco posteriore: 90° sarebbe accettabile, ma 120 o più sarebbe pericoloso! Tenete presente che certi pezzi da 203 mm erano considerati sufficienti contro corazze da 250 mm anche su raggi di 8-10 km!
A parte questo, è chiaro che la scommessa era persa in partenza. Con un simile torrione, le Littorio avrebbero dovuto preoccuparsi persino dei cannoni inglesi da 356 mm, su distanze di circa 20 km.
Quanto al 'collo', non c'era molto su cui contare: anche la 'spina dorsale' non poteva garantire un'impenetrabilità assoluta rispetto alle corazzate nemiche inglesi, non parliamo poi di quelle francesi o quelle americane.
Se la struttura corazzata del torrione fosse stata omessa, si sarebbero avuti spazi maggiori e con migliori qualità abitative. Non solo, ma si sarebbe potuto dare al torrione quello spessore minimo (300-350 mm) che sarebbe bastato a renderlo credibilmente protetto. Ma tutto questo avrebbe finito per rendere le 'Littorio' e le altre navi italiane più 'normali', come il resto del mondo faceva, nella sua barbarie costruttiva!
Fattore non propriamente secondario, pare che -o almeno non risultano schemi protettivi in questa zona- che il cappello da 'carabiniere', con l'ingegnosa attrezzatura d'osservazione e tiro automatizzata, non avesse alcuna protezione, nemmeno quella 'per firma' delle Cavour (mentre è probabile che le Duilio avessero almeno una limitata protezione, forse simile a quella delle Cavour, benché avessero un torrione simile a quello delle Littorio, quindi ben più grande e alto). Questo significa che un colpo da 120-127 mm arrivato a segno nella zona, avrebbe distrutto o messo KO l'intero sistema di tiro della Littorio, lasciando l'incombenza a quelli secondari, sistemati nelle torri stesse (ma ad un'altezza sul mare molto meno marcata, quindi con minori capacità).
Infatti, le Littorio non avevano alcuna sistemazione di tiro secondaria per i loro grossi calibri. Nessuna. Infatti la piccola torretta poppiera non era una stazione di tiro, ma una coffa per proiettori, con un piccolo telemetro di riserva, che però non era connesso alle torri (che comunque, ben difficilmente ne avrebbero avuto bisogno).
Questo paragone è ancora più stridente se si pensa alla sistemazione delle 'Bismarck'. Queste avevano ben tre stazioni di tiro, una sul torrione (con telemetro da 7 m, leggermente meno dei 7,6 m delle Littorio); le altre due sistemate sugli alberi di prua e di poppa, entrambe con telemetri da 10 metri. Ma non era solo questo: erano TUTTE corazzate, e non per proforma. Gli spessori erano fino a 100 mm (60 in quella dell'albero superiore), sufficienti per reggere il fuoco dei cannoni secondari, altro che mitragliatrici e piccole schegge!
Questo era un vantaggio; un altro era la sistemazione ben distanziata, con una sola stazione sistemata sopra il torrione, e le altre a decine di metri di distanza. Un solo colpo non poteva distruggerle, a meno che non fosse stato un proiettile atomico come il W23 Katie dei cannoni da 406 americani (apparso negli anni del dopoguerra).
Inoltre, la stazione di tiro principale, era marcatamente più in alto di quella delle Littorio, e anche questo contava.
Un effetto secondario non trascurabile di questi torrioni era che essi erano un marchio di fabbrica, che rendeva immediatamente riconoscibili le navi italiane; e non solo, ma il torrione era molto tozzo, quindi la stima delle distanze era molto semplice: bastava osservarlo, e conoscendo l'altezza sul mare, sarebbe stato un gioco da ragazzi misurare la distanza. Non c'era praticamente niente sopra, per cui era un'altezza particolarmente 'pulita' e semplice da osservare.
Ma c'é di più. I torrioni corazzati di questo tipo, come si è visto, non erano sufficienti per parare i colpi di grosso e magari nemmeno di medio calibro. Però erano capacissimi di attivare le spolette delle granate! Questo significa che molti proiettili, che sarebbero passati attraverso le strutture senza esplodere, con danni minimi per la nave (tanto, in ogni caso, sarebbero comunque entrati), sarebbero invece detonati al loro interno, oppure appena al di fuori del torrione stesso, investendo le sovrastrutture e la contraerea. Bel risultato davvero!
Tanto per intenderci, molti tipi di proiettili (almeno gli AP) si attivavano solo se incontravano almeno 20-30 mm di corazza. Troppi per una struttura non corazzata, così si spiegano i colpi 'penetranti' attraverso le sovrastrutture della South Dakota (o se è per questo, della torpediniera 'Lupo', centrata nel '41 da almeno 18 colpi inglesi ma con 'danni minimi').
Questo per dire quale fosse il valore effettivo della soluzione 'all'italiana'. Francamente, stile a parte, non mi pare che avesse altri motivi di merito nel mondo reale. Un pò come quei mezzi corazzati sovietici, come il T-72 e il BMP-1, sulla carta eccellenti e pure superiori rispetto ai mezzi occidentali, salvo provare la loro inferiorità nel mondo reale.
Che poi, volendo fare un raffronto: la Bismarck, con sovrastrutture convenzionali, aveva un torrione da 350 mm, una 'spina dorsale' da 220 mm, e un 'collo' (incluso nelle sovrastrutture non protette, che serviva anche come sostegno al torrione) spesso -anch'esso- 60 mm, come sulle Littorio. Ma col 10% di corazza extra per la galleria, e +90% (30%) per il 'cervello'. Questo significava essere pragmatici.
Il fatto che il torrione corazzato delle navi italiane fosse installato fin dal ponte corazzato, apparentemente con lo stesso spessore (malgrado fosse dentro la 'scatola corazzata' dello scafo, col ponte e cintura secondari discretamente blindati) è un'altra di quelle stranezze dei progettisti, che francamente non è ben spiegabile, visto che persino le barbette delle torri sono (giustamente!) più spesse sopra il ponte e meno di sotto. Allora, o si considerava troppo poco protetto il ponte corazzato così com'era, ma quale era il punto del proteggerlo di fatto meno, dove era più vulnerabile? L'unica concessione era la spina dorsale che si riduceva a 150 mm, a quanto pare, appena sotto il ponte di coperta (blindato).
Qualche ulteriore commento sul concetto di protezione 'stratificata'
Anche qua, bisogna osservare alcuni legittimi dubbi su quale sia la validità della stessa cintura delle navi da battaglia Littorio, come si è visto sopra, basata sopratutto sulla spaziatura di diverse lastre protettive.
In teoria, infatti, è tutto OK. Secondo Nathan Okun, una piastra corazzata di circa l'8% rispetto al calibro di un proiettile in arrivo, è sufficiente per scappucciarlo. Veramente un investimento di pochissimo valore, no? I 32 mm esterni alla cintura delle S.Dakota erano quindi la principale differenza rispetto alle N.Carolina, che invece avevano sì la cintura corazzata inclinata, ma 'esposta' totalmente all'offesa nemica, vernice a parte! Eppure, erano capaci di scappucciare proiettili fino a circa 406 mm: del resto è per questo che la protezione delle SD era considerata adatta a reggere (a medio-lungo raggio) ai colpi da 406 mm anziché ai 356 mm. Non sarebbe stato possibile, se si fosse limitata la modernizzazione ad aggiungere altri 32 mm (1,25') alla cintura da circa 305 (o 310 mm) iniziale!
I 38 mm delle Iowa avrebbero scappucciato proiettili fino a circa 457 mm, e quindi avrebbero minacciato anche le munizioni delle Yamato.
Peraltro, non è chiaro se la 'scappucciatura' fosse sicura al 100%, ma certo il cappuccio balistico ne sarebbe stato afflitto. Inoltre, è altrettanto chiaro che, se il colpo non fosse arrivato perpendicolare, ma angolato in maniera apprezzabile (senza considerare l'angolo di caduta+quello della stessa cintura), le probabilità di scappucciamento non avrebbero potuto che aumentare.
Nel caso delle Littorio, invece non si volle stare 'bassi': ben 80 mm di acciaio! Quindi lo scappucciamento era pressoché sicuro.
Cosa comportava? Che anzitutto, la munizione perdeva il materiale, di tipo relativamente soffice, capace di 'aprire un buco' nella pelle delle corazze indurite, per poi far passare il proiettile. Qui, in pratica, si metteva a nudo il proiettile vero e proprio, oltre che rallentarlo un pò, e a quel punto probabilmente l'avrebbe condotto a frantumarsi/esplodere prematuramente contro la corazza indurita principale. E le schegge eventualmente staccatesi da questa, a quel punto, sarebbero andate a fermarsi contro le piastre posteriori (ben due, da 60 mm complessivi).
Era praticamente lo stesso tipo di concezione dei ponti delle navi americane: ponte di coperta, ponte principale, ponte antischegge.
Per inciso, così come i tedeschi tendessero a costruire i loro incrociatori pesanti a bella posta delle navi da battaglia in aspetto (Bismarck), volontariamente per confondere la ricognizione nemica e i puntatori anche durante le battaglie... gli italiani tendevano a costruire o ricostruire navi da battaglia e incrociatori (leggeri, perché quelli pesanti andarono fuori produzione fin dai primi anni '30), tutti con la stessa concezione: torrione compattissimo, leggermente corazzato. E all'interno, piastre d'acciaio con più strati, per i fianchi.
Già i 'Da Giussano', pare, avessero 24 mm esterni (più lo scafo?) e però anche 18 mm interni (o era lo stesso scafo?). Altri incrociatori avevano spessori tipo 60+25 mm. Infine, i Garibaldi avevano una protezione complessiva di ben 142 mm (escluso lo scafo??) laterale (mentre il ponte ne aveva solo 40, e forse pure meno). Questo era fatto in maniera inversa rispetto agli incrociatori precedenti: prima lo spessore ridotto (30 mm, non è chiarissimo se faceva parte dello scafo stesso, cosa che mi sembra molto probabile); poi 100 mm interni, che fermavano i proiettili arrivati (dopo essere stati decappucciati), e infine 12 mm (non acciaio balistico, ma giusto una sorta di paratia) antischegge-antiallagamento.
Quindi era proprio una volontà precisa, da parte della RM. Notare come l'arrangiamento dei 'Garibaldi', era meno spesso magari, ma era non solo efficace anche contro i proiettili dello stesso calibro di quelli di bordo; ma anche da parte dei colpi più grossi, offrendo una certa protezione anche a quelli da 203 mm! Non solo: gli incrociatori Abruzzi/Garibaldi (5o gruppo dei 'Condottieri'), malgrado lo spessore complessivo inferiore, erano molto probabilmente PIU' PROTETTI', lateralmente, persino dei possenti 'Zara'!
Questo, beninteso, era presumibilmente però vero solo contro proiettili AP 'semplici' piuttosto che gli APC perché nel primo caso, un monoblocco di acciaio molto spesso, è meglio di più strati, poiché la penetrazione, dopotutto, incontra una resistenza pari al quadrato dello spessore perforato! E questa è la ragione, per esempio, per la quale un ponte singolo più spesso offre più protezione di due separati di pari spessore. Non solo, ma anche con piastre corazzate appoggiate l'una all'altra, l'efficacia è inferiore comunque: sostanzialmente, se ci sono due piastre, una delle quali più sottile, l'efficacia sarà pari a quella della piastra più spessa, più circa il 70% di quella meno spessa (ergo: sarebbe come dire 100+50 mm = 135 mm). Ecco perché è bene fare piastre monoblocco molto spesse. E perché i karateki, quando fanno le 'prove di rottura', preferiscono rompere mattoni e simili rigorosamente separati l'uno dall'altro. Del resto, la manciata delle frecce 'che non si spezza' reagisce come se fosse una freccia sola, mica vengono affrontate una per una. E la penetrazione è sempre un 'fenomeno locale'.
Però, ovviamente, se devi proteggere anche i ponti superiori, almeno un pò, da proiettili e bombe più piccole, o se devi attivare le spolette dei proiettili e bombe AP prima che arrivino al ponte, è chiaro che conviene avere almeno un ponte blindato che precede quello principale.
