E questa è, diciamo, la parte II dell'argomento dell'altro giorno....
Ma insomma, questo vairus da dove viene? Vediamo la nostra ineffabile testata mentana-puentesca come ha affrontato la questione. Dell'allarmismo ne abbiamo detto prima, quindi è inutile tornare su quello. Adesso vediamo come altro camomillano l'opinione pubblica 'blastando' i complottisti.
No! Un documento cinese non prova l’origine del coronavirus in un laboratorio di Wuhan
17 FEBBRAIO 2020 - 19:06
di Juanne Pili e David Puente
Coronavirus, ancora teorie sul laboratorio a Wuhan senza alcuna prova
Secondo Tgcom24 «il Coronavirus è uscito da un laboratorio vicino al mercato di Wuhan», lo dimostrerebbero degli «scienziati cinesi». Si riferiscono a Botao Xiao e Lei Xiao della South China University, i quali «gettano nuove ombre sullʼiniziale diffusione del virus».
Fanno riferimento a un documento recuperato e condiviso sulla piattaforma Scribd.com dall’account del sito complottista ZeroHedge, noto da anni per la sua attività di disinformazione, sospeso anche da Twitter.
Il testo proviene dal sito ResearchGate, un social network che permette ai ricercatori di caricare i propri lavori. Non è una rivista scientifica e non esegue una peer-review. Il documento in questione risulta rimosso dal social, ma ne rimane una copia cache.
L’articolo è “preprint“, non risulta essere stato pubblicato in una rivista scientifica, la quale prevede invece la peer-review, ovvero l’esame dell’articolo da parte di esperti.
Abbiamo abbastanza elementi per identificare il primo firmatario, Botao: si occupa di biochimica, genetica e biologia molecolare. Risulta inoltre avere un h-index piuttosto basso. Detta in maniera molto semplice, l’h-index misura l’autorevolezza dei ricercatori scientifici, sulla base degli studi pubblicati e di quanto sono stati citati in altri lavori. E BBBRAVO Puente, adesso raccontaci il google scholar index di un compagno d'armi debunkatore come Salvo di Grazia/ Medbunker. Bassino, vero?
Dicono infatti i due ricercatori 'non accreditati':
«Abbiamo notato due laboratori che conducono ricerche sul coronavirus dei pipistrelli a Wuhan – recita l’abstract – uno dei quali a soli 280 metri dal mercato del pesce. Abbiamo esaminato brevemente le storie dei laboratori e proposto che il coronavirus probabilmente proveniva da un laboratorio».
Uno dei laboratori è il National Biosafety Laboratory di Wuhan di cui si è parlato nei giorni precedenti a causa delle prime voci di un “virus ingegnerizzato sfuggito al controllo”, che hanno visto come vittima la scienziata Shi Zhengli, tutt’ora al centro di una macchina del fango: la sua colpa è quella di aver studiato i coronavirus dei pipistrelli, contribuendo a scoprire l’origine dell’attuale epidemia.
I ricercatori suppongono bassa la probabilità che dei pipistrelli si trovassero nel mercato di Wuhan – da dove si ritiene che sia partita l’epidemia – e fanno riferimento a dati aneddotici: «testimonianze di 31 residenti e 28 visitatori». Adesso Puente e soci dovrebbero dirci a quali dati OGGETTIVI si possono aggrappare per smentire questo problemino, già notato dal Lancet a gennaio: i primi malati NON erano correlati al mercato!
Alla ricerca di una origine alternativa riportano la presenza di due laboratori: il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie «a circa 280metri dal mercato», e un laboratorio appartenente all’Istituto di virologia di Wuhan a 12Km dal mercato, ovvero il già menzionato National Biosafety Laboratory.
Gli autori citano anche due episodi in cui un ricercatore avrebbe rischiato di essere contaminato dai pipistrelli, entrando in contatto col loro sangue e urina, decidendo di mettersi in quarantena due volte.
Le fonti sono un articolo del Changjiang Times del 2017 e uno del Thepaper del 2019. Si tratta di quotidiani online, non di riviste scientifiche. Già, ma per riportare un fatto di cronaca sia pure 'di laboratorio' ci vuole la peer rewied, hai proprio ragione David
Il documento non risulta più accessibile da giorni su ResearchGate, rimosso probabilmente dalla piattaforma o dagli stessi autori. Nel documento vengono citati anche Nature e Lancet, fonti autorevoli, ma solo ed esclusivamente per l’introduzione sul tema e non come prova della teoria.
Non è del tutto certo che il virus sia passato direttamente dai pipistrelli all’uomo. Dall’analisi genomica si ipotizza l’esistenza di un’altra specie animale, dove il nuovo coronavirus – discendente da un ceppo dei pipistrelli – avrebbe avuto origine, effettuando il salto finale nell’uomo.
L’esistenza di un “ospite intermedio” si verificò anche con Sars e Mers. Per il nuovo coronavirus inizialmente si è ipotizzato che gli ospiti intermedi fossero i serpenti, ma questa tesi è stata respinta quasi subito dalla comunità scientifica.
Ne ha scritto proprio su Nature David Chyranoski, autore di un altro articolo del 2017, dove si metteva in dubbio la sicurezza del National Biosafety Laboratory di Wuhan.
Ma gli autori del preprint sbagliano anche nel supporre che non potessero trovarsi i pipistrelli che avevano incubato il ceppo da cui ha avuto origine il nuovo coronavirus. «Fanno riferimento ai Rhinolophus affinis – spiega a Open Luca Fanasca di Patto trasversale per la scienza – ma i coronavirus ZC45 e ZXC21 (parenti più prossimi di SARS-CoV-2) infettano anche i Rhinolophus sinicus, che in Cina si trovano eccome». ECCERTO, ma dove? se non sono nel mercato del pesce non c'é nemmeno da discuterne! o vogliamo dire che basta una cacatina di pipistrello di notte per infettare PROPRIO LI' a poca distanza dal centro virologico???
Certamente si è parlato di un articolo di The Lancet che metterebbe in dubbio l’origine nel mercato ittico della città, ma i risultati non sono definitivi e non si solleva affatto la tesi del virus ingegnerizzato in laboratorio. AH, certooo David, infatti è definitivissimo avere scoperto la fonte del virus, e il fatto che i primi pazienti non fossero nemmeno sistemati dentro il mercato non ti ci entra proprio, eh?
Sappiamo inoltre, quanto sia improbabile scientificamente l’ipotesi del virus fuggito da un laboratorio. Un’ulteriore smentita riguardo alla teoria del virus creato in laboratorio ci arriva anche da Guido Silvestri, professore ordinario e capo dipartimento di Patologia alla Emory University di Atlanta, il quale ritiene sia del tutto priva di fondamento: «come sostenere che l’HIV non esiste».
La stessa Nature, citata da TGCom24, ha dovuto aggiornare l’articolo di Chyranoski del 2017 a seguito delle interpretazioni nate dallo stesso:
I media italiani che hanno diffuso la teoria – in particolare con i titoli – sono stati:
TGCom24 («Scienziati cinesi: “Il coronavirus è uscito da un laboratorio vicino al mercato di Wuhan”»);
Il Giornale («Cina, il report di due biologi: coronavirus uscito da laboratorio»);
Rainews (capitolo «Ipotesi di due biologi cinesi: “Coronavirus uscito da laboratorio di Wuhan”»);
Libero («Coronavirus, la scoperta dei due biologi di Wuhan cambia tutto: “Due laboratori nel mirino”, cosa è successo»); Toh, ma tu guarda: i distributori di fake news sono i giornali e le TV che sono pubblicizzati da Mediaset da mesi!
QUANTO SIA IMPROBABILE SIA L'IPOTESI DELLA 'FUGA'? AH SI'?
Vogliamo parlare della SARS che è uscita dai laboratori almeno in due occasioni attorno al 2004?
