2-3-21 (agg. 4-3-21)
Oh, eccoci qua al buon vecchio COVID Tiggì. Altra serie di appunti vari per sentire come tira il vento in zona pandemia.
Iniziamo dai VACCINI e dalle TERAPIE. C'é qualcosa di strano, ma guai a cercarlo nei Tiggì nazionali.
Il male e la cura (?)
Oh, dopo UN ANNO ancora non c'é una certezza una sul COVIDDI, niente, nemmeno l'efficacia dei vaccini ora santificati dai media nazionali, ora detronizzati brutalmente da studi e fatti di cronaca. E non c'é solo questo...
AstraZeneca, malori per il vaccino: ospedali interrompono somministrazioni in Nord Reno-Westfalia (ilmessaggero.it)
Mercoledì 17 Febbraio 2021 di Mario Landi
Effetti collaterali
Un numero elevato di dipendenti dell'ospedale duchessa Elisabetta di Braunschweig vaccinati con le dosi AstraZeneca, riporta Die Welt, ha manifestato effetti collaterali. L'ospedale della ha così annunciato la sospensione e il rinvio delle vaccinazioni. Lo stesso è stato deciso nel distretto di Leer.
Le reazioni al vaccino
Sono 88 i dipendenti della clinica di Braunschweig vaccinati lo scorso giovedì, e 37 di loro non è stato in grado di presentarsi al lavoro a lavorare causa delle reazioni al vaccino. Anche i dipendenti della clinica Emden hanno riferito di essersi ammalati dopo le vaccinazioni. Di conseguenza, il distretto di Leer ha annunciato che non avrebbe più somministrato il vaccino AstraZeneca sostenendo che «le dosi di vaccino probabilmente provengono dallo stesso lotto consegnato a Emden».
Secondo il Robert Koch Institute (RKI), le reazioni possono verificarsi sia con i vaccini basati su Rna mesaggero come Pfizer/Biontech e Moderna, sia con il vaccino AstraZeneca, non basato su Rna messaggero ma su vettori. Il capo della squadra di crisi in Bassa Sassonia, Heiger Scholz, è rimasto sorpreso dall'aumento degli effetti collaterali.
In Germania altri 560 morti
In Germania sono più di 66.000 i decessi dall'inizio della pandemia di coronavirus. I dati diffusi dall'Istituto Robert Koch parlano di altri 560 decessi e 7.556 nuovi casi di Covid-19. Il bollettino aggiornato è di 66.164 vittime su 2.350.399 contagi con circa 129.700 casi attivi. Le persone guarite dopo aver contratto il coronavirus sono circa 2.154.600.
«L’Italia può prodursi i vaccini in casa». Draghi tratta con la Ue sugli stabilimenti
Variante inglese aumentata al 22%
La quota di diffusione della variante inglese del coronavirus in Germania è passata in due settimane dal 6% al 22%. Lo ha reso noto il Robert Koch Institut. In un incontro con la stampa, il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, ha però sottolineato che, nonostante la presenza delle varianti, nel paese si continua a registrare un calo dei casi di infezione.
Varianti Covid, allerta a Roma: la Asl richiama i vaccinati (dopo il caso dei medici positivi) (ilmessaggero.it)
Giovedì 18 Febbraio 2021 di Flaminia Savelli
Uno screening di massa a tutto il personale sanitario immunizzato. Per accertare durata ed efficacia del vaccino somministrato. Non solo: medici e infermieri dovranno dichiarare se sono stati a contatto con un positivo e quindi essere sottoposti a tampone molecolare.
L’allerta è scattata con i primi 12 camici bianchi risultati positivi dopo il secondo richiamo di Pfizer. E dietro i nuovi contagiati, c’è l’ombra della variante inglese: Variant of Concern, classificata come VOC 202012/01.
Vaccino, da aprile profilassi di massa: «Non rifiutate AstraZeneca». Protezione civile in campo
«Il controllo è necessario per accertare che la vaccinazione abbia prodotto un’ adeguata produzione di anticorpi neutralizzanti. Un monitoraggio, protratto nel tempo, che servirà a capire la durata dell’effetto protettivo del siero» precisa Enrico Di Rosa, direttore del SISP (Servizio Igiene e Sanità pubblica) dell’Asl Roma 1.
La nota con la nuova disposizione è stata inviata già da tutte le Asl. Un documento interno(del 17 febbraio) con il calendario dei nuovi esami già programmati, che è stato inoltrato al personale sanitario e ai dipendenti delle Asl. Con le convocazioni a partire dal 28 febbraio, secondo il calendario vaccinale. Quindi, a un mese dalla seconda somministrazione di Pfizer e ancora, a seguire, con intervalli regolari di due mesi per tutto l’anno.
Covid Roma, positivi dopo il vaccino: è allerta per i medici. In 12 avevano ricevuto la doppia dose
Gli esami dunque si ripeteranno «con l’ausilio- si legge nel documento- di un nuovo test che rileva in modo quantitativo gli anti corpi (anti- Sars Cov2)».Con una nota finale: «Si invitano tutti i destinatari della disposizione a una piena collaborazione per l’efficace attuazione del monitoraggio». Uno screening che prevede anche tamponi molecolari.
Durante il monitoraggio di medici e infermieri, per chi ha avuto un contatto stretto con un contagiato o manifesta i sintomi della malattia, dovrà sottoporsi anche un ulteriore esame con il tampone molecolare. Un passaggio obbligatorio soprattutto per escludere contagi da variante. Dunque: «Il percorso per l’individuazione di eventuali positivi - conferma il direttore del SISP, Di Rosa- è diverso e richiede l’esecuzione di un tampone a seguito di sintomi o di esposizione a rischio e comparsa di sintomi».
Un’ accelerazione per il piano di controllo dei vaccinati con il Pfizer. Il monitoraggio era stato infatti già previsto all’avvio del programma vaccinale regionale. Ma dopo i primi immunizzati positivi, e con il rischio dei contagi da variante, i tempi sono stati anticipati. I risultati alle Asl sono arrivati questa settimana. Quando durante i controlli ordinati per alcuni cluster, sono emersi i positivi al Covid. Come l’infermiere di una casa di cura di Monte Mario (Asl Roma 1), l’operatore sanitario dell’ospedale del Torrino (Asl Roma3). Ancora: due infermieri, uno in servizio all’Aurelia Hospital, un altro al San Camillo (Asl Roma 4).
Un elenco di 12 nuovi positivi, tutti con il secondo richiamo, che ha fatto scattare tutti i campanelli d’allarme. Su cui sono ancora in corso accertamenti. I campioni delle loro analisi saranno determinanti per stabilire, scientificamente, come il virus abbia superato lo “scudo” del vaccino. Nello specifico, su un campione di 4 sanitari contagiati dopo l’antidoto, sta conducendo un’analisi la Società italiana di malattie infettive.
«Contagiarsi, anche dopo avere ricevuto la seconda somministrazione, non significa automaticamente che il vaccino è stato poco efficace», ha spiegato il direttore scientifico Massimo Andreoni, virologo del Policlinico Tor Vergata. «In tutti i casi che abbiamo preso in esame finora, ci siamo trovati davanti a persone completamente asintomatiche».
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Covid Roma, positivi dopo il vaccino: è allerta per i medici. In 12 avevano ricevuto la doppia dose (ilmessaggero.it)
Giovedì 18 Febbraio 2021 di Lorenzo De Cicco
Positivi al tampone, anche dopo la doppia dose del vaccino anti-Covid. Immunizzati. Invece no: il virus ha fatto breccia lo stesso. Dai report delle Asl romane, viene fuori che 12 tra medici e infermieri sono stati trovati, per caso, con l’infezione in corpo, nonostante avessero completato il percorso vaccinale, con la prima e la seconda iniezione del siero Pfizer. Sono stati scoperti durante controlli di routine, legati ad alcuni cluster nei reparti. All’Asl Roma 1 è capitato all’infermiere di una casa di cura di Monte Mario: positivo dopo il vaccino. All’Asl Roma 3 è stato contagiato un operatore sanitario di un ospedale al Torrino, anche lui vaccinato. Due casi all’Asl Roma 4, sempre infermieri: uno in servizio all’Aurelia Hospital, un altro al San Camillo. Il territorio con più episodi segnalati è quello dell’Asl Roma 5, che copre una larga fetta di provincia nel quadrante Est della Capitale, da Tivoli a Guidonia, da Monterotondo a Colleferro. Qui sono stati annotati dal Sisp (il Servizio di Igiene e Sanità pubblica) 8 casi tra medici e infermieri. «Non si tratta di un unico focolaio, i sanitari trovati positivi dopo il vaccino lavoravano in strutture diverse», spiega il direttore del Sisp locale, Alberto Perra, esperto di Epidemiologia applicata e salute di popolazione.
LE RICERCHE
Su un campione di 4 sanitari contagiati dopo l’antidoto sta conducendo un’analisi la Società italiana di malattie infettive. «Contagiarsi, anche dopo avere ricevuto la seconda somministrazione, non significa automaticamente che il vaccino è stato poco efficace», spiega il direttore scientifico Massimo Andreoni, virologo del Policlinico Tor Vergata. «In tutti i casi che abbiamo preso in esame finora, ci siamo trovati davanti a persone completamente asintomatiche». L’obiettivo principale del vaccino, ricorda Andreoni, «è bloccare la malattia, non bloccare l’infezione». C’è un aspetto cruciale che però ancora va chiarito: «Ad oggi non sappiamo se chi è stato infettato dopo il vaccino è anche infettivo». Insomma, se oltre ad essere contagiato è anche contagioso per gli altri. Mancano studi definitivi, in un senso o nell’altro. Per questo il Ministero della Salute ha optato per la linea della massima cautela e, come anticipato dal Messaggero la settimana scorsa, il governo ha comunicato al tavolo con le Regioni che «al momento, al vaccinato si applicano gli stessi provvedimenti di un non vaccinato». Compreso l’obbligo di quarantena per chi entra in contatto con un positivo.
Come conferma Luigi Toma, infettivologo dell’Ifo, «non abbiamo evidenze scientifiche sul fatto che il vaccinato positivo al Covid sia contagioso o no. In assenza di studi approfonditi, non possiamo trarre conclusioni, è presto». Alcuni punti fermi però si possono fissare, facendo un raffronto con altri virus. «Per le malattie infettive classiche, c’è la possibilità che una persona vaccinata contragga la stessa patologia per cui ha ricevuto il vaccino. Ed è molto probabile che questa persona non abbia sintomi. Quanto però possa essere contagiosa è un aspetto estremamente variabile, cambia a seconda del tipo di paziente e del ceppo virale dal quale viene infettato».
Qui entrano in scena le varianti. Per il ceppo brasiliano, le indagini preliminari condotte a Manaus «suggeriscono una potenziale maggiore trasmissibilità o propensione alla reinfezione», si legge in una circolare del Ministero della Salute del 31 gennaio. Ma si tratta appunto di valutazioni iniziali, tutte da approfondire. «Nel frattempo - conclude Toma dell’Ifo - è bene mantenere tutte le misure di precauzione, perché il rischio di contagiare gli altri, potenzialmente, c’è sempre».
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“Tre semplici grafici per comprendere a colpo d’occhio come l’Italia sta probabilmente sbagliando strategia per la campagna vaccinale anti-COVID in corso. Sono stati appena resi noti i dati sugli eventi avversi delle vaccinazioni eseguite con i preparati Pfizer e Moderna (quest’ultimo in dosi molto più limitate perché divenuto disponibile solo di recente), con aggiornamento al 6 Febbraio 2021, da parte del Sistema di Sorveglianza Europeo Eudrasurveillance gestito dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA). I dati integrano le informazioni già desumibili dal primo report AIFA pubblicato il 4 febbraio scorso con dati aggiornati al 26 gennaio, quando cioè erano state somministrate solo il 15% delle seconde dosi di vaccino Pfizer”.
Queste sono le parole con cui la Prof.ssa Annamaria Colao, tra le dieci maggiori scienziate italiane nel mondo e titolare della Cattedra UNESCO per l’Educazione alla Salute e Sviluppo Sostenibile dell’Università Federico II di Napoli, pone l’attenzione su possibili errori nella Strategia Vaccinale anti-Covid che sta portando avanti il nostro Paese.
14.000 REAZIONI AVVERSE, QUALCOSA NON STA FUNZIONANDO
“La strategia vaccinale intrapresa dall’Italia non si sta rivelando ottimale. Già i dati AIFA resi noti la scorsa settimana ponevano l’Italia al primo posto in Europa per eventi avversi al vaccino anti-COVID, che per il nostro Paese ha significato finora quello prodotto da Pfizer/Biontech, risultando in oltre 7.000 eventi avversi. Ora i dati pubblicati dal sistema Europeo di Sorveglianza mostrano un sostanziale raddoppio delle reazioni indesiderate complessive per l’Italia, che arrivano a superare i 14.000 eventi, con i disturbi del sistema nervoso centrale al secondo posto per frequenza e di grave intensità nel 30% dei casi. Se al secondo posto per reazioni avverse la Spagna si ferma a 3.000 casi, mentre Gran Bretagna, Germania e Francia si attestano su una media di 2000 reazioni avverse, è evidente che il nostro dato è fuori scala e c’è qualcosa che non va”.
