26-12-20.
Ne farei volentieri a meno di continuare con questi aggiornamenti, ma purtroppo ogni tanto mi imbatto in notizie veramente incredibili. Incredibili.
Palù, l'abbiamo letto, prima dava degli allarmisti ai Cristanti vari, e diceva che il 95% dei positivi non ha sintomi e quindi non è un malato. Questo quando già il coviddi aveva fatto 50.000+ morti su meno di 1 mln di contagi. Non so se mi spiego.
Lo troviamo anche in questo vecchio articolo del Corsera:
Coronavirus, 10 esperti: «Emergenza finita». Ma è scontro nella comunità scientifica - Corriere.it
E indovinate quali esperti ci sono tra i 10? Bassetti. Zangrillo. Palù. Quelli che Salvini vorrebbe come esperti nazionali contro la pandemia.
Coronavirus, 10 esperti: «Emergenza finita». Ma è scontro nella comunità scientificaZangrillo, Clementi, Remuzzi e altri sette scienziati firmano un documento sostenendo che i dati ospedalieri consentano di affermare che il coronavirus è, oggi, meno aggressivo. Altri colleghi spingono per il mantenimento della prudenza: «Non è finita»
di Margherita De Bac
Coronavirus meno aggressivo? Epidemia in dismissione? Sì, sarebbe questa l'attuale condizione del Sars-CoV-2 secondo una «cordata» di esperti di varia estrazione medica che adesso hanno ribadito le loro teorie in un documento unico, dopo essersi espressi individualmente.Chi si ammala oggi di Covid-19 avrebbe un basso rischio di aggravarsi perché il virus ha una carica virale più debole e anche meno contagiosa. Firmato Alberto Zangrillo, Matteo Bassetti, Arnaldo Caruso, Massimo Clementi, Luciano Gattinoni, Donato Greco, Lucà Lorini, Giorgio Palù, Giuseppe Remuzzi e Roberto Rigoldi il cui manifesto è stato ripreso dal quotidiano Il Giornale. Un partito scientifico trasversale formato da virologi, anestesisti ed epidemiologi, idealmente schierato contro la comunità dei colleghi più prudenti, convinti che il virus abbia purtroppo ancora molte cose da dire, che non sia affatto cambiato né si sia indebolito e che l’apparente, ridotta bellicosità sia frutto delle misure di distanziamento adottate durante il lockdown.
Silvio Brusaferro, Franco Locatelli, Giuseppe Ippolito e Giovanni Rezza, del comitato tecnico scientifico di supporto al governo nelle decisioni concernenti le azione da portare avanti, non perdono occasione per lanciare un messaggio chiaro. Il virus c'è ancora e non è meno aggressivo. Però circola meno ed è pronto a tirar fuori le unghie. Basta vedere quanto sta accadendo in Germania, nell’impianto di macellazione, e in Portogallo dove è stato necessario ripristinare larghe zone chiuse nella provincia di Lisbona. O, andando più lontano, in Brasile e India dove l’epidemia è nella sua piena espansione. In Italia i focolai che di tanto in tanto compaiono sono un monito.
Il documento firmato dai 10 evidenzia il «crollo inequivocabile dei malati con sintomi e dei ricoveri in ospedale» mente aumentano in modo esponenziale i casi «debolmente positivi» che dunque non sarebbero più contagiosi e potrebbero evitare l'isolamento. «Il ricorso all’ospedalizzazione è un fenomeno ormai raro e interessa pazienti asintomatici o paucisintomatici. Le evidenze virologiche in totale parallelismo hanno mostrato un costante incremento di casi con carica virale bassano molto bassa».
Dove porteranno queste contrapposizioni sulla natura del virus? Sicuramente stanno intanto portando confusione nell’opinione pubblica, che sembra aver perso di vista i messaggi chiave, ispirati alla prudenza e al mantenimento delle regole.
24 giugno 2020 (modifica il 24 giugno 2020 | 16:20)
ORA, tra Brusaferro, Locatelli, Ippolito, Rezza (per quanto alcuni di questi almeno, mi facciano letteralmente schifo per non poche ragioni...), e Zangrillo, Clementi, Bassetti, Palù ecc... CHI aveva ragione?
Ci sono 40.000 morti a dirlo.