In the following years, four SARS cases were reported in China between December 2003 and January 2004. There were also three separate laboratory accidents that resulted in infection. In one of these cases, an ill lab worker spread the virus to several other people.[51][52] Study of live SARS specimens requires a BSL-3 facility; some studies of inactivated SARS specimens can be done at BSL-2 facilities.[53]
Oppure del vaiolo che negli anni '70 uscì da un laboratorio inglese contagiando 2 persone e uccidendone una?
Gli ultimi due casi di vaiolo al mondo si sono verificati a Birmingham, nel Regno Unito, nel 1978, quando due dipendenti della Facoltà di Medicina dell'Università di Birmingham contrassero il virus e uno dei due morì, l'11 settembre 1978[75]. Dopo questo fatto Henry Bedson, responsabile scientifico dell'Università per la ricerca contro il vaiolo, si suicidò[3]. Alla luce di questo incidente, tutte le riserve conosciute di vaiolo furono distrutte o trasferite in uno dei due laboratori di riferimento dell'OMS dotati di un livello di sicurezza adeguato: il CDC di Atlanta e il Centro di ricerca statale di virologia e biotecnologia VECTOR di Koltsovo, in Russia[76].
È del 1986 la prima raccomandazione dell'OMS riguardo alla distruzione del virus, con data fissata il 30 dicembre 1993 e poi posposta al 30 giugno 1999[77]. A causa della resistenza da parte degli Stati Uniti e Russia, nel 2002 l'Assemblea mondiale della sanità dell'OMS ha deciso di consentire il mantenimento temporaneo degli stock di virus a scopo di ricerca[78]. La distruzione delle scorte esistenti potrebbe ridurre il rischio che comporta la ricerca in corso sul vaiolo e le scorte non sono necessarie per rispondere a un'eventuale epidemia di vaiolo[79], tuttavia alcuni scienziati sostengono che le scorte possano essere utili nello sviluppo di nuovi vaccini, farmaci antivirali e test diagnostici[80]. Una pubblicazione del 2010 di una squadra di esperti di salute pubblica, nominati dall'OMS, ha concluso che non vi sia alcuna essenziale questione di sanità pubblica che giustifichi Stati Uniti e Russia a mantenere riserve di virus[81] e questa opinione è generalmente condivisa dalla comunità scientifica, in particolare tra gli ex responsabili del programma dell'OMS per l'eradicazione del vaiolo[82].
Il vaiolo come arma biologica[modifica
Gli inglesi considerarono di utilizzare il vaiolo come arma biologica nell'assedio di Fort Pill durante la guerra franco-indiana (1754-1763) contro i francesi e i loro alleati nativi americani[83][84][85][86], mentre è stato ipotizzato che lo stesso agente patogeno sia stato utilizzato come arma durante la guerra di indipendenza americana (1775-1783)[87][88].
Durante la seconda guerra mondiale gli scienziati del Regno Unito, degli Stati Uniti e del Giappone sono stati coinvolti nella ricerca per produrre un'arma biologica dal vaiolo[89]. Tuttavia non furono mai attuati piani per una produzione in larga scala, poiché si ritenne che, in presenza di un vaccino efficace, l'arma non avrebbe avuto l'efficacia sperata[90].
Nel 1947 l'Unione Sovietica costruì una fabbrica per la creazione di armi biologiche basate sul vaiolo nella città di Zagorsk, 75 km a nord di Mosca[91] e si suppone si sia verificata un'epidemia causata da alcuni test negli anni settanta[92]. In seguito a pressioni internazionali, il governo sovietico autorizzò nel 1991 un'ispezione da parte di un team anglo-americano di quattro dei più importanti impianti bellici. Gli ispettori ricevettero risposte evasive e smentite da parte dagli scienziati sovietici e alla fine furono allontanati dalla struttura[93]. Nel 1992, Ken Alibek, un disertore russo, sostenne che il programma sovietico di armi biologiche a Zagorsk abbia prodotto una scorta di venti tonnellate di virus da usare eventualmente come arma e testate refrigerate per il loro trasporto[94]. Nel 1997, il governo russo annunciò che tutti i suoi campioni di vaiolo rimanenti sarebbero stati trasferiti al Centro di ricerca statale di virologia e biotecnologia VECTOR di Kol'covo[93]. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica e la disoccupazione di molti degli scienziati responsabili del programma bellico, i funzionari del governo degli Stati Uniti hanno espresso la preoccupazione di come il vaiolo e la competenza per ottenerne un'arma possa permettere ad altri governi o a gruppi terroristici di utilizzare il virus come mezzo di guerra biologica[95]. Accuse specifiche mosse contro l'Iraq a tale proposito, tuttavia, si sono rivelate false[96]. Alcuni hanno espresso la preoccupazione che la sintesi genetica artificiale possa essere utilizzata per ricreare il virus a partire da genomi già esistenti per utilizzarlo come arma biologica, dal momento che è teoricamente fattibile l'inserimento del DNA del virus del vaiolo all'interno di strutture virali simili, come altri Orthopoxvirus[97].
Dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, il governo degli Stati Uniti si allertò contro il rischio di un attacco bioterroristico. Fu prodotto un gran numero di dosi di vaccino per essere in grado di immunizzare la popolazione americana nel caso di una nuova epidemia di vaiolo e, nel dicembre 2002, un programma speciale del governo ha offerto la possibilità, a qualunque cittadino lo desiderasse, di vaccinarsi contro il virus del vaiolo. Tra il dicembre 2002 e il marzo 2003 sono stati vaccinati oltre 25.000 civili e oltre 325.000 militari americani[98].
L'Italia possiede cinque milioni di dosi di vaccino che, in caso di necessità, possono essere diluite con la possibilità di vaccinare 25 milioni di persone[98].
CAPITO? Vatti a fidare, altro che storie. Potevamo far sparire per sempre il virus del vaiolo, invece lo tengono stretto nei laboratori.
Oppure vogliamo parlare del MARBURG che causò una vera e propria epidemia?
Il virus prende il nome dalla città tedesca di Marburg dove fu isolato nel 1967, a seguito di un'epidemia di febbre emorragica verificatasi tra il personale di un laboratorio addetto alle colture cellulari che aveva lavorato con reni di scimmie verdi ugandesi (Cercopithecus aethiops) di recente importazione. In quell'occasione si ammalarono 37 persone; simili episodi si verificarono presso le città di Francoforte e di Belgrado. (da wikipedia)
O della recente fuga dell'antrace che ha esposto -negli USA- addirittura oltre 80 persone a questo mortale bacillo?
E non sappiamo niente di centinaia di altri casi.
MA QUALE ERA LO STUDIO DI CUI SI PARLAVA QUI SOPRA?
Sul TG-com, dopo l'editoriale del 26-1, c'é stato l'articolo che ha difeso la propria posizione:
17 FEBBRAIO 2020 12:37
Scienziati cinesi: "Il coronavirus è uscito da un laboratorio vicino al mercato di Wuhan"
I biologi Botao Xiao e Lei Xiao della South China University gettano nuove ombre sullʼiniziale diffusione del virus
Uno studio prodotto da alcuni scienziati della South China University getta nuove ombre sulle prime fasi di diffusione del coronavirus. Secondo fonti ufficiali, il virus sarebbe stato trasmesso all'uomo da pipistrelli contaminati venduti in un mercato del pesce di Wuhan, I biologi Botao Xiao e Lei Xiao, nel loro rapporto, hanno invece scritto che il coronavirus avrebbe avuto origine in un laboratorio vicino al mercato della città epicentro dell'epidemia.
Gli scienziati hanno contestato la versione ufficiale secondo la quale l'agente patogeno si sarebbe trasmesso direttamente dai pipistrelli all'uomo in quanto la probabilità che questi animali potessero volare sopra il mercato era "molto bassa". Inoltre, come risulta dalle testimonianze, il pipistrello non sarebbe un cibo venduto in città e in particolare in quel mercato.
