17-11-20:
E vvvvai altre belle notiziole sul COVID. Ne ho radunate un mucchio, anche eterogeneo perché veramente non si sa dove sbattere la testa senza trovarne di nuove.
La bufala delle ambulanze che girano a vuoto guidate da "attori"
Secondo i complottisti emergenza, ambulanze e malati sono solo una finzione. Il racconto di un soccorritore: "Ci dicono che andiamo in giro a seminare il panico, non capisco come sia possibile"
www.today.it/attualita/bufala-ambulanze-girano-a-vuoto.html
31 ottobre 2020 12:40
Paolo ha 23 anni e da quando ne aveva 18 fa il volontario nella pubblica assistenza Croce d’Oro di Sampierdarena, a Genova. Mai nella vita avrebbe pensato di dover essere chiamato "attore" semplicemente per fare il suo lavoro: quello di soccorrere le persone che hanno bisogno di assistenza. Eppure è quello che è accaduto, anzi è quello che sta accadendo. Sui social circolano da giorni foto e video che secondo i negazionisti del Covid smonterebbero l'emergenza sanitaria nei pronto soccorso: tutto falso, tutto costruito ad arte in nome di chissà quale supremo interesse.
Coronavirus, le fake news sugli ospedali vuoti
Su Facebook ad esempio c’è un gruppo pubblico creato pochi giorni fa per raccogliere i video che documentato le presunte “fakenews dei giornali di stato”. Uno dei filmati che ottenuto maggior successo (ne abbiamo parlato ieri) è quello che girato in una sala d’attesa dell’ospedale Sacco di Milano che dimostrerebbe come emergenza, ambulanze e malati siano solo una finzione. In realtà quella che viene ripresa nel video è una sala d’aspetto dedicata ai parenti dei pazienti, i quali ovviamente dall’inizio della pandemia non possono più accedere all’ospedale.
Un'altra bufala ricorrente è quella delle ambulanze che girano a vuoto. Secondo i complottisti non trasportano i malati, ma escono a sirene spiegate solo per gettare nel panico la popolazione. Insomma, sarebbero un altro elemento della fiction.
Il racconto del volontario: "Ci chiamano attori, non capisco come sia possibile"
Paolo è uno dei tantissimi volontari che sta fronteggiando la seconda ondata di coronavirus in Liguria, regione in cui i contagi salgono a livello vertiginoso. Ed è uno dei tantissimi volontari che spesso si ritrovano bloccati in coda con l’ambulanza davanti agli ospedali per il massiccio afflusso di persone che arrivano ai pronto soccorso. Sono giornate faticose, piene di tensione, che a 23 anni affronta con grinta e, quando può, con il sorriso. Ma quella bufala non riesce proprio a sopportarla. "Ci chiamano attori, pensano che non siamo soccorritori, che andiamo in giro a seminare panico" racconta il ragazzo a Andrea Barsanti di GenovaToday.
"Molta gente pensa che sia tutta una finzione e che le foto e i video siano fake o vecchi, non capisco come sia possibile" si sfoga . "Noi ormai viviamo le giornate consapevoli che il 99% delle volte, quando si esce in urgenza, è per un sospetto covid. La gente che non crede che sia davvero così dovrebbe venire a fare un giro con noi, io al Villa Scassi sono di casa e la situazione è peggiore della prima volta in termini di quantità di persone. Così è anche al San Martino e al Galliera".