Tornando alla cintura blindata, la teoria del multistrato è anche questo: la piastra esterna rallenta e 'scappuccia' il proiettile, il che significa che ne riduce l'energia e la penetrazione, perché il cappuccio è una grossa percentuale del totale, circa il 15% o più. Rallentare il proiettile e togliergli un pò della massa significa non solo renderlo più propenso a frantumarsi all'impatto contro la corazza indurita, ma è anche un modo per ridurre la penetrazione delle blindature nemiche (se non altro, rallentando, il proiettile.. tende a scendere sotto una velocità critica che altrimenti lo porterebbe a frantumarsi! Per cui 32-38 mm forse sono pochi per assicurarsi lo scappucciamento, ma 80 mm forse sono troppi!).
Ora, però, un dubbio: se di fronte alla semplice aggiunta di corazzette anteriori alle piastre principali (anche per le barbette, quanto meno di quelle delle navi rimodernate, che ebbero 50 mm extra sulla corazza già esistente), perché mai non è stata applicata una tale tecnica anche in altre nazioni? Perché, per esempio, la RN ha invece voluto farsi una 'muraglia' con la sua ottima corazza CA del massimo spessore possibile, e pure verticale?? Se anziché fare 350 mm di corazza indurita, si fosse costruita una blindatura indurita da 300 mm, più una omogenea/da costruzione da 50 mm, non sarebbe stata più efficace, e pure più economica??
La cosa interessante è che molte altre marine avevano questo concetto, per esempio esso era ben noto per le paratie antisiluro multiple, che deflettono e rallentano la potenza delle esplosioni subacquee. Perché non adottarlo anche per le navi da battaglia e pure, per gli incrociatori?
Strano ma vero, questo fu fatto timidamente, solo dall'USN. La KM, invece, ebbe un concetto 'classico' (apparentemente superato) che accettava di sacrificare lo scafo esterno, senza fare sforzi seri per evitare la penetrazione del proiettile. La spessa cintura, ma in larga misura verticale, sarebbe stata perforata abbastanza facilmente; poi però, c'é il ponte angolato e molto spesso, che deflette/ferma praticamente qualsiasi proiettile; infine, la paratia da 45-30 mm ferma le schegge e le esplosioni. Probabilmente, nessun'altra nave -Littorio incluse- poteva vantare un simile livello d'efficacia contro i colpi 'al galleggiamento', sia pure su di un'altezza assai limitata su ciascun lato.
Ma tornando al concetto delle piastre: perché altre navi non ebbero tale concezione? Mentre i 'cilindri Pugliese' sono moolto discutibili, tranne che al massimo del loro spessore -ma solo dove è possibile applicare enormi spessori antisiluro, il che in pratica limita ogni sorta di di scafo eccetto la parte centrale delle 'Littorio'!- francamente non si capisce come mai non è stato fatto qualcosa del genere da parte delle varie marine, come risposta all'adozione generalizzata delle munizioni APC (a loro volta, necessarie per l'adozione delle corazze indurite KC e simili!).
Come logica non sembra male, e gli esperimenti non sarebbero stati nemmeno tanto difficili o costosi. Dunque, perché no? Tra l'altro, a parità d'efficacia, sarebbe stato molto più facile fare queste corazze scaglionate, che le cinture inclinate dentro lo scafo stesso!
Invece no.
Poi, sorpresa, si scopre che anche altre marine estere sperimentarono questo layout, tra cui quella inglese e quella tedesca, e ovviamente, quella americana. Il fatto che la RN non adottò la corazza scaglionata, derivò semplicemente, e sostanzialmente, dal fatto che i risultati, malgrado la teoria fosse brillante, in pratica, NON dimostrarono una superiorità netta e schiacciante su quelle tradizionali 'a murata' e monoblocco! Interessante, no?
Quindi, quanto sarà efficace il layout scelto per le 'Littorio', in una situazione reale, non è affatto detto! Mentre invece, è sicuro come, contro proiettili 'veloci', le corazze inclinate siano efficaci nel deflettere i colpi in arrivo, tanto che dalle curve tedesche si vede come 20° (circa il 10% di spessore extra) sia in realtà pari al 20% di corazzatura extra, e come 30° siano pari a circa il 50%.
Come si vede, di risposte facili non ce ne sono. Ad ogni modo, le uniche due aree in cui le Littorio sono difficilmente attaccabili sono la cintura principale (poco lunga e profonda) e i depositi munizioni (dove però vi sono dei preoccupanti 'corridoi' laterali, largamente meno protetti).
La parte più vulnerabile delle Littorio resta quella centrale, anche perché -a differenza di tante altre navi da battaglia- non c'é una grande sovrastruttura a proteggerne i ponti sottostanti.
Ma non solo: alle volte ci si mette anche la sfiga (anzi, sembra quasi, come dice Okun, che i punti deboli siano un 'magnete' per i colpi in arrivo!).
La Roma, pur avendo le due sale macchine inusitatamente separate l'una dall'altra, se le trovò entrambe colpite da altrettante Fritz-x!! Il primo ne ridusse la velocità a 16 nodi e passò proprio per il corridoio 'laterale' a corazza ridotta; il secondo trapassò la corazza dei ponti più spessi ed esplose nella sala macchine anteriore, che tra l'altro, era pure teoricamente protetta dal torrione corazzato sovrastante!
Così, per colmo di sfortuna, l'unico elemento positivo di una tale disposizione dell'apparato motore, fu tosto annullato da due soli colpi a bordo!
Prestazioni e disposizione dell'apparato motore
La velocità, a sua volta, merita di essere inquadrata in un fenomeno più vasto, quello della mobilità, caratterizzato da parecchie qualità, tutte importanti e interattive.
Cominciamo dall'autonomia. La Iowa aveva circa il doppio di autonomia della Bismarck, che a sua volta aveva circa il doppio della Littorio. Quest'ultima aveva il bel record di avere l'autonomia più scarsa di tutte le corazzate moderne del periodo bellico (sebbene, curiosamente, la grossa Vanguard britannica fosse appena migliore, e addirittura peggiore di quella delle King George V). Questo era considerato adeguato, per operare stando al centro del Mediterraneo. Del resto, ogni nave deve essere valutata in relazione a cosa ci si aspetta da lei. E le K.G.V inglesi, stranamente, per le esigenze britanniche, sembrano meno adeguate di quanto non siano le Littorio per il teatro del Mediterraneo. Ma resta il fatto che avevano pur sempre attorno al 20-25% di autonomia in più. Le altre navi alleate e nemiche erano tutte superiori in questo fondamentale aspetto.
Chiaramente, se si ha una buona autonomia si può anche aprire il gas in maniera poco preoccupata dalla riserva residua, con un aumento dei consumi rilevante. E la Littorio era certo adeguata (non di molto!) per il Mediterraneo, ma totalmente inadatta per altri tipi di scenario. Se si ha poco carburante, è difficile anche poi passare a velocità elevate e/o tenerle per molto tempo.
Ma poi c'é la velocità vera e propria. Le Littorio superavano, alle prove, i 30 nodi (ci sono dati che parlano addirittura di 31,5 nodi). Questa velocità era ottima, APPARENTEMENTE paragonabile a quella delle Richelieu e quasi pari a quella delle stesse Iowa! Ma era una velocità, al solito, sopravvalutata, secondo gli standard tipici della Marina.
E' possibile che in realtà la nave italiana non superasse i 28-29 nodi, circa un nodo extra se funzionava in super potenza. La velocità di 30 nodi è ufficialmente quotata, ma è sopravvalutata nei fatti. Anche Wikipedia, cita, al riguardo della Roma, una velocità ai collaudi di poco superiore ai 29 nodi (nave nuova e carenata, ovviamente!)
La prova del nove, comunque sia, è stata la battaglia di Capo Gaudo. In quella situazione, come sarà ben noto, una divisione di 4 incrociatori inglesi venne assalita dalle navi italiane di due diverse formazioni. La prima era costituita dai veloci (ma vecchiotti) incrociatori tipo 'Trento' e 'Bolzano', tre unità in tutto. I britannici, però, non vollero cercar rogne, sebbene il più recente di questi, il Bolzano, fu colpito l'anno prima (a P. Stilo) ben tre volte (dal Neptune, un incrociatore leggero). Avendo cannoni da 203, però, le navi italiane erano troppo pericolose se lo scontro avveniva ancora a distanze molto elevate, addirittura sopra la gittata massima dei 152 inglesi. E così scapparono. Queste navi inglesi erano valutate capaci di 32 nodi circa. E il più recente e potente di questi, il Gloucester, aveva un problema alle macchine, per cui era limitato ad appena 24 (la mobilità è indubbiamente la più facile da perdere delle tre qualità di un mezzo da combattimento!). E le navi italiane erano state capaci di fare, alle prove, tra 35 e quasi 37 nodi. Ma, nonostante questo, l'avaria del Gloucester ecc, le navi inglesi riuscirono a scappare rispetto alle navi italiane, e questo malgrado fossero costrette a fare manovre per evitare di cadere sotto tiro dei cannoni nemici. Questa velocità fu la loro salvezza, Gloucester incluso. E le navi italiane, in teoria in grado di fare almeno 2-3 nodi in più delle unità inglesi, non riuscirono mai a serrare le distanze, già rilevanti. E nonostante sparassero oltre 530 colpi, non misero a segno nessun proiettile. Le navi inglesi, velocissime, riuscirono a occultarsi anche grazie ad una potente e rapida cortina fumogena, ma sopratutto scapparono a velocità sufficienti per non far avvicinare le navi italiane.
Poi fu la volta della Vittorio Veneto. Non bastando circa 40 minuti di inseguimento da parte degli incrociatori pesanti, le navi britanniche si imbatterono nella nave italiana e l'avvicinarono credendola di sua Maestà.
La V.Veneto rispose ai segnali di riconoscimento sparando con i 381 mm, più chiaro di così... gli incrociatori scapparono a velocità massima, almeno 31-32 nodi. Le fonti differiscono, anche nello stesso articolo. Ma pare che, per quel che ne sappiamo, dopo 20 minuti la distanza passasse da 23 a 26 km in aumento, oppure da 23 a 27 km ma in circa 24 minuti. In ogni caso, 9-10 km/h di differenza, pari a circa 5-5,5 nodi! E non è tutto: la flotta inglese scappava viaggiando in maniera abbastanza irregolare, per evitare d'essere 'prevista' in qualche posizione adatta dalle salve nemiche, per cui in realtà aveva fatto un percorso superiore. L'unico risultato di quasi 100 colpi (di cui 11 'falliti') fu qualche danno da schegge sull'incrociatore Orion. Ma è veramente impressionante che le navi britanniche se la cavarono rispetto ad oltre 600 colpi da 203 e 381 mm, senza subire alcuna seria conseguenza, specialmente il Gloucester, che avrebbe potuto finire più arretrato e poi, con calma, affondato come il Blucher tedesco nella Grande guerra, quando rimase distanziato dalla formazione di incrociatori da battaglia tedeschi, inseguita da una formazione britannica più forte.
E la V.Veneto, malgrado la sua 'velocità elevata', fu staccata nettamente, anche al lordo delle correzioni di manovra (che in pratica, fece solo la Royal Navy). 5-6 nodi extra significano o che le navi britanniche in realtà volavano a 35-36 nodi, oppure, se è vero che facevano sui 31-32 nodi, che la corazzata italiana arrancava a 26-27 nodi al massimo. Questo è il vero valore della velocità delle 'Littorio', visto che non c'era ragione per non dare tutta la potenza necessaria pur di agguantare le unità britanniche in fuga, facili prede per le superiori forze italiane e prive di cannoni a lungo raggio per restituire i colpi ricevuti (ancorché falliti).
Con questo non voglio dire che le Littorio non fossero capaci di andare anche più veloci, ma se nemmeno in battaglia lo dimostrano, è difficile credere che fossero davvero così rapide. Le navi britanniche, a loro volta, avranno avuto dei margini di potenza elevati, anche in 'sovragiri', ma non potevano mica raddoppiare i cavalli vapore, come una velocità passata da 31-32 a 36 nodi avrebbe certo implicato!