Così i ricercatori hanno analizzato l'area circostante al mercato e hanno identificato due laboratori che conducono ricerche su pipistrelli e agenti patogeni. Il più vicino, il Wuhan Center for Disease Control and Prevention, si trova a soli 280 metri dal centro di diffusione del virus. In passato uno scienziato che lavora in quel laboratorio ha riferito di essere stato attaccato dagli stessi pipistrelli due volte e, conoscendo l'estremo pericolo della possibile infezione, si è messo in entrambe le occasioni in quarantena volontaria per 14 giorni. Secondo gli scienziati, dunque, "è plausibile che il virus sia trapelato dal laboratorio e abbia così contaminato i pazienti iniziali, anche se in studi futuri saranno necessarie solide prove".
Ma non è finita qui, perché gli stessi studiosi della South China University hanno analizzato anche la possibilità che il coronavirus sia fuoriuscito da un secondo laboratorio, posto a 12 chilometri di distanza dall'ormai noto mercato del pesce di Wuhan. In un recente studio, si evidenziava come al suo interno gli scienziati stessero testando un particolare virus sui pipistrelli, partendo dalla primordiale Sars. E secondo quanto pubblicato dal pool di ricercatori, questo derivato potrebbe essere trapelato dal laboratorio.
Le conclusioni In attesa di maggiori evidenze lo studio si conclude con un avvertimento: "Potrebbe essere necessario rafforzare i livelli di sicurezza nei laboratori a rischio biologico ad alto rischio, che potrebbero essere trasferiti lontani dai centri urbani e da altri luoghi densamente popolati".
“Il virus presente in 605 pipistrelli tenuti in laboratorio”
In particolare, i due autori, Botao Xiao e Lei Xiao, sostengono che “le possibili origini del coronavirus 2019-nCoV potrebbero avere come causa gli animali infetti tenuti in laboratorio dal Centro per il controllo delle malattie di Wuhan (Whcdc), tra cui 605 pipistrelli“. “Il Whcdc è anche vicino all’Union Hospital dove il primo gruppo di medici è stato infettato durante questa epidemia. È plausibile che il virus sia trapelato e che alcuni di essi abbiano contaminato i pazienti iniziali, sebbene siano necessarie nuove prove”, si legge. Il documento rivela anche che i pipistrelli una volta hanno attaccato un ricercatore e “il loro sangue è finito sulla sua pelle“. Lo scienziato, conoscendo l’estremo pericolo della possibile infezione, si è quindi messo in quarantena volontaria per 14 giorni. Lo stesso uomo si è isolato anche dopo che un pipistrello gli ha urinato addosso. “Le sequenze del genoma dei pazienti erano identiche al 96% o all’89% al coronavirus Bat CoV ZC45 originariamente trovato nel Rhinolophus affinis (pipistrello, ndr)”, scrivono gli scienziati.
“Popolazione locale non mangia i pipistrelli”
Secondo lo studio, questi pipistrelli nativi si trovano a circa 960 chilometri di distanza dal mercato del pesce di Wuhan e la probabilità che i pipistrelli abbiano compiuto un volo così lungo, dalle province di Yunnan e Zhejiang, era minima. Inoltre, chiarisce lo studio, la popolazione locale non mangia i pipistrelli né tali animali sono in vendita nel mercato. Il rapporto inoltre menziona la scoperta di una zecca da un pipistrello, un parassita noto per la sua capacità di trasmettere infezioni tramite il sangue di un animale ospite.
“Possibile origine anche Istituto di virologia, a 12 km da Wuhan”
Oltre al Whcdc, il rapporto suggerisce che anche l’Istituto di virologia, a circa 12 chilometri da Wuhan, avrebbe potuto far diffondere il virus. “Questo laboratorio ha riferito che i pipistrelli Rhinolophus affinis erano serbatoi naturali per la grave sindrome respiratoria acuta coronavirus (SARS-CoV) che ha causato la pandemia del 2002-3″, afferma il rapporto che poi conclude: ”Oltre alle origini della ricombinazione naturale e dell’ospite intermedio, il coronavirus killer probabilmente proviene da un laboratorio a Wuhan“. Ecco perché, sottolineano i due biologi, “potrebbe essere necessario rafforzare il livello di sicurezza dei laboratori ad alto rischio biologico”, così come trasferire queste strutture lontano dai centri abitati. Tutte indicazioni utili che però, se fosse confermata la tesi del virus uscito dal laboratorio, arrivano fuori tempo massimo.
Non bastando con le figure acrobatiche di contorsionismo, ecco il 25 marzo cosa Open scriveva al riguardo del TGR Leonardo:
Il video di TGR Leonardo del 2015 e il coronavirus ingegnerizzato in laboratorio: non è il Sars-cov-2
25 MARZO 2020 - 18:24
David Puente
Come dicevo, Daniele Cerrato spiega fin dall’inizio come è stato creato facendoci subito comprendere che non si parla del Sars-cov-2:
Un gruppo di ricercatori cinesi innesta una proteina presa dai pipistrelli sul virus della Sars, la polmonite acuta, ricavato da topi.
Perché basta questa spiegazione? Perché del nuovo coronavirus Sars-cov-2 si conosce come prima fonte il pipistrello, mentre nulla riporta a quello dei topi. Come avevamo spiegato nel nostro articolo del 4 marzo 2020, nessuno degli esperti che hanno studiato il genoma del Sars-cov-2 lo ha identificato con il virus del 2015 di cui parla TGR Leonardo.
Come avevamo spiegato più volte, anche nella guida utile che racchiude tutte le verifiche fatte a Open, il genoma del Sars-cov-2 è noto al pubblico e nessuno fino ad oggi ha trovato traccia di ingegnerizzazione. Ci sono stati degli studi che hanno provato a sostenere la teoria, ma sono stati fino ad oggi ritirati e nessuno ha passato la peer review.
A tal proposito avevamo anche più volte chiesto il parere di scienziati, come ad esempio Guido Silvestri e Pier Luigi Lopalco, i quali hanno negato la teoria del nuovo coronavirus creato in laboratorio. Dello stesso parare Massimo Galli, esperto di malattie infettive e primario dell’ospedale Sacco di Milano.
Tranquilli, non si può dire che il servizio di TGR Leonardo sia inciampato in una fake siccome si tratta dello studio di cui si era a conoscenza, soprattutto nella comunità scientifica, nel 2015 quando era stato mandato in onda il servizio stesso. Infine, il virus di cui si parla nel servizio non ha nulla a che fare con il nuovo coronavirus e non è una prova che l’attuale Covid-19 sia nato in laboratorio.
ASSOLUTAMENTE! PERO' COME SPIEGANO IL SERVIZIO DI LEONARDO DEL DICIASSETTE FEBBRAIO IN CUI SI PARLAVA DI COVID?
INFATTI nell'articolo del 4 marzo dicevano:
Una nuova via per i teorici del nuovo coronavirus «ingegnerizzato in laboratorio»? No! Ecco cosa dice l’articolo di Nature
4 MARZO 2020 - 08:56
di Juanne Pili
Continua nella stampa l’uso improprio di articoli scientifici, allo scopo di alimentare dubbi sull’origine del SARS-CoV2
Ancora un articolo che potrebbe alimentare le tesi di complotto sul nuovo Coronavirus. Sulla versione cartacea de Il Fatto Quotidiano del 2 marzo compare il titolo «Wuhan, quel virus fatto in laboratorio».
In presenza di un articolo che, per come presentato, pone una tesi senza andare oltre, avviando di conseguenza le richieste dei lettori, cerchiamo di precisare come mai gli scienziati la ritengono una tesi infondata e perché possiamo escludere del tutto la possibilità.
«È un campo controverso, quello della ricerca GoF, sia per la pericolosità che la creazione in laboratorio di nuovi patogeni pone, sia per la mancanza di trasparenza e di controllo da parte della società civile, specie in paesi poco trasparenti per definizione, come la Cina o la Russia.