Eppure fanno finta di niente. Bassetti è tutto intento a pubblicizzare il suo libro, i suoi studi, e adesso fa anche il ganzo con le feste di Natale. Inossidabile, anche con la madre morta il mese scorso (andò a piangere a Raiuno), nel suo ottimismo e nella sicumera che sprizza in ogni sua forma ed espressione. E molti, malgrado la sberla della sua posizione sui vaccini, ancora gli vanno dietro. Perché? Non ne hanno ancora abbastanza? Evidentemente no.
Palù sembrava il più serio del lotto, ma come abbiamo visto, non ha esistato a fare una previsione drammaticamente sbagliata. Anche se non è andato, a differenza di Bassetti, alla convenction estiva organizzata da Sgarbi a parlare delle sue certezze.
E ce lo ritroviamo a capo dell'AIFA, frutto della confererenza Stato-Regioni, che evidentemente sono proprio contenti di essere rappresentati da questo esime professore che ha fornito dati così assurdi.
Bene, ma non è finita certo qui.
Adesso vediamo uno studio sulla mortalità del virus. Dedicato ai negazionari, incluso Palù che con certe affermazioni, è andato ben oltre il campo delle opinioni personali. Ma a chi importa?
Vaccino Covid, il via libera di Aifa: "Non ci sono controindicazioni, ma solo cautele. Anche a immunodepressi o donne in gravidanza" - Il Fatto Quotidiano
22 dicembre:
Dopo il via libera dell’Ema arriva quello dell’Aifa per il vaccino Pfizer Biontech. Un composto sicuro ed efficace, assicurano i vertici dell’Agenzia italiana del farmaco, che vigileranno e monitoreranno nei prossimi mesi la campagna vaccinale. Informazioni importanti e dati sul vaccino sono stati illustrati in una lunga conferenza stampa con il presidente Giorgio Palù, e il direttore generale, Nicola Magrini. “Non esistono controindicazioni assolute ma solo cautele“.
Il vaccino potrà essere somministrato anche a persone immunodepresse o donne in gravidanza e durante l’allattamento ed è stato approvato dai 16 anni in su. “Non sono richieste accortezze particolari per sottopopolazioni specifiche né per anziani o immunodepressi, inclusi chi ha problemi di coagulazione del sangue o sanguinamento. Anche per la gravidanza e allattamento, che si era detto potessero essere controindicazioni assolute, non lo sono, perché anche in questo caso i benefici superano i rischi” ha spiegato Magrini. “Oggi è disponibile un vaccino con un margine di sicurezza elevatissimo, intorno al 95%” ha sottolineato Palù. Una percentuale di sicurezza che si trova solo nei vaccini del morbillo e della rosolia. “Avessimo vaccini con questa efficacia. Il 100% in natura non esiste“.
EVVAI.
Adesso siamo destinati ad essere 'immuni', qualsiasi cosa accada, no?
E dire che sul FQ apprendo appena qualche gioron fa che il virus lascia anticorpi per almeno 8 mesi su molti ex malati:
Coronavirus, la conferma su Science: chi si è infettato ha un'immunità per almeno 8 mesi - Il Fatto Quotidiano
Coronavirus, la conferma su Science: chi si è infettato ha un’immunità per almeno 8 mesi
Gli anticorpi al Covid cominciano a diminuire dopo 20 giorni dall'infezione, ma alcune cellule all’interno del sistema immunitario - chiamate cellule B della memoria - sono capaci di "ricordare" il virus e di stimolare una nuova produzione di anticorpi in caso di reinfezione. L'ipotesi è che lo stesso possa accadere grazie ai vaccini
di F. Q. | 23 DICEMBRE 2020
È la domanda che tutti gli esperti si fanno dall’inizio della pandemia: quanto dura l’immunità del nostro corpo al Covid-19 dopo che si è guariti dall’infezione? Ora uno studio australiano, pubblicato su Science Immunology, conferma quello che altre ricerche hanno già ipotizzato: almeno otto mesi. E potrebbe proteggerci anche per più tempo, dal momento che sono passati proprio otto mesi da quando l’emergenza sanitaria è esplosa in tutto il mondo, costringendo la comunità internazionale a interrogarsi sulle caratteristiche del Sars-Cov2. La notizia è importante anche perché rafforza la probabilità che i vaccini anti-Covid funzionino per lunghi periodi.