Certo, non tutti quelli che chiamano l’ambulanza sono pazienti gravi. "Ci sono persone che chiamano per febbre o raffreddore, perché hanno paura, e vogliono andare in ospedale. Devo dire che i sintomi ora sono meno gravi, ma c’è molta più affluenza rispetto a marzo”. Ma l’emergenza non è una finzione. Paolo e i colleghi ogni giorno fanno 20, 30 uscite, e spesso si ritrovano davanti ai pronto soccorso, in coda, sino a notte fonda. "Quando ci dicono che ci inventiamo le cose, davvero ci sentiamo presi in giro".
milano.repubblica.it/cronaca/2020/11/15/news/lettera_aperta_ai_negazionisti_basta_falsita_
Coronavirus, lettera-appello ai negazionisti: "Basta con le falsità, di mia madre è rimasto solo un sacco con i vestiti"
di Lucia Landoni
Il post affidato ai social è stato scritto dalla giornalista milanese Moira Perruso dopo che il personale sanitario del Policlinico San Donato le ha consegnato gli abiti che sua madre aveva al momento del ricovero
15 NOVEMBRE 2020
"Per chi nega, per chi specula, per chi non ha protetto: che possiate sentire anche voi il rumore del cuore in frantumi". Poche parole per descrivere il dolore straziante di una figlia che ha appena perso la madre a causa del Covid-19: le ha affidate a Facebook la 50enne giornalista milanese Moira Perruso, con un post condiviso e commentato centinaia di volte in poche ore. Uno sfogo nato di fronte al sacco consegnatole dal personale sanitario del Policlinico San Donato, contenente gli abiti che sua madre Mafalda indossava al momento del ricovero.
"È tutto ciò che mi hanno restituito di lei e per i prossimi sei giorni non potrò nemmeno aprirlo perché il contenuto è infetto. Questo aggiunge dolore al dolore, perché mi sarebbe stato di conforto poter stringere quei vestiti per sentire ancora una volta l'odore di mamma - racconta - invece il coronavirus mi nega anche questo, oltre alla possibilità di baciarla e abbracciarla un'ultima volta. E c'è ancora chi si permette di sostenere che non esiste". Moira e i suoi cari hanno pagato e stanno pagando un prezzo altissimo alla seconda ondata della pandemia: pochi giorni prima di sua madre il virus ha portato via anche la zia, mentre il padre è ricoverato in ospedale e la sorella è positiva, confinata in casa da 25 giorni.
"Avevo una famiglia bellissima che ora di fatto non esiste più, perché anche chi di noi ne uscirà non sarà la stessa persona di prima - continua - . La nostra sofferenza secondo i negazionisti sarebbe inventata? Come possono negare che le vite di tutti noi siano cambiate per sempre?". La signora Mafalda stava bene fino a un paio di settimane fa: "Prima che il Covid sconvolgesse il loro mondo lei e mio padre, entrambi 83enni, abitavano a Buccinasco, al quarto piano di un palazzo senza ascensore e non avevano mai avuto problemi a fare le scale tutti i giorni senza alcun aiuto - prosegue Moira Perruso - . Non sappiamo come il virus sia entrato in casa. Mamma ha iniziato ad avere dei dolori allo stomaco, tant'è vero che pensavamo si trattasse di un problema intestinale" . Poi sono arrivate le difficoltà respiratorie e il ricovero in ospedale, dov'è rimasta per 15 giorni prima di arrendersi al coronavirus: "Le avevano messo il casco Cpap, ma lo scorso sabato ci avevano chiamato per comunicarci che l'avrebbero dimessa presto perché la saturazione era buona. Poi la situazione è precipitata all'improvviso, in pochi giorni, e mamma se n'è andata".
Ora la salma è stata trasportata a Bergamo per la cremazione - "abbiamo dovuto mandarla là perché a Milano c'erano già 300 bare in attesa" - e il funerale si terrà tra una decina di giorni, nella speranza che per allora i familiari siano negativi e possano darle un ultimo saluto. "In questo momento mi sento smarrita, ma ho ben chiara una cosa: la verità va affrontata e vissuta, non ha senso negarla o cercare di allontanarla attribuendone la responsabilità a qualcun altro - sottolinea Perruso - . I negazionisti seminano morte e dolore, spaccando la società, ma sbaglia anche chi dà tutte le colpe ai politici. La responsabilità è individuale, ciascuno di noi deve fare la propria parte per arginare la diffusione del virus".