Ma anche gli Usa. Spesso si tratta di ricerche in ambito militare o secretate per questioni di sicurezza nazionale, oppure finanziate con fondi pubblici a seguito della pubblicazione di bandi, ma in assenza di una reale ed affidabile valutazione del rischio».
Come esempio viene citato un articolo di Nature Medicine del 2015, riguardante la creazione di un chimera-virus, «cioé una versione ibrida – continua Il Fatto – tra un ceppo di Coronavirus originariamente del pipistrello (l’SHC014) e uno simile a quello che causa la Sars nell’uomo (Sindrome respiratoria acuta grave).
Il virus così creato mostrava di essere in grado di infettare le cellule delle vie respiratorie umane». Quindi Il Fatto prosegue facendo notare che tra gli autori dello studio vi sono anche ricercatori provenienti dal laboratorio di bio-sicurezza di Wuhan.
Abbiamo analizzato lo studio, scoprendo alcune cose interessanti. Tra i firmatari troviamo effettivamente anche Shi Zhengli: la virologa grazie ai suoi studi sui coronavirus dei pipistrelli, ha dato un contributo importante contro il virus attuale.
Oggi Zhengli deve far fronte alle accuse di essere l’untrice dell’epidemia. L’articolo di Nature del 2015 viene infatti menzionato in diverse testate orientali, facendo riferimento a presunte controversie sui pericoli dovuti a esperimenti di quel tipo.
Lo studio in questione riguarda la glicoproteina spike SHC014 appartenente a un coronavirus tipico dei «horseshoe bat», ovvero i pipistrelli «Rhinolophus». Il virus chimerico è stato realizzato facendo esprimere a un coronavirus adattato nei ratti la spike del virus dei pipistrelli.
Questo ha dimostrato di potersi replicare in vivo nei polmoni dei topi, facendo altrettanto nelle colture in vitro con cellule primarie delle vie respiratorie umane.
Così i ricercatori suggeriscono il potenziale rischio che un virus come quello tipico della Sars, possa riemergere proprio dalle popolazioni di pipistrelli comunemente circolanti.
Lo studio del 2015 è stato motivato – come spiegano i ricercatori – dal fatto che erano state già identificate negli studi metagenomici, sequenze appartenenti a virus imparentati coi SARS, nelle popolazioni di pipistrelli comunemente circolanti in Cina.
Nessuno degli esperti che hanno studiato il genoma del SARS-CoV2 lo ha identificato col virus chimerico utilizzato nel 2015, tanto meno si fa riferimento a un coronavirus dei topi, ovvero un «mouse adapted SARS-CoV (MA15)». Questo particolare viene spiegato più chiaramente nella pagina dello studio relativa ai metodi utilizzati, in particolare nel paragrafo intitolato «Construction of SARS-like chimeric viruses».
I dati dello studio cozzano anche con altre tesi di complotto nate da altri più recenti rivelatisi errati, come quello che avrebbe trovato tracce dell’Hiv, o il preprint che dimostrerebbe la fuga del virus da un laboratorio di Wuhan, e non dal suo mercato ittico, ritenuto invece la più probabile origine dell’epidemia Covid-19.
Ecco perché l’articolo de Il Fatto dovrebbe riportare questa alternativa alla frase riportata nell’edizione cartacea: «improbabile un legame con l’esperimento in questione, si può comunque escludere la possibilità». Come se possibile e probabile siano la stessa cosa. Complimenti per la padronanza dell'italiano!
Andando a vedere il FQ, ecco un estratto di quel che si trova:
Wuhan e il complotto – Ecco perché gli scienziati non credono il virus sia uscito da un laboratorio
di Laura Margottini | 2 MARZO 2020
Tra gli autori di quello studio, oltre a ricercatori Usa, anche colleghi cinesi di un laboratorio di Biosicurezza e patogeni speciali situato proprio a Wuhan, in Cina (dove alcuni lavorano tutt’ora). Secondo la rivista Nature si tratta di un centro dove vengono studiati i “patogeni più pericolosi al mondo”. E Wuhan è la città dove un mese e mezzo fa, a distanza di quattro anni dalla pubblicazione di quello studio, è scoppiata l’epidemia. Nel 2015, molti virologi misero in discussione la reale necessità di tali esperimenti in termini di progresso della conoscenza medica, se paragonata ai rischi. “Se il virus fuoriscisse dal laboratorio, nessuno potrebbe prevederne la traiettoria (di diffusione, ndr),” aveva commentato Simon Wain-Hobson, virologo all’Istituto Pasteur di Parigi, Francia. Hobson aveva sottolineato che quel virus “ingegnerizzato” in laboratorio “prolifica in maniera incredibilmente efficiente nelle cellule umane.”
La probabilità che un incidente di laboratorio inneschi un’epidemia è molto difficile da prevedere, così come è difficile farlo per eventuali scoperte utili all’umanità a cui potrebbero condurre gli esperimenti GoF. Chi li conduce e li finanzia sostiene che possano facilitare lo sviluppo di vaccini per future pandemie. Ma come spiega Ian Mackay, virologo dell’università del Queensland in Australia, alla rivista medica The Lancet “non siamo neanche in grado di prevedere come muteranno le influenze stagionali, da una stagione all’altra, figuriamoci prevedere come potrebbe mutare un virus presente in natura, per effetto dei salti di specie. Abbiamo vaccini per l’influenza che non sempre sono efficaci – spiega il virrologo – e invece di concentrarsi sui virus che già conosciamo e migliorare i vaccini attuali, c’è gente che preferisce preoccuparsi di virus che non sono ancora divenuti trasmissibili (da uomo a uomo, ndr) e che non abbiamo alcuna idea se mai lo saranno.”
L’attenzione per questo genere di ricerche è cresciuta nel 2014 a seguito di un incidente nel laboratori del Centre for Disease Control (Cdc) americano. Diverse violazioni alle procedure che regolano la manipolazione e conservazione di agenti patogeni in laboratorio, provocarono l’esposizione di almeno 86 impiegati del Cdc nientemeno che all’antrace. Questo sollevò la reazione dell’opinione pubblica che poi si tradusse nella sospensione, negli Usa, di tali esperimenti, fintanto che il Comitato Scientifico nazionale americano per la Biosicurezza (Nsabb) non avesse valutato attentamente la situazione e proposto nuove linee guida per la selezione e finanziamento di ricerche in questo ambito. Nel 2018, sono state formulate nuove linee guida che sostanzialmente prevedono la valutazione caso per caso di ogni singolo esperimento proposto, per mano di team di esperti e niente di più. La moratoria, dunque, è stata tolta nel 2018. Se negli Usa una maggiore trasparenza è stata forse raggiunta, nessuno garantisce cosa possa accadere nel resto del mondo, specie in paesi dove la democrazia non è di casa. Nel 2018, la rivista The Lancet ricorda che anche negli Usa le statistiche sul numero di violazioni ai protocolli di biosicurezza nei circa 1500 laboratori autorizzati a condurre tali ricerche è, tuttora, praticamente sconosciuta.
MA PER OPEN NON ESISTE DUBBIO. NON E' DA LABORATORIO, CAPITO O NO?
SCIENZE
Un altro servizio di TGR Leonardo per parlare di coronavirus e laboratorio con uno studio preprint
26 MARZO 2020 - 14:07
di David Puente
Parte il secondo atto dell’utilizzo dei servizi di TGR Leonardo, questa volta uno del 2020 su un tema già spiegato da Open a febbraio E' l'articolo di cui sopra, ma a quanto pare Leonardo non ha letto Open, no?
A seguito della circolazione del servizio del 2015 di TGR Leonardo, su uno studio relativo a un coronavirus modificato in laboratorio, è partito il secondo atto usando un nuovo servizio del 2020 dove si parla di uno studio di due ricercatori cinesi sulla presunta origine del virus. Quale? Un laboratorio a poca distanza dal mercato di Wuhan. Di quello studio ne avevamo parlato a Open in un articolo del 17 febbraio 2020 spiegando cosa c’era che non quadrava e qualcosa in più.