Lo studio, pubblicato il 22 dicembre sulla prestigiosa rivista scientifica, rivela che alcune cellule specifiche all’interno del sistema immunitario – chiamate cellule B della memoria – “ricordano” l’infezione da parte del virus e attraverso la riesposizione al virus stesso innescano una risposta immunitaria protettiva. Il nostro corpo, quindi, inizia una rapida produzione di anticorpi così come avviene per altri agenti patogeni. I ricercatori hanno reclutato 25 pazienti Covid-19 e prelevato 36 campioni di sangue dal giorno 4 dopo l’infezione al giorno 242. Come accaduto con altri studi, esaminando solo la risposta anticorpale, i ricercatori hanno scoperto che gli anticorpi contro il virus hanno iniziato a diminuire dopo 20 giorni dall’infezione. Tuttavia è emerso che tutti i pazienti hanno continuato ad avere cellule B della memoria, capaci di “riconoscere” uno dei due componenti proteici del virus Sars-Cov2.
Queste cellule B, specifiche del virus, sono rimaste stabilmente presenti nei pazienti fino a otto mesi dopo l’infezione. Secondo il professor Menno van Zelm, della Monash University, uno degli autori della ricerca, i risultati danno speranza sull’efficacia di qualsiasi vaccino contro il virus e spiegano anche perché vi siano stati così pochi esempi di vera reinfezione tra milioni di persone risultate positive al virus a livello globale.
Nel 2020 in Italia un eccesso di mortalità senza precedenti (scienzainrete.it)
Nel 2020 in Italia un eccesso di mortalità totale senza precedenti dal dopoguerra
di Paola Michelozzi, Francesca de’ Donato, Matteo Scortichini, Manuela De Sario, Fiammetta Noccioli, Marina Davoli
Pubblicato il 21/12/2020
Un'analisi sull'eccesso di mortalità del 2020 e delle differenze tra la prima e la seconda ondata della pandemia.
La curva dell'andamento stagionale della mortalità dal 2016-2020 nel report SISMG.
I decessi del 2020 sono senza precedenti nel confronto con altri anni caratterizzati da fenomeni demografici ed eventi estremi. Dall’inizio dell’epidemia di Covid-19, l’Italia è stato uno dei paesi più colpiti con il maggiore impatto in termini di mortalità. Considerando solo i primi tre mesi dell’epidemia (marzo-maggio), sono stati registrati 31.936 decessi nei casi microbiologicamente confermati di SARS-CoV-2 (Sorveglianza integrata Covid-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, ISS). Tuttavia, i decessi accertati da SARS-CoV-2 risentono dei criteri di priorità nell’esecuzione dei test diagnostici, e pertanto è cruciale disporre di dati sulla sorveglianza dell’eccesso totale di mortalità, che possono fornire un quadro non distorto dell’impatto della pandemia e della sua gravità (Weinberger JAMA Internal Med 2020, Leon Lancet 2020).
A causa dell’emergenza pandemica, il bilancio demografico per il 2020 nel nostro paese sarà caratterizzato da un valore di mortalità eccezionalmente elevato. L’ISTAT ha registrato per due soli mesi, marzo e aprile, in corrispondenza della fase di crescita della curva epidemica, un eccesso di 47.500 decessi, e tale incremento ha interessato soprattutto le regioni del nord, dove si è protratto fino al mese di maggio (ISTAT ottobre 2020). Un incremento di simile entità era stato registrato nel 2015 (47.378 decessi in più rispetto all’anno precedente) (ISTAT annuario 2018). La sovramortalità del 2015 è stata per diverso tempo un vero enigma per i demografi e infine spiegata da una concomitanza di diversi fattori: un fenomeno demografico che ha incrementato la popolazione dei molto anziani (85+ anni) e un’influenza stagionale ad alta incidenza. Il dato del 2015 tuttavia era cumulato sull’intero anno e riferito all’intero paese e quindi molto più contenuto rispetto all’eccesso associato ai primi mesi di pandemia (la cosiddetta prima ondata), quasi totalmente localizzato nelle regioni del nord, in particolare in Lombardia.