Invece di negare, bisognerebbe "denunciare ciò che non funziona - conclude la giornalista - . Penso per esempio ai tamponi: tutti noi, contatti diretti di una persona ammalata di Covid, li abbiamo dovuti fare privatamente, pagando un capitale. È una sconfitta per la sanità pubblica. Bisogna risolvere questi problemi, non urlare che il coronavirus è un'invenzione. Esiste, purtroppo, e spero che per capirlo non serva a ciascuno vedere un sacco con i vestiti di una persona che ama".
Dal Messaggero:
Covid, Iva Zanicchi torna casa: «Grazie ai miei eroi»
www.ilmessaggero.it/video/cronaca/covid_iva_zanicchi_torna_casa_grazie_ai_miei_eroi-5591245.html
Una bella notizia che arriva direttamente dal profilo ufficiale di Iva Zanicchi. La cantante su Instagram annuncia di essere guarita dal Covid e lo fa con un video girato insieme allo staff medico dell'Ospedale di Vimarcate, reparto "Tulipano Rosso": «Sono uscita dall’ospedale vado a casa. Volevo ringraziare loro, perché non sono solo eroi, sono PROFESSIONISTI. Fanno dei grandi sacrifici e non si fermano MAI! Vi auguro ogni bene!!!! E grazie anche a tutti voi per i bellissimi messaggi che ho ricevuto in questi giorni. Fate attenzione, un bacio»
(PS la Zanicchi ha perduto il fratello 77enne, sempre per il COVID, pochi giorni dopo).
Gerry Scotti racconta il Covid: «Trentasei ore in anticamera terapia intensiva con l'ossigeno»
www.ilmessaggero.it/persone/gerry_scotti_covid_come_sta_news_racconto-5591476.html
Martedì 17 Novembre 2020 di Paolo Travisi
Gerry Scotti racconta il Covid: «Trentasei ore in anticamera terapia intensiva con l'ossigeno»
Per Gerry Scotti i momenti più brutti legati al Covid sono ormai un ricordo. Il popolare conduttore televisivo ha raccontato ai microfoni di Radio Deejay, dove ha lavorato agli inizi della sua carriera, della bruttissima esperienza di ricovero ospedaliero, reso necessario dall'aggravarsi delle sue condizioni. Scotti, infatti, settimane fa aveva annunciato sul suo profilo Instagram di aver preso il Covid, ma di stare abbastanza bene, ovviamente in isolamento domiciliare.
Gerry Scotti, come sta. L'ufficio stampa: «Mai stato in terapia intensiva, decorso simile a Carlo Conti»
Oggi, però, nel corso del programma radiofonico di Radio Deejay, è stato chiamato da Linus e Nicola Savino a cui ha raccontato i momenti più acuti della patologia. «Non è stata una passeggiata, ho visto una storia vera, quella con la C maiuscola - ha risposto a Linus che gli chiedeva come si sentisse ora - tutti sperano di non prenderlo, ma quando ti accorgi che il sistema casalingo non basta, allora devi andare da quelli che hanno fatto la pratica (medici ed infermieri ndr), ti devi fidare, ma non ti devi spaventare, anche se l'ambiente....insomma ci siamo capiti».
Gerry Scotti è stato ricoverato 13 giorni in ospedale, «di cui gli ultimi 3 di svezzamento, per così dire, nel senso che devi reimparare a mangiare, camminare, respirare». Ma all'ottimismo di oggi, il conduttore Mediaset, non nasconde la paura dei giorni passati. «Sono stato fisicamente in una stanza che era nell'anticamera della terapia intensiva, mi hanno messo lì per non spaventarmi. Ma c'era una porta di vetro e ho visto tutto ciò che succedeva. Grazie a Dio ci sono stato 36 ore e mi sono bastate per tutta la vita. Ho visto tutto ciò che è stato, che è e che sarà».