Fonte: Rapporto EudraSurveillance https://dap.ema.europa.eu/analytics/saw.dll?Go
SUI GIOVANI SI INNESCANO ALMENO UN TERZO DELLE REAZIONI AVVERSE
“Nei dieci giorni in cui sono state somministrate le seconde dosi di vaccino Pfizer abbiamo registrato 7000 reazioni avverse, cioè tante quante in un intero mese di campagna vaccinale e in modo imparagonabile rispetto a qualsiasi altro Paese europeo. L’analisi dei dati AIFA, che abbiamo condotto come Cattedra UNESCO in collaborazione con la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), può aiutarci a spiegare meglio una parte degli effetti osservati per l’Italia: abbiamo vaccinato persone giovani, note per aver dimostrato una minima suscettibilità a forme gravi di COVID, nelle quali però si innescano almeno un terzo delle reazioni avverse ad un vaccino il cui target di efficacia al 95% consiste non tanto nell’evitare la possibilità di essere infettati dal virus ma d’impedire effetti clinici gravi in seguito all’infezione”.
Fonte Rapporto AIFA eventi avversi vaccini COVID-19 al 26/01/2021:
https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1315190/Rapporto_sorveglianza_vaccini_COVID-19_1.pdf/9d9b4c1f-ea05-c87e-426e-29d14dee1a6b“
UTILIZZARE I LIMITATI QUANTITATIVI DI VACCINI SUI GIOVANI SANITARI NON HA SENSO”
Ha le idee chiare la Prof.ssa Colao su quella che dovrebbe essere la strategia vaccinale ottimale da suggerire:“Utilizzare i limitati quantitativi di vaccini ad oggi forniti al nostro Paese per vaccinare giovani sanitari nei quali l’eventuale infezione decorrerebbe quasi certamente asintomatica, per di più causando un elevato numero di effetti collaterali è qualcosa che, ovviamente, non poco senso. Così come sarebbe, forse, più opportuno evitare di somministrare a tutti una seconda dose del vaccino Pfizer, evidentemente foriera di numerosi eventi avversi legata probabilmente a una eccessiva risposta immunitaria (specie nei soggetti con meno di 50 anni, in cui si stanno osservando titoli anticorpali anche a tre zeri).”
“VACCINARE GLI ADULTI TRA I 50 E I 60 ANNI, I MAGGIORI BENEFICIARI DEL VACCINO”
“In presenza di una limitata disponibilità di vaccini non sarebbe più utile dosare la risposta anticorpale a tutti dopo la prima dose, riservando la seconda solo a chi ha risposte sub-ottimali? Questo ci consentirebbe di vaccinare con una prima dose una più ampia platea di adulti (50-60 anni nel pieno delle attività lavorative), che sono i maggiori beneficiari potenziali del vaccino ad RNA messaggero in quanto più suscettibili di ospedalizzazione o esiti fatali in caso d’infezione. Sarebbe più utile soprattutto se si pensa che attualmente gli ultrasessantenni possono ricevere solo il vaccino ad RNA messaggero (Pfizer o Moderna) viste le limitazioni poste a quello AstraZeneca”.
10% DELLA POPOLAZIONE GIÀ VACCINATA IN GRAN BRETAGNA CON LA STRATEGIA DELLA SINGOLA DOSE
“D’altra parte la strategia della singola dose ha permesso alla Gran Bretagna di raggiungere già una copertura del 10% della popolazione in breve tempo, con un numero di eventi avversi sette volte più basso del nostro. Da clinico, non posso fare a meno di sottolineare che non si dovrebbe aver paura di discostarsi dai dosaggi e frequenze di somministrazione dei richiami previsti nel protocollo registrativo di vaccini, il cui utilizzo (così come il processo di approvazione) è definito come emergenziale dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità: è naturale che il disegno di uno studio finalizzato ad ottenere una rapida approvazione dovesse prevedere somministrazioni in grado di garantire con maggiore certezza una risposta anticorpale nel maggior numero di soggetti. Ci è stata fornita un’arma efficace, ma questo non significa che gli studi registrativi possano aver contemplato tutti gli scenari possibili alle migliori strategie cliniche con cui va applicata quest’arma”.
PRIMA DOSE AL MAGGIOR NUMERO POSSIBILE DI ITALIANI SOPRA I 60 ANNI
“Procedere a vaccinare immediatamente con la prima dose il maggior numero di italiani possibile, sanitari e non sanitari, in special modo a partire dai 60 anni in su dovrebbe essere il perno della rimodulazione della strategia vaccinale italiana, monitorando al contempo la risposta anticorpale per identificare in concreto chi non può differire il richiamo”.
Ventilatori meccanici per i pazienti Covid-19? Inchiesta Wsj - Startmag
Ventilatori meccanici per i pazienti Covid-19? Inchiesta Wsj
di Redazione Start Magazine
All’University College Hospital, un grande ospedale universitario nel centro di Londra, i medici stanno mettendo i pazienti su un supporto respiratorio meno invasivo. Con questo sistema, circa la metà dei pazienti se la cava senza ventilatori meccanici. L’articolo del Wall Street Journal
Il Wall Street Journal illustra un altro mistero medico della pandemia di coronavirus: un gran numero di pazienti affetti da Covid-19 arriva negli ospedali con livelli di ossigeno nel sangue così bassi che dovrebbero essere incoscienti o sull’orlo dell’insufficienza degli organi. Invece sono svegli, parlano, non fanno fatica a respirare. Anche se nessuno è sicuro che il coronavirus induca questi pazienti a reagire in questo modo, molti medici invece di affrettarsi ad attaccare questi pazienti ai ventilatori meccanici per paura che peggiorino e muoiano all’improvviso, si stanno trattenendo dal trattamento invasivo, credendo che molti di questi pazienti se la caveranno benissimo senza.
In epoca pre-covid, i medici per aumentare i livelli di ossigeno nel sangue di un paziente spesso utilizzavano prima metodi di supporto meno invasivi come le macchine CPAP o BiPAP che spingono l’aria nelle vie aeree del paziente attraverso una maschera facciale, o le cannule nasali ad alto flusso che soffiano ossigeno riscaldato e umidificato nelle narici del paziente. Se questo non funzionava, i medici usavano ventilatori meccanici.
Ma le persone con Covid-19 cominciarono a presentarsi in ospedale con livelli di ossigeno nel sangue estremamente bassi. Anche per coloro che non facevano fatica a respirare, i medici erano preoccupati che le condizioni dei pazienti potessero improvvisamente peggiorare, diventando rapidamente mortali. Così spesso intubavano prima.
“In passato, se vedevamo questi tipi di livelli di ossigeno “, ha detto Scott Weingart, capo delle cure critiche d’emergenza nel dipartimento di medicina d’urgenza del Stony Brook Hospital di Stony Brook, N.Y. “si presumeva che i polmoni del paziente erano così malmessi che se non li intubavamo subito, avrebbero collassato”.
I medici hanno soprannominato questi pazienti “ipossemici felici”, un riferimento al paradosso dei livelli anormalmente bassi di ossigeno che si trovano nel loro sangue combinato con la capacità di respirare con relativa facilità. Nelle ultime settimane, i medici del Stony Brook Hospital hanno usato meno ventilatori su questi pazienti, rivolgendosi invece alle macchine CPAP o BiPAP o alle cannule nasali ad alto flusso.
Il dottor Weingart ricorda uno dei suoi primi pazienti di questo tipo nel mese di marzo: un uomo di 42 anni con livelli di ossigeno nel sangue così bassi che avrebbe dovuto essere incosciente. Invece, era seduto, sorrideva e parlava. Respirava velocemente, ma per il resto sembrava stare bene.
Il dottor Weingart e il suo team hanno usato una cannula nasale ad alto flusso per aumentare i livelli di ossigeno del paziente. Lo hanno anche girato sul davanti, un metodo noto come “posizionamento inclinato” che i medici hanno trovato può anche aiutare ad aumentare i livelli di ossigeno in parte riducendo la pressione del cuore e del diaframma sui polmoni.
Il paziente non è mai stato attaccato ad un ventilatore ed è stato dimesso in una settimana, ha detto il dottor Weingart. Molti altri medici hanno detto che stanno avendo successo con approcci così semplici.
Questo, a sua volta, sta riducendo la domanda di ventilatori – una grande preoccupazione all’inizio della crisi – e sta allentando la pressione sul personale ospedaliero.
Anche Abdul Khan, direttore medico dell’unità di terapia intensiva dell’Ochsner Medical Center di Gretna in Lousiana, ha curato questi cosiddetti pazienti “ipossemici felici” di Covid-19. “Abbiamo appreso che sono in grado di tollerare questi bassi livelli di ossigeno per un periodo di tempo significativo”, ha detto.
Il dottor Khan e i suoi colleghi usano ora i ventilatori come ultima risorsa per questi pazienti. I ventilatori meccanici aiutano le persone a respirare quando non possono farlo da soli. Un tubo viene inserito attraverso il naso o la bocca nella trachea.
Il tubo è collegato al ventilatore, che spinge una miscela di aria e ossigeno nei polmoni dei pazienti. I ventilatori svolgono un ruolo importante nella cura, ma ci sono seri rischi nel rimanere attaccati ad uno di essi per troppo tempo. I pazienti possono contrarre infezioni secondarie come la polmonite batterica. Possono contrarre infezioni del tratto urinario perché sono costretti a letto e sono a più alto rischio di insufficienza renale e di formazione di coaguli di sangue.
Se il ventilatore non è regolato correttamente, i pazienti possono subire lesioni polmonari. Dati pubblicati di recente suggeriscono inoltre che i ventilatori potrebbero non essere così efficaci nel mantenere in vita i pazienti Covid-19 gravemente malati come lo sono con altri pazienti con gravi problemi respiratori.
Nel Regno Unito, secondo i dati del Servizio Sanitario Nazionale del Paese, il 58,8% dei pazienti affetti da Covid-19 con supporto respiratorio invasivo è morto alla data 7 maggio. Questo a fronte di un tasso di mortalità del 34,5% tra i pazienti con altri tipi di polmonite virale che ricevono un supporto respiratorio invasivo, secondo i dati storici.
Dei pazienti di Covid-19 sottoposti a supporto respiratorio di base, il 17,8% è morto. A New York, l’88% dei 320 pazienti di Covid-19 sottoposti a ventilazione meccanica nel Northwell Health System dello stato è morto, secondo uno studio del Journal of the American Medical Association.
Dei 2.314 che non hanno ricevuto la ventilazione meccanica, l’11,7% è morto. Gli esperti notano che gli studi possono riflettere almeno in parte il fatto che i pazienti Covid-19 che iniziano la ventilazione tendono ad essere i più malati, e quindi i meno propensi a sopravvivere.
All’University College Hospital, un grande ospedale universitario nel centro di Londra, i medici stanno mettendo i pazienti su un supporto respiratorio meno invasivo, e li trasferiscono ai ventilatori solo se sono ancora in difficoltà. Con questo sistema, circa la metà dei pazienti se la cava con un supporto respiratorio più semplice.
“Ha funzionato bene per noi”, ha detto Mervyn Singer, un consulente di terapia intensiva che ha detto che la UCH ha adottato questo approccio su consiglio dei medici in Cina e in Italia. “Siamo stati in grado di mantenere la nostra capacità di ventilare perché non abbiamo messo subito molte persone ai ventilatori”. All’inizio della pandemia, i medici si sono affrettati a mettere i pazienti della Covid-19 sui ventilatori, in parte a causa della preoccupazione che i metodi meno invasivi – dove l’aria che i pazienti respirano ed espirano non è contenuta in tubi – esponessero ad un maggiore rischio di infezione gli operatori sanitari. Benjamin Medoff, capo della divisione di medicina polmonare e critica del Massachusetts General Hospital di Boston, ha detto che il suo ospedale continua a raccomandare la contrarietà all’uso di routine di questi metodi meno invasivi perché i dispositivi possono potenzialmente spingere particelle di virus nell’aria che le maschere CPAP e BiPAP possono disperdere.
