9-12-20:
Ma quante se ne sentono anche sulle vitamine? E funzionano, e non funzionano, e sono utili, e sono indispensabili, anzi sono proprio inutili.
Mamma mia, a che livello è degenerata la discussione sulla medicina, e sulla scienza in generale, in quest'anno che il Times ha indicato come personaggio (da evitare).
Ecco due studi, per esempio.
Uno spagnolo, che dice così:
« (ANSA) - ROMA, 27 OTT - Oltre l'80% dei pazienti ricoverati per Covid ha una carenza di vitamina D, un nutriente importante anche per il corretto funzionamento del sistema immunitario. Lo indica lo studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism e condotto in Spagna, dal gruppo di José Hernández,.dell'Università della Cantabria a Santander.
Il dato, benché relativo a un solo ospedale spagnolo, è rilevante perché conferma precedenti studi epidemiologici secondo cui la carenza di vitamina D è più diffusa nei Paesi dove il coronavirus ha mostrato un' aggressività maggiore, provocando più decessi.
Gli esperti hanno riscontrato che oltre 8 pazienti su 10 ricoverati per Covid nell'ospedale spagnolo durante la prima ondata di contagi erano carenti di vitamina D, soprattutto gli uomini, che hanno in genere una mortalità maggiore rispetto alle donne. E' emerso inoltre che, più marcata era la carenza vitaminica, maggiori erano i marcatori infiammatori legati a grave infezione nel sangue dei pazienti.
Se il ruolo protettivo della vitamina D contro la sindrome Covid 19 fosse confermato (attualmente è in corso in Gran Bretagna un vasto trial clinico per rispondere a questa domanda) un approccio preventivo potrebbe essere curare la carenza di questa vitamina, specialmente negli individui più suscettibili come gli anziani, i pazienti con altre malattie quali il diabete e il personale sanitario specie nei presidi di lunga degenza, ovvero tutte le popolazioni più a rischio di ammalarsi di COVID-19 in forma grave e con complicanze - conclude Hernández.
(ANSA). »
UN altro, italiano, che dice così:
Da: Medico e Paziente, 7 Dicembre 2020
Il ruolo della nutrizione nell’infezione da SARS-CoV-2 è un argomento inevitabilmente di grande attualità. Tra gli studi più recenti su questo tema c’è una review italiana, pubblicata dalla rivista Nutrition su “Obesità, malnutrizione e deficit di oligoelementi nella pandemia della malattia da coronavirus (COVID-19)”. Abbiamo chiesto alla prima autrice di questo lavoro, Debora Fedele, dietologa dell’Unità di Dietetica e Nutrizione Clinica, Ospedale S. Giovanni Battista, Città della Salute e della Scienza, Torino, di sintetizzarne i temi più importanti.
Dottoressa Fedele, in che modo lo stato nutrizionale può influire sulla suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2 e sulla gravità della malattia?
È dimostrato che una compromissione dello stato nutrizionale, in generale, determina un allungamento dei tempi di degenza ed è associato a peggior outcome per tutte le patologie. Quello che accomuna i tre tipi di malnutrizione (per eccesso, per difetto e per carenza di micronutrienti) è l’alterata risposta immunitaria, sia cellulo-mediata che immuno-mediata.
È inoltre noto che nei pazienti obesi e nelle gravi sarcopenie è già attiva un’infiammazione di basso grado, con aumento delle citochine circolanti, che può ulteriormente aggravarsi dopo un’infezione. Se prendiamo l’esempio dell’influenza H1N1, infatti, è stata rilevata una maggiore concentrazione di IL-6, IL-15, IL-8 e TNF-a, con una correlazione significativa rispetto a un peggiore outcome.
Una percentuale non trascurabile di pazienti affetti da COVID-19 con necessità di ventilazione invasiva è costituita da soggetti obesi: qui sono in causa soprattutto le comorbidità associate, quali asma e BPCO, che possono inficiare gravemente gli scambi respiratori.
Per quanto concerne la sarcopenia, bisogna considerare anche la perdita di funzione dei muscoli deputati alla respirazione e i ridotti valori di picco di flusso espiratorio (PEFR), riscontrabili in questa categoria di pazienti rispetto ad una popolazione di controllo sana.
Nel suo lavoro si evidenzia anche il ruolo di vitamine ed oligoelementi nella risposta immunitaria e nei processi infiammatori, ci può riassumere gli aspetti più importanti di questa associazione?
Vitamine ed oligoelementi giocano un ruolo chiave nella modulazione della risposta immunitaria e respiratoria. Un dato curioso riguarda ad esempio il selenio: questo elemento traccia, infatti, svolge un ruolo antiossidante e immunoregolatorio e da uno studio condotto in Cina (tra i Paesi al mondo nel cui territorio coesistono zone carenti in selenio nel terreno e zone con elevatissime concentrazioni fino a determinare un rischio di intossicazione) è emerso che in zone con scarsa disponibilità di selenio la mortalità legata all’infezione da COVID-19 era maggiore.
Tra gli altri oligoelementi sono importanti inoltre zinco e rame, la cui carenza sembra essere associata a maggiore rischio di infezione delle basse vie respiratorire e maggiore capacità di replicazione del genoma virale (almeno da quanto emerge dagli studi su H1N1).
Lo stesso discorso vale anche per le vitamine (A, C, E, D), per le quali è stata proposta la supplementazione anche nelle fasi acute. Per quanto riguarda, ad esempio, l’acido ascorbico, alcuni protocolli ne suggeriscono un uso ad alte dosi nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica.
Sul possibile ruolo della vitamina D, in particolare, e della supplementazione come fattore protettivo dal COVID-19 sono comparse notizie discordanti, qual è il suo parere?
Come noto, la vitamina D ha effetti pleiotropici sull’organismo che si manifestano anche nella risposta immune, così come può influenzare la permeabilità delle cellule alveolari.