Il 17 febbraio 2020 alle ore 19:06 spiegavamo che lo «studio» (Tra virgolette, non sia ma i che si prenda sul serio eh?) dei due «scienziati cinesi», Botao Xiao e Lei Xiao della South China University, era stato pubblicato su un social network che permette ai ricercatori di caricare i propri lavori, ResearchGate, che non va confuso con una rivista scientifica. Ben prima della pubblicazione dell’articolo di Open, il testo era stato rimosso dalla piattaforma ResearchGate.
Parliamo, dunque, di un «preprint» che non andava considerato (e quindi è stato LEONARDO a sbagliare a considerarlo, o è stato Marcianò?) siccome, come sanno bene i ricercatori e divulgatori scientifici, deve passare la peer-review affinché possa essere preso minimamente in considerazione, ma altrettanto questa peer-review non deve essere fatta da una rivista predatoria dove in alcuni casi basta pagare per poter essere accettata. Ne sappiamo qualcosa, in passato qualcuno era riuscito a farsi pubblicare da una rivista scientifica di nome MedCrave uno studio basato su Star Wars. (invece una rivista 'non predatoria' ancora non ha voluto ritrarre lo Studio 329, vero Puente?)
Il testo pubblicato da Botao Xiao e Lei Xiao si basa sulla presenza di un laboratorio a circa 280 metri dal mercato di Wuhan e riporta due episodi riportati in un articolo del Changjiang Times del 2017 e in uno del Thepaper del 2019, entrambe testate web. Invece Open è notoriamente scritto su fogli d'oro. Il tutto, dunque, è una proposta alternativa basata su elementi presi online, inoltre non era riportato alcuno studio sul genoma del nuovo coronavirus che potesse provare minimamente le opinioni dei due autori. Noooo, solo il fatto che parliamo di un laboratorio biologico a meno di 300 metri dal 'mercato del pesce'. UN CASO, COME FARE 4 ZERI VERDI A FILA ALLA RUOLETTE, NO?
L'articolo a cui si riferivano Puente e soci era questo, prontamente scritto per confutare evidentemente la puntata di quello stesso giorno del TGR Leonardo.
NON CONTENTO di avere già 'piallato ogni dubbio' (ma perché?) Open torna a 'chiudere' la questione dell'origine del virus, di cui a dire il vero, a quel punto a ben pochi interessava, a pandemia in corso.
Coronavirus. Come sono nate le teorie di complotto sulla creazione in laboratorio e perché sono infondate
25 MARZO 2020 - 20:36
di Juanne Pili
Le tesi di complotto sul nuovo coronavirus smontate dalla Scienza
Zhengli, come altri co-autori dello studio, lavorava proprio nel “famigerato” laboratorio di Wuhan, di cui scriveva David Chyranoski, in un articolo di Nature del 2017. Come facevamo notare, analizzando il modo in cui questa fonte veniva riciclata, sostenendo le prime tesi di complotto, è lo stesso autore a non credere all’idea che SARS-CoV2 provenga da un laboratorio, dove si studiano patogeni già noti da decenni prima.
«Nature non ha alcuna prova che ciò sia vero; gli scienziati ritengono che la fonte più probabile del coronavirus sia un mercato di animali».
La presunta “omertà” della comunità scientifica
Quando venne pubblicato un interessante studio sulle origini del nuovo coronavirus, dove si analizzavano altre ricerche basate sul genoma (reso pubblico), questo venne “rovinato” da una ipotesi aggiuntiva: da un lato si riconosceva che il virus originava da un ceppo tipico dei pipistrelli, dall’altro si ipotizzava che i serpenti fossero gli ospiti intermedi, che avrebbero permesso il salto nell’uomo.
SARS-CoV2 è stato inoltre isolato in diversi paesi del Mondo, compresa l’Italia. In questo modo abbiamo potuto studiare la filogenesi dei ceppi giunti al di là della Cina. Non vi è alcun dubbio, sul fatto che il virus non presenti nel suo Rna tracce di ingegnerizzazione, né è pensabile che sia stato “allevato” in colture di laboratorio, o in pipistrelli tenuti in cattività, come si tentò di dimostrare maldestramente in uno studio preprint, poi ritirato dagli stessi autori.
Non c’è un genetista o virologo al Mondo, che abbia riscontrato anomalie nel percorso che dai pipistrelli ha portato all’uomo. In fondo, è un po’ come quando si sostiene che gli esseri umani sono stati “creati” da antichi alieni, ingegnerizzando i primi ominidi: un “anello mancante” su cui speculare si trova sempre. In questo caso gli “alieni” siamo noi.
Le tesi di complotto smontate dalla logica e dagli esperti
In Italia diversi esperti veri si sono espressi in merito, bocciando senza appello le suggestive ipotesi del virus ingegnerizzato. Uno di questi è il virologo Roberto Burioni, che cita proprio un recente articolo di Nature, definendo l’ipotesi «L’ultima scemenza». Nature non fa altro che certificare, alla luce dei dati sul genoma, l’estrema improbabilità di una ingegnerizzazione.
Guido Silvestri, professore ordinario e capo dipartimento di Patologia alla Emory University di Atlanta, ci informa che le teorie di complotto sul virus prodotto in laboratorio, sono «come sostenere che l’Hiv non esiste».
L’epidemiologo Pier Luigi Lopalco in una recente intervista a Open, spiegò che «i virus coltivati in laboratorio non sono sottoposti alla pressione di un sistema immunitario. Quando un virus colpisce l’uomo, ci sono alcune particelle virali che vengono uccise dal sistema immunitario», insomma, sarebbe molto difficile – e costoso – creare un virus nuovo e “funzionante” contro le persone, mentre esistono già altri noti che si sarebbero potuti usare.
Ed effettivamente queste tesi di complotto in origine, si basavano sulla confusione tra la famiglia dei coronavirus noti e quello apparso a Wuhan, esibendo addirittura brevetti di coronavirus attenuati, che nulla potevano centrare col SARS-CoV2; solo dopo queste tesi si sono “raffinate”, coinvolgendo addirittura Bill Gates, e oscuri piani militari.
«Come per ogni complottismo – continua Lopalco – non si può dimostrare che questa tesi non sia vera, ma finché non vengono presentate delle prove, quella del virus uscito da un laboratorio rimane solo un’ipotesi fantasiosa». Sì, perché sommando una serie di “zeri”, come risultato avremo sempre uno “zero”.
Infine, ricordiamo le affermazioni di Massimo Galli, primario dell’Ospedale Sacco di Milano: «sulla base delle caratteristiche e comportamento appare evidente che è un virus che si è evoluto e cresciuto in natura, non certo in laboratorio, come ipotizzato da alcuni complottisti».
Nuovo coronavirus: pandemia o epidemia? L’intervista all’epidemiologo Pier Luigi Lopalco
5 FEBBRAIO 2020 - 06:28
di Juanne Pili
Virus fuggito da un laboratorio? Non è dimostrato. Lavarsi le mani? Lo consigliamo da sempre
«Il confronto con la Sars lo farei con molta cautela. Sono entrambi dei coronavirus, ma diversi. La maggiore differenza è nel livello di contagiosità e nella velocità con cui avviene. La Sars era una malattia più impegnativa dal punto di vista clinico, più severa e grave. Questo però la rendeva anche meno propagabile, perché i pazienti erano contagiosi esclusivamente quando c’erano dei sintomi conclamati.
«Un virus a Rna può avere delle mutazioni nelle colture cellulari, anche se sono sicuramente meno importanti, rispetto a quelle che un virus normalmente ha nella circolazione. Le colture cellulari sono standardizzate, hanno a che fare con cellule identiche.
Inoltre, i virus coltivati in laboratorio non sono sottoposti alla pressione di un sistema immunitario. Quando un virus colpisce l’uomo, ci sono alcune particelle virali che vengono uccise dal sistema immunitario.