L’ISTAT a oggi ha pubblicato i dati sui decessi 2020, seppur non definitivi, fino al mese di settembre. Per disporre di dati più aggiornati sull’impatto dell’epidemia sulla mortalità, è stato utilizzato il Sistema rapido di sorveglianza della mortalità giornaliera del Ministero della salute (SiSMG), attivo in 32 grandi aree urbane, che permette il confronto della mortalità 2020 con il 2015 e i cinque anni successivi, aggiornato al mese di novembre. La figura 1 descrive l’andamento mensile della mortalità per gli anni 2015 – 2020, mentre la figura 2 mostra lo scarto cumulato di mortalità tra i valori del 2015 e i valori mensili dei singoli anni. Nel 2020 rispetto al 2015 si evidenzia uno scarto positivo della mortalità a partire dal mese di marzo; l’ unico altro anno che mostra uno scarto positivo è la prima metà del 2017, quando in tutto il paese si sono verificati eventi di freddo intenso con un’epidemia influenzale a elevata incidenza, a fronte di una copertura vaccinale negli ultrasessantacinquenni molto bassa, intorno al 50% (Vestergaard 2017, Rosano 2019). Altro aspetto peculiare del 2020 è l’assenza di eventi estremi sia in termini di temperature che di influenza stagionale. Questo ha determinato una mortalità inferiore all’atteso, probabilmente ampliando il pool dei soggetti suscettibili ad alto rischio di decesso che si sono trovati esposti all’epidemia a fine febbraio e che può avere amplificato l’impatto iniziale dell’epidemia di COVID-19 nelle regioni più colpite.
Confrontando l’andamento dei dati mensili delle città SISMG con i dati nazionali ISTAT, sempre per il periodo 2015-2020, e considerando la correlazione dei dati mensili tra i due flussi è possibile stimare i decessi a livello nazionale per il mese di ottobre pari a 63.823 decessi (IC95%: 63.221 – 64.423) e di novembre pari a 88.300 (IC95%: 86.276 – 90.367). Complessivamente per il periodo gennaio-novembre 2020 vengono stimati circa 680.000 decessi che entro la fine dell’anno supereranno i 700.000 decessi totali, valore di gran lunga superiore al dato annuale ISTAT per il 2015 (656.196 decessi) e 2017 (659.473 decessi).
Covid-19 ha determinato un incremento della mortalità anche nelle fasce più giovani
Sia gli eventi estremi che l’influenza stagionale del 2015 e del 2017 hanno colpito una popolazione molto anziana, con il maggiore incremento di mortalità negli ultrasessantacinquenni (Rosano 2019) e ultraottantacinquenni (Michelozzi 2016). L’incremento osservato nel 2020 ha interessato sin dall’inizio dell’epidemia anche la fascia 15-64 anni, soprattutto uomini (Michelozzi Eurosurveillance 2020). Per questo, sono importanti analisi dell’impatto dell’epidemia, basate sugli anni di vita persi o sugli anni vissuti con disabilità, indicatori che assumono una maggiore rilevanza quando la quota di decessi nella popolazione più giovane è maggiore. Le analisi di impatto già disponibili (Hanlon 2020, Nurchis 2020) utilizzano i decessi Covid-19 da sorveglianza integrata ISS. Un’analisi appena pubblicata ha stimato che a causa del Covid-19 la speranza di vita alla nascita negli italiani si sarebbe ridotta di 1 anno circa, da 83,2 anni a 82,1 anni (stima basata sui parametri di sopravvivenza della tavola di mortalità ISTAT 2019) (Cislaghi 2020).
La mortalità Covid-19 rappresenta solo una frazione dell’eccesso di mortalità totale. Nell’analisi delle 32 città SISMG sulla prima ondata (Michelozzi BMC PH 2020), la frazione di decessi Covid-19 era pari al 66% nelle città del Nord e tale quota tendeva a diminuire con l’età, probabilmente a causa dei criteri di esecuzione dei test diagnostici, più orientati verso pazienti più giovani che in persone già fragili con un quadro clinico grave (es. ospiti delle RSA). Parallelamente, una quota aggiuntiva di decessi può essere riconducibile ad effetti indiretti dell’epidemia, per esempio in conseguenza della contrazione dell’offerta sanitaria dovuta alle misure di contenimento del contagio o alla paura di rivolgersi ai servizi assistenziali, diffusasi nella popolazione soprattutto nella prima ondata epidemica. In diverse regioni italiane, per esempio, durante il lockdown si è osservato un minore ricorso ai servizi di emergenza per condizioni anche gravi come ictus e infarto del miocardio, che può avere avuto ricadute in termini di mortalità (Pinnarelli 2020, Arniani 2020, Bonetti 2020), e questo probabilmente a svantaggio delle fasce socialmente svantaggiate (Michelozzi E&P 2020).