Il Dr. Khan di Ochsner West Bank e il Dr. Weingart di Stony Brook hanno detto che i loro ospedali collocano dei filtri su queste maschere e usano stanze appositamente ventilate per mantenere il personale al sicuro. In uno studio recentemente pubblicato sull’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, il dottor Medoff e altri ricercatori del MGH e del Beth Israel Deaconess Medical Center hanno affermato che 50 dei 66 pazienti che hanno usato ventilatori meccanici tra l’11 e il 30 marzo in quegli ospedali sono stati dimessi dall’unità di terapia intensiva, mentre 11 dei pazienti sono morti. “Non dobbiamo pensare troppo fuori dagli schemi”, ha detto il dottor Medoff.
(Tratto dalla rassegna stampa estera di Eprcomunicazione)
Ventilazione meccanica anti Covid-19: che cosa è successo? - Startmag
di Giusy Caretto
La ventilazione meccanica ai pazienti Covid-19 ha sempre avuto un effetto benefico? Report di ospedali, un’inchiesta giornalistica e pareri di prof. dicono che…
La ventilazione meccanica, in alcuni casi, ha peggiorato la salute dei pazienti Covid-19? E’ quanto si stanno chiedendo scienziati e medici alle prese con le terapie per curare i pazienti affetti da Covid-19.
Dall’University College Hospital al Policlinico di Milano si studia l’impatto che può aver avuto sui pazienti l’intubazione per tempi prolungata.
COSA HANNO FATTO ALL’UNIVERSITY COLLEGE DI LONDRA
Partiamo dalle ultime evidenze in materia. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal i ventilatori meccanici non sono indispensabili, come invece creduto fino a poche settimane fa, per la cura da Covid-19: all’University College Hospital, un grande ospedale universitario nel centro di Londra (i dettagli), i pazienti non venivano intubati ma aiutati con un supporto respiratorio meno invasivo, come mascherine facciali e tubicini nasali forniti gratuitamente dall’azienda Techdow Pharma, filiale italiana della Shenzen Hepalink Pharmaceutical Group.
POLMONITE COME CONSEGUENZA
Perché affidarsi a supporti meno invasivi nonostante l’ossigenazione nei pazienti che arrivavano in ospedale fosse particolarmente bassa? Perché la polmonite causata dal Covid 19 era una conseguenza di una infiammazione generale del corpo e non la causa principale dello stato di malessere, secondo i medici dell’ospedale londinese sentiti dal quotidiano Wsj.
Nonostante i livelli di saturazione molto bassi, infatti, i pazienti erano svegli, parlavano e non facevano fatica a respirare. Erano definiti, come riporta il Wall Street Journal, “ipossemici felici”.
MAGGIOR PARTE PAZIENTI INTUBATI E’ MORTA
L’inchiesta del WSJ sui ventilatori meccanici quale terapia (forse) non necessaria nella cura di Covid-19 si basa anche sui numeri. Nel Regno Unito, secondo i dati del Servizio Sanitario Nazionale del Paese, il 58,8% dei pazienti affetti da Covid-19 con supporto respiratorio invasivo è morto alla data 7 maggio (quasi il doppio rispetto alle vittime per altre patologie respiratorie come la polmonite). A New York l’88 per cento dei 320 pazienti sottoposti a ossigenazione meccanica è deceduto.
LO STUDIO DEL POLICLINICO DI MILANO
A interrogarsi sulle conseguenze di un’intubazione per tempi prolungati è anche lo studio effettuato al Policlinico di Milano, pubblicato sul Journal of American Medical Association, a prima firma del professor Giacomo Grasselli, Responsabile di Unità Operativa Semplice e Professore Associato di Anestesia e Rianimazione presso il Policlinico di Milano.
Nello studio si riscontra che la mortalità dei pazienti ricoverati con Covid-19 in terapia intensiva sia stata più alta: quasi un paziente intubato su due muore.
NON SEMPRE VENTILAZIONE MECCANICA E’ TERAPIA GIUSTA
“Sarà indispensabile capire meglio i fattori di rischio per lo sviluppo della forma più grave della malattia e i fattori associati, in modo tale da poter selezionare meglio i pazienti che devono essere ospedalizzati prima o che prima devono ricevere un certo tipo di trattamento. Questo è indispensabile per la terapia ventilatoria, perché se è vero che la ventilazione meccanica salva la vita, è altrettanto vero che può anche peggiorare il danno polmonare e quindi è importante sapere in che modo usare il ventilatore e come ventilare il paziente in modo adeguato”, ha sostenuto Grasselli.
LE PRIME AUTOPSIE ITALIANE
Qualche evidenza che la polmonite fosse una conseguenza e non la causa principale su cui soffermarsi era arrivata già a metà aprile, come riportato da Start Magazine, dalle autopsie effettuate in Italia.
“Il problema principale non è il virus, ma la reazione immunitaria che distrugge le cellule dove il virus entra. Il problema è cardiovascolare, non respiratorio. La gente va in Rianimazione per tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto (ma non solo) polmonare (sono attesi anche gli esami autoptici sul cervello, ndr). Molti morti, anche quarantenni (ecco spiegati presumibilmente i decessi di persone giovani, ndr), avevano una storia di febbre alta per 10-15 giorni non curata adeguatamente. L’infiammazione ha distrutto tutto e preparato il terreno alla formazione dei trombi. Non era facile capirlo perché i segni delle microembolie apparivano sfumati, anche all’ecocardio”, hanno affermato alcuni specialisti anatomopatologi in continuo contatto con altri medici italiani (Milano, Brescia, Pavia, Bergamo, Napoli, Palermo) che in questa fase sperimentale preferiscono mantenere l’anonimato, secondo quanto riportato La Gazzetta del Mezzogiorno.
EPARINA CONTRO COVIDE proprio partendo da queste evidenze, l’Aifa aveva avviato uno studio clinico sull’eparina a basso peso molecolare contro Covid-19 in 14 diversi centri. Si tratta dello studio multicentrico Inhixacovid19, in cui si impiega il biosimilare di enoxaparina sodica (Inhixa*), fornita gratuitamente dall’azienda Techdow Pharma, filiale italiana della Shenzen Hepalink Pharmaceutical Group.
LO STUDIO DI NINGTANG
Tra i primi a parlare di problemi di coagualazione e di infiammazione era stato anche il gruppo di NingTang, notando che alcune alterazioni della coagulazione (aumento del D-dimero) si associavano ad un maggior rischio di mortalità tra i pazienti con COVID-19. I pazienti trattati con eparina a basso peso molecolare (EBPM), dimostrava un ulteriore studio pubblicato sempre dallo stesso gruppo di esperti, avevano più possibilità di sopravvivenza.
GISMONDO: LA POLMONITE E’ SOLO UNA CONSEGUENZA NEL COVID
La virologa Maria Rita Gismondo, direttrice di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, è convinta che la polmonite sia solo una conseguenza e non il problema principale del Covid-19: “Sars coV2 colpisce soprattutto i vasi sanguigni, impedendo il regolare afflusso del sangue, con formazione di trombi. La polmonite ne è una delle conseguenze”, ha scritto Gismondo nei giorni scorsi sul Fatto Quotidiano, sottolineando che in piena emergenza ci si è “quindi focalizzati su uno e forse non il principale meccanismo patogeno del virus. I pazienti deceduti, al netto già di altre patologie pregresse, avrebbero sofferto le conseguenze delle prime diagnosi sbagliate”.
LE AUTOPSIELe parole della Gismondo arrivano dopo i risultati delle autopsie. Al Sacco di Milano e al Papa Giovanni XXIII di Bergamo ne sono state eseguite 70, spiega la Gismondo, sottolineando che secondo quanto emerso “la polmonite è un sintomo successivo, e forse anche meno grave, di quello che il virus provoca nel nostro organismo. Questa ipotesi era già stata avanzata dal dottor Palma, cardiologo di Salerno”.
COVID: MALATTIA INFIAMMATORIA
Insomma, “Covid 19 è una malattia infiammatoria vascolare sistemica. I polmoni non possono ventilare, malgrado l’insufflazione forzata di ossigeno, perché non vi arriva sangue. Addirittura i respiratori avrebbero peggiorato l’esito della malattia. L’ipotesi italiana è oggi confermata anche dagli Usa”, ha aggiunto Gismondo sul Fatto Quotidiano.
ABBIAMO GIA’ LE ARMI?
Ma tutto questo cosa significa realmente? Che se il problema è l’infiammazione le armi per combattere il coronavirus ci sono e non hanno costi eccessivi. I “farmaci con cui intervenire immediatamente sono quelli che possono prevenire o curare infiammazione e formazione di trombi. Tutti farmaci già in uso e a basso costo. Chiuderemo definitivamente le terapie intensive Covid 19?”, conclude la Gismondo.
Ema raccomanda autorizzazione remdesivir: primo farmaco anti Covid - Rai News
Per pazienti gravi Ema raccomanda autorizzazione remdesivir: primo farmaco anti Covid La Commissione europea intende prendere una decisione sull'autorizzazione condizionale all'immissione in commercio per il remdesivir la prossima settimana, consentendo la commercializzazione del prodotto nell'Ue Tweet 25 giugno 2020
Il comitato per i medicinali per uso umano dell'Ema, Agenzia europea del farmaco, ha raccomandato di concedere l'autorizzazione condizionata all'immissione in commercio del remdesivir per il trattamento del Covid-19 negli adulti e adolescenti di età superiore a 12 anni con polmonite che richieda supporto per la respirazione. Remdesivir, farmaco antivirale già usato per l'Ebola, è il primo medicinale contro il Covid-19 a essere raccomandato per l'autorizzazione in Ue. I dati sul remdesivir sono stati valutati in un tempo eccezionalmente breve attraverso una procedura di revisione continua, un approccio utilizzato dall'Ema durante le emergenze di sanità pubblica per valutare i dati non appena disponibili. La Commissione europea, che è stata informata dall'Ema nel corso della valutazione, intende prendere una decisione sull'autorizzazione condizionale all'immissione in commercio per il remdesivir la prossima settimana, consentendo la commercializzazione del prodotto nell'Ue. Nel complesso, lo studio ha mostrato che i pazienti trattati con remdesivir si sono ripresi dopo circa 11 giorni, rispetto ai 15 giorni per i pazienti trattati con placebo. Questo effetto non è stato osservato nei pazienti con malattia da lieve a moderata: il tempo per il recupero è stato di 5 giorni sia per il gruppo remdesivir che per il gruppo placebo. Per i pazienti con malattia grave, che costituivano circa il 90% della popolazione dello studio, il tempo necessario per il recupero era di 12 giorni nel gruppo remdesivir e 18 giorni nel gruppo placebo. Tenendo conto dei dati disponibili, l'Ema ha ritenuto che l'equilibrio tra benefici e rischi si sia dimostrato positivo nei pazienti con polmonite che richiedono ossigeno supplementare, cioè i pazienti con malattia grave. Remdesivir viene somministrato per flebo in vena e il suo uso è limitato alle strutture sanitarie in cui i pazienti possono essere attentamente monitorati; la funzionalità epatica e renale deve essere monitorata prima e durante il trattamento, come appropriato.
Remdesivir è raccomandato per un'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata, uno dei meccanismi normativi dell'Ue per facilitare l'accesso anticipato ai medicinali che soddisfano un'esigenza medica insoddisfatta, anche in situazioni di emergenza in risposta a minacce per la salute pubblica come l'attuale pandemia. Questo tipo di approvazione consente all'Ema di raccomandare un farmaco per l'autorizzazione all'immissione in commercio con dati meno completi di quanto normalmente previsto, se il beneficio della disponibilità immediata di un farmaco per i pazienti supera il rischio inerente al fatto che non tutti i dati siano ancora disponibili.
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Visoni e Covid, “Stop agli allevamenti: sono serbatoi di virus e possono portare a mutazioni pericolose” | Italiaambiente
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22 Febbraio 2021
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Redazione
“Mi sono più volte occupata dei focolai di COVID 19 scoppiati in diversi allevamenti di visoni negli Stati membri – dichiara Eleonora Evi, europarlamentare dei Verdi europei, membro titolare in Commissione ambiente. La situazione attuale appare drammatica: la maggior parte degli animali è stata soppressa nei mesi scorsi, tuttavia, alla fine di febbraio il ciclo riproduttivo ricomincerà e all’inizio di maggio, quando nasceranno i cuccioli, la popolazione di visoni e le dimensioni del potenziale serbatoio di coronavirus saranno aumentate di almeno cinque volte. Si tratta di una condizione che deve essere arginata in partenza in un’ottica di prevenzione. Per questo, insieme ad altri parlamentari europei, ho indirizzato una lettera alla Commissaria alla salute e alla sicurezza alimentare Stella Kyriakides, invitando la Commissione ad intraprendere azioni decisive per fermare l’allevamento di visoni, al fine di impedire la creazione di pericolosi serbatoi di virus”.