Linus poi gli chiede quali sono stati i sintomi del Covid, e le sensazioni fisiche che ha provato nei giorni più acuti della malattia. «Ho preso l'ossigeno, cortisone ed antibiotico. Quando si parla di ossigeno, tutti noi pensiamo al fattore polmonare, ma da lì l'ossigeno arriva a tutto il corpo, reni, fegato, alla circolazione e se non arriva correttamente, la saturazione comincia a scendere e la batteria del tuo telefono inizia a spegnersi. Poi sono arrivate la cannula nasale, quella forzata e lo confesso anche il casco. Ho dovuto provarlo, perché non solo ti dà l'ossigeno, ma aiuta a fare la ginnastica ai polmoni».
Gerry Scotti è stato ricoverato nel centro Covid di Humanitas, «stavo da solo in una stanza e quando sei in quella situazione va bene tutto. So che ci ascoltano molte delle persone che ci lavorano e non vogliono essere chiamati eroi, ma persone che fanno bene il loro lavoro».
Vercelli, morto per Covid monsignor MInghetti, era stato missionario in Africa e Sudamerica
Aveva 87 anni, in Rwanda aveva strappato alla guerra molti bambini
torino.repubblica.it/cronaca/2020/11/14/news/vercelli_morto_per_covid_monsignor_minghetti_era_stato_missionario_in_africa_e_sudamerica
14 NOVEMBRE 2020
E' morto questa mattina all'ospedale Sant'Andrea di Vercelli, all'età di 87 anni, monsignor Giuseppe Minghetti, una delle figure più conosciute della diocesi vercellese per il suo impegno in diverse missioni umanitarie in Africa. La morte, come confermato dalla stessa Arcidiocesi, è stata causata dal Covid-19.
Ordinato sacerdote nel duomo di Vercelli nel 1967, fu viceparroco a Moncrivello, e dal 1961 partì come missionario prima in Burundi, poi in Rwanda, e in fine in Bolivia, presso la diocesi di Santa Cruz de la Sierra. Proprio dal Rwanda, all'inizio degli anni '90, era riuscito a strappare diversi bambini e giovani dalla guerra, portandoli a Vercelli: in quell'occasione l'intera città si mobilitò per aiutare padre Minghetti nella sua missione e i suoi ragazzi. Di lui i cittadini ricordano la vicinanza alle persone più deboli e alle periferie, in cui combatteva violenza e povertà. Da due anni era canonico del Capitolo della Cattedrale di Sant'Eusebio, sotto il titolo di San Teonesto. Le esequie si terranno martedì 17 novembre alle 9,30 in cattedrale.
E poi un altro eroe dimenticato, mica faceva le piazzate no-mask...
Milano, è morto per Covid Berni, il fornaio che durante il lockdown regalava il pane ai poveri
www.fanpage.it/milano/milano-e-morto-per-covid-berni-il-fornaio-che-durante-il-lockdown-regalava-il-pane-ai-poveri/
Non ce l’ha fatta Berni, al secolo Gianni Bernardino, panettiere di via Paolo Sarpi a Milano, morto a causa del contagio da Covid. Durante il lockdown della scorsa primavera aveva regalato i suoi prodotti a tutti coloro che ne avessero bisogno ponendoli all’interno di ceste lasciate fuori dal suo negozio.
ATTUALITÀCRONACA 12 NOVEMBRE 2020 Filippo M. Capra
In Paolo Sarpi lo conoscevano in molti, forse tutti. Per trent'anni ha sfornato brioche e panini caldi per i grandi e i più piccoli. Poi è arrivato il Covid, il lockdown, e Berni – così era conosciuto Gianni Benardinello – aveva deciso di regalare le sue sfiziosità a chi più ne aveva bisogno. Fuori dal suo negozio aveva fatto trovare intere ceste di prodotti accompagnate da un messaggio semplice: "Per andare incontro a chi ha bisogno. Servitevi pure e pensate anche agli altri". Purtroppo però la seconda ondata del contagio l'ha portato via. Aveva 76 anni.