Solo la disponibilità dei dati sulla mortalità per causa consentirà di indagare gli effetti indiretti della pandemia su pazienti cronici, anche in relazione alle disuguaglianze di salute della popolazione.
Eccesso di mortalità, cosa è cambiato durante la seconda ondata?
Al 16 dicembre, l’Italia con i suoi 65 mila decessi Covid-19 è il quinto paese a livello mondiale per impatto sulla mortalità, e il primo in Europa (https://covid19.who.int/table). Questo valore sarebbe ancora maggiore se fossimo in grado di includere la quota di mortalità non Covid-19 comunque legata all’epidemia. Alla luce delle diverse considerazioni fatte, appare evidente come la mortalità totale rimanga l’indicatore più solido per monitorare l’impatto sulla salute dell’epidemia.
La sorveglianza SISMG e il network EuroMOMO, già collaudati in occasione di eventi estremi e picchi influenzali (Michelozzi 2016, Vestergaard 2017, 2020), forniscono uno strumento essenziale per stimare l’impatto della pandemia ed effettuare confronti geografici dell’eccesso totale per classi di età e genere. Per esempio, i dati EuroMOMO fino ad aprile 2020 stimano un eccesso totale di 185.287 decessi nei 24 paesi europei coinvolti e confermano che l’eccesso ha interessato principalmente gli ultrasessantacinquenni, ma anche le fasce più giovani 45–64 e 15–44 anni (Vestergaard 2020).
Uno dei dati più rilevanti e un’importante differenza tra la prima e la seconda ondata rimane la forte eterogeneità geografica della diffusione dell’epidemia e quindi degli eccessi di mortalità osservati nelle diverse aree del paese. Una valutazione esaustiva dell’eccesso di mortalità osservato nella prima ondata (Scortichini et al. 2020) ha stimato un eccesso di mortalità del 29,5% se riferito a tutta la popolazione italiana, con un incremento del 71% se ci si riferisce a solo tre Regioni del nord (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), con dati impressionanti in alcune province della Lombardia (la regione più colpita) dove sono stati osservati incrementi dell’800% nella settimana di picco della pandemia. Questi dati sottolineano l’importanza di considerare il forte impatto dell’epidemia in alcune aree che hanno fatto registrare eccessi di mortalità elevatissimi concentrate in alcune popolazioni e in un arco temporale molto limitato (Scortichini et al.2020).
I dati del SISMG consentono un monitoraggio dell’andamento della mortalità e dell’eccesso settimanale stimato nei 32 comuni aggiornati a cadenza settimanale utili per valutare l’evoluzione dell’epidemia e del suo impatto sulla salute in tempo reale (Rapporti SISMG, Ministero della salute).
La tempestività della sorveglianza SISMG consente un confronto in termini di eccesso di mortalità tra la prima e la seconda ondata. La figura 3 evidenzia come i dati siano pressoché sovrapponibili in termini di eccesso totale (+35% e +31% rispettivamente nella prima e seconda ondata), nonostante la prima fase dell’epidemia sia stata concentrata solo tra le città del Nord Italia mentre la seconda abbia interessato tutto il territorio nazionale. La seconda ondata dell’epidemia è stata però più prolungata rispetto alla prima, perché nella fase 1, in seguito alle misure di contenimento adottate dal Governo italiano a inizio marzo in tutto il paese, si è osservata una rapida flessione della curva epidemica che ha riportato dopo circa 63 giorni, a inizio maggio, la mortalità osservata entro i valori di riferimento.