Già dai primi studi condotti sui pazienti affetti da COVID-19 è stata evidenziata una correlazione tra bassi livelli di 25(OH)vitamina D e infezione da SARS-CoV-2, ma bisogna considerare anche le caratteristiche della popolazione presa in esame, per lo più composta da soggetti con patologie pregresse e/o anziani (NdA: eccerto, e quindi? Se c'é una malattia in corso e colpisce sopratutto QUELLA fascia di popolazione...). Va inoltre considerato che in fase di infiammazione acuta vi è riduzione delle proteine di trasporto, aumento del volume di distribuzione e di conseguenza maggiore diluizione, determinando perciò basse concentrazioni sieriche per diluizione.
Si può ritenere adeguato, a mio giudizio, in contesto di “prevenzione”, la supplementazione di colecalciferolo al fine di mantenere adeguati livelli di vitamina D, ma riguardo l’impatto della supplementazione in fase acuta in questa categoria di pazienti mancano dati conclusivi sugli outcome.
Quale dovrebbe essere in generale la strategia nutrizionali per i pazienti, in particolar modo anziani e categorie più a rischio, in funzione preventiva e come approccio complementare alla terapia del COVID-19?
In generale, possiamo dire che la valutazione dello stato nutrizionale e la prevenzione della malnutrizione sono elementi non trascurabili che andrebbero indagati in tutti i pazienti, così da poter indirizzare i soggetti all’attenzione degli operatori sanitari che valuteranno le abitudini alimentari e potranno dare indicazioni specifiche rispetto ad un eventuale intervento dietetico. Questo si traduce in migliore immunocompetenza e, in soggetti ospedalizzati, a ridotti tempi di ricovero.
Il ruolo dell’alimentazione nell’ambito della terapia del COVID-19 si traduce nell’individuare le eventuali carenze ed assicurare un’opportuna supplementazione (anche con dosaggi di micronutrienti superiori alle quantità giornaliere raccomandate), eventualmente con l’ausilio del supporto artificiale nei pazienti ospedalizzati.
www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0899900720302999?fbclid=IwAR09v-nbf7JGGvfeRo007mllKpuYHQLYK06owefstu63RuMWwTgS68_mBMA#
Abstract
The world is currently facing the coronavirus disease (COVID-19) pandemic which places great pressure on health care systems and workers, often presents with severe clinical features, and sometimes requires admission into intensive care units. Derangements in nutritional status, both for obesity and malnutrition, are relevant for the clinical outcome in acute illness. Systemic inflammation, immune system impairment, sarcopenia, and preexisting associated conditions, such as respiratory, cardiovascular, and metabolic diseases related to obesity, could act as crucial factors linking nutritional status and the course and outcome of COVID-19. Nevertheless, vitamins and trace elements play an essential role in modulating immune response and inflammatory status. Overall, evaluation of the patient's nutritional status is not negligible for its implications on susceptibility, course, severity, and responsiveness to therapies, in order to perform a tailored nutritional intervention as an integral part of the treatment of patients with COVID-19. The aim of this study was to review the current data on the relevance of nutritional status, including trace elements and vitamin status, in influencing the course and outcome of the disease 3 mo after the World Health Organization's declaration of COVID-19 as a pandemic.
Table 2. Roles of trace elements and vitamin deficiency in worsening COVID-19 course and outcome
Trace element or vitaminDeficiency and suggested role in COVID-19Selenium
•Antioxidant role, ROS balance in inflammatory processes
•Immune function impairment, lower T cells, lymphocyte-mediated toxicity, and NK cell activity [234]
•Increase in virus replication and genome mutation rate (especially for RNA viruses) [237]
•Higher pathogenic H1N1 subtypes in influenza A virus [238]
•Higher death rate in COVID-19 patients in low-selenium regions [240]
Zinc
•Reduces ROS in viral infections
•Higher risk for lower respiratory tract infections
•Inhibition of RNA-dependent RNA polymerase, which inhibits viral replication in coronavirus respiratory tract infections [243]
•Proposed supplementation to enhance the clinical of chloroquine/hydroxychloroquine efficacy in the COVID-19 treatment [246]
Copper
•Role in immunity, antimicrobial action due to copper toxicity
•Enhance in macrophage activity in lung infection
•Immune function impairment
•Role in viral replication in H1N1 influenza [255]
•Proposed supplementation as an adjuvant within COVID-19 treatment [250]
Vitamin D
•Immunomodulatory and antioxidant action
•Role in CVDs and DM
•Higher COVID-19 incidence in patients with lower vitamin D [264]
•Higher COVID-19 fatality rate in severe vitamin D-deficient countries [265]
•Proposed vitamin D at loading dose administration [266], [267], [268]
Ascorbic acid
•Immunomodulatory and antioxidant action
•Lower severity and mortality from pneumonia in individuals with higher serum vitamin C values [272,273]
•Intravenous administration could reduce mechanical ventilation requirement through the amelioration of lung injury [274]
•No consensus for supplementation in COVID-19, suggested 1.5 g/kg body weight administration as safe [275]
Vitamin A
•Role in immune competence
•Immunomodulatory action
•Lower serum levels during infections (acute phase response), transiently and proportionally to the severity of the disease [280]
•Lower FVC and higher risk for invasive pathogens and severity in lung infections in patients with lower vitamin A [278]
•Suggested adjunctive administration in COVID-19 patients since reduced morbidity and mortality in measles‐related pneumonia, HIV infection, malaria [239]
Vitamin E
•Immunomodulatory and antioxidant action
•Supplementation as protective in upper respiratory infections in elderly patients [283]
•Increased virulence as deficient in animal models [284]
•Lack of available data for COVID-19 pandemic
Vitamin DConsidering the rate of vitamin D deficiency and insufficiency, it can be considered a global health problem that has characteristics as a pandemic. It has been estimated that ~30% of children and 60% of adults worldwide are vitamin D deficient and insufficient, respectively [256]. The severity of 25-hydroxyvitamin D deficiency is stratified into mild (<20 ng/mL), moderate (<10 ng/mL), and severe (<5 ng/mL) [257]. Pregnant women, individuals with increased skin melanin, abstinence from direct sun exposure (which explains the higher prevalence in higher latitudes), and obese children and adults are considered at high risk for deficiency. A prevalence of vitamin D deficiency is 35% higher in obese individuals regardless of latitude and age [256,258].