Quelli che sopravvivono sono virus che magari hanno delle leggere differenze, quindi nel passaggio da uomo a uomo un virus muta più facilmente di quanto lo possa fare in laboratorio. Un virus coltivato viene comunque continuamente studiato, quindi le sue mutazioni verranno valutate.
«La notizia riguardante il laboratorio di Wuhan non è supportata da alcuna prova. Perché dovremmo supporre questa cosa fantasiosa, quando abbiamo l’evidenza scientifica che normalmente in Natura i virus passano dagli animali all’uomo?».
Del resto il nulla non può essere dimostrato.
«Come per ogni complottismo, non si può dimostrare che questa tesi non sia vera, ma finché non vengono presentate delle prove, quella del virus uscito da un laboratorio rimane solo un’ipotesi fantasiosa». Molto fantasiosa, caro prof, c'é solo il particolare problemino di due laboratori vicinissimi al mercato e unici nel loro genere in città e forse nell'intera Cina.
ATTUALITÀ : CORONAVIRUS (COVID-19) • ITALIA • SANITÀ
Coronavirus, il primario del Sacco di Milano: «Così abbiamo dimostrato che non è nato in laboratorio»
22 FEBBRAIO 2020 - 16:02
di Redazione
Per Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano, «sulla base delle caratteristiche e comportamento appare evidente che è un virus che si è evoluto e cresciuto in natura, non certo in laboratorio, come ipotizzato da alcuni complottisti»
Per Massimo Galli, esperto di malattie infettive e primario dell’ospedale Sacco di Milano, il Coronavirus non può essere stato creato in laboratorio, perché altrimenti sarebbe identico ad altri già esistenti, come per esempio quello della Sars, e avrebbe avuto una partenza più «piatta». Lo scienziato, che ha appena pubblicato col suo gruppo di lavoro uno studio che scatta una foto sul comportamento e le caratteristiche del virus nelle prime fasi dell’epidemia, rileva che «sulla base delle caratteristiche e comportamento appare evidente che è un virus che si è evoluto e cresciuto in natura, non certo in laboratorio, come ipotizzato da alcuni complottisti».
Ciò per vari motivi. Se fosse stato creato in laboratorio il virus «un’evoluzione diversa». Inoltre il Sars-Cov-2 «è molto simile, ma non completamente identico, ad altri coronavirus. Uno studio pubblicato su Lancet la scorsa settimana ha mostrato che il nuovo coronavirus – continua Galli – è uguale a quello del pipistrello per l’88%, a quello della Sars per il 79% e a quello della Mers per il 50%».
Se qualcuno avesse voluto mettere in giro intenzionalmente un virus «avrebbe usato quello della Sars che era già pronto. Non ha senso farne uno simile, solo in parte, ad uno già esistente». Un occhio esperto, secondo Galli, capirebbe subito riconoscere qualcosa realizzato in laboratorio.
«Se io volessi fare un supervirus dell’influenza – conclude – che di per sè è costituito da 8 geni, dovrei mettere insieme 8 geni di provenienza diversa, il cui percorso potrebbe essere individuato facilmente da un esperto del campo. Quello che abbiamo è invece un virus che si è evoluto a partire da quello del pipistrello, a cui è uguale per l’88%».
E BRRRAVO OPEN a negare ogni collegamento.
MA SARA' VERO VERO VERO?
Adesso vediamo un articolo di Scienzemag:
Wuhan seafood market may not be source of novel virus spreading globally
The Huanan seafood market in Wuhan has been widely considered the source of the outbreak of a novel coronavirus. But the virus may have infected people elsewhere first.
By Jon Cohen Jan. 26, 2020 , 11:25 PM
As confirmed cases of a novel virus surge around the world with worrisome speed, all eyes have so far focused on a seafood market in Wuhan, China, as the origin of the outbreak. But a description of the first clinical cases published in The Lancet on Friday challenges that hypothesis.
The paper, written by a large group of Chinese researchers from several institutions, offers details about the first 41 hospitalized patients who had confirmed infections with what has been dubbed 2019 novel coronavirus (2019-nCoV). In the earliest case, the patient became ill on 1 December 2019 and had no reported link to the seafood market, the authors report. “No epidemiological link was found between the first patient and later cases,” they state. Their data also show that, in total, 13 of the 41 cases had no link to the marketplace. “That’s a big number, 13, with no link,” says Daniel Lucey, an infectious disease specialist at Georgetown University.
Earlier reports from Chinese health authorities and the World Health Organization had said the first patient had onset of symptoms on 8 December 2019—and those reports simply said “most” cases had links to the seafood market, which was closed on 1 January.
Lucey says if the new data are accurate, the first human infections must have occurred in November 2019—if not earlier—because there is an incubation time between infection and symptoms surfacing. If so, the virus possibly spread silently between people in Wuhan—and perhaps elsewhere—before the cluster of cases from the city’s now-infamous Huanan Seafood Wholesale Market was discovered in late December. “The virus came into that marketplace before it came out of that marketplace,” Lucey asserts.
The Lancet paper’s data also raise questions about the accuracy of the initial information China provided, Lucey says.
At the beginning of the outbreak, the main official source of public information were notices from the Wuhan Municipal Health Commission. Its notices on 11 January started to refer to the 41 patients as the only confirmed cases and the count remained the same until 18 January. The notices did not state that the seafood market was the source, but they repeatedly noted that there was no evidence of human-to-human transmission and that most cases linked to the market. Because the Wuhan Municipal Health Commission noted that diagnostic tests had confirmed these 41 cases by 10 January and officials presumably knew the case histories of each patient, “China must have realized the epidemic did not originate in that Wuhan Huanan seafood market,” Lucey tells ScienceInsider. (Lucey also spoke about his concerns in an interview published online yesterday by Science Speaks, a project of the Infectious Disease Society of America.)
Kristian Andersen, an evolutionary biologist at the Scripps Research Institute who has analyzed sequences of 2019-nCoV to try to clarify its origin, says the 1 December timing of the first confirmed case was “an interesting tidbit” in The Lancet paper. “The scenario of somebody being infected outside the market and then later bringing it to the market is one of the three scenarios we have considered that is still consistent with the data,” he says. “It’s entirely plausible given our current data and knowledge.” The other two scenarios are that the origin was a group of infected animals or a single animal that came into that marketplace.
Andersen posted his analysis of 27 available genomes of 2019-nCoV on 25 January on a virology research website. It suggests they had a “most recent common ancestor”—meaning a common source—as early as 1 October 2019.
Bin Cao of Capital Medical University, the corresponding author of The Lancet article and a pulmonary specialist, wrote in an email to ScienceInsider that he and his co-authors “appreciate the criticism” from Lucey.
“Now It seems clear that [the] seafood market is not the only origin of the virus,” he wrote. “But to be honest, we still do not know where the virus came from now.”
Lucey notes that the discovery of the coronavirus that causes Middle East respiratory syndrome, a sometimes fatal disease that occurs sporadically, came from a patient in Saudi Arabia in June 2012, although later studies traced it back to an earlier hospital outbreak of unexplained pneumonia in Jordan in April 2012. Stored samples from two people who died in Jordan confirmed they had been infected with the virus. Retrospective analyses of blood samples in China from people and animals—including vendors from other animal markets—may reveal a clear picture of where the 2019-nCoV originated, he suggests. “There might be a clear signal among the noise,” he says.
Posted in: Asia/PacificHealthCoronavirus
doi:10.1126/science.abb0611
L'articolo di Nature, effettivamente nega (lo considera dimostrabilmente implausibile, con buona pace anche di Mazzucco che secondo me ha sbagliato a leggere le conclusioni dello studio, che si riferiva alle altre due ipotesi). Ecco un estratto:
Published: 17 March 2020
The proximal origin of SARS-CoV-2
Kristian G. Andersen, Andrew Rambaut, W. Ian Lipkin, Edward C. Holmes & Robert F. Garry
Nature Medicine (2020)
To the Editor — Since the first reports of novel pneumonia (COVID-19) in Wuhan, Hubei province, China1,2, there has been considerable discussion on the origin of the causative virus, SARS-CoV-23 (also referred to as HCoV-19)4. Infections with SARS-CoV-2 are now widespread, and as of 11 March 2020, 121,564 cases have been confirmed in more than 110 countries, with 4,373 deaths5.