Per quanto riguarda l’eccesso di mortalità per classi di età, si osserva un trend simile nelle due ondate, con un impatto maggiore nelle classi di età anziane (85+ anni: eccesso di mortalità del +47% e +36% nella prima e seconda ondata rispettivamente), ma con incrementi anche nella classe 15-64 anni. In particolare, nella seconda ondata l’eccesso di mortalità è stato lievemente maggiore proprio nelle classi di età più giovani (+20% vs +14% nella classe 15-64 anni e +28% vs +21% nella classe 65-74 anni) rispetto alla prima ondata. Queste differenze possono essere interpretabili alla luce della diversa estensione geografica delle due ondate, la prima prevalentemente al nord, e la seconda che ha interessato tutte le aree del paese con eccessi paragonabili pari a +33% e +29% rispettivamente al Nord e Centro-Sud, con il risultato di una maggiore pressione sul sistema sanitario anche in aree meno preparate ad affrontare la pandemia, per esempio con minor numero di posti letto in terapia intensiva o con una rete di medicina del territorio meno efficiente. Da sottolineare che anche nella seconda ondate le città in cui è stato osservato il maggior incremento di mortalità rimangono quelle del Nord (Rapporti SISMG) e la spiegazione delle differenze di diffusione dell’incidenza di epidemia e di impatto sulla mortalità tra le varie aree del paese devono essere ancora chiarite.
Anche nella seconda ondata non si può escludere che una quota dell’eccesso totale possa essere attribuibile a effetti indiretti della pandemia, soprattutto nelle aree del paese maggiormente interessate dai lockdown localizzati per il contenimento del contagio a livello locale.
Perché la mortalità Covid-19 e l’eccesso di mortalità totale sono così elevate in Italia?
Uno studio americano che ha analizzato i dati fino a settembre 2020 inserisce l’Italia, insieme agli Stati Uniti fra gli otto paesi a elevata mortalità Covid-19 (tasso > 25 per 100.000 ab.) stimando per il nostro paese un tasso pari a 59.1 per 100.000 (Bilinski 2020). Differenze nella definizione di caso e nella capacità del sistema di identificare i casi di infezione e i decessi per Covid-19 possono essere alla base delle differenze osservate tra paesi e tra aree all’interno dello stesso paese. Un altro determinante importante è la capacità del sistema sanitario di far fronte all’emergenza sanitaria e di adattarsi all’andamento dell’epidemia per gestire flussi molto elevati di pazienti, attraverso la riorganizzazione di aree di degenza per intensità di cura e complessità assistenziale, oltre alla capacità di gestione dei pazienti non ospedalizzati assistiti presso il proprio domicilio o in strutture dedicate. L’offerta dei servizi e l’accesso all’assistenza sanitaria possono inoltre variare molto tra paesi essendo influenzate da fattori economici e sociali, e variare nel tempo in risposta alle misure di contenimento più stringenti (lockdown), spiegando parte delle differenze osservate nell’esito della malattia con meccanismi sia diretti che indiretti.
Alla base delle differenze osservate nella mortalità Covid-19 e nell’eccesso di mortalità totale vi sono anche differenze nella quota di anziani e nella prevalenza di patologie croniche ovvero nella quota di popolazione più suscettibile all’infezione e a maggior rischio di complicanze e decesso a causa della malattia. In conclusione, la mortalità è una importante sentinella non solo dell’impatto dell’epidemia in atto, ma anche dei complessi processi che legano i cittadini al servizio sanitario, oltre che ai determinanti che aumentano il rischio di decesso sia per COVID-19 che totale, come il livello di deprivazione socio-economica e la prevalenza di comorbidità (Jin 2020). Quella sui fattori di suscettibilità è un’altra importante area di ricerca, utile anche al fine di indirizzare per esempio la vaccinazione prioritariamente a coloro che hanno un maggior rischio di decesso (Jin 2020).
VACCINARSIssignore
Viene fuori un dato non proprio incoraggiante per l'affidabilità dei vaccini. Dalla CDC, mica da Montanari:
CDC Presentation
La stessa AIFA ha detto che nel 10% dei casi ci si può aspettare problemi relativi ad effetti collaterali:
Vaccino Covid, i 35 chiarimenti dell'Aifa a tutti i dubbi: "Ecco cosa contiene e come agisce". Quello che c'è da sapere su rischi ed efficacia - Il Fatto Quotidiano