Nella lettera si chiede alla Commissione di proteggere la salute pubblica agendo immediatamente, ordinando agli Stati membri di sospendere l’allevamento di visoni, almeno per l’intero anno in corso. Le epidemie di COVID-19 negli allevamenti di animali da pelliccia in Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Spagna, Grecia, Italia, Francia, Lituania e Polonia – nonché negli Stati Uniti e in Canada – hanno confermato che i visoni sono altamente sensibili alla malattia. Le terribili condizioni di allevamento, inoltre, con gli esemplari ammassati in spazi ridotti, favoriscono il propagarsi del virus.
“Per di più – continua Eleonora Evi – è importante considerare che il sequenziamento del genoma virale ha già dimostrato come l’infezione da SARS-CoV-2 nel visone possa portare a mutazioni pericolose che, se trasmesse agli uomini, potrebbero minare l’efficacia dei vaccini. Dato l’enorme impatto della pandemia sulla salute e sull’economia, il rischio di consentire alla popolazione di visoni di espandersi in modo esponenziale, creando un vasto serbatoio di virus, non deve essere più tollerato”.
Ad oggi, solo due stati, Belgio e Svezia, hanno volontariamente deciso di sospendere la produzione di visoni nell’anno in corso.
“Sebbene non si tratti di una soluzione definitiva, è sicuramente la linea d’azione più responsabile che si possa intraprendere in questo momento. È fondamentale, pertanto, che la Commissione ordini l’immediata sospensione dell’allevamento di visoni a tutti gli Stati membri almeno per tutto il 2021. In Italia, proprio di recente la LAV ha denunciato l’ennesimo focolaio, rilevando come le norme minime di biosicurezza vengano sistematicamente violate e come il monitoraggio, anche diagnostico, comporti l’impiego di ingenti risorse che ricadono sulla Sanità pubblica.
Un motivo in più per dire basta agli allevamenti di visoni. Naturalmente indirizzerò il mio impegno affinché questa drammatica situazione possa portare a soluzioni di più ampio respiro, che pongano definitivamente fine all’allevamento di animali di pelliccia: una pratica crudele, anacronistica e inaccettabile” – conclude l’eurodeputata.
Oxford Covid vaccine has 10% efficacy against South African variant, study suggests |The Guardian
Small-scale trial of vaccine shows it offers very little protection against mild to moderate infectionKevin Rawlinson and Ian Sample
Mon 8 Feb 2021 13.54 GMT
Scientists still hope the vaccine can offer significant protection against more serious Covid infection. Photograph: Alain Jocard/AFP/Getty ImagesThe Oxford/AstraZeneca vaccine offers as little as 10% protection against the Covid variant first seen in South Africa, researchers have suggested.
Scientists who conducted a small-scale trial of the vaccine’s efficacy said it showed very little protection against mild to moderate infection, though they expressed hope that – in theory – it would still offer significant protection against more serious infection.
Covid variants and vaccine resistance: all you need to know
The disappointing results came as lab tests on the Pfizer/BioNtech vaccine found it may still provide substantial protection against the variant. Scientists at the University of Texas medical branch collected antibody-containing blood plasma from 20 people who recently had two shots of the Pfizer/BioNTech jab.
In tests, the antibodies were on average 81% as effective at neutralising the engineered virus as they were at blocking older variants. The results, reported in Nature Medicine, suggest the variant’s key mutation, known as E484K, does not dramatically undermine the vaccine’s protection.
South Africa has halted the rollout of the Oxford/AstraZeneca jab in the wake of the trial, the results of which are awaiting publication and peer review, while a UK health minister indicated that an annual Covid jab could become the norm for many people as scientists work to stay a step ahead of the virus’s mutations.
Prof Shabir Madhi from the University of the Witwatersrand, who led the Oxford/AstraZeneca trial in South Africa, said that, while the study was small, it was designed to focus on determining whether or not the vaccine had at least 60% efficacy against Covid to any degree of severity.
Quick guide
Vaccines: how effective is each one and how many has the UK ordered?
Show“The results that we now describe against the variant, the point estimate is 10%. Clearly, that is far off the 60% mark and, even if you had a larger study you are unlikely to get to a vaccine efficacy readout of even 40 or 50%,” he told BBC Radio 4’s Today programme.
“What the study results really tell us is that, in a relatively young age group demographic – with very low prevalence of morbidities such as hypertension and diabetes etc – the vaccine does not protect against mild to moderate infection.”
He said its effectiveness against serious infection could possibly be inferred based on the Johnson & Johnson vaccine, which uses “similar technology”. “Extrapolating from that, there’s still some hope that the AstraZeneca vaccine might well perform as well as the Johnson & Johnson vaccine in a different age demographic that are at highest risk of severe disease,” he said.
He added that laboratory studies could reveal it is not just antibodies that are effective in protecting against severe disease, but also T-cell immunity. On the issue of delaying the second dose, he said the Oxford vaccine efficacy after a single dose was 75% but this was before the South African variant arose.
The news has caused concern that the vaccines now available will prove insufficient to end the crisis on their own and manufacturers are already working on new versions that will offer protection against variants.
However, Boris Johnson said he was “very confident” in the coronavirus vaccines being used in the UK. During a visit to a vaccine test facility in Derby, the prime minister said: “We’re very confident in all the vaccines that we’re using. And I think it’s important for people to bear in mind that all of them, we think, are effective in delivering a high degree of protection against serious illness and death, which is the most important thing.”
Earlier the UK health minister Edward Argar acknowledged therewould be a need for booster shots. “What we would all expect is every year we have our flu booster jabs, or our flu jabs, it would not be unreasonable to suggest something similar here,” he told Sky News.
He added that the virus “will always try to outwit us”, saying: “We’ve just got to make sure we get ahead of the game and we outwit it.”
Argar said the results of the trial did not show the vaccine was ineffective at reducing the severity of the illness people would experience, telling Sky: “There is no evidence that this vaccine is not effective in preventing hospitalisation, severe illness and death, which is ultimately what we’re seeking with these vaccines.”
He said the “dominant strains in this country are not the South African strain”, telling the Today programme the latest figures showed 147 cases of that variant in the UK.
But he acknowledged the danger that new variants could develop with similar resistance, thereby reducing the effectiveness of the UK’s vaccination programme and meaning the work by scientists to stay a step ahead would need to continue for the foreseeable future.
• This article was amended on 9 February 2021 to clarify that Prof Mahdi led the Oxford/AstraZeneca vaccine trial, and to include reference to that study awaiting publication and peer review.
Astrazeneca, vaccino efficace «solo al 10%» sulla variante sudafricana (ilmessaggero.it)
8 FEBBRAIO 2021 di Stefania Piras
«I risultati che descriviamo rispetto alla variante sudafricana di Sars-CoV-2» riportano una «stima puntuale del 10%» di efficacia del vaccino Oxford- AstraZeneca contro le forme lievi-moderate. Lo ha dichiarato Shabir Madhi, che ha guidato l'ultima sperimentazione di questo vaccino contro la variante sudafricana, al programma 'Radio 4 Today' della Bbc. «Quello che i risultati dello studio ci dicono veramente», ha proseguito Madhi, «è che in un gruppo demografico di età relativamente giovane - con una prevalenza molto bassa di morbilità come ipertensione e diabete - il vaccino non protegge dalle infezioni da lievi a moderate». Lo studio, che non è stato ancora sottoposto a peer-review, sulla variante sudafricana (501Y.V2 o B.1.351 nelle slide) è stato condotto con l'università di Witwatersrand, Johannesburg, e poiché «la popolazione target era a basso rischio», gli autori ritengono che la ricerca «non consenta di pronunciarsi» sull'efficacia del vaccino contro le forme gravi della malattia.
C'è «ancora qualche speranza» che il vaccino anti-Covid prodotto da AstraZeneca possa funzionare bene contro la variante del Sudafrica in termini di protezione dalla malattia grave, ha puntualizzato Madhi, spiegando di «estrapolare» questa osservazione dai dati dell'efficacia del vaccino Johnson & Johnson, che utilizza una «tecnologia simile» e ha effetti immunitari simili al prodotto Oxford- AstraZeneca.
«Quando abbiamo analizzato gli individui in termini di quanto bene il vaccino ha funzionato contro la variante, c'era pochissima differenza tra il gruppo del vaccino e il gruppo placebo», ha detto Madhi in una dichiarazione riportata in un comunicato del ministro della Salute sudafricano in cui si specifica: «Tuttavia i vaccini Covid rimangono davvero l'unica opzione sostenibile per ridurre il rischio di malattie gravi e di morte».
I pareri degli epidemiologi italiani«È presto per allarmarci» dopo i dati preliminari secondo cui il vaccino anti-Covid prodotto da AstraZeneca sarebbe scarsamente efficace contro la variante sudafricana di Sars-CoV-2, almeno nelle formi lievi e moderate di infezione. «Non perdiamoci d'animo», è l'invito di Fabrizio Pregliasco, virologo dell'università degli Studi di Milano. «Si tratta ancora di approfondire questi risultati, relativi comunque ai casi più banali» di Covid, sottolinea l'esperto all'Adnkronos Salute. «L'elemento che ci interessa di più è capire invece se permane un'efficacia residua del vaccino rispetto alle forme più gravi. Attendiamo informazioni in merito e valutiamo il da farsi», aggiunge il direttore sanitario dell'Irccs Galeazzi di Milano, convinto che per ora «i dati emersi non compromettono il nostro piano vaccinale. Diversa la situazione del Sudafrica», che ha annunciato una sospensione temporanea della profilassi con il prodotto-scudo distribuito dalla compagnia anglo-svedese.
«Purtroppo, se il vaccino effettivamente ha una efficacia di solo il 10% contro la variante sudafricana, è giusto non utilizzarlo in quelle aree dove la variante è molto diffusa». Lo afferma Pier Luigi Lopalco, epidemiologo e assessore alla Sanità della Regione Puglia, in merito alla decisione del Paese africano di sospendere la somministrazione del vaccino AstraZeneca. «Fortunatamente la variante sudafricana da noi non circola ancora - sottolinea Lopalco all'Adnkronos Salute - ma è un fenomeno da tenere sotto stretto controllo».
«In Sudafrica sarà sviluppato un nuovo protocollo per lo studio dei diversi vaccini contro il coronavirus, in modo da determinare se sono in grado di ridurre i ricoveri per Covid nonostante la nuova variante diffusa in quel Paese». Quello di Astrazeneca, «è il primo approvato in Sudafrica ed anche il primo che sembra avere una ridotta efficacia contro quella variante». Lo ha spiegato all'Adnkronos Salute Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto Spallanzani di Roma, commentando la sospensione del vaccino Astrazeneca-Oxford nel Paese africano. «Il Sudafrica ha preso questa decisione sulla base di uno studio che suggerisce che il vaccino, come ha detto il ministro della Sanità sudafricano, fornisce una protezione minima contro la malattia lieve causata dalla variante del coronavirus che circola in Sudafrica», precisa Ippolito. L'avvio del nuovo protocollo nel Paese, «sarà utile a tutti noi per avere informazioni sull'efficacia dei diversi vaccini a nostra disposizione». La notizia della scarsa efficacia per il composto Astrazeneca-Oxford ovviamente non è positiva, ma «abbiamo il vantaggio che le nuove tecnologie rendono possibile adattare in tempi relativamente brevi il vaccino rispetto alle nuove esigenze di immunizzazione», conclude.
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L'annuncio del ministro sudafricanoLa variante sudafricana (501Y.V2 o B.1.351), predominante nell'omonimo paese, è stata isolata per la prima volta nell’ottobre 2020 in Sud Africa, mentre in Europa il primo caso rilevato risale al 28 dicembre 2020. Ha una trasmissibilità più elevata e ci sono già dei primi studi, secondo l'Istituto superiore di sanità italiano, che dimostrano che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Al momento si studia se possa causare un maggior numero di reinfezioni in soggetti già guariti da COVID-19.
Ma intanto il Sudafrica ha sospeso i piani per inoculare i suoi operatori sanitari con il vaccino Oxford-AstraZeneca. Lo ha annunciato il ministro della Salute Zweli Mkhize.
Il Sudafrica ha ricevuto il suo primo milione di dosi del vaccino AstraZeneca la scorsa settimana e ci si aspettava una somministrazione a tappeto. Ma questo vaccino non riesce a neutralizzare la variante sudafricana. O meglio, lo studio clinico citato dal governo, dice che fornisce una "protezione minima contro la malattia lieve-moderata" causata dalla variante in Sudafrica. La variante è molto contagiosa e attualmente rappresenta più del 90% dei casi di Covid-19, ha detto il ministro della salute Zweli Mkhize domenica sera. «Il vaccino di AstraZeneca è apparso efficace contro il ceppo originale, ma non contro la variante», ha detto Mkhize. «Abbiamo deciso di sospendere temporaneamente il lancio del vaccino... c'è bisogno di più lavoro».