SARS-CoV-2 is the seventh coronavirus known to infect humans; SARS-CoV, MERS-CoV and SARS-CoV-2 can cause severe disease, whereas HKU1, NL63, OC43 and 229E are associated with mild symptoms6. Here we review what can be deduced about the origin of SARS-CoV-2 from comparative analysis of genomic data. We offer a perspective on the notable features of the SARS-CoV-2 genome and discuss scenarios by which they could have arisen. Our analyses clearly show that SARS-CoV-2 is not a laboratory construct or a purposefully manipulated virus.
Notable features of the SARS-CoV-2 genome
Our comparison of alpha- and betacoronaviruses identifies two notable genomic features of SARS-CoV-2: (i) on the basis of structural studies7,8,9 and biochemical experiments1,9,10, SARS-CoV-2 appears to be optimized for binding to the human receptor ACE2; and (ii) the spike protein of SARS-CoV-2 has a functional polybasic (furin) cleavage site at the S1–S2 boundary through the insertion of 12 nucleotides8, which additionally led to the predicted acquisition of three O-linked glycans around the site.
1. Mutations in the receptor-binding domain of SARS-CoV-2
The receptor-binding domain (RBD) in the spike protein is the most variable part of the coronavirus genome1,2. Six RBD amino acids have been shown to be critical for binding to ACE2 receptors and for determining the host range of SARS-CoV-like viruses7. With coordinates based on SARS-CoV, they are Y442, L472, N479, D480, T487 and Y4911, which correspond to L455, F486, Q493, S494, N501 and Y505 in SARS-CoV-27. Five of these six residues differ between SARS-CoV-2 and SARS-CoV (Fig. 1a). On the basis of structural studies7,8,9 and biochemical experiments1,9,10, SARS-CoV-2 seems to have an RBD that binds with high affinity to ACE2 from humans, ferrets, cats and other species with high receptor homology7.
While the analyses above suggest that SARS-CoV-2 may bind human ACE2 with high affinity, computational analyses predict that the interaction is not ideal7 and that the RBD sequence is different from those shown in SARS-CoV to be optimal for receptor binding7,11. Thus, the high-affinity binding of the SARS-CoV-2 spike protein to human ACE2 is most likely the result of natural selection on a human or human-like ACE2 that permits another optimal binding solution to arise. This is strong evidence that SARS-CoV-2 is not the product of purposeful manipulation.
Theories of SARS-CoV-2 origins
It is improbable that SARS-CoV-2 emerged through laboratory manipulation of a related SARS-CoV-like coronavirus. As noted above, the RBD of SARS-CoV-2 is optimized for binding to human ACE2 with an efficient solution different from those previously predicted7,11. Furthermore, if genetic manipulation had been performed, one of the several reverse-genetic systems available for betacoronaviruses would probably have been used19. However, the genetic data irrefutably show that SARS-CoV-2 is not derived from any previously used virus backbone20. Instead, we propose two scenarios that can plausibly explain the origin of SARS-CoV-2: (i) natural selection in an animal host before zoonotic transfer; and (ii) natural selection in humans following zoonotic transfer. We also discuss whether selection during passage could have given rise to SARS-CoV-2.
3. Selection during passage
Basic research involving passage of bat SARS-CoV-like coronaviruses in cell culture and/or animal models has been ongoing for many years in biosafety level 2 laboratories across the world27, and there are documented instances of laboratory escapes of SARS-CoV28. We must therefore examine the possibility of an inadvertent laboratory release of SARS-CoV-2.
In theory, it is possible that SARS-CoV-2 acquired RBD mutations (Fig. 1a) during adaptation to passage in cell culture, as has been observed in studies of SARS-CoV11. The finding of SARS-CoV-like coronaviruses from pangolins with nearly identical RBDs, however, provides a much stronger and more parsimonious explanation of how SARS-CoV-2 acquired these via recombination or mutation19.
The acquisition of both the polybasic cleavage site and predicted O-linked glycans also argues against culture-based scenarios. New polybasic cleavage sites have been observed only after prolonged passage of low-pathogenicity avian influenza virus in vitro or in vivo17. Furthermore, a hypothetical generation of SARS-CoV-2 by cell culture or animal passage would have required prior isolation of a progenitor virus with very high genetic similarity, which has not been described. Subsequent generation of a polybasic cleavage site would have then required repeated passage in cell culture or animals with ACE2 receptors similar to those of humans, but such work has also not previously been described. Finally, the generation of the predicted O-linked glycans is also unlikely to have occurred due to cell-culture passage, as such features suggest the involvement of an immune system18.
Conclusions
The genomic features described here may explain in part the infectiousness and transmissibility of SARS-CoV-2 in humans. Although the evidence shows that SARS-CoV-2 is not a purposefully manipulated virus, it is currently impossible to prove or disprove the other theories of its origin described here. However, since we observed all notable SARS-CoV-2 features, including the optimized RBD and polybasic cleavage site, in related coronaviruses in nature, we do not believe that any type of laboratory-based scenario is plausible.
More scientific data could swing the balance of evidence to favor one hypothesis over another. Obtaining related viral sequences from animal sources would be the most definitive way of revealing viral origins. For example, a future observation of an intermediate or fully formed polybasic cleavage site in a SARS-CoV-2-like virus from animals would lend even further support to the natural-selection hypotheses. It would also be helpful to obtain more genetic and functional data about SARS-CoV-2, including animal studies.
NO CERTO, CARA NATURE, ASSOLUTAMENTE. ALLORA 2 DOMANDE: PERCHE' MAI UN ANIMALE INFETTO DOVEVA ESSERE PER FORZA AL MERCATO DEL PESCE E NON NEI DUE LABORATORI LI' VICINI E DOMANDA -2: COME MAI I PRIMI PAZIENTI NON SONO STATI INFETTATI AL MERCATO???
Ecco quel che dice la ricerca fatta da quei due incompetenti di cinesi: sì, quelli di cui parlava Open all'inizio dell'articolo.
The 2019-nCoV coronavirus has caused an epidemic of 28,060 laboratory-confirmed
infections in human including 564 deaths in China by February 6, 2020. Two descriptions
of the virus published on Nature this week indicated that the genome sequences from
patients were 96% or 89% identical to the Bat CoV ZC45 coronavirus originally found in
Rhinolophus affinis 1,2. It was critical to study where the pathogen came from and how it
passed onto human.
An article published on The Lancet reported that 41 people in Wuhan were found to
have the acute respiratory syndrome and 27 of them had contact with Huanan Seafood
Market 3. The 2019-nCoV was found in 33 out of 585 samples collected in the market after
the outbreak. The market was suspicious to be the origin of the epidemic, and was shut
down according to the rule of quarantine the source during an epidemic.
The bats carrying CoV ZC45 were originally found in Yunnan or Zhejiang province,
both of which were more than 900 kilometers away from the seafood market. Bats were
normally found to live in caves and trees. But the seafood market is in a densely-populated
district of Wuhan, a metropolitan of ~15 million people. The probability was very low for the
bats to fly to the market. According to municipal reports and the testimonies of 31 residents
and 28 visitors, the bat was never a food source in the city, and no bat was traded in the
market. There was possible natural recombination or intermediate host of the coronavirus,
yet little proof has been reported.