Durante il lockdown aveva regalato le brioche
Era un instancabile, Berni. Aveva imparato anche a costruire i droni e aveva fondato una startup con cui avrebbe iniziato a produrne su base industriale. Ai clienti del suo bistrot raccontava, tra una consegna e l'altra, di quello che aveva fatto nella vita: dall'orafo all'inventore di penne stilografiche, fino alla copertura della carica di vicesindaco a Trezzano sul Naviglio, il fotografo di moda, il pilota. Diceva che "non c’è mestiere che non abbia esercitato e non c’è un ruolo qui dentro che non sappia svolgere anche io: dal pane all’impianto elettrico". Ieri, mercoledì 11 novembre, i funerali in una Chinatown che lo ha ricordato senza dare vita ad assembramenti.
Cinquanta tipi di pane diversi ma un solo metodo per fare i biscotti
Ogni giorno avanzava pane e brioche che metteva in vendita a prezzi stracciati il giorno seguente qualora i poveri non lo ritirassero gratuitamente la sera prima. Nel suo negozio si trovano ancora cinquanta tipi di pane differenti, mentre per quanto riguarda i biscotti era più legato alla tradizione: usava ancora la ricetta creata dalla bisnonna. Ora, tutto passerà in mano alla famiglia. Samuela, una delle figlie, ha dichiarato che "papà sognava che Paolo Sarpi diventasse la strada più bella di tutta Milano. Lavoreremo anche per questo, dal nostro forno di famiglia".
Antonio Casillo, il chirurgo estetico che a marzo aveva scelto la battaglia in corsia: è morto al Covid Hospital di Boscotrecase
www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/15/antonio-casillo-il-chirurgo-estetico-che-a-marzo-aveva-scelto-la-battaglia-in-corsia-morto-al-covid-hospital-di-boscotrecase
Aveva 57 anni e si era messo a disposizione da quando in primavera c'era carenza di personale. Il cordoglio dei colleghi: "Un uomo buono e sempre disponibile, un amico, un professionista"
di F. Q. | 15 NOVEMBRE 2020
Treviso, nella casa di cura c’è la “stanza degli abbracci”: ospiti e parenti possono toccarsi. La direttrice: “Contatto fisico esigenza primaria”
“Un sacchetto di vestiti è quel che resta di mia mamma”: il post-sfogo di una figlia diventa un monito “per chi nega e per chi specula”
Lo scorso marzo era andato al Covid Hospital di Boscotrecase, in provincia di Napoli, per affrontare in prima linea l’emergenza sanitaria. Antonio Casillo, chirurgo estetico con trent’anni di carriera alle spalle e medico di Pneumatologia, ha contratto il coronavirus in corsia mentre assisteva centinaia di persone affette dal Covid-19. E alla fine, come è accaduto a tanti colleghi, ha lottato per riprendersi e tornare dai suoi pazienti, ma non c’è stato niente da fare: è morto la sera del 12 novembre su un lettino della rianimazione dell’ospedale di Boscotrecase.
Casillo, 57 anni, originario di San Giuseppe Vesuviano, aveva studiato alla Federico II di Napoli per poi laurearsi in Chirurgia e Medicina estetica. Il 22 ottobre sui social si era espresso contro i ritardi del governo nella risposta all’emergenza sanitaria: “Non siete in grado di proteggere gli italiani”, era il post che aveva condiviso. Come tanti altri medici si è ritrovato a passare dal combattere la malattia in corsia ad essere ricoverato dopo essere stato contagiato: dopo alcune settimane nel reparto Covid, è stato trasferito in rianimazione, dove alla fine si è spento. “Un uomo buono e sempre disponibile, un amico, un professionista” lo ricordano sulla pagina facebook dell’ospedale Covid di Boscotrecase.