Lo studio, che non è stato ancora sottoposto a peer-review, ha coinvolto 2.000 persone, la maggior parte delle quali erano giovani e sane. L'età media dei volontari era di 31 anni. «La protezione contro la malattia moderata-grave, l'ospedalizzazione o la morte non poteva essere valutata in questo studio perché la popolazione di destinazione era a rischio basso», si legge in una dichiarazione rilasciata dall'Università di Oxford e l'Università di Witwatersrand a Johannesburg che ha condotto lo studio.
Vaccino Covid, AstraZeneca: «Nostro siero, meno efficace sulla variante sudafricana, nuova versione in autunno»
Gli scienziati studieranno se il vaccino di AstraZeneca è efficace nel prevenire la malattia grave e la morte contro la variante, ha detto Mkhize. Altri vaccini hanno mostrato un'efficacia ridotta contro la variante, ma hanno comunque fornito una buona protezione da malattie gravi e morte (J&J sopra l'80%). I funzionari della sanità pubblica sono preoccupati per la variante del Sudafrica perché contiene una mutazione della caratteristica proteina spike del virus, che è presa di mira dai vaccini esistenti. I funzionari sudafricani dicono che la variante è più contagiosa e stanno emergendo prove che potrebbe essere più virulenta.
I primi risultati del vaccino di AstraZeneca contro la variante potrebbero avere implicazioni di vasta portata, dato che molti altri paesi in Africa e oltre hanno pianificato di usare il vaccino di AstraZeneca. Anche perché questo siero è quello più economico e il più facile da conservare e trasportare.
Vaccino Covid, AstraZeneca: «Nostro siero, meno efficace sulla variante sudafricana, nuova versione in autunno» (ilmessaggero.it)
SALUTE > FOCUS
Domenica 7 Febbraio 2021
Covid e varianti. Il vaccino Oxford/ AstraZeneca ha effetti ridotti contro la variante sudafricana, secondo i risultati dei primi studi e test. Lo afferma l'azienda, per la quale il vaccino offre solo una relativa protezione contro sintomi non gravi provocati dalla variante. Uno studio condotto dall'università del Witwatersrand (Sudafrica) e dall'università di Oxford mostra come il vaccino abbia modesta efficacia, scrive oggi il Financial Times. E bisognerà attendere l'autunno perché sia disponibile una nuova versione del vaccino efficace sulla variante.
«In questa fase ridotta I/II di test, i primi dati mostra efficacia limitata contro la malattia in fase moderata provocata dalla variante sudafricana B.1.351» ha detto un portavoce di AstraZeneca citato dall'FT. «Ma non siamo stati in grado di accertare la sua efficacia contro casi gravi della malattia e nei casi di ospedalizzazione perché i soggetti esaminati erano giovani adulti in salute».
La nuova versione
Ad annunciare alla 'Bbc' l'arrivo della nuova versione è stata la scienziata a capo dei test pre-clinici a Oxford, la dottoressa Sarah Gilbert. «Stiamo già lavorando alla prima parte del processo di produzione a Oxford e che sarà trasmessa agli altri membri della catena di produzione in primavera. Sembra proprio che potremo avere una nuova versione pronta da utilizzare in autunno», ha dichiarato Gilbert.
NON TUTTO IL MALE VIEN PER NUOCERE... e come dico sempre, DOVE NON POTE' GRETA, POTE' CORONA.
Emissioni gas serra, nel 2020 stimata una riduzione del 9,8% rispetto al 2019 | Italiaambiente
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Sulla base dei dati disponibili per il 2020, si stima una consistente riduzione delle emissioni di gas serra a livello nazionale, prevalentemente a causa delle restrizioni dovute al COVID-19. Anche se si è ancora in attesa di avere tutte le informazioni necessarie per una stima definitiva, nello scorso anno le emissioni nel nostro Paese sono state inferiori del 9.8% rispetto al 2019 a fronte di una riduzione prevista del PIL pari all’8.9%.
L’andamento stimato è dovuto alla riduzione delle emissioni per la produzione di energia elettrica (-12,6%), per la minore domanda di energia, e dalla riduzione dei consumi energetici anche negli altri settori, industria (-9,9%), trasporti (-16,8%) a causa della riduzione del traffico privato in ambito urbano, e riscaldamento (-5,8%) per la chiusura parziale o totale degli edifici pubblici e delle attività commerciali
Nel 2019, i dati ufficiali definitivi dell’ISPRA mostrano una diminuzione delle emissioni di gas serra, rispetto al 2018, dello 2,4%, mentre nello stesso periodo si è registrato una crescita del PIL pari allo 0,3%. Si conferma, in linea generale, il disaccoppiamento tra l’andamento delle emissioni e la tendenza dell’indice economico.
Covid in India, contagi e morti crollati senza vaccinazione di massa- Corriere.it
Covid in India, crollati i contagi e i morti senza vaccinazione di massa. Il puzzle che incuriosisce gli scienziatiLe spiegazioni che danno gli esperti sono diverse. La più probabile sta nel fatto che il numero complessivo delle persone infettate dall’inizio della pandemia è molto superiore agli 11 milioni di casi ufficiali, probabilmente tra i 300 e i 400 milioni di Danilo Taino
L’andamento della pandemia in India continua a essere un puzzle che stupisce e incuriosisce gli scienziati. Il numero di casi di Coronavirus è crollato, come quello dei morti, senza bisogno di una vaccinazione di massa, ciò ha un po’ rilassato e da qualche giorno c’è un piccolo gradino verso l’alto. Dunque, il governo ha deciso di fare di più e meglio: ha deciso di intensificare la campagna di immunizzazione, dal momento che il Paese è il maggior produttore di vaccini al mondo e le dosi non mancano.
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I numeri. I nuovi casi avevano toccato un picco di oltre 97 mila al giorno in settembre e da allora sono crollati a meno di diecimila nei primi giorni di febbraio; ora sono un po’ risaliti, a 13 mila il 23 febbraio e a 17 mila il 24 (come riporta worldometers.info). I morti da Coronavirus erano stati 1.283 il 15 settembre, sono scesi sotto i cento al giorno dal 13 febbraio e balzati a 144 il 24. Com’è possibile una riduzione del genere, in particolare se si tiene conto che solo lo 0,8% del miliardo e quasi 400 milioni di abitanti ha ricevuto la prima dose di vaccino? È vero che, da inizio anno, globalmente si registra un dimezzamento dei nuovi casi, da cinque milioni la settimana a due e mezzo. Ma il crollo registrato in India è particolare.
Le spiegazioni che danno gli esperti sono diverse. La più probabile sta nel fatto che il numero complessivo delle persone infettate dall’inizio della pandemia è molto superiore agli 11 milioni di casi ufficiali, probabilmente tra i 300 e i 400 milioni, stimano alcuni centri di ricerca. Ciò può voler dire che nelle città maggiori e più densamente popolate il virus ha corso velocemente fino a fare raggiungere una certa immunità di massa (di gregge). Più del 50% degli abitanti di Delhi sarebbero già stati contagiati, secondo un sondaggio effettuato sulla base di test sierologici, e quindi in qualche modo immunizzati. La quota di Mumbay (Bombay) sarebbe vicina al 60%, quella di Pune sopra l’80%. A Kolkata (Calcutta) si era già a oltre il 25% lo scorso settembre.
Ciò non significa affatto che l’India abbia raggiunto l’immunità di gregge: indica certamente che questa immunità si può raggiungere e quando e dove questo accade l’espansione del virus crolla. Ma i rischi che nel Paese ci sia una ripresa se ci si rilassa rimane alto, anche perché gran parte degli indiani vive nei villaggi, dove, è vero, il virus corre meno che nei centri urbani ma dove l’immunità di massa è ben lontana dall’essere raggiunta. Il leggero rialzo di contagi e di morti degli ultimi giorni è un segnale d’allarme. Il governo di Narendra Modi, che finora non è riuscito a fare decollare la campagna di vaccinazione, mercoledì scorso ha quindi deciso di permettere che le dosi siano somministrate anche negli ospedali privati, che in India curano tre quarti delle persone e sono più efficienti. Significa che ora ai diecimila centri di vaccinazione pubblici si aggiungeranno ventimila ospedali privati: in questi ultimi, la dose di vaccino sarà gratuita ma la prestazione andrà pagata (quanto costerà sta per essere deciso dal governo di Delhi). A differenza che in Europa, in India i vaccini non mancano. La Serum Institute – l’azienda che produce più vaccini al mondo – realizza su licenza quelli di Oxford-AstraZeneca, ne ha in magazzino decine di milioni e ne può produrre 50 milioni al mese. Altri gruppi industriali stanno discutendo contratti di produzione con case farmaceutiche e Bharat Biotech sta concludendo i test su un suo vaccino, Covaxin. Delhi ha anche spedito 34 milioni di dosi a una trentina di Paesi, ai più poveri gratuitamente, ad altri su basi commerciali.
ECCO, le TERAPIE. OGNI VOLTA che pensi di averle sentite tutte, ne spuntano di NUOVE, come quella dei ventilatori che ammazzano la gggente. Lo diceva BACCO, nonché altri 'alternativi' più o meno laureati. Adesso lo dice anche uno studio scientifico rilanciato da un grosso giornale internazionale. Sarà vero?
Covid Brasile, contagi nonostante l'immunità di gregge a Manaus: varianti aggirano gli anticorpi (ilmessaggero.it)
Covid, nuovi contagi nonostante l'immunità di gregge nella città di Manaus, in Brasile, e l'ipotesi è che le varianti del virus possano aggirare gli anticorpi sviluppati dopo il contagio del Sars-Cov2. La città di Manaus, infatti, potrebbe essere un 'laboratorio' di come le varianti del Covid possono infettare, aggirando anche gli anticorpi contro la versione 'originale' del virus. Lo suggerisce uno studio pubblicato su Lancet, in cui i ricercatori dell'università di San Paolo cercano di spiegare perché nella metropoli da 2,2 milioni di abitanti l'epidemia sia tornata a colpire, nonostante nella prima ondata si fosse raggiunta in teoria l'immunità di gregge.
Lo studio
Uno studio sui donatori di sangue, spiegano gli autori, ha mostrato che il 76% della popolazione aveva gli anticorpi lo scorso ottobre, una quantità in teoria superiore al 67% indicato come soglia per l'immunità. A dicembre però c'è stata una nuova esplosione dei casi, con un numero di ricoveri talmente alto da dare problemi di carenza nelle forniture di ossigeno. «Ci sono almeno quattro spiegazioni possibili per il ritorno del virus, che non si escludono a vicenda - si legge nell'articolo -. La prima è che in realtà la prevalenza del virus sia stata sovrastimata, e quindi non si sia raggiunta la soglia. Inoltre l'immunità acquisita con la prima ondata potrebbe aver iniziato a diminuire a dicembre».
La terza e la quarta motivazione riguardano invece le varianti. «Le nuove varianti di Sars-Cov-2 potrebbero portare a un aumento dei casi se hanno una trasmissibilità maggiore rispetto ai ceppi preesistenti e se riescono ad eludere il sistema immunitario di chi ha già avuto l'infezione - scrivono gli autori -. Per questo occorre studiarne velocemente le caratteristiche genetiche, cliniche, immunologiche ed epidemiologiche. Se invece il nuovo aumento a Manaus è dovuto alla diminuzione dell'immunità acquisita, uno scenario simile potrebbe verificarsi anche in altre zone».
“A Stoccolma terapie intensive piene al 99%”, l’allarme del direttore sanitario in Svezia: “Ci serve aiuto, basta rimpatriate”
Björn Eriksson, parlando al quotidiano Te Local Sweden, ha spiegato che quasi tutti i 160 posti letto disponibili nei reparti di rianimazione della capitale sono occupati. Martedì 89 di questi erano per pazienti Covid, con un calo a 83 mercoledì: "Adesso basta. Non può valere la pena bere qualcosa dopo il lavoro, socializzare fuori casa, affollarsi per fare acquisti natalizi, incontrarsi per la fika (la pausa caffè) dell'Avvento anche se è quello che vogliamo fare. Le conseguenze sono terribili", ha detto
di F. Q. | 10 DICEMBRE 2020
Il direttore sanitario regionale, Björn Eriksson, ha lanciato l’allarme sulla situazione delle terapie intensive nella capitale svedese Stoccolma. I circa 160 letti attualmente disponibili, ha spiegato al quotidiano The Local Sweden, sono occupati al 99%, più della metà (89 martedì e 83 mercoledì) da pazienti Covid.
È la prima volta che le strutture sanitarie della capitale svedese finiscono sotto una tale pressione, visto che, spiega il quotidiano, nonostante in primavera si siano raggiunti i 230 pazienti in rianimazione, allora erano già stati predisposti ospedali da campo e nuove strutture, oltre alla sospensione di alcune cure non essenziali e altre misure emergenziali, che avevano aumentato la disponibilità di posti letto. Per questo Eriksson ha lanciato una richiesta di aiuto chiedendo l’invio di personale medico da altre regioni dal momento che, vista la situazione, c’è un sovraccarico di lavoro per il personale di Stoccolma. “Abbiamo bisogno d’aiuto”, ha detto.