Vitamin D acts as an immunomodulator and as an antioxidant, with an important role in CVDs and diabetes mellitus [256]. It is also involved in protection against viral RTIs and acute lung injury, as observed in ARDS, in which there is reduced lung permeability by modulation of renin–angiotensin system activity and ACE-2 expression [259], [260], [261], [262]. Thus, vitamin D deficiency has been reasonably correlated to COVID-19 as a pathogenic factor. This hypothesis is corroborated by analysis of vitamin D prevalence and COVID-19 spreading and mortality observed in the Northern Hemisphere in contrast to the Southern Hemisphere [263]. Hastie et al. analyzed data available from 348 598 UK Biobank participants and found that median 25-hydroxyvitamin D concentration measured at recruitment was lower in patients who subsequently developed COVID-19 [264]. Daneshkhah et al. observed that the age-specific COVID-19 fatality rate was highest in Italy, Spain, and France, all of which are European countries with the highest incidence of severe vitamin D deficiency [265]. These findings suggest that measurement of serum 25-hydroxyvitamin D is necessary in patients infected with SARS-CoV-2 in order to identify the ones at highest risk. Once identified, a supplementation dose should be administered. Caccialanza et al. suggest cholecalciferol supplementation according to blood tests results (50 000 UI/wk and 25 000 UI/wk if 25-hydroxyvitamin D <20 ng/mL and ≥20 to <30 ng/mL, respectively) [266], whereas Ebady et al. propose a 100 000 IU start dose of cholecalciferol followed by 50 000 IU/wk for the second and third week [267]. According to the most recent guidelines for nutrition management in the ICU, a single high dose (500 000 IU) can be safely administered within the first week [268], and it could be reasonably applied for COVID-19 patients, although no evidence exists to date. To our knowledge, there is no clear consensus about the administration of cholecalciferol in COVID-19 patients, neither a proven efficacy as adjuvant therapy, even though some researchers suggest this is a possible application [269].
Ascorbic acidOvert vitamin C deficiency known as scurvy, is rare especially in high-income countries; however, a less pronounced deficiency (defined as a serum concentration <11.4 umol/L) is more common, with rates as low as 7.1% in the United States and up to 73.9% in northern India. Risk factors include alcohol intake, tobacco use, low income, male sex, patients on hemodialysis, and those with overall poor nutritional status [270].
Vitamin C mainly plays an essential role in protecting the cells from oxidative damage; improves neutrophil migration and chemotaxis; promotes the proliferation, differentiation, and maturation of T and possibly also B lymphocytes; and has an inhibitory effect on secretion of proinflammatory cytokines [271]. A link between vitamin C status and RTIs has been observed, as a lower mortality rate from pneumonia was reported in patients with higher serum vitamin C values [272]. Recently, Carr et al. evaluated vitamin C status in a cohort of patients with pneumonia and observed a depletion compared with healthy controls. In particular, the more severe patients in ICUs had significantly lower vitamin C levels [273]. This latter study was not performed in patients with COVID-19 and no data are available regarding vitamin C status in these patients. The potential role as an immunomodulator and antioxidant lead to administration of ascorbic acid in critically ill patients, and various studies have been performed, even if there are some discrepancies regarding the administered doses. A recent systematic review concluded that intravenous (IV) administration of vitamin C could reduce dependency on mechanical ventilation, possibly through the amelioration of lung injury, without affecting overall mortality [274].
To date, there is no consensus or proven efficacy of supplementation of ascorbic acid in COVID-19 patients but some researchers advise a possible use of IV supplementation as addressed by an expert panel document from the National Institiutes of Health that a regimen of 1.5 g/kg body weight could be considered safe and without major adverse events [275].
Tra le millemila fonti citate, ne pongo una a caso:
Abstract
Pneumonia is a severe lower respiratory tract infection that is a common complication and a major cause of mortality of the vitamin C-deficiency disease scurvy. This suggests an important link between vitamin C status and lower respiratory tract infections. Due to the paucity of information on the vitamin C status of patients with pneumonia, we assessed the vitamin C status of 50 patients with community-acquired pneumonia and compared these with 50 healthy community controls. The pneumonia cohort comprised 44 patients recruited through the Acute Medical Assessment Unit (AMAU) and 6 patients recruited through the Intensive Care Unit (ICU); mean age 68 ± 17 years, 54% male. Clinical, microbiological and hematological parameters were recorded. Blood samples were tested for vitamin C status using HPLC with electrochemical detection and protein carbonyl concentrations, an established marker of oxidative stress, using ELISA. Patients with pneumonia had depleted vitamin C status compared with healthy controls (23 ± 14 µmol/L vs. 56 ± 24 µmol/L, p < 0.001). The more severe patients in the ICU had significantly lower vitamin C status than those recruited through AMAU (11 ± 3 µmol/L vs. 24 ± 14 µmol/L, p = 0.02). The pneumonia cohort comprised 62% with hypovitaminosis C and 22% with deficiency, compared with only 8% hypovitaminosis C and no cases of deficiency in the healthy controls. The pneumonia cohort also exhibited significantly elevated protein carbonyl concentrations compared with the healthy controls (p < 0.001), indicating enhanced oxidative stress in the patients. We were able to collect subsequent samples from 28% of the cohort (mean 2.7 ± 1.7 days; range 1–7 days). These showed no significant differences in vitamin C status or protein carbonyl concentrations compared with baseline values (p = 0.6). Overall, the depleted vitamin C status and elevated oxidative stress observed in the patients with pneumonia indicates an enhanced requirement for the vitamin during their illness. Therefore, these patients would likely benefit from additional vitamin C supplementation to restore their blood and tissue levels to optimal. This may decrease excessive oxidative stress and aid in their recovery.
www.mdpi.com/2072-6643/12/5/1318
E ora qualche discussione sugli asintomatici.
Siccome non si finisce MAI di discuterne... oggi è arrivato un altro studio cinese che nega il loro ruolo nell'epidemia.
www.ilgiornale.it/news/cronache/covid-19-ecco-cambia-ruolo-degli-asintomatici-1908108.html?