Was there any other possible pathway? We screened the area around the seafood
market and identified two laboratories conducting research on bat coronavirus. Within ~280
meters from the market, there was the Wuhan Center for Disease Control & Prevention
(WHCDC) (Figure 1, from Baidu and Google maps). WHCDC hosted animals in laboratories
for research purpose, one of which was specialized in pathogens collection and identification 4-
6. In one of their studies, 155 bats including Rhinolophus affinis were captured in Hubei
province, and other 450 bats were captured in Zhejiang province 4. The expert in collection
was noted in the Author Contributions (JHT). Moreover, he was broadcasted for collecting
viruses on nation-wide newspapers and websites in 2017 and 2019 7,8. He described that
he was once by attacked by bats and the blood of a bat shot on his skin. He knew the
extreme danger of the infection so he quarantined himself for 14 days 7. In another accident,
he quarantined himself again because bats peed on him. He was once thrilled for capturing
a bat carrying a live tick 8.
Surgery was performed on the caged animals and the tissue samples were collected for
DNA and RNA extraction and sequencing 4, 5. The tissue samples and contaminated trashes
were source of pathogens. They were only ~280 meters from the seafood market. The
WHCDC was also adjacent to the Union Hospital (Figure 1, bottom) where the first group
of doctors were infected during this epidemic. It is plausible that the virus leaked around
and some of them contaminated the initial patients in this epidemic, though solid proofs
are needed in future study.
The second laboratory was ~12 kilometers from the seafood market and belonged to
Wuhan Institute of Virology, Chinese Academy of Sciences 1, 9, 10. This laboratory
reported that the Chinese horseshoe bats were natural reservoirs for the severe acute
respiratory syndrome coronavirus (SARS-CoV) which caused the 2002-3 pandemic 9.
The principle investigator participated in a project which generated a chimeric virus using
the SARS-CoV reverse genetics system, and reported the potential for human
emergence 10. A direct speculation was that SARS-CoV or its derivative might leak from
the laboratory.
In summary, somebody was entangled with the evolution of 2019-nCoV coronavirus.
In addition to origins of natural recombination and intermediate host, the killer coronavirus
probably originated from a laboratory in Wuhan. Safety level may need to be reinforced in
high risk biohazardous laboratories. Regulations may be taken to relocate these
laboratories far away from city center and other densely populated places.
Contributors
BX designed the comment and performed literature search. All authors performed data
acquisition and analysis, collected documents, draw the figure, and wrote the papers.
Acknowledgements
This work is supported by the National Natural Science Foundation of China (11772133,
11372116).
Declaration of interests
All authors declare no competing interests.
GIUDICATE VOI. Io penso che i dubbi esistano. Eccome se esistono.
E non solo: da noi ci sono studi con l'arrivo del virus non il 22 febbraio, ma il 25 gennaio, o il 15 gennaio o sospetti che sia arrivato addirittura dalla Cina prima della fine del 2019. Ma ancora nemmeno su wikipedia ne parlano più di tanto.
Almeno Ad OPEN hanno provato a fare chiarezza su di uno studio sulla vitamina D, dal quale emerge un fatto interessante:
Il 26 marzo 2020 sono stati pubblicati due articoli sulla vitamina D e il Coronavirus che hanno destato qualche dubbio. Gli articoli sono quello di Repubblica dal titolo «Coronavirus, studio dell’Università di Torino: assumere più vitamina D per ridurre il rischio di contagio» e quello de La Stampa dal titolo «Coronavirus, lo studio dell’Università di Torino: la vitamina D può ridurre il rischio contagio».
Molti contagiati hanno questa carenza?
Attenzione! Non bisogna pensare che il Covid-19 causi una diminuzione della vitamina D nel corpo. Nel documento, alla voce «considerazioni epidemiologiche», si legge:
L’Italia è uno dei Paesi Europei (insieme a Spagna e Grecia) con maggiore prevalenza di ipovitaminosi D. Nel Nord Europa la prevalenza è minore per l’antica consuetudine di addizionare cibi di largo consumo (latte, formaggio, yoghurt ecc.) con Vitamina D
Inoltre:
In Italia, è stato dimostrato che il 76% delle donne anziane presentano marcate carenza di vitamina D, senza peraltro significative differenze regionali.
Essendo in gran parte anziane le persone ricoverate per Covid-19, risulta comprensibile che bisogni fare attenzione per evitare ulteriori complicanze.
Conclusioni
Evitare ulteriori complicanze in caso di infezione di Covid-19: su questo si basa, in fin dei conti, la raccomandazione dei due professori riguardo a un problema comune in Italia – soprattutto nella popolazione anziana – che risulta essere quella più a rischio. La vitamina D, infatti e purtroppo, non previene il contagio dal nuovo Coronavirus.
Oltre a questo, le testate giornalistiche dovrebbero fare attenzione nella definizione dei documenti pubblicati da professori e scienziati. Uno studio scientifico, per essere definito tale, dovrebbe presentare la struttura di un normale paper scientifico, e affinché sia considerato attendibile deve essere sottoposto alla peer-review, in modo da essere pubblicato in una rivista scientifica, facendo attenzione che non sia «predatoria». Di studi non sottoposti a questo rigoroso processo ce ne sono tanti, troppi, e bisogna fare molta attenzione.
https://www.open.online/2020/03/27/coronavirus-un-nuovo-studio-dimostra-che-la-vitamina-d-riduce-il-contagio-no/
EPPURE, gli articoli originali erano apparsi il 26-3-20 su Repubblica e Stampa, mica sul canale di Mazzucco:
Gli scienziati dell'Università di Torino consigliano di assumere vitamina D per combattere la pandemia da coronavirus. Lo studio dei professori di Geriatria, Giancarlo Isaia, e Istologia, Enzo Medico, è stato sottoposto ai soci dell’Accademia di Medicina di Torino che ne hanno giudicato i primi risultati “molto interessanti”. Il documento analizza possibili concause per il contagio da Covid-19 e propone la vitamina D non certo come cura, ma come strumento per ridurre i fattori di rischio.
I primi dati preliminari raccolti in questi giorni a Torino indicano che i pazienti ricoverati per Covid-19 presentano una elevatissima prevalenza di Ipovitaminosi D. “Il compenso di questa diffusa carenza vitaminica può essere raggiunto innanzitutto esponendosi alla luce solare per quanto possibile, anche su balconi e terrazzi, alimentandosi con cibi ricchi di vitamina D e, sotto controllo medico, assumendo specifici preparati farmaceutici” sostengono i ricercatori.
L'analisi, svolta anche a seguito delle recentissime raccomandazioni della British Dietetic Association, ha approfondito il ruolo che potrebbe svolgere la carenza di Vitamina D, che in Italia interessa una vasta fetta della popolazione, soprattutto anziana, in questa pandemia. Nel documento gli autori suggeriscono ai medici, in associazione alle ben note misure di prevenzione di ordine generale, di assicurare adeguati livelli di Vitamina D nella popolazione, “ma soprattutto nei soggetti già contagiati, nei loro congiunti, nel personale sanitario, negli anziani fragili, negli ospiti delle residenze assistenziali, nelle persone in regime di clausura e in tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare”. Inoltre, potrebbe anche essere considerata la somministrazione della forma attiva della Vitamina D, il Calcitriolo, per via endovenosa nei pazienti affetti da coronavirus e con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa.
“Queste indicazioni derivano da numerose evidenze scientifiche – scrivono i professori - Che hanno mostrato un ruolo attivo della Vitamina D sulla modulazione del sistema immune, la frequente associazione dell’Ipovitaminosi D con numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, tanto più in caso di infezione da Covid-19, un effetto della Vitamina D nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus e la capacità della vitamina D di contrastare il danno polmonare da iperinfiammazione”.
Il ruolo sul sistema immunitario
Le indicazioni derivano da numerose evidenze scientifiche che hanno mostrato un ruolo attivo della vitamina D sulla modulazione del sistema immune, la frequente associazione dell’Ipovitaminosi D con numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, tanto più in caso di infezione da Covid-19, un effetto della vitamina D nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus, e la sua capacità di contrastare il danno polmonare da iperinfiammazione.
https://torino.repubblica.it/cronaca/2020/03/26/news/coronavirus_studio_dell_universita_di_torino_assumere_piu_vitamina_d_per_ridurre_il_rischio_di_contagio-252369086/