Il sistema sanitario è al lavoro per rendere disponibili nuovi posti, ha rassicurato Eriksson, ma non ci sono “margini ampi”, anche perché l’inverno ha fatto sì che più persone cercassero cure per altre emergenze. Un intervento precoce, ha poi aggiunto, può ridurre la quantità totale di cure necessarie e il rischio generale per la salute quando si tratta di problemi come quelli cardiaci.
Al momento, però, non è in programma la riapertura dell’ospedale da campo di emergenza: “Possiamo ottenere la capacità che l’ospedale da campo offrirebbe nelle strutture sanitarie esistenti a Stoccolma – ha spiegato il direttore – Abbiamo dimostrato che possiamo aumentare i posti più velocemente. Ma ora abbiamo colleghi che hanno lavorato in questo modo per un anno intero e ovviamente stanno attraversando un periodo molto difficile. In questo momento, 814 persone stanno combattendo nei nostri ospedali per sopravvivere e riprendersi”.
Eriksson si è poi rivolto alla popolazione invitandola a tenere un comportamento più prudente: “Adesso basta. Non può valere la pena bere qualcosa dopo il lavoro, socializzare fuori casa, affollarsi per fare acquisti natalizi, incontrarsi per la fika (la pausa caffè) dell’Avvento anche se è quello che vogliamo fare. Le conseguenze sono terribili. Abbiamo bisogno di aiuto. Ogni genitore parli con i suoi figli. Tutti possono avere ripercussioni gravi causate dal Covid, anche se è più comune tra le persone anziane o con patologie pregresse”.
Quello che il sistema sanitario sta vivendo in questi giorni, ha concluso, è direttamente collegato alle azioni delle persone: “Questo dimostra che noi abitanti di Stoccolma siamo stati troppo in ambienti affollati e abbiamo avuto troppi contatti al di fuori della famiglia in cui viviamo”.
Coronavirus, la rivoluzione della Svezia: il governo dà il via libera a chiusure e multe. E i numeri della pandemia preoccupano (Il Fatto quotidiano)
Dal 10 gennaio fino a settembre potranno essere disposte chiusure, dagli esercizi commerciali ai trasporti. Finora infatti mancava una legge che consentisse di legiferare sulla libertà personale, a meno di stato di crisi, ma inteso solo come stato di guerra. A determinare la decisione dell'esecutivo, i numeri di contagi e morti
di Michela Danieli | 8 GENNAIO 2021
La Danimarca introdurrà i passaporti sanitari “entro fine gennaio”: “Chi vuole andare nei Paesi che li richiedono potrà farlo”
Covid, l’Oms striglia l’Europa: “26 milioni di casi e oltre 580mila morti. Bisogna intensificare le misure”
Covid, nel Regno Unito oltre 68mila contagi e più di 1.300 morti: mai così tanti. Sindaco di Londra dichiara l’allerta ospedaliera. Germania, record di decessi: 1.188 in 24 ore
Cina a rischio seconda ondata: 230 casi in 5 giorni nella capitale dell’Hebei. La città è già in lockdown
Covid, la Francia prolunga le chiusure fino a fine gennaio. Gran Bretagna e Germania oltre i mille decessi in 24 ore. Record vittime in Usa
Centri commerciali, trasporti pubblici e trasporti aerei nazionali, negozi ed industrie. Potranno essere costretti a chiudere per volontà del governo svedese. Per la prima volta scatteranno multe per quanti non si atterranno a quelle che ora saranno vere e proprie restrizioni, disposte per legge. Il governo potrà incidere con regole giuridicamente vincolanti, anche sulla chiusura di punti vendita medi e grandi, su teatri, cinema, palestre, campeggi, zoo, musei e altri luoghi per attività ricreative o culturali, sale per banchetti e luoghi per riunioni private, luoghi pubblici, come parchi e stabilimenti balneari. Sono queste le principali conseguenze della Legge temporanea sulla Pandemia approvata dal Parlamento svedese. Entrerà in vigore domenica 10 gennaio e vi resterà fino a settembre 2021.
LEGGI ANCHESvezia, il capo dell’Agenzia per la gestione delle emergenze raccomanda di non andare all’estero. E fa le vacanze di Natale alle CanarieUn’autentica rivoluzione per la Svezia, Paese che si è attirata lo sguardo, a volte ammirato, molto più spesso adirato, del resto del mondo e dell’Europa in particolare, stretta tutt’ora tra lockdown intermittenti. Finora, infatti, nel Paese scandinavo nessuna reale restrizione era stata disposta dal governo, che aveva spesso usato le indicazioni dell’Autorità svedese per la Salute Pubblica, date per bocca del noto epidemiologo di Stato Anders Tegnell, come una sorta di legge non scritta su cui l’esecutivo nulla poteva.
Una mossa, in realtà, per non inimicarsi l’opinione pubblica. Il Paese aveva proceduto fin qui attraverso consigli “severi”, appelli alla popolazione, nella convinzione che per i cittadini svedesi fosse sufficiente far leva sulla fiducia verso lo Stato e il premier socialdemocratico Stefan Löfven. Di fatto mancava una legge che consentisse di legiferare sulla libertà personale, a meno di stato di crisi, ma inteso solo come stato di guerra. I numeri però sono impietosi, in una Svezia che ha un tasso di mortalità assai superiore rispetto a quello degli altri paesi scandinavi, e inferiore a quello di molti altri Paesi europei. Da ieri sono stati segnalati 7.187 nuovi casi confermati di covid-19, per un totale di 489.471 infette. Registrati 171 nuovi decessi in 24 ore, per un totale di 9.433 morti. Le persone sono in terapia intensiva causa coronavirus sono 379. Proprio queste cifre avrebbero indotto il governo ad un passo finora rifiutato per timori di impopolarità.
I numeri hanno evidentemente potuto sull’opinione pubblica più dell’impennata di criminalità violenta, che comunque attanaglia la popolazione ormai da anni (nel 2020 la polizia ha registrato dati senza precedenti: 349 sparatorie, 44 morti e 111 feriti) e che finora era stata in testa alle preoccupazioni degli svedesi. Come dimenticare poi il discorso di fine anno del re di Svezia Carl XVI Gustav: “Abbiamo fallito”.
Le limitazioni alla libertà personale più forti, a causa della pandemia, si erano sintetizzate nel numero massimo di otto persone per tavolo non solo nei locali pubblici ma anche nelle riunioni private, e l’orario oltre il quale gli esercizi potevano servire alcolici, fissato per le 22. Dal 24 dicembre, erano scattati nuovi veti, ma sempre più in capo ai ristoratori che ai singoli: non oltre quattro persone per tavolo, non più alcolici oltre le 20. Il 18 dicembre, inoltre, Tegnell comunicava che dal 7 gennaio sarebbe stato consigliato l’uso della mascherina nei trasporti pubblici (l’epidemiologo aveva sempre messo in discussione l’efficacia del presidio). Un annuncio che molti svedesi hanno accolto con sollievo. Numerosissime infatti le persone che da allora, nella capitale e nelle sue municipalità, la indossano, nei luoghi chiusi ma anche per strada, e indipendentemente dall’età.
LEGGI ANCHE“La Svezia non ha protetto gli anziani, specie quelli nelle case di riposo”: il report della commissione d’inchiesta sul CovidSempre senza obbligo disposto per legge, era stata anche sottolineata l’importanza di limitare il numero di visitatori nei frequentatissimi centri commerciali che il governo invitava a disertare in concomitanza con le festività, per evitare assembramenti. A disattendere le indicazioni però sono stati proprio il premier Löfven ed il suo ministro della Giustizia Morgan Johansson, “beccati” a comprare regali all’antivigilia di Natale. Cosa che ha infiammato l’opinione pubblica. Se infatti è davvero difficile immaginare come domenica reagiranno gli svedesi, è facile constatare ciò che per loro è inaccettabile: il privilegio. A proposito: sono ufficiali le dimissioni del direttore generale dell’Agenzia svedese per la Salute Pubblica Dan Eliasson, dopo il suo viaggio alle Canarie per far visita alla figlia, nonostante le forti raccomandazioni intimassero di stare a casa. Löfven ha spiegato però che il direttore continuerà a ricevere il suo stipendio per altri due anni, fino cioè allo scadere naturale del suo contratto. Svolgerà incarichi non meglio precisati.
Svezia: da modello per il Covid a chiusure e restrizioni (universomamma.it)
9 Gennaio 2021 valeria bellagamba
La Svezia si arrende al Covid e approva una legge con restrizioni. Anche nel Paese scandinavo arrivano chiusure e obbligo di mascherina.
svezia covid legge
La Svezia si arrende al Covid e approva una legge con restrizioni – Universomamma.it (In metropolitana a Stoccolma con la mascherina. Foto di JONATHAN NACKSTRAND/AFP via Getty Images)
Ora presa a modello, ora criticata, la Svezia è stata molto discussa per il suo modello di gestione dell’emergenza sanitaria anti-Covid. Il Paese aveva introdotto delle restrizioni e alcune limitazioni agli assembramenti, ma lasciando quasi tutto aperto e dando ai cittadini delle raccomandazioni piuttosto che imporre dei veri e propri divieti o obblighi. Anche l’uso delle mascherine era solo raccomandato nei luoghi chiusi e non obbligatorio.
Decisioni che hanno fatto molto discutere, tuttavia. Perché se anche la Svezia è un Paese molto grande con una scarsa densità abitativa e un numero di abitanti simile a quello della Lombardia, sebbene molti siano concentrati nella capitale Stoccolma e nelle altre città principali, la mortalità per Covid è molto più alta di quella degli altri vicini Paesi scandinavi, che hanno adottato lockdown e misure di contenimento molto più restrittive.
Sebbene il tasso di mortalità sia più basso di quello di altri Paesi europei come l’Italia, la differenza con i vicini è enorme. Stando ai dati raccolti da Worldmeters sulla pandemia di Covid, l’Italia ha 1.290 morti su un milione di abitanti. Uno dei più alti in Europa, dietro solo a Belgio (1.716), Slovenia (1.417) e Bosnia Erzegovina (1.310). La Svezia, tuttavia, non è lontana da noi, con 931 morti su un milione di abitanti, subito dietro alla Svizzera con 947. Entrambi i Paesi hanno visto peggiorare l’andamento dell’epidemia sui loro territori.
La differenza più macroscopica, come abbiamo detto, è però con gli altri Paesi scandinavi. In Danimarca il tasso di mortalità è di 261 su un milione di abitanti, in Finlandia di 106 su milione e in Norvegia di soli 87 morti. Il divario della Svezia con questi Paesi dalle caratteristiche simili è lampante.
Riguardo ai contagi per numero di abitanti, poi, la Svezia è molto avanti rispetto a noi con 48.308 casi su un milione di abitanti. Contro i 37.042 dell’Italia. Con un numero più alto di test in Italia.
Ora, la recrudescenza della pandemia, anche la Svezia ha deciso di cambiare le politiche di prevenzione del Covid-19 e per prima la volta si è dotata di una legge per introdurre nuove restrizioni, disporre chiusure e obblighi per la popolazione. Ecco di cosa si tratta.
La Svezia si arrende al Covid e approva una legge con restrizioni
Con una curva epidemica in ascesa, oltre 7mila contagi al giorno e un numero di morti che ha raggiunto complessivamente i 9.433 casi, anche la Svezia ha deciso di adottare maggiori restrizioni, con una legge che dà al governo il potere di introdurre chiusure, nuove restrizioni e limitazioni alla libertà delle persone.
Già prima di Natale era stato annunciato in Svezia che dal 7 gennaio sarebbe stato consigliato l’uso della mascherina sui trasporti pubblici. Un consiglio che gli svedesi hanno adottato subito. Un numero consistente di persone hanno iniziato a indossare la mascherina anche nei luoghi pubblici, al chiuso, ma anche all’aperto. Come riporta Il Fatto Quotidiano.
Ora, con la nuova legge, approvata dal parlamento svedese l’8 gennaio e che entrerà in vigore domenica 10 gennaio fino al 21 settembre, il governo avrà nuovi poteri per disporre le chiusure di negozi, centri commerciali ma anche trasporti pubblici. Potrà essere decisa anche la chiusura di teatri, cinema, palestre, campeggi, zoo, musei e altri luoghi per attività ricreative o culturali, anche parchi e stabilimenti balneari.
Inoltre, il governo potrà imporre dei limiti sul numero di persone ammesse in determinati luoghi pubblici specifici e restrizioni alle riunioni pubbliche. Per la prima volta saranno applicate delle multe a coloro che non rispetteranno le nuove restrizioni.