"Tutti i casi negativi""
Rispetto ai pazienti sintomatici, le persone asintomatiche presentano in genere una bassa carica virale e una scarsa durata dello spargimento virale, che comportano un calo del rischio di trasmissibilità della Sars-Cov-2", scrivono i ricercatori. Questo nuovo studio smentirebbe, per così dire, la teoria seconda la quale la trasmissione del virus da parte degli asintomatici giocherebbe un ruolo di primo piano nell'evolversi della pandemia mondiale. Oltre alla bassa carica virale, lo studio sottolinea che gli asintomatici avrebbero una diffusione virale di "breve durata" che diminuisce il rischio di trasmettere il Sars-Cov-2. Tutti i contatti stretti dei casi positivi asintomatici sono risultati negativi, e si parla di oltre mille individui (1.174 per la precisione). Nessuno di loro, a contatto con i 300 asintomatici, si è ammalato.
Ma se questo FORSE è vero per i cinesi... (ci fidiamo? BAH), NON è detto che sia vero anche per noi. A parte che i modelli genetici sono molto diversi rispetto a quelli europei, visto che noi a quanto pare, siamo più neanderthalesi.
Europei più vulnerabili al COVID. Grazie al DNA neanderthalese più propenso alla coagulazione. Studio sul cromosoma 3 di 3.200 pazienti con settore di 50k coppie di basi comune ai pazienti infetti. Questa variante è ben presente anche nella popolazione indo-bengalese, mentre in Africa e Cina e dintorni è quasi assente.
www.raiplay.it/video/2020/12/TGR-Leonardo-492aa3b1
Perché da noi sono noti casi come i due funerali in cui in Lazio e Abruzzo i Rom diedero luogo a due focolai COVID con circa 100 contagi. Era primavera scorsa. Ma adesso le cose non sono cambiate molto.
Infatti:
www.fanpage.it/milano/pavia-matrimonio-con-34-invitati-si-trasforma-in-un-focolaio-covid/
Pavia, matrimonio con 34 invitati si trasforma in un focolaio Covid
Un momento di festa nel pieno della seconda ondata: 34 invitati, qualcuno positivo al Covid senza presentare sintomi e il virus che inizia a correre veloce. A Pavia, nei primi giorni di ottobre, una coppia è convolata a nozze in presenza di pochi intimi ma ciò non è bastato per rallentare l’infezione e dare vita ad un focolaio in pochissimo tempo.
CRONACAPAVIA 2 DICEMBRE 2020 7:48di Filippo M. Capra
Un matrimonio, 34 invitati e una seconda ondata del contagio che inizia a farsi sempre più violenta. A Pavia, durante i primi giorni di ottobre, una coppia si è sposata in presenza di amici e parenti stretti dando vita ad un focolaio di Covid-19 che ha portato a contare ben 48 persone contagiate. Alcune di loro provenivano dalla Lombardia, altre dal Piemonte.
Matrimonio a Pavia si trasforma in focolaio Covid
Ebbene, trascorse le ore di spasso e serenità, tra i 34 c'è chi inizia a sviluppare i classici sintomi dell'infezione, dalla febbre alla tosse e la perdita di gusto e olfatto. È uno degli ospiti che, subito, si fa tamponare. Esito: positivo. Immediatamente allora scatta l'indagine epidemiologica operata dall'Asl di riferimento, quella di Vercelli, che chiede ai neo sposini una lista completa degli invitati al matrimonio. Metà di loro aveva già perso gusto ed olfatto, patendo qualche linea di febbre e accusando anche dolori intestinali. Dopo un giro di tamponi, ne risultano positivi 21, di cui dieci asintomatici. Tra i contagiati ci sono anche marito e moglie.
Famigliari e colleghi di scuola contagiati
La ricerca dei possibili contatti, poi scoperti negli altri 21, non è stata però tempestiva, quantomeno non veloce come la diffusione del virus, che nel frattempo si era trasferito anche nell'organismo di altri 13 famigliari dei 21 in questione. Dei nuovi contagiati, uno è un bambino che, da asintomatico, ha proseguito ad andare a scuola, trasmettendo il Covid a due compagni: classe in quarantena.
Non la sola, perché al matrimonio pavese c'era anche un insegnante che, dopo essere rimasto contagiato, è andato ad un battesimo. Il bollettino dice altri quattro contagi in quell'occasione e cinque a scuola (due colleghi e tre alunni), con relativa quarantena degli interessati e dei loro contatti stretti.
Serve altro per parlare del ruolo degli 'asintomatici'?
Dei quali, tra l'altro, vi sono almeno 4 'specie' diverse. Inclusi individui che non hanno ANCORA iniziato ad ammalarsi e individui che non hanno più la malattia.
AGGIORNAMENTO SUL 'PARADISO SVEDESE' (all'8 dicembre 2020)
PAESE:__________CASI____VITTIME____T.I.
FINLANDIA:____10.000______80_______30
NORVEGIA:____25.000______87_______34
DANIMARCA:__67.000_____250______42
TOTALE:_______102.000____412______106
SVEZIA: _______203.000___1.400_____249
La Svezia ha avuto quindi... oltre 3 volte i morti e il doppio dei casi di tutti i suoi vicini messi insieme pur con una popolazione pari a 2/3. Ora ci sarà chi dirà: eh, robetta rispetto all'Italia. Peccato che le comparazioni statistiche si facciano per continuità geografica ove possibile, e qui è SICURAMENTE possibile.
E anche se l'Italia avesse fatto peggio della Svezia, cosa giustifica la condotta della Svezia avendo essa ottenuto un rateo di mortalità quasi 9 volte quello finnico, 8 volte quello norvegese e 1,75 volte quello danese? E sopratutto, perché ancora una volta guardare alla Svezia come 'esempio' quando TUTTI i suoi vicini hanno fatto nettamente meglio?