Tutta la flotta italiana, in quel contesto, subì l'onta di essere seminata da incrociatori per nulla eccezionali, e in particolare, da uno che sebbene nuovo, era in quel momento 'zoppo'!
Quanto alle altre marine, le cose le facevano più seriamente. Le Yamato, per esempio: accreditate ufficialmente di 27 nodi, nelle prove ne avevano fatti non meno di 27,46. Sebbene fossero state 3-4 nodi più lente delle Littorio (ufficialmente 3), in pratica, vennero viste anche in azione a velocità stimate di 27 nodi, quindi le loro velocità teoriche d'omologazione e quelle di combattimento erano, praticamente, identiche. Il che significa che, se necessario, avrebbero praticamente pareggiato la velocità delle Littorio o al più, ridotta a circa 1 nodo di differenza, pressoché irrilevante in termini tattici.
Le Littorio, senza super potenza, erano teoricamente capaci di andare, a dislocamento normale, a circa 29 nodi, 30 'forzando'. Ma in pratica, questi valori operativi devono essere scalati di almeno 2 o 3 nodi, stando alle esperienze pratiche, persino in alto mare e con onde non particolarmente pericolose (a Gaudo era la visibilità che non era ottimale, non lo stato del mare).
Per quello che riguarda la sistemazione dell'apparato motore delle Littorio.
Vi sono state molte tipologie adottate dalle marine, che hanno cercato di quagliare le differenti esigenze di sicurezza e di economia (anche di spazi e pesi). Essenzialmente, la cosa migliore era quella di non concentrare troppe uova in un solo paniere, per evitare troppi danni con un eventuale colpo a segno. Perché non c'era modo di assicurare al 100% la sicurezza delle parti vitali della nave, anche le più protette. Certo che i depositi munizioni erano da proteggere al massimo, ma questo aveva a che fare più che altro con le esplosioni e gli incendi. Gli allagamenti non li avrebbero fatti esplodere, però li avrebbero comunque resi inutilizzabili. L'apparato motore era anche più grande, ma se anche fosse stato solo allagato anziché incendiato, non avrebbe potuto comunque funzionare. Così i depositi munizioni dovevano essere quanto meno protetti con corazze extra per evitare che arrivassero proiettili e bombe fin dentro di essi, provocandone l'esplosione. L'apparato motore era meno critico e più esteso, per cui si poteva tollerare che i colpi nemici arrivassero, anche in maniera diretta. Essendo in buona parte sotto il livello del mare, o appena sopra, era comunque probabile che i proiettili delle navi da battaglia nemici avrebbero provocato anche allagamenti, anche se fossero riusciti a penetrare dentro i comparti. Erano gli attacchi aerei che potevano causare incendi gravi. In ogni caso, le caldaie, anche esplodendo, non avrebbero affondato una corazzata.
Quindi, l'importante era almeno di evitare che un colpo a segno potesse fermare tutto il sistema propulsivo. E questo si poteva fare con una spinta compartimentazione, assieme ad una lunghezza dell'apparato motore che, inevitabilmente, comprendesse anche lunghezze elevatissime, ben oltre 50 metri e alle volte anche vicine ai 100.
Ma per rendere migliore questa distribuzione, tanto valeva sfalsare i componenti dell'apparato motore. Per esempio, un gruppo di 2-4 caldaie, seguito da uno di due turbine, e poi altre caldaie e le ultime due turbine. Così fecero britannici, francesi e americani. Questa disposizione era molto buona, perché in pratica era come se le navi avessero due apparati motori interamente indipendenti, che coesistevano all'interno di uno stesso scafo, ciascuno con le turbine, le caldaie e le eliche proprie.. L'Asse, invece, ebbe idee diverse. La Germania e il Giappone avevano uno schema simile a quello degli incrociatori, così che tutte le turbine erano dietro, e tutte le caldaie avanti. Questa era una disposizione rischiosa, perché raggruppava tutte le caldaie in un punto, e tutte le turbine in un altro.
E gli italiani? Ovviamente, non erano nulla di tutto questo. Erano troppo 'avanti'. Infatti, sistemarono tutte le caldaie al centro, e due turbine a poppavia. Le altre due... davanti.
L'irrazionalità di questa cosa è ben chiara: due assi portaelica corti, altri due lunghi, quando con la sistemazione sfalsata avresti avuto due assi corti e due medi. Considerando il costo, il peso e la vulnerabilità di questi enormi assi, la scelta italiana è veramente difficile da comprendere. Chi elogia la velocità delle 'Littorio' dovrebbe invece tenere conto che quell'apparato motore è sistemato in maniera dispendiosa e inutilmente complessa.
Il suo unico vantaggio apparente è l'aver distanziato enormemente le turbine. Ma che importa, se poi le caldaie sono tutte assieme? E le turbine a vapore, a differenza di quelle a gas, non possono fare a meno delle caldaie! Dall'altro canto abbiamo una struttura degli assi portaelica che è lungi dall'esser ottimale.
In sostanza, rispetto alle navi da battaglia precedenti, ci si limitò ad aggiungere due turbine in avanti (infatti le Cavour, a differenza degli incrociatori italiani, avevano tutte le turbine dietro e le caldaie avanti) per aumentare la potenza.
Da notare che, a Gaudo, il siluro inglese distrusse uno degli assi esterni (e quindi uno dei due anteriori, i più lunghi), oltre a danneggiare anche uno di quelli interni (e più corti) e il timone.
La sistemazione tedesca e giapponese in teoria, sarebbe anch'essa criticabile. Ma se l'aver accorpato le turbine le rende più vulnerabili, dall'altro canto: 1- sono dotate TUTTE di assi portaelica corti il che significa che sono 2-tutti poco vulnerabili e 3- costano e pesano poco. L'aver sistemato turbine e caldaie tutte assieme non passò inosservato, comunque sia, e la supposta vulnerabilità di questa sistemazione venne corretta dall'aver dato a ciascuna delle turbine e caldaie un suo singolo compartimento. La Yamato, per esempio, aveva ben 16 compartimenti, contro i 6 della Littorio. A questo aggiungiamo che sia la Yamato che la Bismarck avevano una larghezza di scafo semplicemente esuberante: ben 36 metri la Bismarck, quasi 39 la Yamato, mentre la Littorio era larga poco meno di 33. Questo rendeva possibile una sistemazione più comoda ed efficiente dell'apparato motore interno, e riduceva il rischio di danni da colpi esterni.
Per tutti questi motivi, la sistemazione delle 'Littorio' è la meno razionale di tutte quelle delle corazzate di ultima generazione.
La presenza di 3 timoni, di cui due ausiliari, è certamente un fatto positivo, che aiutava, assieme ai 4 assi, a migliorare la manovrabilità della nave. Però i due timoni ausiliari, non essendo in asse, non avevano una grande capacità di manovra. Più semplice sarebbe stato usare un timone ausiliario in asse, come era stato già fatto con le 'Cavour', e quindi con le Yamato, ma forse questo non avvenne per via del pescaggio troppo profondo che ne derivava. Non è affatto sicuro che, se un siluro avesse bloccato il timone principale alla massima deflessione, magari causando danni ad un asse portaelica e ad uno dei timoni laterali, la nave avrebbe avuto un destino diverso da quello della Bismarck. Nel caso della Vittorio Veneto, comunque sia, sarebbe bastato essere presa a rimorchio da un incrociatore pesante, e il problema si sarebbe risolto. Se la Bismarck fosse stata ancora in compagnia del Prinz Eugen, si sarebbe salvata. Ma nessuna nave, per quanto grande e potente, può operare da sola contro ogni sorta di minaccia!
Sempre a questo proposito: quando a Gaudo la V.Veneto venne colpita, il timone principale si bloccò, due assi portaelica andarono fuori uso, uno dei timoni laterali venne demolito, e la nave imbarcò 4.000 t d'acqua, inclinando la nave fino a 6° a sinistra, e rendendola immobile per circa 6 minuti. Il siluramento avvenne attorno alle 15.29, quando uno dei tre 'Albacore' riuscì, aiutato dai Fulmar (che 'distrassero' i serventi dell'a.a.) e a prezzo della sua stessa salvezza, a silurare la nave. Ripartita attorno alle 15.36, solo dopo un'ora abbondante riuscì a riprendere la velocità di 15 nodi, e sopratutto, non prima di avere fatto un giro di 360°. Guidata con il timone 'a mano' (comandi d'emergenza, probabilmente il meccanismo principale del timone era fuori uso, ma poteva ancora essere manovrato con un back-up meccanico), a quel punto riuscì a riprendere la rotta giusta. Fortuna volle che in giro non ci fossero anche i sommergibili: è molto probabile che la nave italiana non l'avrebbe potuta raccontare, se il siluro che poi incasserà in dicembre (con altre 3.000 tonnellate d'acqua) l'avesse subito quello stesso giorno.
Tutto questo dimostra come, in effetti, il timone principale fosse comunque determinante, e solo con grande fatica e tempo buono, la 'Veneto' riuscì a riprendere la rotta giusta: i timoni ausiliari, infatti, da soli non potevano bastare (anche perché... uno era andato distrutto) per contrastare un angolo non neutrale. Per dirla con Wikipedia (Battaglia di Matapan):
A partire dalle 14:30, una serie di attacchi aerei britannici si scatenarono sulla squadra italiana, condotti sia dagli aerosiluranti della Formidable sia dai bombardieri della Royal Air Force decollati dagli aeroporti greci; vennero contati due attacchi contro il Vittorio Veneto, due contro la III Divisione incrociatori e quattro contro la I Divisione, ma nessuna nave venne colpita[26]. Invece, fu il terzo attacco contro l'ammiraglia italiana, intorno alle 15:20, a riportare un successo: cinque aerosiluranti (tre Albacore e due Fairey Swordfish) della Formidable, scortati da alcuni caccia ed appoggiati dai bombardieri Bristol Blenheim della RAF, si avvicinarono al Vittorio Veneto e, mentre i caccia si buttavano in picchiata sulla corazzata per distrarre i serventi della contraerea, i tre Albacore si disposero a ventaglio davanti alla prua della nave per lanciare un attacco da più direzioni[32]; due degli aerosiluranti lanciarono i loro ordigni da distanza troppo elevata e mancarono il bersaglio, ma l'apparecchio del capitano di corvetta Dalyell-Stead riuscì ad avvicinarsi a meno di 1.000 m dalla nave prima di lanciare il suo siluro, finendo abbattuto subito dopo dalla contraerea italiana con la perdita di tutto l'equipaggio[33]. Il Vittorio Veneto cercò di schivare l'ordigno, ma senza successo: il siluro strusciò contro la prua ed esplose a poppa all'altezza dell'elica sinistra, più o meno intorno alle 15:29; l'albero motore esterno sinistro si spezzò e quello interno si fermò a causa delle infiltrazioni, il timone rimase bloccato e la nave imbarcò 4.000 t d'acqua a poppa, sbandando anche di 6º a sinistra[30]. Per sei minuti la nave rimase immobile, poi alle 15:36 riuscì a rimettere in funzione le macchine e a procedere guidata dal timone a mano, anche se solo alle 16:42 riuscì a riprendere la rotta con la velocità ridotta a 15 nodi[32] dopo aver fatto un giro completo di 360°.