La Svezia aveva fatto notizia in tutto il mondo per non avere mai imposto i lockdown introdotti, invece, n altri Paesi europei. Anche il Paese scandivano, tuttavia, si è dovuto arrendere alla forza della pandemia e introdurre nuove restrizioni, fino alla nuova legge, per contenere una seconda ondata di contagi più grave di quanto previsto.
Per quanto riguarda l’Italia, vi ricordiamo le ultime norme anti-Covid varate dal governo con un nuovo decreto legge in vigore fino al 15 gennaio e le FAQ relative.
Covid Svezia, nuove misure e restrizioni: "Situazione grave" (adnkronos.com)
24 febbraio 2021 | 18.36
LETTURA: 1 minuti
Boom di contagi nel Paese, il premier Lofven oggi: "Alto rischio di contrarre il Covid"
(Adnkronos)Restrizioni in Svezia a causa dell'aumento dei contagi di Coronavirus. ''La situazione in Svezia è grave, abbiamo un'elevata diffusione dell'infezione e i casi sono in aumento. Possiamo evitare una terza ondata se manteniamo le distanze'', ha detto oggi in conferenza stampa il primo ministro svedese Stefan Lofven, annunciando che verrà ridotto l'orario di apertura di tutti i bar e i ristoranti, oltre a limitare il numero delle persone ammesse nei negozi per cercare di scongiurare una terza ondata della pandemia da Covid-19. In Svezia c'è ''un alto rischio'' di contrarre il coronavirus, ha aggiunto il premier.
Nelle ultime 24 ore sono 5.371 i nuovi contagi registrati nel Paese, il che rappresenta il più alto aumento giornaliero di casi dall'inizio di gennaio. Ieri l'agenzia sanitaria ha avvertito che la variante britannica, ritenuta più contagiosa, stava gradualmente prendendo il sopravvento e diventando dominante in Svezia. Oggi, per la prima volta dall'inizio della pandemia, all'interno del Parlamento svedese è stato raccomandato l'uso della mascherina.
La Svezia, che ha una popolazione di 10 milioni di persone, ha registrato 12.793 morti per Covid-19 dall'inizio della pandemia. Il tasso di mortalità pro capite è molto più alto rispetto a quello dei suoi vicini nordici, ma è inferiore a quello della maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale che hanno scelto di imporre lockdown.
Italia
Covid: la notizia inattesa sulla mortalità in Italia Universomamma
Covid, in Italia cambia tutto: in un anno mai visti numeri così
12 Gennaio 2021 valeria bellagamba
I numeri del Covid cambiano ancora e l’Italia raggiugne così un inatteso primato. Scopriamo insieme di che cosa si tratta.
covid mortalità italia
Covid: la notizia inattesa sulla mortalità in Italia – Universomamma.it (Pronto Soccorso Covid a Tor Vergata, Roma. Foto di ANDREAS SOLARO/AFP via Getty Images)
In un momento tanto difficile a causa della pandemia di Covid-19, in cui la curva epidemiologica è ancora alta, nonostante qualche oscillazione nel numero dei contagi, e anche i decessi giornalieri si mantengono elevati, arrivano però anche delle buone notizie.
Queste notizie riguardano la mortalità in Italia proprio in relazione all’epidemia di Covid-19. Ecco cosa bisogna sapere.
Sulla malattia causata dal Coronavirus Sars-CoV-2 ricordiamo lo studio dell’Università Statale di Milano che ha trovato un nuovo paziente 1 in Italia.
Covid: la mortalità in Italia
È stato pubblicato dal Ministero della Salute l’ultimo rapporto del sistema rapido di sorveglianza della mortalità giornaliera (Sismg) con i dati della mortalità in Italia riferiti all’epidemia di Covid-19 nel periodo compreso tra il 1° settembre e il 29 dicembre.
Il rapporto contiene i dati di 32 Comuni italiani aggiornati al 29 dicembre 2020 e rileva l’andamento della mortalità giornaliera nelle città italiane.
La novità, e buona notizia, è che per la prima volta dopo due mesi, in cui si è registrata una mortalità superiore all’atteso nella maggior parte dei Comuni italiani, nell’ultima settimana di dicembre, 23-29 dicembre, la mortalità è tornata ai valori di riferimento. Questo è avvenuto nelle città al Nord e in quelle al Centro Sud Italia.
Nel rapporto si legge che l’andamento della mortalità media giornaliera per settimana aggregata per i comuni del Nord e del Centro-Sud evidenzia come nell’ultima settimana di dicembre i decessi in tutte le classi di età siano rientrati nel limite superiore della banda di confidenza (ad eccezione solo della classe di età 65-74 al Centro-Sud).
L’andamento stagionale della mortalità evidenzia l’anomalia osservata nel 2020, rispetto rispetto alle variazioni stagionali dei 5 anni precedenti (con valori massimi nel periodo dicembre-febbraio e valori minimi nel periodo giugno-agosto). Nel 2020 (come evidenzia la figura sotto) si sono avuti due picchi di mortalità in corrispondenza della prima ondata di contagi (marzo-aprile) e della seconda ondata (ottobre-dicembre) dell’epidemia Covid-19.
Il forte incremento della mortalità osservata (linea rossa) nella prima fase dell’epidemia è seguito da una riduzione che ha riportato la mortalità in linea con i valori di riferimento (linea nera) a fine maggio. A partire dalla seconda metà di ottobre si osserva un secondo incremento con valori che tendono a rientrare nel valore di riferimento a fine dicembre.
I dati delle città
Dai dati della mortalità totale per mese si conferma un eccesso maggiore nelle città del Nord (+23% a ottobre, +74% a novembre e +38% a dicembre), rispetto alle città del Centro Sud (+23% a ottobre, +48% a novembre e +24% a dicembre).
Nella variazione percentuale mensile della mortalità, l’incremento più elevato tra le città del Nord è stato osservato a novembre a Bolzano (+129%), Aosta (+100%) e Torino(+109%); mentre nel mese di dicembre a Trento (+109%) e Verona (+142%). Tra le città del Centro Sud, invece, l’incremento di mortalità più elevato è stato registrato a novembre a Firenze (+61%), Roma (+57%), Perugia (+51%), Rieti (+82%), Palermo( +65%) e Catania (+69%); mentre a dicembre l’eccesso più elevato è stato a Bari (+43%) e Catania (+45%).
Il rapporto in dettaglio: www.salute.gov.i/imgs/C_17_pubblicazioni_2996_allegato.pdf
Sicuramente si tratta di dati incoraggianti, l’emergenza Covid-19, tuttavia, non è terminata. Se alla fine del 2020 la curva della mortalità è rientrata entro la soglia di riferimento, tuttavia, ci aspetta quasi sicuramente una terza ondata di contagi che potrebbe far salire di nuovo il numero di decessi giornalieri.
Un Paese con mortalità elevata da Covid-19 è la Svezia, soprattutto rispetto ai Paesi vicini, simili per caratteristiche geografiche e demografiche. La situazione dei contagi è peggiorata nettamente anche nel Paese scandinavo che finora aveva introdotto norme blande e permissive sulla gestione dell’epidemia e che ora invece ha approvato una legge che permetterà al governo di introdurre misure più restrittive e sanzioni.
La variante brasiliana piega Perugia: «In ospedale ci siamo accorti che i guariti si ricontagiavano» (ilmessaggero.it)
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8 FEBBRAIO 2021 di Luca Benedetti e Italo Carmignani (Lettura 3 minuti)
Ormai è quasi certo: la variante brasiliana, quella mutazione del Covid che ha messo in ginocchio prima una città, Perugia, e poi 64 comuni in tutta l'Umbria, costringendo tutti alla zona rossa, si è insinuata in un reparto bianco dell'ospedale. In una borsa, oppure in una tuta, o tramite il contagio classico di un colpo di tosse. L'ospedale è quello perugino, il più grande del centro Italia tra Roma e Firenze, il portatore è qualcuno che assisteva un paziente in un reparto non Covid, detto appunto bianco.
La teoria è confermata. Gli effetti ancora da studiare. Spiega il direttore generale della sanità umbra Claudio Dario: «Questi cluster impattano di più nei reparti non Covid, ecco perché l'ospedale di Perugia si trova sotto pressione». È questo uno dei motivi per cui da oggi 675mila umbri sono in zona rossa: tutta la provincia di Perugia e sei comuni del Ternano. Un cluster impressionante, diventato la bomba che ha piegato più di mezza regione. Con tutti gli ospedali in affanno: solo ieri altri 26 ricoveri in più che fanno arrivare a 484 i posti letto Covid occupati. Non va meglio nelle terapie intensive, in 24 ore altri tre ricoveri fino a salire a 73. Un passo dal limite massimo.
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PERCHÉ IN CORSIA
La scienza, per quanto possibile, è ancora più precisa. Sostiene Antonella Mencacci, responsabile del laboratorio di Microbiologia dell'ospedale di Perugia: «Perché proprio in corsia? Presto detto: siccome l'inglese colpisce classicamente i più giovani, che statisticamente frequentano meno l'ospedale, circola più nel territorio e non ha causato cluster ospedalieri. La brasiliana, invece, colpisce tutti, è molto diffusa e se il paziente entra in ospedale col virus in incubazione, l'infezione si scopre dopo 3-4 giorni dal ricovero in un reparto bianco».
I BAMBINI
La brasiliana colpisce in ospedale, la variante inglese i bambini. Da zero a tredici anni è la fascia di età con i picchi di tamponi positivi. E ci sono stati casi di scuole chiuse dalla sera alla mattina per la crescita dei contagi. In centro, a Perugia, quartiere di Borgo XX Giugno, il virus ha corso non solo nelle classi delle materne e dell'elementare, ma anche sullo scuolabus. Tutto chiuso una settimana prima che arrivasse lo stop del sindaco Andrea Romizi per tutta la città. Ecco perché la presidente della Regione, Donatella Tesei, con la zona rossa ha bloccato anche i nidi e le materne. Per tutte le altre scuole c'è solo la dad.
C'è una bambina che ha disegnato la mappa del virus nella sua classe delle elementari. La storia la racconta Francesco Giacopetti, il papà: «Mia figlia ha disegnato la piantina della classe con i posti occupati dai bimbi risultati positivi: si è salvato chi era vicino alla finestra».
Due varianti, una miscela micidiale. «L'Umbria - spiega la governatrice - è stata colpita simultaneamente da due varianti del virus. Per questo abbiamo adottato queste misure. Possono essere impopolari, ma servono per tutelare tutti gli umbri».
I RICONTAGIATI
È dall'Epifania che l'Umbria ha visto, in provincia di Perugia, la pandemia sfuggire di mano perché variante inglese e brasiliana si sono mosse contemporaneamente. A Neurochirurgia due infermieri si sono ricontagiati e da lì è nato il sospetto delle varianti. In mezzo 220 operatori che avevano iniziato la profilassi del vaccino che sono risultati positivi. Un altro campanello d'allarme. Nella Perugia silenziosa e sbarrata, sotto la pioggia non è mancata l'ennesima trasgressione: i vigili urbani hanno multato o tre ragazzi che alle 4 del mattino hanno violato il coprifuoco. Irriducibili, come l'incoscienza, prima complice del virus.
Covid, la sindrome che colpisce i bambini guariti dal virus: in Inghilterra 100 ricoveri a settimana, ecco i sintomi (ilmessaggero.it)
6 FEBBRAIO 2021
di Michela Allegri (Lettura 2 minuti)
Dal Regno Unito, uno dei paesi più colpiti dalla pandemia, è stato lanciato l'allarme che preoccupa i pediatri di tutto il mondo: crescono la paura e il livello di allerta anche per i più piccoli. Negli ultimi mesi sono stati ricoverati negli ospedali inglesi quasi cento bambini alla settimana, a causa di una rara malattia che può insorgere tempo dopo aver contratto il Covid-19. Una patologia che in alcuni casi ha reso necessario il trasferimento in terapia intensiva: si tratta della sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica (Paediatric inflammatory multisystem syndrome, PIMS), una condizione rara, ancora di provenienza incerta, ma che sembra essere collegata al SARS-CoV-2. Il Guardian sostiene nel Regno Unito il disturbo ha colpito un bambino su cinquemila tra quelli che circa un mese prima avevano contratto il Covid-19, sia in forma grave che in forma lieve o asintomatica. Il giornale inglese sottolinea un dato strano: il 75% di bambini affetti da PIMS apparterrebbe a una minoranza etnica.