Coronavirus Update (Live): 68,542,000 Cases and 1,562,021 Deaths from COVID-19 Virus Pandemic - Worldometer (worldometers.info)
Ma quante se ne sentono anche sulle vitamine? E funzionano, e non funzionano, e sono utili, e sono indispensabili, anzi sono proprio inutili.
Mamma mia, a che livello è degenerata la discussione sulla medicina, e sulla scienza in generale, in quest'anno che il Times ha indicato come personaggio (da evitare).
Ecco due studi, per esempio.
Uno spagnolo, che dice così:
« (ANSA) - ROMA, 27 OTT - Oltre l'80% dei pazienti ricoverati per Covid ha una carenza di vitamina D, un nutriente importante anche per il corretto funzionamento del sistema immunitario. Lo indica lo studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism e condotto in Spagna, dal gruppo di José Hernández,.dell'Università della Cantabria a Santander.
Il dato, benché relativo a un solo ospedale spagnolo, è rilevante perché conferma precedenti studi epidemiologici secondo cui la carenza di vitamina D è più diffusa nei Paesi dove il coronavirus ha mostrato un' aggressività maggiore, provocando più decessi.
Gli esperti hanno riscontrato che oltre 8 pazienti su 10 ricoverati per Covid nell'ospedale spagnolo durante la prima ondata di contagi erano carenti di vitamina D, soprattutto gli uomini, che hanno in genere una mortalità maggiore rispetto alle donne. E' emerso inoltre che, più marcata era la carenza vitaminica, maggiori erano i marcatori infiammatori legati a grave infezione nel sangue dei pazienti.
Se il ruolo protettivo della vitamina D contro la sindrome Covid 19 fosse confermato (attualmente è in corso in Gran Bretagna un vasto trial clinico per rispondere a questa domanda) un approccio preventivo potrebbe essere curare la carenza di questa vitamina, specialmente negli individui più suscettibili come gli anziani, i pazienti con altre malattie quali il diabete e il personale sanitario specie nei presidi di lunga degenza, ovvero tutte le popolazioni più a rischio di ammalarsi di COVID-19 in forma grave e con complicanze - conclude Hernández.
(ANSA). »
UN altro, italiano, che dice così:
Da: Medico e Paziente, 7 Dicembre 2020
Il ruolo della nutrizione nell’infezione da SARS-CoV-2 è un argomento inevitabilmente di grande attualità. Tra gli studi più recenti su questo tema c’è una review italiana, pubblicata dalla rivista Nutrition su “Obesità, malnutrizione e deficit di oligoelementi nella pandemia della malattia da coronavirus (COVID-19)”. Abbiamo chiesto alla prima autrice di questo lavoro, Debora Fedele, dietologa dell’Unità di Dietetica e Nutrizione Clinica, Ospedale S. Giovanni Battista, Città della Salute e della Scienza, Torino, di sintetizzarne i temi più importanti.
Dottoressa Fedele, in che modo lo stato nutrizionale può influire sulla suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2 e sulla gravità della malattia?
È dimostrato che una compromissione dello stato nutrizionale, in generale, determina un allungamento dei tempi di degenza ed è associato a peggior outcome per tutte le patologie. Quello che accomuna i tre tipi di malnutrizione (per eccesso, per difetto e per carenza di micronutrienti) è l’alterata risposta immunitaria, sia cellulo-mediata che immuno-mediata.
È inoltre noto che nei pazienti obesi e nelle gravi sarcopenie è già attiva un’infiammazione di basso grado, con aumento delle citochine circolanti, che può ulteriormente aggravarsi dopo un’infezione. Se prendiamo l’esempio dell’influenza H1N1, infatti, è stata rilevata una maggiore concentrazione di IL-6, IL-15, IL-8 e TNF-a, con una correlazione significativa rispetto a un peggiore outcome.
Una percentuale non trascurabile di pazienti affetti da COVID-19 con necessità di ventilazione invasiva è costituita da soggetti obesi: qui sono in causa soprattutto le comorbidità associate, quali asma e BPCO, che possono inficiare gravemente gli scambi respiratori.
Per quanto concerne la sarcopenia, bisogna considerare anche la perdita di funzione dei muscoli deputati alla respirazione e i ridotti valori di picco di flusso espiratorio (PEFR), riscontrabili in questa categoria di pazienti rispetto ad una popolazione di controllo sana.
Nel suo lavoro si evidenzia anche il ruolo di vitamine ed oligoelementi nella risposta immunitaria e nei processi infiammatori, ci può riassumere gli aspetti più importanti di questa associazione?
Vitamine ed oligoelementi giocano un ruolo chiave nella modulazione della risposta immunitaria e respiratoria. Un dato curioso riguarda ad esempio il selenio: questo elemento traccia, infatti, svolge un ruolo antiossidante e immunoregolatorio e da uno studio condotto in Cina (tra i Paesi al mondo nel cui territorio coesistono zone carenti in selenio nel terreno e zone con elevatissime concentrazioni fino a determinare un rischio di intossicazione) è emerso che in zone con scarsa disponibilità di selenio la mortalità legata all’infezione da COVID-19 era maggiore.
Tra gli altri oligoelementi sono importanti inoltre zinco e rame, la cui carenza sembra essere associata a maggiore rischio di infezione delle basse vie respiratorire e maggiore capacità di replicazione del genoma virale (almeno da quanto emerge dagli studi su H1N1).
Lo stesso discorso vale anche per le vitamine (A, C, E, D), per le quali è stata proposta la supplementazione anche nelle fasi acute. Per quanto riguarda, ad esempio, l’acido ascorbico, alcuni protocolli ne suggeriscono un uso ad alte dosi nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica.
Sul possibile ruolo della vitamina D, in particolare, e della supplementazione come fattore protettivo dal COVID-19 sono comparse notizie discordanti, qual è il suo parere?
Come noto, la vitamina D ha effetti pleiotropici sull’organismo che si manifestano anche nella risposta immune, così come può influenzare la permeabilità delle cellule alveolari.