A parte la sistemazione irrazionale, aggiungiamo anche che l'apparato motore della 'Littorio', per quanto affidabile, aveva alcuni limiti propri. Uno era il limitato margine di super-potenza (almeno, se è vero che sviluppava 130.000 hp e come 'extra', un massimo di 140.000). Un altro, più importante, era che pressione e la temperatura (circa 25 atm e 320°) erano praticamente le più basse in assoluto tra quelle delle navi da battaglia moderne. Il rapporto tra peso e potenza era anch'esso piuttosto scadente (il migliore era quello della Richelieu, circa 12 kg per hp). Anche se la marina tedesca ebbe problemi con la ricerca delle super pressioni ad altissima temperatura (sui 450°!) del vapore (peraltro, più marcati nei cacciatorpediniere e incrociatori leggeri, che in quelli pesanti e le corazzate), e la USN aveva dei sistemi propulsivi pesanti, è anche vero che la ricerca tecnico-scientifica dei tedeschi, e l'efficienza nei consumi degli americani giustificavano sistemi che potevano essere anche pesanti o scarsamente affidabili. La scelta tecnica degli italiani, invece, era fin troppo conservativa e non offriva nulla se non una discreta affidabilità. Non c'erano l'efficienza dei consumi degli apparati americani e britannici (le Prince of Whales erano particolarmente buone in questo senso), né l'estrema potenza, o la grande efficacia della compartimentazione interna. La cosa anche più bizzarra, è che poi gli italiani, praticamente in contemporanea con l'entrata in servizio delle ultime 'Littorio', avevano cominciato a costruire incrociatori super veloci, i 'Regolo/capitani romani', che erano incredibilmente quasi pari, in potenza, alle corazzate italiane, pur pesando poco più del 10%! Del resto, già i vecchi incrociatori 'Trento' ebbero l'incredibile potenza di 150.000 hp, nonostante che fossero navi antecedenti le 'Littorio' di circa 10 anni, e che fossero un quarto del dislocamento.
L'autonomia era poi notevolmente limitata. Certamente, per una nave 'mediterranea', fare missioni veloci di 2-3 giorni era già un buon piano d'azione, e l'autonomia era quindi adeguata. Ma le altre navi non erano concepite in maniera così restrittiva, tanto che quando gli italiani proposero l'uso delle 'Littorio' in ausilio agli alleati, nella lotta contro i Giapponesi, questi rifiutarono anche per ragioni tecniche, certo non ultima la scarsa autonomia sia chilometrica che in termini di potenza di fuoco. Le altre navi avranno potuto essere leggermente meno potenti, come le 'Prince of Whales', ma erano certo superiori per molti versi, sopratutto in termini strategici. Anche questo contava, nella valutazione delle capacità belliche, anche se da noi molti hanno la fissa del 'corazza di cintura vs cannone'. Le Prince of Whales, per esempio, benché ad alta velocità non fossero molto migliori delle 'Littorio', potevano spostarsi per oltre 10.000 miglia se avevano la cura di limitare l'autonomia a 12 nodi. Ideale, tutto sommato, più per scortare un convoglio, che per una missione d'accompagnamento ad una portaerei; ma nondimeno, ben maggiore di quel che poteva fare la Littorio anche al meglio di sé, per esempio circa 4.500 miglia a 16 nodi, o probabilmente, circa 5.000 a 12-13 circa.
Questo fatto dell'autonomia è pure importante, perché andava comunque ad incidere su ALTRI aspetti della progettazione. Supponiamo che la Bismarck, che era simile in dislocamento, età e concezione alla Littorio, avesse avuto differenti requisiti, per esempio quello di combattere sì, ma soltanto nel Mare del Nord. E l'autonomia, e quindi la dotazione di carburante, fosse circa la metà di quella effettivamente usata realmente. Questo avrebbe comportato circa 4.000 tonnellate di nafta in meno. Se ciò avesse avuto solo questo cambiamento, allora la Bismarck a pieno carico sarebbe stata circa 41.000 t, e probabilmente almeno un nodo più veloce (per le Iowa la differenza calcolata è in effetti 0,25 nodi per ogni 1.000 tonnellate più o meno). E acciaio sufficiente per costruire almeno 4-5 sottomarini, oppure circa 70 carri Tiger. Non male come cambio!
Oppure, avrebbe avuto qualche altra combinazione, per esempio altre 2.000 tonnellate di acciaio da corazza, così facevano circa 20.000 tonde tonde. Se si usava appieno il margine, si sarebbe arrivati a 22.000 tonnellate, giusto come la Yamato!
E' un fatto notevole, perché a quel punto la cintura corazzata poteva diventare di 350, persino 380 mm, e il ponte corazzato principale 120-150 o addirittura, 160-180 mm. E le torri e torrione, fino a 400 mm nei punti più spessi.
Oppure, una corazza meno spessa e torri da 406 mm, o ancora una combinazione (chissà perché scartata fin dall'inizio) di torri trinate, o un misto di trinate e binate, per un totale di 9 o 10 cannoni da 380 o 406 mm. Più ponte principale da 100-150 mm e cintura da 350. Praticamente come sulle 'Littorio'. E persino di più, se con tre sole torri (minore lunghezza della cittadella).
Non c'é da stupirsene, già le Bismarck avevano, nella misura in cui vennero realizzate, circa 4.000 tonnellate di corazza extra rispetto alle Littorio (+22%), oltre ovviamente al doppio della nafta.
Oppure, al contrario, si sarebbe potuto immaginare le Littorio con un margine di 45.000 tonnellate, ma 8.000 in quota 'nafta'. Risultato, la cintura corazzata passata da 70+280 a 50+250 mm; il ponte principale sceso a 80-120 mm a far tanto (come sulle Bismarck!), torri e barbette spesse sui 300 mm al massimo, più probabilmente 280. Torre n.2 rimpiazzata da un sistema binato. Torri secondarie da 152 mm diventate binate anziché trinate,e con spessori massimi di 100 mm (di nuovo, come sulle Bismarck, che però ne avevano sei).
E' un calcolo spannometrico, ma rende l'idea di quello che sarebbe stato cambiare i requisiti della nave. Del resto, la Regia Marina aveva costruito decine di sommergibili oceanici nel periodo prebellico, quindi perché non anche delle corazzate?
Detto questo, per quanto riguarda la comparazione dei sistemi propulsivi.
Protezione della Littorio: pregi e difetti
La Littorio e le sue sorelle avevano complessivamente un'ottima protezione, e senz'altro essa era caratterizzata da molte soluzioni innovative, oltre ad essere estesa e con una moltitudine di spessori e piastre variamente distribuite.
In realtà, essa è la vera 'chicca' dell'analisi sulla Littorio. Non solo per la super-cintura, di cui si è già parlato prima. E non solo per i cilindri Pugliese, ma anche per altri aspetti, come la volontà precisa di usare piastre scappuccianti a protezione di quelle principali, più piastre leggere anti-schegge per riparare gli organi interni.
Protezione orizzontale
Iniziamo quindi dal ponte, anzi dai ponti, perché essi, malgrado siano meno conosciuti, NON SONO MENO COMPLESSI delle protezioni verticali!
Quello di coperta, innanzitutto: a quel che se ne sa, era 36 mm a centro nave, 45 mm sui depositi.
Poi c'era il ponte intermedio, 12 (o forse 14, in certe zone) mm.
E infine, il ponte corazzato principale: era spesso fino a 162 mm.
Si potrebbe fare una comparazione con le corazzate tipo 'Richelieu', che avevano un ponte da 150-170 mm, e pertanto concludere che fossero dello stesso livello. Ma sarebbe vero?
No, ovviamente! Niente è facile, quando bisogna analizzare il design di queste navi da guerra italiane!
Spieghiamo bene il perché. Il ponte di coperta, anzitutto, è fatto non di 45 mm di acciaio balistico (omogeneo), ma di 36 mm più 9 di acciaio da costruzioni (ER, elevata resistenza, quello che in UK è il Ducol o in USA è l'STS), che però era utilizzabile anche come corazza. Il ponte intermedio, oltre ad essere sottile (è praticamente quel che ci si può aspettare in una nave rispettabilmente robusta: forse i punti da 14 mm, se ci sono, sono considerabili come 'rinforzati', ma per avere una 'vera' corazzatura bisognerebbe arrivare attorno ai 20!).
E poi c'é il ponte principale. Suddiviso in ben NOVE differenti settori:
-Prua, centro e poppa
-Centrale e laterali (per ciascun settore).
In tutto, la distribuzione della blindatura era così fatta:
-Centro nave: quella più spessa, si estende sul 60% del totale
-Lati: 20% l'uno, che complessivamente fanno un non trascurabile 40% della larghezza dei ponti
Spessori effettivi:
-Centro nave: 112 mm centrali, 99 mm laterali
-Estremità: 162 mm centrali, 109 mm laterali
Chiaro? Mentre la Richelieu, complessivamente, aveva 150 mm su TUTTA la zona centrale, mentre arrivava a 170 sui magazzini. Quindi in realtà, il valore di '162 mm' non era affatto intermedio tra quelli della cuggina francese. La 'media' suggerisce invece che, conteggiando la zona magazzini come la metà (?) della superficie centrale (a sua volta il 60% del totale), abbiamo: 162 mm x 30% + 112 mm x 30% + 99 mm x 20% + 109 mm x 20% = spessore medio sui 123 mm. Che non è, sia chiaro, nemmeno male: ma che protegge in maniera efficace SOLO i depositi munizioni, mentre i macchinari sono senz'altro molto più vulnerabili.
Questo, senza però considerare il fatto che gli spessori di corazza 'balistica' vera e propria erano minori, ovvero:
-Centro nave: 100 mm e 90 mm laterali
-Estremità: 150 mm e 100 mm laterali.
Riassumendo: la protezione orizzontale delle 'Littorio' si potrebbe definire così:
-Coperta: 36 o 45 mm
-intermedio: 12 (-14?) mm
-Principale: 99, 109 o 162 mm.
MA, depurato dalla struttura ER (acciaio da costruzione di elevate caratteristiche, in pratica dalla 'nave' vera e propria):
-Coperta: 36 mm
-intermedio: 0 mm
-Principale 90, 100 o 150 mm.
Quale delle due è 'giusta'?
Nessuna delle due, sostanzialmente: il fatto che l'acciaio è da costruzione non autorizza ad ignorarlo, ma nemmeno a considerarlo parte della protezione balistica a pieno titolo. Nathan Okun, per esempio, calcola lo spessore equivalente (in acciaio omogeneo) del ponte di coperta in circa 42 mm, e quello principale in 157 mm (sui depositi). Questo, probabilmente è dovuto anche alla regola empirica che, a quanto pare, considera come di due piastre d'acciaio giustapposte, la protezione totale equivalente è pari a quella della più spessa più il 70% di quell'altra (e quindi 36+6 = 42 mm! Oppure 150+8 mm = 158 mm, al netto delle differenti qualità balistiche).
Ad ogni modo, non c'é alcun dubbio che un colpo 'pesante', sarebbe stato pericoloso solo a fortissime distanze sui depositi... mentre le sale macchine erano francamente un pò troppo vulnerabili. Addirittura, sembra che il centro delle 'Littorio' fosse più vulnerabile di quello delle vecchie 'Cavour', perché queste ultime avevano pur sempre coperta di 42 mm, intermedio di 30 e principale di 80 mm. Posto che, a dire il vero, un singolo ponte corazzato di spessore equivalente a due spaziati, in teoria dà una maggiore resistenza alla penetrazione (ma più ponti corazzati possono anche anticipare le esplosioni, o deviare i proiettili!).
Nell'insieme, le criticità appaiono due: una, è l'insufficiente protezione a centro nave, per le ragioni di cui sopra. L'altra, è la protezione laterale, che costituisce un problema da non sottovalutare. Infatti, il 40% di protezione dei ponti in zona depositi, era drammaticamente debole! Se un proiettile o meglio ancora, una bomba, fosse arrivata lì, esplodendo o continuando la penetrazione, avrebbe perforato con una certa facilità il ponte corazzato, e dopo, tra la minaccia e i depositi munizioni, ci sarebbe stata solo una corazzetta paraschegge da 24 mm, e una paratia non protetta da 8 mm. Il peggio, oltretutto, è che la corazzetta era inclinata all'indietro, che era cosa buona se doveva fermare minacce provenienti dalla cintura corazzata... ma non era affatto buona, se arrivava un colpo tramite il ponte, perché si sarebbe fatta trovare 'inclinata' proprio nel modo migliore per essere più facilmente penetrata! E la paratia da 8 mm non avrebbe potuto praticamente nulla per evitare il peggio.
Poi certo, un colpo dal lato avrebbe significato 70 mm +scafo (verticali/inclinati) + 100 mm+12 mm (orizzontali) + 24 mm (inclinata all'indietro)+ 8 mm (verticale), e un colpo dal ponte avrebbe significato 100+12 mm + 12(14?) mm + 100+12 mm +24 mm (inclinata)+ 8 mm (verticale). Non proprio uno scherzetto, insomma. Ma nemmeno impossibile, per un grossissimo calibro o una potente bomba.