La PIMS è stata inizialmente confusa con la malattia di Kawasaki, una condizione che colpisce principalmente bambini e neonati. Ma adesso è stata riconosciuta come una sindrome post-virale differente. Alcuni sintomi, in effetti, sono molto simili a quelli della Kawasaki: febbre persistente e alterazioni cardiache. Una differenza è che in questo caso vengono colpiti bambini con età media superiore ai 5 anni. Disturbi associati alla PIMS sono anche il dolore addominale a problemi gastroenterici, eruzioni cutanee, temperatura corporea fino a 40 °C, pressione sanguigna bassa, e, nei casi più gravi, ci può essere uno shock cardiogeno.
I casi più frequenti sono stati registrati nel Regno Unito, dove il diffondersi incontrollato del coronavirus ha portato all'ingresso in ospedale di circa 100 bambini a settimana con PIMS: un aumento netto rispetto alla prima ondata, quando si registrava un terzo di ricoveri. Medici e ricercatori ipotizzano che, dall'inizio di gennaio, si siano ammalati dai 12 ai 15 bimbi al giorno, soprattutto a Londra, nel sud-est dell'Inghilterra e in generale nelle aree in cui la nuova variante del virus ha fatto moltiplicare le infezioni.
Nell'ultimo periodo gli studi sulla nuova sindrome si sono moltiplicati. La dottoressa Hermione Lyall, esperta di malattie infettive infantili e direttrice clinica dei servizi per l'infanzia presso l'Imperial College Healthcare NHS di Londra, sostiene che la malattia si è diffusa in modo molto più massiccio tra i bambini neri e asiatici. Durante una conferenza web alla quale hanno partecipato più di mille pediatri sono stati mostrati alcuni dati: su 78 pazienti con PIMS finiti in terapia intensiva, il 47% erano di origine afro-caraibica e il 28% asiatici.
Lombardia in arancione scuro da mezzanotte al 14 marzo: chiudono le scuole, tranne i nidi. "Rapido peggioramento in tutto il territorio" - Il Fatto Quotidiano
di F. Q. | 4 MARZO 2021La Lombardia passerà in arancione scuro dalla mezzanotte di oggi fino al 14 marzo, con la chiusura di tutte le scuole ad eccezione degli asili nido. L’ordinanza firmata in tempi strettissimi da Attilio Fontana prevede “interventi di mitigazione rinforzati per tutto il territorio regionale” con l’obiettivo, spiega il presidente regionale, “oltre che di contenere l’incremento di contagi, di preservare le aree non ancora interessate da una elevata incidenza”. La scelta è nata in seguito all’analisi dei dati della commissione indicatori della Regione, che “ha condiviso la necessità di superare la differenziazione tra aree”.
I dati in mano al Pirellonoe hanno insomma spinto Fontana a un nuovo giro di vite, estendo le misure prese già nel Bresciano e in decine di altri comuni nelle province di Cremona, Mantova, Como. La pressione sugli ospedali aumenta, con 4.735 persone ricoverate e 532 in terapia intensiva: stando ai dati Agenas, la percentuale di posti letto occupati da pazienti Covid nei reparti è del 42% e in terapia intensiva del 36%, entrambe oltre le soglie di criticità. I contagi stanno schizzando e serve uno ‘scudo’ per proteggere Milano, dove secondo l’Ats l’indice Rt al 25 febbraio era già a 1.36. Attorno alla città capoluogo, dove si registrano circa 400 casi a giorno sugli oltre 1.000 totali in provincia, sono diversi i comuni con tassi di incidenza ben oltre i limiti, da Vimodrone (483 ogni 100.000 abitanti) a Cologno Monzese e Cisinello Balsamo, entrambe a 250, fino a Sesto San Giovanni (230) e Cormano (228).
Da quanto spiega la Regione, insomma, è necessario stringere tutto per preservare la città evitando che la nuova ondata dilaghi nel centro più popoloso della regione, rischiando di amplificare i problemi. Giovedì sono stati individuati 5.174 nuovi positivi, con un’incidenza del 9,6%. E i numeri, sotto la spinta della variante inglese che rappresenta il 64% dei casi, sono destinati ancora a salire complicando ulteriormente la situazione nei reparti Covid.
La decisione, ha spiegato la Regione, è stata presa visto “l’andamento della situazione epidemiologica sul territorio e le peculiarità del contesto sociale ed economico e considerato che la situazione epidemiologica presenta le condizioni di un rapido peggioramento con un’incidenza in crescita in tutti i territori della Lombardia, anche in relazione alle classi di età più giovani”.
Oltre alla chiusura totale delle scuole, ad eccezione degli asili nido, l’ordinanza di Fontana prevede lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, non è consentito recarsi presso le seconde case anche se in Regione fatti salvi gli spostamenti motivati da comprovate e gravi situazioni di necessità, non sono consentiti gli spostamenti verso le abitazioni private abitate ubicate nel territorio della Regione. È inoltre limitato l’accesso alle attività commerciali al dettaglio a un solo componente per nucleo familiare, fatta eccezione per la necessità di portare con sé minori, disabili o anziani e non è consentito l’utilizzo delle aree attrezzate per gioco e sport (aree attrezzate con scivoli ed altalene, campi di basket, aree skate etc.) all’interno di parchi, ville e giardini pubblici.
Daniela Giovannelli
8 ore fa
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Fa una certa impressione, anzi, direi piuttosto ribrezzo, sentir fare certe allarmistiche affermazioni, a proposito della gravità della situazione epidemiologica, dagli stessi, ipocriti figuri che per oltre un anno hanno proditoriamente cavillato, polemizzato e criticato ogni minima misura presa dal Governo, per contrastare l'epidemia, come un branco di riottosi cihuahua.
matend
10 ore fa
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Ma come, a marzo 2020 Fontana, Gallera e soci dicevano che loro non potevano emettere ordinanze del genere adducendo le scuse più disparate e lo facevano mentre altre regioni prendevano provvedimenti restrittivi rispetto alle indicazioni nazionali. Ora, con qualche ora di anticipo (chissà perchè loro possono farlo e quando il ministro Speranza ha fatto lo stesso ma con più ore di preavviso, era tutto un protestare) emette un ordinanza che porta in zona arancione rafforzata (sembra persino più dura della rossa). Non contesto il passaggio (anzi doveva decidersi sabato scorso) contesto il fatto che lo scorso anno non lo hanno fatto perchè c'era la motivazione politica che motivava la loro'resistenza'. Insomma, le decisioni sono prese da questa gente non per motivazioni sanitarie, supportate da quelle scientifiche, ma solo per il fatto che ora i leghisti sono al governo. Visto quello che è costato questo comportamento i lombardi e i bergamaschi in particolare dovrebbero chiedere conto di ciò !
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9 ore fa
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Non dimentichiamoci i dati sbagliati compilati da questi fenomeni in Gennaio, quando la Lombardia è rimasta rossa.
Coronavirus, l'ultimo caso Lombardia: "In zona gialla una settimana più del dovuto, i dati non erano ancora consolidati" - Il Fatto Quotidiano
Secondo Vittorio Nicoletta, dottorando di Analisi dei dati e statistica all’università Laval del Quebec in Canada, la regione è rimasta una settimana in più del dovuto nella fascia di minori restrizioni: "La Regione è particolarmente lenta a raccogliere con precisione i dati". Sulla base dei numeri consolidati avrebbe dovuto finire in zona arancione non dall’1 marzo ma già dal 22 febbraio
di Luigi Franco | 4 MARZO 2021
Mentre la Lombardia si prepara a passare dall’arancione all’arancione scuro, scoppia un nuovo caso sui dati che ogni settimana la Regione trasmette all’Istituto Superiore di Sanità. Dati utilizzati per il calcolo dei parametri su cui si basa la classificazione a colori, che ancora una volta potrebbero essere stati viziati da gravi imprecisioni. Tanto che la Lombardia potrebbe essere rimasta troppo a lungo in giallo, fascia da cui è uscita solo lunedì scorso, e questo avrebbe contribuito all’aggravarsi dei contagi registrato negli ultimi giorni. Secondo Vittorio Nicoletta, dottorando di Analisi dei dati e statistica all’università Laval del Quebec in Canada, la regione è rimasta in giallo almeno una settimana in più del dovuto: avrebbe dovuto finire in zona arancione non dall’1 marzo ma già dal 22 febbraio.
L’analisi di Nicoletta, che ha pubblicato alcuni grafici su Twitter, si basa sui dati che la stessa Regione ha reso open source dopo lo scontro col governo sugli errori che a gennaio avevano causato la classificazione in zona rossa anziché arancione. Il dottorando ha calcolato, con lo stesso algoritmo utilizzato dall’Iss, l’Rt delle scorse settimane in base ai dati disponibili il 3 marzo: l’Rt del 3 febbraio (preso in considerazione nel report dell’Iss aggiornato al 17 febbraio) risulta così pari a 1,07, anziché lo 0,95 (valore riportato a pag. 2 del report) calcolato coi dati disponibili due settimane fa che ha consentito alla Lombardia di rimanere in giallo il 22 febbraio. Cosa è cambiato nel frattempo? “Che i dati sono stati consolidati – spiega Nicoletta a ilfattoquotidiano.it – È normale che i dati riferiti alle settimane passate diventino più precisi man mano che passa il tempo. E infatti la fondazione Bruno Kessler che calcola l’Rt per l’Iss ritiene che ci vogliano due settimane perché i dati necessari al calcolo dell’Rt si stabilizzino. Per questo l’Rt è sempre calcolato con due settimane di ritardo”.
Ma Nicoletta ha notato che dopo due settimane i dati della Lombardia non sono ancora consolidati: così calcolando a quattro settimane di distanza l’Rt del 3 febbraio, si scopre che questo è stato sottostimato. “Regione Lombardia è particolarmente lenta a raccogliere con precisione i dati”. L’osservazione di Nicoletta trova riscontro nello stesso report dell’Iss, dove alla Lombardia, rispetto alle altre regioni, viene attribuito il più basso valore per uno degli “indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio”, l’indicatore “1.1 settimana di riferimento”: per la Lombardia è pari a 75,3% (pag. 5 del report). Come spiegato a pag. 4, questo significa che solo il 75,3% dei casi sintomatici notificati dalla Regione all’Iss è stato notificato indicando la data inizio sintomi.
In un caso su quattro, dunque, la Regione non ha comunicato la data di inizio sintomi rendendo tale caso sintomatico da scartare per il calcolo dell’Rt. Questo parametro viene infatti calcolato per definizione considerando i casi sintomatici di cui si conosce la data di inizio sintomi. Informazione che in molti casi la Regione è riuscita a recuperare, pubblicandolo nel suo data sheet open source, solo in un secondo momento. Da qui la discrepanza tra l’Rt del 3 febbraio calcolato coi dati disponibili il 3 marzo e quello calcolato coi dati disponibili il 17 febbraio. Problema denunciato su Twitter anche da Lorenzo Ruffino e Fabio Riccardo Colombo. La storia, insomma, si ripete. A gennaio la Lombardia era finita in zona rossa per un problema ai dati di natura opposta: per molti casi di positività al Covid non veniva indicato lo “stato clinico”, causando una sovrastima dell’Rt.
Bologna, Bordon (Ausl): "Terapie intensive piene anche se i pazienti sono più giovani. Questa nuova ondata sta avendo impatto violento" - Il Fatto Quotidiano
“C’è stato un impatto violento. Nell’ultima settimana abbiamo avuto in soli due giorni 209 ricoveri per Covid. Una violenza non paragonabile con la seconda ondata, dove i numeri crescevano in maniera più graduale e e in un certo senso controllabile”. Parla chiaramente di “terza ondata” Paolo Bordon, direttore dell’Ausl di Bologna. L’impennata di casi e di ricoveri degli ultimi giorni stanno di nuovo mettendo sotto sforzo le strutture della provincia, come a marzo.Come raccontato dal Fattoquotidiano.it, le terapie intensive sono piene, c’è la corsa a recuperare posti letto e i medici stanno facendo gli straordinari per curare tutti. “Di colpo abbiamo avuto persone che arrivavano al pronto soccorso con sintomi importanti e impegnativi. Come la prima ondata. E pur in presenza di pazienti più giovani, perché l’età media si è abbassata, abbiamo tutti reparti saturi: terapia intensiva, semi intensiva e degenza ordinaria. Noi siamo organizzazione robusta, ma abbiamo deciso di sacrificare e ridurre al 50% la nostra attività di chirurgia programmata. Ed è chiaro che il personale è provato. Tra la prima e la terza c’è una differenza abissale: nella prima eravamo in lockdown, la gente non usciva di casa. Al pronto soccorso non arrivavano persone con traumi generici. Oggi invece gli ospedali funzionano anche per tutto il resto. Ci sono accessi anche per incidenti, ad esempio. Insomma, per la normale circolazione delle persone”. E questo rende tutto più complesso. “Hanno un peso enorme. Un fattore fondamentale – conclude- è la collaborazione del cittadino. Quando si arriva a coinvolgere le istituzioni, a convincerle della necessità di prendere dei provvedimenti, è una sconfitta per tutti”