Già dai primi studi condotti sui pazienti affetti da COVID-19 è stata evidenziata una correlazione tra bassi livelli di 25(OH)vitamina D e infezione da SARS-CoV-2, ma bisogna considerare anche le caratteristiche della popolazione presa in esame, per lo più composta da soggetti con patologie pregresse e/o anziani (NdA: eccerto, e quindi? Se c'é una malattia in corso e colpisce sopratutto QUELLA fascia di popolazione...). Va inoltre considerato che in fase di infiammazione acuta vi è riduzione delle proteine di trasporto, aumento del volume di distribuzione e di conseguenza maggiore diluizione, determinando perciò basse concentrazioni sieriche per diluizione.
Si può ritenere adeguato, a mio giudizio, in contesto di “prevenzione”, la supplementazione di colecalciferolo al fine di mantenere adeguati livelli di vitamina D, ma riguardo l’impatto della supplementazione in fase acuta in questa categoria di pazienti mancano dati conclusivi sugli outcome.
Quale dovrebbe essere in generale la strategia nutrizionali per i pazienti, in particolar modo anziani e categorie più a rischio, in funzione preventiva e come approccio complementare alla terapia del COVID-19?
In generale, possiamo dire che la valutazione dello stato nutrizionale e la prevenzione della malnutrizione sono elementi non trascurabili che andrebbero indagati in tutti i pazienti, così da poter indirizzare i soggetti all’attenzione degli operatori sanitari che valuteranno le abitudini alimentari e potranno dare indicazioni specifiche rispetto ad un eventuale intervento dietetico. Questo si traduce in migliore immunocompetenza e, in soggetti ospedalizzati, a ridotti tempi di ricovero.
Il ruolo dell’alimentazione nell’ambito della terapia del COVID-19 si traduce nell’individuare le eventuali carenze ed assicurare un’opportuna supplementazione (anche con dosaggi di micronutrienti superiori alle quantità giornaliere raccomandate), eventualmente con l’ausilio del supporto artificiale nei pazienti ospedalizzati.
www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0899900720302999?fbclid=IwAR09v-nbf7JGGvfeRo007mllKpuYHQLYK06owefstu63RuMWwTgS68_mBMA#
Abstract
The world is currently facing the coronavirus disease (COVID-19) pandemic which places great pressure on health care systems and workers, often presents with severe clinical features, and sometimes requires admission into intensive care units. Derangements in nutritional status, both for obesity and malnutrition, are relevant for the clinical outcome in acute illness. Systemic inflammation, immune system impairment, sarcopenia, and preexisting associated conditions, such as respiratory, cardiovascular, and metabolic diseases related to obesity, could act as crucial factors linking nutritional status and the course and outcome of COVID-19. Nevertheless, vitamins and trace elements play an essential role in modulating immune response and inflammatory status. Overall, evaluation of the patient's nutritional status is not negligible for its implications on susceptibility, course, severity, and responsiveness to therapies, in order to perform a tailored nutritional intervention as an integral part of the treatment of patients with COVID-19. The aim of this study was to review the current data on the relevance of nutritional status, including trace elements and vitamin status, in influencing the course and outcome of the disease 3 mo after the World Health Organization's declaration of COVID-19 as a pandemic.
Table 2. Roles of trace elements and vitamin deficiency in worsening COVID-19 course and outcome
Trace element or vitaminDeficiency and suggested role in COVID-19Selenium
•Antioxidant role, ROS balance in inflammatory processes
•Immune function impairment, lower T cells, lymphocyte-mediated toxicity, and NK cell activity [234]
•Increase in virus replication and genome mutation rate (especially for RNA viruses) [237]
•Higher pathogenic H1N1 subtypes in influenza A virus [238]
•Higher death rate in COVID-19 patients in low-selenium regions [240]
Zinc
•Reduces ROS in viral infections
•Higher risk for lower respiratory tract infections
•Inhibition of RNA-dependent RNA polymerase, which inhibits viral replication in coronavirus respiratory tract infections [243]
•Proposed supplementation to enhance the clinical of chloroquine/hydroxychloroquine efficacy in the COVID-19 treatment [246]
Copper
•Role in immunity, antimicrobial action due to copper toxicity
•Enhance in macrophage activity in lung infection
•Immune function impairment
•Role in viral replication in H1N1 influenza [255]
•Proposed supplementation as an adjuvant within COVID-19 treatment [250]
Vitamin D
•Immunomodulatory and antioxidant action
•Role in CVDs and DM
•Higher COVID-19 incidence in patients with lower vitamin D [264]
•Higher COVID-19 fatality rate in severe vitamin D-deficient countries [265]
•Proposed vitamin D at loading dose administration [266], [267], [268]
Ascorbic acid
•Immunomodulatory and antioxidant action
•Lower severity and mortality from pneumonia in individuals with higher serum vitamin C values [272,273]
•Intravenous administration could reduce mechanical ventilation requirement through the amelioration of lung injury [274]
•No consensus for supplementation in COVID-19, suggested 1.5 g/kg body weight administration as safe [275]
Vitamin A
•Role in immune competence
•Immunomodulatory action
•Lower serum levels during infections (acute phase response), transiently and proportionally to the severity of the disease [280]
•Lower FVC and higher risk for invasive pathogens and severity in lung infections in patients with lower vitamin A [278]
•Suggested adjunctive administration in COVID-19 patients since reduced morbidity and mortality in measles‐related pneumonia, HIV infection, malaria [239]
Vitamin E
•Immunomodulatory and antioxidant action
•Supplementation as protective in upper respiratory infections in elderly patients [283]
•Increased virulence as deficient in animal models [284]
•Lack of available data for COVID-19 pandemic
Vitamin DConsidering the rate of vitamin D deficiency and insufficiency, it can be considered a global health problem that has characteristics as a pandemic. It has been estimated that ~30% of children and 60% of adults worldwide are vitamin D deficient and insufficient, respectively [256]. The severity of 25-hydroxyvitamin D deficiency is stratified into mild (<20 ng/mL), moderate (<10 ng/mL), and severe (<5 ng/mL) [257]. Pregnant women, individuals with increased skin melanin, abstinence from direct sun exposure (which explains the higher prevalence in higher latitudes), and obese children and adults are considered at high risk for deficiency. A prevalence of vitamin D deficiency is 35% higher in obese individuals regardless of latitude and age [256,258].