Questo vale, anche se con conseguenze minori, anche per le sale macchine, con l'aggravante che lì il ponte da superare era di soli 90+9 mm, e per giunta, quello di centro nave pare fosse solo di 36 mm (in coperta).
Il fatto che le navi da battaglia americane avessero corazze più spesse nella zona più esterna del ponte, non è un caso, basandosi anche nel fatto che sopra la zona centrale c'erano delle robuste sovrastrutture, fonte di altra protezione.
Altro errore notato da Okun: sarebbe stato molto meglio cambiare la disposizione delle corazzette antischegge esterne, mettendo quella da 24 dietro la cintura, e quella da 36 mm (ben più robusta e credibile) più all'interno (queste due corazze, tra l'altro, determinavano gli spazi delle casse di compenso).
Nell'insieme, solo nei 2/9 dei settori (circa il 30% della superficie totale del ponte corazzato, a sua volta probabilmente solo circa il 70% dell'intera nave), c'era una blindatura sufficiente, ma con gravi problemi di affidabilità se qualche colpo fosse arrivato 'per le strade laterali' vicine ai depositi.
Disposizione molto complessa, insomma, ma dall'affidabilità più che dubbia, malgrado lo spessore non fosse particolarmente esile.
La Bismarck, per fare un esempio, era pure provvista di nove settori: solo che erano: quello centrale, 80 mm più ali da 110; quelli d'estremità (depositi), 95 (o 100) mm, lati 120 mm (inclinati). Nell'insieme, i due ponti principali avevano spessori da 130-170 mm, più i 13 o 20 (a seconda delle fonti; Okun dice 13) mm del ponte intermedio. Notare che, intermedio a parte, tutti i ponti erano in acciaio balistico puro, senza supporti 'non balistici'.
Cintura corazzata
Quanto alla leggendaria cintura corazzata delle Littorio, essa è senz'altro un capolavoro di complessità, nell'insieme abbastanza efficace. Qui, per brevità, tralasciamo le cinture secondarie (a seconda delle fonti, 60 o 70 mm fino a prua, 90-100 mm verso poppa), più snelle e meno estese.
Anzitutto, la posizione in cui essa insisteva. Essa proteggeva la cittadella ed era quindi, presumibilmente, pari ai 'tubi assorbitori Pugliese', ergo lunga 120 metri (appena il 51% della lunghezza f.t. della nave, o meglio ancora, circa il 53% della linea di galleggiamento). Si sviluppava da poco oltre un metro sotto il livello di galleggiamento, sostituendo quindi i cilindri Pugliese, procedendo verso l'alto.
Come era fatta la cintura della Littorio?
BEH, questa è una bella domanda.
La risposta, più o meno, è '350 mm di spessore'. Costante (a differenza di altre cinture).
No, non proprio. Magari fosse così semplice.
La risposta più precisa è: 70 mm di corazza esterna, più 280 mm interna.
No aspettate, nemmeno questa è la verità assoluta.
Bisogna aggiungere 10 mm di acciaio 'da costruzione' alla corazza esterna, così abbiamo in realtà 80 mm (a cosa serve, visto che non fa parte dello scafo, è difficile dire), però va notato che l'acciaio usato non è del tipo indurito, ma omogeneo e da costruzione. Poi abbiamo 250 mm di vuoto, che secondo alcune fonti è riempito, in realtà, da cemento... poi abbiamo 280 mm di acciaio ad alta resistenza indurito... poi 15 mm di quello ad alta resistenza (presumibilmente lo scafo vero e proprio), con uno strato di legno di qualche cm a fare da ammortizzatore tra i due (almeno da quel che ho capito). POI, non bastando... 36 mm di acciaio di tipo probabilmente omogeneo, ad una certa distanza (1-1,5 m?) dalla struttura principale. Il tutto è inclinato, e questo lo diciamo poi, con calma, perché ovviamente, nemmeno stavolta la risposta è semplice! E infine, 24 mm di acciaio sistemato con una diversa inclinazione (verso l'interno) ancora più dietro.
Anche senza considerare l'inclinazione, abbiamo quindi: 70 mm AO+10 AC+ 250 cemento (non pienamente confermabile, a dire il vero) + 280 mm AI, più xxmm legno (50 mm?)+ 15 mm AC+ 36 mm + 24 mm interni.
BEH, non è un lavoretto fatto bene? La somma totale fa ben 350 mm acciaio balistico, 35 mm da costruzione, più 60 mm paratie interne (balistiche?), totalizzando la mostruosa cifra di 445 mm, in non meno di 6 (sei!) piastre diverse.
E, ad essere pignoli, anche una paratia da 8 mm non corazzata, che era pure presente in funzione anti-allagamento.
E il tutto va visto anche alla luce dell'eccellenza raggiunta dalle acciaierie speciali ternane nelle leghe ad alta resistenza.
Questa gigantesca struttura è significativa perché, sostanzialmente, è progettata per fermare praticamente qualunque proiettile con un'azione tripla, come nei ponti corazzati delle navi. La RM, per qualche ragione, è stata la sola ad avere ben chiara la questione dei proiettili perforanti con il cappuccio (APC) e dei loro limiti. Per perforare acciai induriti senza rischiare di frantumarsi, infatti, questi proiettili dovrebbero far affidamento al loro cappuccio balistico, spesso a sua volta coperto -essendo tozzo- da un frangivento appuntito, dentro cui è anche solitamente sistemata la vernice che serve per riconoscere (dal colore) le salve di una nave da battaglia da quelle delle altre similari in azione. Una volta che la granata impatta contro una piastra d'acciaio, però, il cappuccio generalmente si frantuma, perché non è concepito per penetrare molto a fondo nelle piastre d'acciaio, ma per sacrificarsi erodendo la superficie della piastra indurita (che è quella più dura) per permettere al proiettile di entrare più facilmente (e sopratutto, senza sbriciolarsi). Questo è un fatto ben noto (gli APC, armour piercing capped, esistevano anche prima della Grande Guerra), per cui è davvero sorprendente che questo tipo di soluzione non sia stato adottato da altre marine, a parte (sulle South Dakota e le Iowa), dalla Marina americana (ma non in maniera davvero sistematica, non quanto fecero gli italiani, almeno). Una volta che il proiettile perde il cappuccio, ha una perdita di potere perforante data dalla massa di questa parte della munizione, che andando persa, si porta dietro anche l'energia cinetica. E poi, aggiungendo a questa piastra una seconda, di tipo indurito (possibilmente anche di più del proiettile stesso), si ottiene con una certa facilità la disintegrazione del proiettile, anche quando questo avrebbe potuto entrare! E infine, per evitare che schegge provenienti dalla corazza principale si stacchino facendo comunque danni (per non parlare dello stesso proiettile), vi erano ben due e assai robuste paratie di acciaio, inclinate a loro volta (la seconda, a dire il vero, per coprire sopratutto lo scafo interno dai colpi in arrivo dai ponti).
E poi c'é l'inclinazione. Già, ma quant'é l'inclinazione?
Nathan Okun dice 8°. Whitley pare che sostenga 11°; altri, come Giorgerini e Cernuschi, sui 14 o 15°. L'ottimo Gino Galuppini, nella sua guida a tutte le corazzate della storia (niente di meno!) sostiene addirittura...25 gradi.
Per capire quant'é importante l'inclinazione, basti dire al riguardo che una corazza inclinata di 10° è più o meno equivalente al 10% di resistenza extra, anche se in realtà, dal punto di vista geometrico, lo spessore virtuale incrementa di meno del 5%. L'aumento dell'inclinazione, di fatto, è superato dall'efficacia pratica, e più l'inclinazione aumenta, e più la piastra offre protezione. Quindi stabilire se è 8, 11, 14, 15 o 25° è importantissimo per calcolare l'efficacia di questa protezione.
Dico subito che Galuppini ha preso un abbaglio: 25° sono troppi, non c'é nulla da fare, specie se si calcola l'angolo a metà nave o anche nella zona dei depositi.
Per capire questo, basti dire che diverse corazzate americane,francesi e giapponesi ebbero corazze sistemate internamente allo scafo, con il grande vantaggio di non dover rispondere alle leggi dell'idrodinamica, nello stabilire la propria forma, visto che a questo ci pensavano le piastre (non protette, o anche leggermente corazzate) esterne. Questo permetteva anche di estendere la cintura fino al galleggiamento, aumentando progressivamente la distanza dallo scafo e formando una paratia antisiluro. Soluzione persino elegante, rispetto ad avere una cintura corazzata e sotto, una paratia antisiluro del tutto slegata dalla prima.
Ma c'erano anche delle controindicazioni. la piastra corazzata era un pò troppo vicina allo scafo, e sopratutto era troppo rigida, mentre la giuntura tra la cintura superiore e le piastre più leggere era vulnerabile alle grosse esplosioni subacquee, per cui doveva essere rinforzata adeguatamente (come accadde alla Yamato, per esempio).
Nell'insieme, comunque sia, questa soluzione era assai efficace rispetto ai proiettili veri e propri, arrivati sott'acqua da distanze relativamente ridotte. Se si pensa che questa sia un'esagerazione, si consideri che la marina giapponese aveva dei veri e propri proiettili concepiti per questo scopo (non bastando i siluri 'Long lance', che già pareggiavano in gittata i cannoni di grosso calibro!).
Le King George V avevano una cintura più corta, ma era alta il 50% in più, ergo ben 7,2 metri, di cui circa 4,6 sotto il livello del mare (una grossa mano per la protezione anti-siluro!), quando la Bismarck ne aveva solo 1,6 metri su 4,8 (il 33%). Queste navi avevano quindi una protezione eccezionale, eppure essa non venne sfidata alle distanze normali di combattimento, nonostante i numerosi colpi arrivati a segno, ben più di quelli che vennero messi a segno dalle Littorio in tutta la II guerra mondiale.
Le paratie corazzate di tipo normale, potevano se non altro essere sistemate molto più indietro, e quindi più al sicuro dalle esplosioni più potenti. Meglio se inclinate verso il basso, come sulle Scharnorst; ma andavano bene anche verticali. La Bismarck era capace di reggere esplosioni di 250 kg di TNT, malgrado avesse una distanza dallo scafo della paratia corazzata di appena 3,7-5,5 metri. Troppo poco, forse, e sopratutto con una disposizione un pò discutibile (uso di paratie 'piene' di liquido a ridosso della paratia, senza altre paratie di separazione, né dietro la stessa per contenere eventuali allagamenti dovuti a rotture della pur robusta struttura da 45 mm).
L'impressione, tornando alla cintura delle Littorio, è che essa fosse 8, al più 11° di inclinazione. Questo è dovuto ai disegni disponibili, che dimostrano, quelli più dettagliati in particolare, come l'inclinazione fosse piuttosto modesta. Del resto, se persino le cinture interne non arrivavano che a 20° (nella Yamato), perché mai quelle esterne avrebbero potuto raggiungere angoli particolarmente acuti?
Le foto disponibili fanno capire chiaramente che la fiancata era effettivamente inclinata, ma non in maniera particolarmente elevata. Una decina di gradi è quello che ci si può aspettare al massimo, l'unico dubbio è se sono 8 o 11, per come la vedo io. 14-15 sono ancora possibili, ma ben poco probabili.
Ma tutto questo non è ancora sufficiente, perché manca un'altra cosa: l'estensione. Ovviamente, se la cintura è troppo piccola, non sarà efficace nel parare i colpi, anche se l'hanno fatta 'imperforabile'.
La lunghezza dovrebbe essere esattamente di 120 metri (quando la lunghezza della Impero è di 237,8 m, 224,5 m sulle perpendicolari, per 32,9 m f.t. o alla carena, di 32,4 metri; immersione p.c. 10,5 m e bordo libero 16,6 m, per un dislocamento di 41.377-45.963 t v. SM 3/14).