13. Quali reazioni avverse sono state osservate?
Le reazioni avverse osservate più frequentemente (più di 1 persona su 10) nello studio sul vaccino Pfizer sono stati in genere di entità lieve o moderata e si sono risolte entro pochi giorni dalla vaccinazione. Tra queste figuravano dolore e gonfiore nel sito di iniezione, stanchezza, mal di testa, dolore ai muscoli e alle articolazioni, brividi e febbre. Arrossamento nel sito di iniezione e nausea si sono verificati in meno di 1 persona su 10. Prurito nel sito di iniezione, dolore agli arti, ingrossamento dei linfonodi, difficoltà ad addormentarsi e sensazione di malessere sono stati effetti non comuni, che hanno interessato meno di 1 persona su 100. Debolezza nei muscoli di un lato del viso (paralisi facciale periferica acuta) si è verificata raramente, in meno di 1 persona su 1000.
14. Quali reazioni avverse gravi sono state osservate durante la sperimentazione?
L’unica reazione avversa severa più frequente nei vaccinati che nel gruppo placebo è stato l’ingrossamento delle ghiandole linfatiche. Si tratta, comunque, di una patologia benigna che guarisce da sola. In generale, le reazioni sistemiche sono state più frequenti e pronunciate dopo la seconda dose. Nei Paesi dove è già stata avviata la somministrazione di massa del vaccino sono cominciate anche le segnalazioni delle reazioni avverse, da quelle meno gravi a quelle più significative, comprese le reazioni allergiche. Tutti i Paesi che avviano la somministrazione del vaccino estesa a tutta la popolazione raccoglieranno e valuteranno ogni segnalazione pervenuta al sistema di farmaco vigilanza delle reazioni averse al vaccino, così da poter definire con sempre maggior precisione il tipo di profilo di rischio legato alla vaccinazione.
E poi ti arriva la 'smentita' di FACTA (ahah):
Le reazioni al vaccino riportate in Usa non devono preoccupare - Facta
LE REAZIONI AL VACCINO RIPORTATE IN USA NON DEVONO PREOCCUPARE
23 Dicembre 2020
Il 21 dicembre 2020 la redazione di Facta ha ricevuto la richiesta via Whatsapp di verificare un articolo apparso lo stesso giorno sul sito Humans are Free, intitolato «CDC Report: Over 3,000 Are ‘Unable To Perform Normal Daily Activities’ After Receiving The COVID-19 Vaccine» (in italiano: «Rapporto del Cdc: Oltre 3000 persone sono ‘incapaci di effettuare le normali azioni quotidiane’ dopo aver ricevuto il vaccino anti-Covid-19»). Nell’articolo viene descritta una tabella attribuita ai Centers for Disease Control (Cdc) statunitense, che riporta come ci siano stati, al 18 dicembre, 3.150 “Health Impact Events” (eventi di impatto sulla salute) seguenti alla vaccinazione con il vaccino Pfizer-BioNTech contro il Covid-19. Tali eventi includono «incapacità di compiere le normali azioni quotidiane, incapaci di lavorare, richiesto assistenza di un medico o di un operatore sanitario». Una notizia che in Italia è stata rilanciata, tra gli altri, dal Consigliere della Regione Lazio Davide Barillari.
La notizia è tecnicamente vera, ma fuori contesto rischia di creare inutili allarmismi. Vediamo cosa vogliono dire effettivamente questi numeri.
La fonte della tabella è questa presentazione, pubblicata il 19 novembre 2020 dal Comitato Consultivo sulle Pratiche di Immunizzazione del Cdc. La tabella riporta i primi risultati del programma di sorveglianza attiva V-safe, aggiornati al 18 dicembre 2020, in cui il Cdc contatta i vaccinati via messaggi o email per monitorarne lo stato di salute in seguito al vaccino. Secondo la tabella, vi sono stati 3.150 casi di «eventi con impatto sulla salute» su 112.807 vaccinati: una percentuale pari al 2,7 per cento.
Si tratta di eventi gravi? Ed è un numero che deve preoccuparci?
Innanzitutto, bisogna capire cosa vuol dire «eventi con impatto sulla salute». Tra le domande del questionario sottoposto ai vaccinati, sotto la sezione «Impatto sulla salute» c’è anche la domanda «Qualcuno dei sintomi o condizioni di salute che ha riportato oggi vi ha fatto saltare il lavoro / reso incapace di eseguire le normali attività quotidiane / cercare l’aiuto di un medico o di un altro operatore sanitario?». In quest’ultimo caso sono incluse, di seguito, varie opzioni, che vanno da un consulto via email al ricovero in ospedale.