Vitamin D acts as an immunomodulator and as an antioxidant, with an important role in CVDs and diabetes mellitus [256]. It is also involved in protection against viral RTIs and acute lung injury, as observed in ARDS, in which there is reduced lung permeability by modulation of renin–angiotensin system activity and ACE-2 expression [259], [260], [261], [262]. Thus, vitamin D deficiency has been reasonably correlated to COVID-19 as a pathogenic factor. This hypothesis is corroborated by analysis of vitamin D prevalence and COVID-19 spreading and mortality observed in the Northern Hemisphere in contrast to the Southern Hemisphere [263]. Hastie et al. analyzed data available from 348 598 UK Biobank participants and found that median 25-hydroxyvitamin D concentration measured at recruitment was lower in patients who subsequently developed COVID-19 [264]. Daneshkhah et al. observed that the age-specific COVID-19 fatality rate was highest in Italy, Spain, and France, all of which are European countries with the highest incidence of severe vitamin D deficiency [265]. These findings suggest that measurement of serum 25-hydroxyvitamin D is necessary in patients infected with SARS-CoV-2 in order to identify the ones at highest risk. Once identified, a supplementation dose should be administered. Caccialanza et al. suggest cholecalciferol supplementation according to blood tests results (50 000 UI/wk and 25 000 UI/wk if 25-hydroxyvitamin D <20 ng/mL and ≥20 to <30 ng/mL, respectively) [266], whereas Ebady et al. propose a 100 000 IU start dose of cholecalciferol followed by 50 000 IU/wk for the second and third week [267]. According to the most recent guidelines for nutrition management in the ICU, a single high dose (500 000 IU) can be safely administered within the first week [268], and it could be reasonably applied for COVID-19 patients, although no evidence exists to date. To our knowledge, there is no clear consensus about the administration of cholecalciferol in COVID-19 patients, neither a proven efficacy as adjuvant therapy, even though some researchers suggest this is a possible application [269].
Ascorbic acidOvert vitamin C deficiency known as scurvy, is rare especially in high-income countries; however, a less pronounced deficiency (defined as a serum concentration <11.4 umol/L) is more common, with rates as low as 7.1% in the United States and up to 73.9% in northern India. Risk factors include alcohol intake, tobacco use, low income, male sex, patients on hemodialysis, and those with overall poor nutritional status [270].
Vitamin C mainly plays an essential role in protecting the cells from oxidative damage; improves neutrophil migration and chemotaxis; promotes the proliferation, differentiation, and maturation of T and possibly also B lymphocytes; and has an inhibitory effect on secretion of proinflammatory cytokines [271]. A link between vitamin C status and RTIs has been observed, as a lower mortality rate from pneumonia was reported in patients with higher serum vitamin C values [272]. Recently, Carr et al. evaluated vitamin C status in a cohort of patients with pneumonia and observed a depletion compared with healthy controls. In particular, the more severe patients in ICUs had significantly lower vitamin C levels [273]. This latter study was not performed in patients with COVID-19 and no data are available regarding vitamin C status in these patients. The potential role as an immunomodulator and antioxidant lead to administration of ascorbic acid in critically ill patients, and various studies have been performed, even if there are some discrepancies regarding the administered doses. A recent systematic review concluded that intravenous (IV) administration of vitamin C could reduce dependency on mechanical ventilation, possibly through the amelioration of lung injury, without affecting overall mortality [274].
To date, there is no consensus or proven efficacy of supplementation of ascorbic acid in COVID-19 patients but some researchers advise a possible use of IV supplementation as addressed by an expert panel document from the National Institiutes of Health that a regimen of 1.5 g/kg body weight could be considered safe and without major adverse events [275].
Tra le millemila fonti citate, ne pongo una a caso:
Abstract
Pneumonia is a severe lower respiratory tract infection that is a common complication and a major cause of mortality of the vitamin C-deficiency disease scurvy. This suggests an important link between vitamin C status and lower respiratory tract infections. Due to the paucity of information on the vitamin C status of patients with pneumonia, we assessed the vitamin C status of 50 patients with community-acquired pneumonia and compared these with 50 healthy community controls. The pneumonia cohort comprised 44 patients recruited through the Acute Medical Assessment Unit (AMAU) and 6 patients recruited through the Intensive Care Unit (ICU); mean age 68 ± 17 years, 54% male. Clinical, microbiological and hematological parameters were recorded. Blood samples were tested for vitamin C status using HPLC with electrochemical detection and protein carbonyl concentrations, an established marker of oxidative stress, using ELISA. Patients with pneumonia had depleted vitamin C status compared with healthy controls (23 ± 14 µmol/L vs. 56 ± 24 µmol/L, p < 0.001). The more severe patients in the ICU had significantly lower vitamin C status than those recruited through AMAU (11 ± 3 µmol/L vs. 24 ± 14 µmol/L, p = 0.02). The pneumonia cohort comprised 62% with hypovitaminosis C and 22% with deficiency, compared with only 8% hypovitaminosis C and no cases of deficiency in the healthy controls. The pneumonia cohort also exhibited significantly elevated protein carbonyl concentrations compared with the healthy controls (p < 0.001), indicating enhanced oxidative stress in the patients. We were able to collect subsequent samples from 28% of the cohort (mean 2.7 ± 1.7 days; range 1–7 days). These showed no significant differences in vitamin C status or protein carbonyl concentrations compared with baseline values (p = 0.6). Overall, the depleted vitamin C status and elevated oxidative stress observed in the patients with pneumonia indicates an enhanced requirement for the vitamin during their illness. Therefore, these patients would likely benefit from additional vitamin C supplementation to restore their blood and tissue levels to optimal. This may decrease excessive oxidative stress and aid in their recovery.
www.mdpi.com/2072-6643/12/5/1318
E ora qualche discussione sugli asintomatici.
Siccome non si finisce MAI di discuterne... oggi è arrivato un altro studio cinese che nega il loro ruolo nell'epidemia.
www.ilgiornale.it/news/cronache/covid-19-ecco-cambia-ruolo-degli-asintomatici-1908108.html?