L'altezza della cintura, secondo gli schemi disponibili, sembra molto ampia: in realtà non proprio, sono gli schemi che esagerano. Secondo Whitley, quanto meno, era sui 3,76 metri. Anche per questo era così spessa. Ma la sua estensione era, a quel punto appena sui 450 mq. Secondo SM, invece, stando allo schema illustrato, dev'essere stato verso i 4,5 metri di altezza (circa 540 mq complessivi), ma ancora non è chiaro affatto, che tipo di raccordo viene fatto con lo scafo, con una sorta di inclinazione alta probabilmente circa un metro. Non è affatto chiaro se sia solo una specie di scalino vuoto, tanto per raccordare una cintura molto voluminosa e totalmente appoggiata all'esterno, oppure ha un suo spessore blindato, ancorché decrescente (in questo è molto simile, apparentemente, alle navi tedesche coeve).
Questo valore è poco più della metà delle Bismarck, per cui si può cominciare a capire bene come mai, malgrado la quantità di corazzatura superiore, la nave tedesca avesse una minore grossezza della cintura! Inoltre la Bismarck aveva un ponte inclinato di ben 68° dietro, spesso 110 mm (praticamente, la protezione di un carro T-64). Combinando le due strutture, più la paratia antischegge da 30 mm sopra il ponte corazzato, o quella antisiluro da 45 mm sotto, si capisce come mai fosse praticamente impossibile passare attraverso questa eccellente protezione (anche considerando gli acciai speciali tedeschi, al solito eccellenti). Probabilmente solo dei colpi a segno da distanze 'alla corsara' (bruciapelo) da parte dei cannoni delle navi da battaglia dell'epoca erano capaci, colpendo obliquamente, di perforare questa struttura, che comportava complessivamente circa 600 mm di spessore totale.
I cilindri Pugliese
Il sistema di protezione subacqueo, non meno caratteristico della cintura corazzata stratificata, era quello noto come 'Pugliese', dal nome dell'ideatore.
Il 'Pugliese', fa parte del fascino di queste corazzate. A vederlo in sezione, sembra un occhio, quasi una figura mistica disegnata in qualche geroglifico maya. Invece, era di fatto un'estrema interpretazione dello schema protettivo introdotto dai britannici con le navi da battaglia della Grande guerra, come le Revenge. Esso si basava su una carena dentro la quale c'erano una serie di tubi vuoti e sigillati. Una buona idea, che comportava, per l'esplosione, il dispendio di risorse per frantumare i tubi e passare oltre; e non solo, la presenza di questi tubi tendeva a spezzettare il fronte d'urto dello scoppio, riducendone ulteriormente l'efficacia.
La soluzione escogitata da Pugliese era portare all'estremo questa teoria. Partendo dalla considerazione che più i tubi erano di ampio diametro, e più erano efficaci, finì per sistemarne uno solo! In teoria, questo grosso tubo veniva distrutto dall'esplosione e implodeva, essendo circondato da liquido (prima nafta, poi, come veniva sostituita, da acqua di mare), prima che l'esplosione raggiungesse la paratia corazzata dietro. Eventuali perdite sarebbero state parate dalla paratia finale, circa 8 mm di spessore, ovviamente non corazzata, ma nondimeno, a tenuta stagna.
Un sistema non propriamente infallibile, e soggetto a critiche dagli storici, quanto da adulazione da gente 'dilettante' che scrive della sua efficacia. Per fortuna i giudizi sono più bilanciati, mano a mano che la conoscenza filtra (sic) attraverso la Rete.
La Littorio aveva una protezione capace di reggere 300-350 kg, le Re Giorgio V arrivavano a 450 kg.
Bisogna dire che questi erano valori 'garantiti', si poteva anche fare di meglio. Ma solo al centro nave, dove lo spessore del sistema antisiluro era superiore.
Nel caso della Littorio, questo sistema era spesso quasi 7 metri (con un fronte esterno di 14-15 mm, e un doppio fondo da 9-11 mm a circa 1-1,5 m distante, cilindri spesso 6 mm, e paratia di 40 mmm curva, ridotta a 28 mm nella parte inferiore), ma a quanto pare senza considerare la paratia da 7,9 mm dietro a quella corazzata da 40 (28 mm nella parte più in basso). Per questo era marginalmente più efficace di quello della Bismarck (spesso al massimo 5,4 metri, ma alle estremità solo 3,75), perché un metro è tantissimo per un sistema anti-siluro, che è concepito come avente spazio 'sacrificale' per permettere all'esplosione di espandersi.
I Tedeschi, per esempio, testarono il sistema di protezione della Impero, nell'estate del '44. Francamente è difficile capire cosa gli importasse, all'epoca, di una tale sperimentazione, visto che oramai di navi da battaglia non ne avrebbero mai più costruite, e lo sapevano bene.
Comunque sia, sebbene la Impero abbia resistito bene ai test, va detto che si trattava di una nave enormemente più leggera (10.000 t?) di una vera 'Littorio' in assetto di combattimento, con le relative immersioni (e pressioni dell'acqua).
Ma quali erano gli inconvenienti del 'Pugliese'? A parte che il sistema doveva essere posto in opera con la massima cura, perché era basato su di un principio piuttosto delicato da mettere in pratica.. la teoria era a sua volta discutibile. La paratia interna era a 'diga'. L'esplosione avrebbe avuto pochi problemi a seguire 'istintivamente' la superficie del tubone, per concentrarsi nella concavità della paratia, errore madornale nella concezione di questa struttura. Era quella più gradita all'onda d'urto di una qualunque esplosione. Una paratia inclinata avrebbe potuto farla deviare (nelle navi americane, tendenzialmente, le paratie erano multiple e convesse), una verticale avrebbe 'incassato' lo stesso ammontare di carico equamente ripartito (o almeno, ci si sarebbe avvicinata). Ma una struttura concava è a tutti gli effetti quel che nella terminologia dei carri armati è definita 'shot trap', trappola per colpi. Ergo, punti in cui i proiettili, anziché essere invogliati ad andarsene, sono trattenuti a forza, o deviati in maniera strana e pericolosa (per esempio, i pur potenti Panther avevano una pericolosa shot trap nel mantello inferiore del cannone).
Non solo questo: poniamo che la cintura fosse stata evitata da un proiettile a traiettoria subacquea, questo molto probabilmente avrebbe percorso tutta la struttura del sistema antisiluro e sarebbe esploso contro la paratia antisiluro. Quest'esplosione era ovviamente molto meno potente di quella di una testata di siluro o mina; ma le esplosioni decrescono in efficacia con la radice cubica! E la paratia da 40 mm poco avrebbe potuto fare. Già sulla Bismarck, uno colpo della P.o.W. causò, sulla paratia, un discreto danno, con tanto di allagamenti locali. Ed era una paratia verticale da 45 mm.
Per giunta, la parte inferiore della paratia antisiluro Pugliese era quasi verticale, ma spessa, almeno sulla Impero, 28 mm appena. Questo non era solo uno spessore meno grande, ma era proprio una soluzione di continuità tra la piastra più spessa e inclinata, e quella più in basso. E questa differenza era fonte di notevole debolezza strutturale (proprio una bella idea, quella di interrompere una paratia antisiluro praticamente a metà, eh?).
Poi c'era il problema della disponibilità di spazio. La struttura del tubo antisiluro era di 380 cm di spessore, nella parte centrale della nave. Beh, all'altezza delle torri di grosso calibro, a quanto pare sia a prua (più comprensibile) sia a poppa (molto di meno), calava notevolmente: si dice fino ad appena 230 cm, ergo un terzo in meno. Quando un siluro di un sommergibile britannico (l'Urge, se ricordo bene), colpì la V. Veneto in zona della torre C, non c'é quindi da stupirsi se le paratie cedettero di schianto e la nave imbarcò 3.000 tonnellate d'acqua, uccidendo 40 persone, per lo più nei magazzini di grosso calibro. La nave di per sé non ebbe gravi conseguenze, ma la struttura aveva dimostrato di essere molto vulnerabile e che le esplosioni subacquee di grossi ordigni non erano assolutamente parabili dal sistema antisiluro.
Quanto di questo fosse dovuto al sistema Pugliese di per sé è materia di discussione.
Però:
1-il sistema Pugliese si estendeva per 120 metri, il che significa poco oltre la metà della lunghezza della nave.
2-anche nella zona del ridotto corazzato, la struttura era di spessore pieno solo a centro nave, dove c'erano i locali macchine, peccato che questi erano anche i più sacrificabili rispetto alle riservette di munizioni.
3-il sistema non era capace di reagire in nessun modo né alle estremità dello scafo, né sotto di esso, dove piuttosto c'era un convenzionale doppio scafo, che diventava addirittura triplo nella zona del ridotto (dove era anche presente la cintura principale e il cilindro assorbitore Pugliese).
Nelle relativamente frequenti 'sperimentazioni' dal vivo che subirono le corazzate Littorio, sei siluri colpirono lo scafo sott'acqua (probabilmente la bomba è quella che attraversò la Roma). Di questi, solo due siluri e una bomba Fritz-X colpirono la zona dei cilindri assorbitori. Ma nessuno di questi ordigni colpì la parte più spessa degli stessi!
Quindi, viene un pò il dubbio: se su una mezza dozzina di colpi solo un terzo arrivò al sistema Pugliese e nessuno nel punto più spesso, era questo un tipico caso di soluzione teoricamente ingegnosa, ma di tipo poco pratico?
I sistemi antisiluro sono tutti deficitari in copertura, specie verso le estremità (del resto considerate più sacrificabili). Ma a Taranto 5 siluri su 5 impattarono le navi da battaglia tutte 'pugliesizzate', e il risultato fu catastrofico. La Littorio non affondò nettamente, solo perché portata in acque basse.
Si beccò tre falle da 7x1,5 m, 12x9 m e sopratutto, 15x10 metri, tanto da andare ad incagliarsi per evitare l'affondamento. La Littorio venne risollevata solo un mese dopo, e buon per lei che un quarto siluro rimase inesploso lì vicino alla nave, invece di fare il suo 'lavoro'. Tutto quel che si può dire è che le riparazioni furono velocissime (circa 4 mesi), però a scapito di quelle di altre navi.
La Duilio andò a spiaggiarsi dopo avere subito una falla di 11x7 metri; la Cavour ne ebbe una di 12x8 metri e affondò davvero, anche perché tutti i soccorsi erano orientati eccessivamente alle altre due unità. Ora, i siluri colpirono praticamente al di fuori della zona più protetta dai sistemi Pugliese. Ma questa non è una buona scusa perché questi non abbiano funzionato. che sistema è quello che proteggerebbe, ma solo se il siluro ha la delicatezza e la sensibilità di colpire esattamente i punti dove è presente, possibilmente nei massimi spessori? Non è un pò chiedere troppo dalla fortuna? E alla cattiva mira del nemico?
Va ricordato che la Yamato venne affondata con molti meno siluri della Musashi, anche perché apparentemente gli americani mirarono sopratutto alle zone più estreme, in maniera tale da trovare dei punti meno protetti e più danneggiabili, in base al ragionamento che è meglio danneggiare seriamente un punto secondario, che non fare quasi niente con un uno primario ma ben protetto. E funzionò, a dire il vero: 10-12 siluri e una mezza dozzina di bombe fecero esplodere la Yamato poco più di un'ora dall'inizio degli attacchi, mentre la Musashi sopravvisse per 4 ore a 19 siluri e 16 bombe, tanto che per poco non riuscì a spiaggiarsi (se solo la costa fosse stata entro 15-20 km, per esempio, ci sarebbe riuscita).
Quindi, tanto per cambiare, il sistema Pugliese è la solita soluzione brillante ma non molto pratica, bella a vedersi con quell'occhio che ti guarda, nelle sezioni (è inconfondibile!) della nave, ma ha un'utilità marginale a dire già in teoria e certamente non è stata confermata dalla pratica come migliore dei tipi tradizionali.
Tanto per intendersi: la Littorio prese 3 siluri dello stesso tipo di quelli che ebbe la Bismarck (forse addirittura 4 in tutto). Se la Bismarck avesse avuto la stessa vulnerabilità (o sfortuna?) della Littorio, non ci sarebbe stato bisogno di finirla con le cannonate a bruciapelo. Sarebbe affondata da sola, e le navi inglesi avrebbero dovuto solo raccogliere le scialuppe in mare. Beh, almeno si sarebbe evitato un evidente spreco di vite umane, come accadde alla coriacea nave tedesca.