Gli effetti collaterali a breve termine del vaccino Pfizer-BioNTech includono casi in cui un vaccinato potrebbe decidere di non sentirsi abbastanza bene da lavorare? Sì, e non è niente di strano. I risultati degli studi clinici di fase III del vaccino, pubblicati il 10 dicembre 2020 dal New England Medical Journal, mostrano che gli eventi avversi più comuni sono:
- Stanchezza (59 per cento per i vaccinati sotto i 55 anni; 51 per cento sopra i 55 anni; 3,8 per cento del totale in forma «acuta»)
- Mal di testa (52 per cento sotto i 55 anni; 39 per cento sopra i 55 anni; 2 per cento in forma «acuta»)
- Febbre (16 per cento sotto i 55 anni, 11 per cento sopra i 55 anni)
I dati quindi non implicano niente di spaventoso. In questo 2,7 per cento di vaccinati ci sono tutti coloro che, dopo il vaccino, non si sono sentiti abbastanza bene da andare al lavoro e/o hanno voluto consultare un medico per sicurezza, il che certo non stupisce se stanchezza, mal di testa e febbre sono così comuni. Ricordiamo che, sempre secondo lo studio clinico di fase III, l’incidenza di eventi gravi di salute dopo la vaccinazione è molto bassa ed era praticamente identica tra placebo e vaccino (0,5 e 0,6 per cento rispettivamente). Il che significa che probabilmente l’incidenza di effetti molto gravi davvero correlati al vaccino è bassissima. La stessa presentazione del Cdc riporta che ci sono stati in totale solo 6 casi di reazione anafilattica dopo la vaccinazione, su quasi 113.000 vaccinati.
Possiamo fare anche un altro confronto, senza pretese di accuratezza ma per dare ulteriore contesto alle cifre. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico negli Stati Uniti in media ogni anno una persona perde 4 giorni di lavoro per malattia. Il che significa che in media, dato un qualunque giorno della settimana, l’1,1 per cento circa dei lavoratori non sarà in grado di recarsi al lavoro. Sui quasi 113.000 vaccinati seguiti dal Cdc entro il 18 dicembre, quindi, ci si può attendere che circa 1200 sarebbero stati a casa dal lavoro per motivi di salute comunque, anche in assenza del vaccino.
In conclusione, le cifre sono state veramente riportate dal Cdc, ma non dimostrano nulla di nuovo sulla sicurezza del vaccino, non riguardano eventi gravi, e non devono spaventare: anzi, confermano che il vaccino è effettivamente sicuro. Ricordiamo che nessun vaccino è completamente esente da rischi o effetti indesiderati, come per ogni intervento medico, ma che i vaccini hanno quasi sempre permesso enormi benefici a fronte di effetti nocivi estremamente limitati.
E STICAZZI NO?
3.000 casi in cui le persone si sono sentite male, con tanto di febbre o mal di testa, al punto da non poter andare al lavoro? E questa sarebbe una sciocchezzuola, 'anzi', conferma che il vaccino 'è sicuro?'
Ma come ragionano questi 'fact checkers'?
Come la storia dell'infermiera che è svenuta perché afflitta da una 'sindrome vaga' che era pure 'nota' prima dello svenimento in mondovisione! E perché non l'hanno sostituita con un'altra persona, invece di farla proprio a lei?!? E il NYT dice che ha subito uno svenimento e poi è stata messa in terapia intensiva. E poi no, non era vero niente, lei sta benissimo, eh.
Incredibile.
Altre fonti interessanti:sito apposito per divertirsi sulle disgrazie del genere umano nel 2020. Notare come la Svezia sia 'precisa' nel riportare i propri numeri. Roba che lasci a 3 morti un giorno e poi arrivi a 60 2 settimane dopo. E infine ti trovi i boccaloni no-mask che dicono che in Svezia non muore nessuno perché guardano le statistiche e vedono che c'é una 'flessione' dei morti. E questo mentre i casi esplodono ad oltre 9.000 al giorno. INCREDIBBBILE.
Le statistiche del coronavirus in Svezia (statistichecoronavirus.it)