"Tutti i casi negativi""
Rispetto ai pazienti sintomatici, le persone asintomatiche presentano in genere una bassa carica virale e una scarsa durata dello spargimento virale, che comportano un calo del rischio di trasmissibilità della Sars-Cov-2", scrivono i ricercatori. Questo nuovo studio smentirebbe, per così dire, la teoria seconda la quale la trasmissione del virus da parte degli asintomatici giocherebbe un ruolo di primo piano nell'evolversi della pandemia mondiale. Oltre alla bassa carica virale, lo studio sottolinea che gli asintomatici avrebbero una diffusione virale di "breve durata" che diminuisce il rischio di trasmettere il Sars-Cov-2. Tutti i contatti stretti dei casi positivi asintomatici sono risultati negativi, e si parla di oltre mille individui (1.174 per la precisione). Nessuno di loro, a contatto con i 300 asintomatici, si è ammalato.
Ma se questo FORSE è vero per i cinesi... (ci fidiamo? BAH), NON è detto che sia vero anche per noi. A parte che i modelli genetici sono molto diversi rispetto a quelli europei, visto che noi a quanto pare, siamo più neanderthalesi.
Europei più vulnerabili al COVID. Grazie al DNA neanderthalese più propenso alla coagulazione. Studio sul cromosoma 3 di 3.200 pazienti con settore di 50k coppie di basi comune ai pazienti infetti. Questa variante è ben presente anche nella popolazione indo-bengalese, mentre in Africa e Cina e dintorni è quasi assente.
www.raiplay.it/video/2020/12/TGR-Leonardo-492aa3b1
Perché da noi sono noti casi come i due funerali in cui in Lazio e Abruzzo i Rom diedero luogo a due focolai COVID con circa 100 contagi. Era primavera scorsa. Ma adesso le cose non sono cambiate molto.
Infatti:
www.fanpage.it/milano/pavia-matrimonio-con-34-invitati-si-trasforma-in-un-focolaio-covid/
Pavia, matrimonio con 34 invitati si trasforma in un focolaio Covid
Un momento di festa nel pieno della seconda ondata: 34 invitati, qualcuno positivo al Covid senza presentare sintomi e il virus che inizia a correre veloce. A Pavia, nei primi giorni di ottobre, una coppia è convolata a nozze in presenza di pochi intimi ma ciò non è bastato per rallentare l’infezione e dare vita ad un focolaio in pochissimo tempo.
CRONACAPAVIA 2 DICEMBRE 2020 7:48di Filippo M. Capra
Un matrimonio, 34 invitati e una seconda ondata del contagio che inizia a farsi sempre più violenta. A Pavia, durante i primi giorni di ottobre, una coppia si è sposata in presenza di amici e parenti stretti dando vita ad un focolaio di Covid-19 che ha portato a contare ben 48 persone contagiate. Alcune di loro provenivano dalla Lombardia, altre dal Piemonte.
Matrimonio a Pavia si trasforma in focolaio Covid
Ebbene, trascorse le ore di spasso e serenità, tra i 34 c'è chi inizia a sviluppare i classici sintomi dell'infezione, dalla febbre alla tosse e la perdita di gusto e olfatto. È uno degli ospiti che, subito, si fa tamponare. Esito: positivo. Immediatamente allora scatta l'indagine epidemiologica operata dall'Asl di riferimento, quella di Vercelli, che chiede ai neo sposini una lista completa degli invitati al matrimonio. Metà di loro aveva già perso gusto ed olfatto, patendo qualche linea di febbre e accusando anche dolori intestinali. Dopo un giro di tamponi, ne risultano positivi 21, di cui dieci asintomatici. Tra i contagiati ci sono anche marito e moglie.
Famigliari e colleghi di scuola contagiati
La ricerca dei possibili contatti, poi scoperti negli altri 21, non è stata però tempestiva, quantomeno non veloce come la diffusione del virus, che nel frattempo si era trasferito anche nell'organismo di altri 13 famigliari dei 21 in questione. Dei nuovi contagiati, uno è un bambino che, da asintomatico, ha proseguito ad andare a scuola, trasmettendo il Covid a due compagni: classe in quarantena.
Non la sola, perché al matrimonio pavese c'era anche un insegnante che, dopo essere rimasto contagiato, è andato ad un battesimo. Il bollettino dice altri quattro contagi in quell'occasione e cinque a scuola (due colleghi e tre alunni), con relativa quarantena degli interessati e dei loro contatti stretti.
Serve altro per parlare del ruolo degli 'asintomatici'?
Dei quali, tra l'altro, vi sono almeno 4 'specie' diverse. Inclusi individui che non hanno ANCORA iniziato ad ammalarsi e individui che non hanno più la malattia.
AGGIORNAMENTO SUL 'PARADISO SVEDESE' (all'8 dicembre 2020)
PAESE:__________CASI____VITTIME____T.I.
FINLANDIA:____10.000______80_______30
NORVEGIA:____25.000______87_______34
DANIMARCA:__67.000_____250______42
TOTALE:_______102.000____412______106
SVEZIA: _______203.000___1.400_____249
La Svezia ha avuto quindi... oltre 3 volte i morti e il doppio dei casi di tutti i suoi vicini messi insieme pur con una popolazione pari a 2/3. Ora ci sarà chi dirà: eh, robetta rispetto all'Italia. Peccato che le comparazioni statistiche si facciano per continuità geografica ove possibile, e qui è SICURAMENTE possibile.
E anche se l'Italia avesse fatto peggio della Svezia, cosa giustifica la condotta della Svezia avendo essa ottenuto un rateo di mortalità quasi 9 volte quello finnico, 8 volte quello norvegese e 1,75 volte quello danese? E sopratutto, perché ancora una volta guardare alla Svezia come 'esempio' quando TUTTI i suoi vicini hanno fatto nettamente meglio?
Coronavirus Update (Live): 68,542,000 Cases and 1,562,021 Deaths from COVID-19 Virus Pandemic - Worldometer (worldometers.info)