NB: la Littorio, a differenza di quanto spesso si legge, NON FU PRESA DI SORPRESA: infatti gli aerofoni avevano dato l'allarme e la nave era in assetto d'allarme, e quindi anche i compartimenti erano chiusi. Inoltre i siluri andarono a segno nelle due ondate, giusto come furono due gli attacchi che affondarono poi la Roma nel settembre 1943 (anche la Roma era in assetto di combattimento, ma fu presa di sorpresa nel vedersi attaccare da aerei quasi sulla verticale, apparentemente fuori dalla possibilità di lanciare... bombe normali; però, dopo la prima bomba a segno, Roma e Italia ebbero tutto il tempo per reagire, inteso il nuovo pericolo, eppure vennero colpite ugualmente).
Il Torrione
Adesso, per quanto riguarda il torrione di comando, che probabilmente -pur essendo poco citato- era la caratteristica PIU' distintiva delle unità della Regia Marina. Le navi italiane si facevano notare per l'eleganza delle forme, ma l'essenzialità della loro sovrastruttura era evidente, stranamente, sopratutto nelle navi più grandi (mentre i cacciatorpediniere e persino le torpediniere erano caratterizzate da sovrastrutture francamente un pò troppo massiccie e 'superflue' per navi di quella classe, che tra l'altro erano tra quelle meno armate). A dire il vero, dovremmo dire LA sovrastruttura, perché c'era, praticamente, solo un grande torrione integrato.
Il torrione di comando era essenziale, perché permetteva di ridurre le sovrastrutture, e al contempo di proteggere quelle che c'erano. Così c'erano meno bersagli da colpire per i cannoni nemici, e quello che c'era, era tutto protetto, molto compatto e ben integrato.
Il torrione delle Littorio era con la stessa filosofia delle altre navi nuove o ricostruite della flotta principale italiana. Anche se inevitabilmente parte delle strutture fossero esterne ad esso, come le plance comando e timoneria, era pur sempre un concetto molto ardito e semplificatore, che spiega in parte come mai le Littorio sembrassero quasi come navi della Grande Guerra, non fosse stato per la batteria di cannoni da 90 mm laterali.
Ma il problema era, in realtà, solo apparentemente risolto.
Da un lato, questi torrioni erano troppo stretti per ospitare tutto quel che c'era, e anche con le strutture esterne, lo spazio non abbondava. E meno che mai abbondava, quando a bordo c'erano i comandi di divisione o di squadra.
Del resto, c'é una ragione per la quale le altre marine non ebbero questo tipo di sistemazione, preferendo la classica separazione tra una plancia medio-bassa, e un alto albero per la S.D.T. La Yamato è un'eccezione parziale, ma il suo torrione era ben più grande e massiccio anche di quello delle Littorio.
Dall'altro lato, la corazzatura di protezione non era poi così buona, anzi!
Le Cavour, per esempio, avevano un torrione rivestito con 24 mm di corazza (non è chiaro se essa si aggiungeva ad altre piastre, forse di acciaio da costruzione?). Questo 'collo' aveva al suo interno una spina dorsale da 100 mm, che collegava il cervello della nave, il torrione vero e proprio (260 mm), con il corpaccione della corazzata, arrivando fino al ponte corazzato principale (come del resto lo stesso torrione). In verità, questo spessore era appena superiore a quello che sarebbe servito per sopportare la struttura stessa, così pesante, della torre di comando.
Questo torrione, nel suo muro 'esterno', poteva reggere ragionevolmente bene al fuoco di mitragliere, schegge non troppo pesanti e poco altro. Ma persino un cannone da 75-76 mm, entro qualche km, avrebbe potuto causare seri danni, specie se con proiettili AP.
I pezzi di medio calibro erano più temibili: i 90-100 mm probabilmente potevano, con la forza dell'esplosione, danneggiare le pareti anche senza riuscire a penetrarle, e questo anche a distanze elevate.
I 120-127 mm, erano perfettamente capaci di perforare questo tipo di struttura con gli AP, e i 127 mm con le granate 'common' (HE, le più usate), potevano ancora perforare quasi 40 mm di acciaio a 9.150 m, per cui probabilmente potevano minacciare questo tipo di torrione fino quasi alla loro massima gittata (15-16 km).
I proiettili degli incrociatori leggeri erano capaci di penetrare o di danneggiare questi torrioni senza problemi, potendo, nel caso dei cannoni inglesi da 133-152 mm, perforare 76 mm a 9-11 km di distanza, e tirando proiettili HE assai 'convincenti' nel frantumare pareti d'acciaio non molto spesse. La 'spina dorsale' poteva essere raggiunta e perforata solo da cannonate da 152 molto vicine, oppure dai pezzi da 203 mm. Questi ultimi non potevano perforare le pareti del torrione, essendo spesse ben 260 mm (forse a brevissima distanza?)
Ma questa è paccottiglia, perché il vero nemico sarebbero state le navi da battaglia e i loro cannoni pesanti. Non c'é modo che il torrione di comando potesse reggere la potenza dei 381 mm, se non a distanze elevate (18-20 km?); appena sopra, in ogni caso, avrebbe potuto eventualmente perforare il tetto della torre, essendo questo spesso solo 120 mm.
Nessuna speranza, invece, per il 'collo' della nave, troppo sottile per le ragioni di cui sopra.
E la centrale di tiro? a quanto pare era blindata con appena 16 mm, giusto sufficienti per funzione antischegge/antimitragliera.
E la Littorio? Il valore era di 60 mm esterno, 200 mm per la 'spina dorsale' e il torrione era sempre di 260 mm, però con 130 mm per il tetto. Questo torrione di comando aveva caratteristiche eccezionali, perché si allungava in ben tre piani diversi.
Però: lo spessore di 60 mm era perforabile probabilmente fino ad almeno 10 km dai cannoni degli incrociatori leggeri o anche dalle armi secondarie delle navi da battaglia nemiche. Lo spessore di 200 della 'spina' (attraverso la quale passavano i cavi, le comunicazioni, e una scala per accedervi), era invulnerabile anche ai pezzi da 203 mm.
Ma, ancora una volta, nulla che un colpo da 330-406 mm non potesse bucare, e anche da distanze nient'affatto ridotte.
Lo stesso torrione, oltre ad essere un bersaglio più grande, aveva spessori variabili, tanto che i 260 mm venivano raggiunti solo nella parte frontale dei due piani inferiori; sopra era di 250 mm, e nella parte posteriore della struttura calava a 200-210 mm. La cosa era comprensibile, essendo quelle strutture meno esposte al tiro nemico. Tuttavia, bisognerebbe capire quanto ampio fosse l'arco posteriore: 90° sarebbe accettabile, ma 120 o più sarebbe pericoloso! Tenete presente che certi pezzi da 203 mm erano considerati sufficienti contro corazze da 250 mm anche su raggi di 8-10 km!
A parte questo, è chiaro che la scommessa era persa in partenza. Con un simile torrione, le Littorio avrebbero dovuto preoccuparsi persino dei cannoni inglesi da 356 mm, su distanze di circa 20 km.
Quanto al 'collo', non c'era molto su cui contare: anche la 'spina dorsale' non poteva garantire un'impenetrabilità assoluta rispetto alle corazzate nemiche inglesi, non parliamo poi di quelle francesi o quelle americane.
Se la struttura corazzata del torrione fosse stata omessa, si sarebbero avuti spazi maggiori e con migliori qualità abitative. Non solo, ma si sarebbe potuto dare al torrione quello spessore minimo (300-350 mm) che sarebbe bastato a renderlo credibilmente protetto. Ma tutto questo avrebbe finito per rendere le 'Littorio' e le altre navi italiane più 'normali', come il resto del mondo faceva, nella sua barbarie costruttiva!
Fattore non propriamente secondario, pare che -o almeno non risultano schemi protettivi in questa zona- che il cappello da 'carabiniere', con l'ingegnosa attrezzatura d'osservazione e tiro automatizzata, non avesse alcuna protezione, nemmeno quella 'per firma' delle Cavour (mentre è probabile che le Duilio avessero almeno una limitata protezione, forse simile a quella delle Cavour, benché avessero un torrione simile a quello delle Littorio, quindi ben più grande e alto). Questo significa che un colpo da 120-127 mm arrivato a segno nella zona, avrebbe distrutto o messo KO l'intero sistema di tiro della Littorio, lasciando l'incombenza a quelli secondari, sistemati nelle torri stesse (ma ad un'altezza sul mare molto meno marcata, quindi con minori capacità).
Infatti, le Littorio non avevano alcuna sistemazione di tiro secondaria per i loro grossi calibri. Nessuna. Infatti la piccola torretta poppiera non era una stazione di tiro, ma una coffa per proiettori, con un piccolo telemetro di riserva, che però non era connesso alle torri (che comunque, ben difficilmente ne avrebbero avuto bisogno).
Questo paragone è ancora più stridente se si pensa alla sistemazione delle 'Bismarck'. Queste avevano ben tre stazioni di tiro, una sul torrione (con telemetro da 7 m, leggermente meno dei 7,6 m delle Littorio); le altre due sistemate sugli alberi di prua e di poppa, entrambe con telemetri da 10 metri. Ma non era solo questo: erano TUTTE corazzate, e non per proforma. Gli spessori erano fino a 100 mm (60 in quella dell'albero superiore), sufficienti per reggere il fuoco dei cannoni secondari, altro che mitragliatrici e piccole schegge!
Questo era un vantaggio; un altro era la sistemazione ben distanziata, con una sola stazione sistemata sopra il torrione, e le altre a decine di metri di distanza. Un solo colpo non poteva distruggerle, a meno che non fosse stato un proiettile atomico come il W23 Katie dei cannoni da 406 americani (apparso negli anni del dopoguerra).
Inoltre, la stazione di tiro principale, era marcatamente più in alto di quella delle Littorio, e anche questo contava.
Un effetto secondario non trascurabile di questi torrioni era che essi erano un marchio di fabbrica, che rendeva immediatamente riconoscibili le navi italiane; e non solo, ma il torrione era molto tozzo, quindi la stima delle distanze era molto semplice: bastava osservarlo, e conoscendo l'altezza sul mare, sarebbe stato un gioco da ragazzi misurare la distanza. Non c'era praticamente niente sopra, per cui era un'altezza particolarmente 'pulita' e semplice da osservare.
Ma c'é di più. I torrioni corazzati di questo tipo, come si è visto, non erano sufficienti per parare i colpi di grosso e magari nemmeno di medio calibro. Però erano capacissimi di attivare le spolette delle granate! Questo significa che molti proiettili, che sarebbero passati attraverso le strutture senza esplodere, con danni minimi per la nave (tanto, in ogni caso, sarebbero comunque entrati), sarebbero invece detonati al loro interno, oppure appena al di fuori del torrione stesso, investendo le sovrastrutture e la contraerea. Bel risultato davvero!
Tanto per intenderci, molti tipi di proiettili (almeno gli AP) si attivavano solo se incontravano almeno 20-30 mm di corazza. Troppi per una struttura non corazzata, così si spiegano i colpi 'penetranti' attraverso le sovrastrutture della South Dakota (o se è per questo, della torpediniera 'Lupo', centrata nel '41 da almeno 18 colpi inglesi ma con 'danni minimi').
Questo per dire quale fosse il valore effettivo della soluzione 'all'italiana'. Francamente, stile a parte, non mi pare che avesse altri motivi di merito nel mondo reale. Un pò come quei mezzi corazzati sovietici, come il T-72 e il BMP-1, sulla carta eccellenti e pure superiori rispetto ai mezzi occidentali, salvo provare la loro inferiorità nel mondo reale.
Che poi, volendo fare un raffronto: la Bismarck, con sovrastrutture convenzionali, aveva un torrione da 350 mm, una 'spina dorsale' da 220 mm, e un 'collo' (incluso nelle sovrastrutture non protette, che serviva anche come sostegno al torrione) spesso -anch'esso- 60 mm, come sulle Littorio. Ma col 10% di corazza extra per la galleria, e +90% (30%) per il 'cervello'. Questo significava essere pragmatici.