Savona, otto medici al telefono per fare da tramite tra i ricoverati e i loro familiari
genova.repubblica.it/cronaca/2020/11/12/news/savona_otto_medici_al_telefono_per_fare_da_tramite_tra_i_ricoverati_e_i_loro_familiari-274128441/
di Erica Manna
Il personale dell'ospedale San Paolo di Savona, al centro il primario di medicina interna
I parenti non possono entrare in ospedale, gli specialisti dei reparti riconvertiti al Covid si sono offerti di dare una mano per alleggerire il lavoro dei colleghi in prima linea
12 NOVEMBRE 2020
Quella telefonata non è un bollettino medico: è lo spiraglio per entrare dove non si può entrare. “Per chi la aspetta è una ragione di vita: l’unico momento in cui i familiari possono avere notizie dei propri cari, che stanno soffrendo. Li hanno visti portare via da un’ambulanza, e non sanno se li rivedranno”. Giuseppe Sanna, oculista all’ospedale San Paolo di Savona, è dall’altra parte del filo: anzi, è quel filo. Lui, e altri otto specialisti - dermatologi, otorini, terapisti del dolore, in un ospedale che ha visto riconvertire quattro piani quasi interamente per il Covid - si sono offerti di dare una mano: una richiesta spontanea, per alleggerire il lavoro in prima linea dei colleghi impegnati nei reparti cosiddetti “sporchi”. “Svolgono un lavoro che la gente non può immaginare: è difficile spiegare la dedizione e il sacrificio dei medici, degli infermieri e degli operatori nei reparti Covid – continua Sanna – noi, rispetto a loro, siamo un complemento: ma per le persone a casa è comunque un ruolo importante. Perché ti aspettano. E non può diventare routine, questa: ti devi dedicare. Cercare di farli entrare pian pianino in questo reparto, portarli nel tuo mondo rendendolo il più chiaro possibile. Farti fare mille domande, mille davvero: perché hanno bisogno di parlare, di sentirsi coinvolti. Bisogna provare a immaginare lo stato d’animo di queste persone, che non hanno informazioni e che friggono per tutto il tempo, aspettando di sentirci. Si trattengono, perché vorrebbero telefonare centocinquanta volte. Aspettano buone notizie, che a volte non arrivano. Tu li devi ascoltare, consolare, spesso prevale la disperazione. È una situazione che potrebbe capitare a tutti: potrebbe capitare a noi”.
Rodolfo Tassara è il direttore di dipartimento e il primario di Medicina interna del San Paolo di Savona, la parte “pulita”: durante l’emergenza ha preso in carico anche il sesto piano, convertito per i malati Covid. “L’idea delle telefonate domiciliari ha preso corpo già a marzo e ad aprile – racconta - allora come adesso i reparti sono pieni. Abbiamo dedicato quattro piani al coronavirus: l’ottavo, che è Malattie infettive, il settimo, dove c’era Neurologia che ora è stata compressa e spostata in un reparto più piccolo, poi il sesto, dove c’era Ortopedia, anche questa ridotta e spostata, e il quinto, Medicina interna. In tutto, novanta ricoverati. Quasi altrettanti sono ad Albenga: facciamo capo alla stessa azienda sanitaria”.
Insieme alla necessità di riconvertire i reparti, è emersa la proposta degli specialisti che hanno visto ridurre la propria attività: dare una mano in un altro modo. Diventare il tramite tra i malati e le loro famiglie, rimaste a casa, al buio. “È uno dei drammi di questo virus: ti impedisce di stare vicino ai tuoi cari – spiega Tassara – per questo la necessità di avere notizie è più impellente. Così, tutte le mattine, insieme al medico del piano c’è un otorino, oculista o dermatologo che prende le consegne e annota la situazione di tutti i pazienti. Poi si sistema in uno studio e inizia il giro di telefonate ai parenti, li informa. Suppliamo, per quello che si può: è un servizio che portiamo avanti anche per i pazienti non Covid, perché gli accessi a tutte le visite sono limitati, vista la situazione”.