Il fatto che il torrione corazzato delle navi italiane fosse installato fin dal ponte corazzato, apparentemente con lo stesso spessore (malgrado fosse dentro la 'scatola corazzata' dello scafo, col ponte e cintura secondari discretamente blindati) è un'altra di quelle stranezze dei progettisti, che francamente non è ben spiegabile, visto che persino le barbette delle torri sono (giustamente!) più spesse sopra il ponte e meno di sotto. Allora, o si considerava troppo poco protetto il ponte corazzato così com'era, ma quale era il punto del proteggerlo di fatto meno, dove era più vulnerabile? L'unica concessione era la spina dorsale che si riduceva a 150 mm, a quanto pare, appena sotto il ponte di coperta (blindato).
Qualche ulteriore commento sul concetto di protezione 'stratificata'
Anche qua, bisogna osservare alcuni legittimi dubbi su quale sia la validità della stessa cintura delle navi da battaglia Littorio, come si è visto sopra, basata sopratutto sulla spaziatura di diverse lastre protettive.
In teoria, infatti, è tutto OK. Secondo Nathan Okun, una piastra corazzata di circa l'8% rispetto al calibro di un proiettile in arrivo, è sufficiente per scappucciarlo. Veramente un investimento di pochissimo valore, no? I 32 mm esterni alla cintura delle S.Dakota erano quindi la principale differenza rispetto alle N.Carolina, che invece avevano sì la cintura corazzata inclinata, ma 'esposta' totalmente all'offesa nemica, vernice a parte! Eppure, erano capaci di scappucciare proiettili fino a circa 406 mm: del resto è per questo che la protezione delle SD era considerata adatta a reggere (a medio-lungo raggio) ai colpi da 406 mm anziché ai 356 mm. Non sarebbe stato possibile, se si fosse limitata la modernizzazione ad aggiungere altri 32 mm (1,25') alla cintura da circa 305 (o 310 mm) iniziale!
I 38 mm delle Iowa avrebbero scappucciato proiettili fino a circa 457 mm, e quindi avrebbero minacciato anche le munizioni delle Yamato.
Peraltro, non è chiaro se la 'scappucciatura' fosse sicura al 100%, ma certo il cappuccio balistico ne sarebbe stato afflitto. Inoltre, è altrettanto chiaro che, se il colpo non fosse arrivato perpendicolare, ma angolato in maniera apprezzabile (senza considerare l'angolo di caduta+quello della stessa cintura), le probabilità di scappucciamento non avrebbero potuto che aumentare.
Nel caso delle Littorio, invece non si volle stare 'bassi': ben 80 mm di acciaio! Quindi lo scappucciamento era pressoché sicuro.
Cosa comportava? Che anzitutto, la munizione perdeva il materiale, di tipo relativamente soffice, capace di 'aprire un buco' nella pelle delle corazze indurite, per poi far passare il proiettile. Qui, in pratica, si metteva a nudo il proiettile vero e proprio, oltre che rallentarlo un pò, e a quel punto probabilmente l'avrebbe condotto a frantumarsi/esplodere prematuramente contro la corazza indurita principale. E le schegge eventualmente staccatesi da questa, a quel punto, sarebbero andate a fermarsi contro le piastre posteriori (ben due, da 60 mm complessivi).
Era praticamente lo stesso tipo di concezione dei ponti delle navi americane: ponte di coperta, ponte principale, ponte antischegge.
Per inciso, così come i tedeschi tendessero a costruire i loro incrociatori pesanti a bella posta delle navi da battaglia in aspetto (Bismarck), volontariamente per confondere la ricognizione nemica e i puntatori anche durante le battaglie... gli italiani tendevano a costruire o ricostruire navi da battaglia e incrociatori (leggeri, perché quelli pesanti andarono fuori produzione fin dai primi anni '30), tutti con la stessa concezione: torrione compattissimo, leggermente corazzato. E all'interno, piastre d'acciaio con più strati, per i fianchi.
Già i 'Da Giussano', pare, avessero 24 mm esterni (più lo scafo?) e però anche 18 mm interni (o era lo stesso scafo?). Altri incrociatori avevano spessori tipo 60+25 mm. Infine, i Garibaldi avevano una protezione complessiva di ben 142 mm (escluso lo scafo??) laterale (mentre il ponte ne aveva solo 40, e forse pure meno). Questo era fatto in maniera inversa rispetto agli incrociatori precedenti: prima lo spessore ridotto (30 mm, non è chiarissimo se faceva parte dello scafo stesso, cosa che mi sembra molto probabile); poi 100 mm interni, che fermavano i proiettili arrivati (dopo essere stati decappucciati), e infine 12 mm (non acciaio balistico, ma giusto una sorta di paratia) antischegge-antiallagamento.
Quindi era proprio una volontà precisa, da parte della RM. Notare come l'arrangiamento dei 'Garibaldi', era meno spesso magari, ma era non solo efficace anche contro i proiettili dello stesso calibro di quelli di bordo; ma anche da parte dei colpi più grossi, offrendo una certa protezione anche a quelli da 203 mm! Non solo: gli incrociatori Abruzzi/Garibaldi (5o gruppo dei 'Condottieri'), malgrado lo spessore complessivo inferiore, erano molto probabilmente PIU' PROTETTI', lateralmente, persino dei possenti 'Zara'!
Questo, beninteso, era presumibilmente però vero solo contro proiettili AP 'semplici' piuttosto che gli APC perché nel primo caso, un monoblocco di acciaio molto spesso, è meglio di più strati, poiché la penetrazione, dopotutto, incontra una resistenza pari al quadrato dello spessore perforato! E questa è la ragione, per esempio, per la quale un ponte singolo più spesso offre più protezione di due separati di pari spessore. Non solo, ma anche con piastre corazzate appoggiate l'una all'altra, l'efficacia è inferiore comunque: sostanzialmente, se ci sono due piastre, una delle quali più sottile, l'efficacia sarà pari a quella della piastra più spessa, più circa il 70% di quella meno spessa (ergo: sarebbe come dire 100+50 mm = 135 mm). Ecco perché è bene fare piastre monoblocco molto spesse. E perché i karateki, quando fanno le 'prove di rottura', preferiscono rompere mattoni e simili rigorosamente separati l'uno dall'altro. Del resto, la manciata delle frecce 'che non si spezza' reagisce come se fosse una freccia sola, mica vengono affrontate una per una. E la penetrazione è sempre un 'fenomeno locale'.
Però, ovviamente, se devi proteggere anche i ponti superiori, almeno un pò, da proiettili e bombe più piccole, o se devi attivare le spolette dei proiettili e bombe AP prima che arrivino al ponte, è chiaro che conviene avere almeno un ponte blindato che precede quello principale.
Tornando alla cintura blindata, la teoria del multistrato è anche questo: la piastra esterna rallenta e 'scappuccia' il proiettile, il che significa che ne riduce l'energia e la penetrazione, perché il cappuccio è una grossa percentuale del totale, circa il 15% o più. Rallentare il proiettile e togliergli un pò della massa significa non solo renderlo più propenso a frantumarsi all'impatto contro la corazza indurita, ma è anche un modo per ridurre la penetrazione delle blindature nemiche (se non altro, rallentando, il proiettile.. tende a scendere sotto una velocità critica che altrimenti lo porterebbe a frantumarsi! Per cui 32-38 mm forse sono pochi per assicurarsi lo scappucciamento, ma 80 mm forse sono troppi!).
Ora, però, un dubbio: se di fronte alla semplice aggiunta di corazzette anteriori alle piastre principali (anche per le barbette, quanto meno di quelle delle navi rimodernate, che ebbero 50 mm extra sulla corazza già esistente), perché mai non è stata applicata una tale tecnica anche in altre nazioni? Perché, per esempio, la RN ha invece voluto farsi una 'muraglia' con la sua ottima corazza CA del massimo spessore possibile, e pure verticale?? Se anziché fare 350 mm di corazza indurita, si fosse costruita una blindatura indurita da 300 mm, più una omogenea/da costruzione da 50 mm, non sarebbe stata più efficace, e pure più economica??
La cosa interessante è che molte altre marine avevano questo concetto, per esempio esso era ben noto per le paratie antisiluro multiple, che deflettono e rallentano la potenza delle esplosioni subacquee. Perché non adottarlo anche per le navi da battaglia e pure, per gli incrociatori?
Strano ma vero, questo fu fatto timidamente, solo dall'USN. La KM, invece, ebbe un concetto 'classico' (apparentemente superato) che accettava di sacrificare lo scafo esterno, senza fare sforzi seri per evitare la penetrazione del proiettile. La spessa cintura, ma in larga misura verticale, sarebbe stata perforata abbastanza facilmente; poi però, c'é il ponte angolato e molto spesso, che deflette/ferma praticamente qualsiasi proiettile; infine, la paratia da 45-30 mm ferma le schegge e le esplosioni. Probabilmente, nessun'altra nave -Littorio incluse- poteva vantare un simile livello d'efficacia contro i colpi 'al galleggiamento', sia pure su di un'altezza assai limitata su ciascun lato.
Ma tornando al concetto delle piastre: perché altre navi non ebbero tale concezione? Mentre i 'cilindri Pugliese' sono moolto discutibili, tranne che al massimo del loro spessore -ma solo dove è possibile applicare enormi spessori antisiluro, il che in pratica limita ogni sorta di di scafo eccetto la parte centrale delle 'Littorio'!- francamente non si capisce come mai non è stato fatto qualcosa del genere da parte delle varie marine, come risposta all'adozione generalizzata delle munizioni APC (a loro volta, necessarie per l'adozione delle corazze indurite KC e simili!).
Come logica non sembra male, e gli esperimenti non sarebbero stati nemmeno tanto difficili o costosi. Dunque, perché no? Tra l'altro, a parità d'efficacia, sarebbe stato molto più facile fare queste corazze scaglionate, che le cinture inclinate dentro lo scafo stesso!
Invece no.
Poi, sorpresa, si scopre che anche altre marine estere sperimentarono questo layout, tra cui quella inglese e quella tedesca, e ovviamente, quella americana. Il fatto che la RN non adottò la corazza scaglionata, derivò semplicemente, e sostanzialmente, dal fatto che i risultati, malgrado la teoria fosse brillante, in pratica, NON dimostrarono una superiorità netta e schiacciante su quelle tradizionali 'a murata' e monoblocco! Interessante, no?
Quindi, quanto sarà efficace il layout scelto per le 'Littorio', in una situazione reale, non è affatto detto! Mentre invece, è sicuro come, contro proiettili 'veloci', le corazze inclinate siano efficaci nel deflettere i colpi in arrivo, tanto che dalle curve tedesche si vede come 20° (circa il 10% di spessore extra) sia in realtà pari al 20% di corazzatura extra, e come 30° siano pari a circa il 50%.
Come si vede, di risposte facili non ce ne sono. Ad ogni modo, le uniche due aree in cui le Littorio sono difficilmente attaccabili sono la cintura principale (poco lunga e profonda) e i depositi munizioni (dove però vi sono dei preoccupanti 'corridoi' laterali, largamente meno protetti).
La parte più vulnerabile delle Littorio resta quella centrale, anche perché -a differenza di tante altre navi da battaglia- non c'é una grande sovrastruttura a proteggerne i ponti sottostanti.
Ma non solo: alle volte ci si mette anche la sfiga (anzi, sembra quasi, come dice Okun, che i punti deboli siano un 'magnete' per i colpi in arrivo!).
La Roma, pur avendo le due sale macchine inusitatamente separate l'una dall'altra, se le trovò entrambe colpite da altrettante Fritz-x!! Il primo ne ridusse la velocità a 16 nodi e passò proprio per il corridoio 'laterale' a corazza ridotta; il secondo trapassò la corazza dei ponti più spessi ed esplose nella sala macchine anteriore, che tra l'altro, era pure teoricamente protetta dal torrione corazzato sovrastante!
Così, per colmo di sfortuna, l'unico elemento positivo di una tale disposizione dell'apparato motore, fu tosto annullato da due soli colpi a bordo!