“Nessuno, da fuori, può comprendere bene che questi reparti non sono come gli altri – racconta Giuseppe Sanna - il personale che entra nell’area sporca è straordinario, ha uno spirito di sacrificio pazzesco. I pazienti vivono un’esperienza pesante e difficoltosa: sono soli. E i parenti, a casa, non hanno bene la percezione di quello che accade: per questo bisogna accompagnarli alla fine del percorso. Quando si risolve con la dimissione è una gioia straordinaria. In alcuni casi, è necessario aiutarli ad accettare l’ineluttabile. Quando chiami devi capire lo stato d’animo che c’è dall’altra parte. Le persone si sfogano, tirano fuori tutto. Quando è possibile organizziamo anche degli incontri visivi con il tablet, che sono da brividi: emotivamente ti gratificano, ma impegnano tanto. A volte sono gli ultimi saluti. E no, non siamo eroi, né psicologi, niente di tutto ciò: siamo solo esseri umani”.
Il Coronavirus uccide la mamma e il papà a distanza di 100 giorni, bimbo di 5 anni resta orfano
www.fanpage.it/esteri/il-coronavirus-uccide-la-mamma-e-il-papa-a-distanza-di-100-giorni-bimbo-di-5-anni-resta-orfano/
La storia del piccolo Raiden Gonzalez, rimasto orfano a soli 5 anni dopo che i suoi genitori, Mariah e Adan, sono morti a causa del Coronavirus rispettivamente a 29 e 33 anni e a distanza di poco più di 3 mesi. Il dolore della nonna. “Cosa posso dirgli? Come posso spiegargli cosa è successo? Allora gli ho detto che ora sono angeli che vegliano su di noi e ci proteggono”.
ESTERI 15 NOVEMBRE 2020
Ha perso la mamma e il papà, uccisi a un centinaio di giorni di distanza dal Coronavirus, ed ora Raiden Gonzalez, che compirà 5 anni entro la fine di novembre, è rimasto orfano. La sua storia arriva direttamente dagli Stati Uniti, precisamente da San Antonio, in Texas. La mamma del piccolo, Mariah, è morta all'inizio di ottobre dopo aver contratto il Covid-19, nonostante la giovane età, dopo che la stessa sorte era toccata al marito Adan qualche mese prima. "Gli manca sua madre – ha detto all'emittente americana NBC News sua nonna, Rozie Salinas –. Proprio stamattina mi ha detto che desidera rivederla. Cosa posso dirgli? Come posso spiegargli cosa è successo? Allora gli ho detto che ora sono angeli che vegliano su di noi e ci proteggono".
Il calvario della famiglia Gonzalez è cominciato qualche mese fa, quando un collega del papà di Raiden, che lavorava come camionista, è risultato positivo al Coronavirus. Dopo qualche giorno anche Adan risulta contagiato: era il 3 giugno scorso. Ai familiari i sanitari aveva detto che si trattava di uno dei casi più difficili che avessero mai visto fino a quel momento e alla fine non hanno potuto fare nulla per salvarlo. E' morto il 26 giugno a soli 33 anni. Stessa sorte è toccata alla mamma Mariah, che il 5 ottobre scorso, poco dopo aver manifestato i primi sintomi, è deceduta a 29 anni lasciando increduli tutti coloro che la conoscevano. Solo alcuni giorni dopo la sua morte, Salinas ha ricevuto una telefonata dall'ospedale che le diceva che Mariah era risultata positiva al Coronavirus.
Una notizia che ha devastato il piccolo Raiden, che il prossimo 28 novembre spegnerà le 5 candeline. Un evento, però, che la nonna, nonostante il lutto, non vuole mancare di festeggiare. Lei e sua sorella hanno avuto un'idea: organizzare un raduno di auto e mezzi pesanti. "D'altronde – ha concluso – è lui che mi aiuta a superare questo momento, mi ringrazia sempre per essermi preso cura di lui. È una situazione difficile da elaborare".
Per chi dice che 'questa malattia ammazza solo i vecchi e malati'. Loro sicuramente non erano vecchie, e non parrebbe nemmeno fossero malate. Ma in ogni caso, non sarebbe l'ora di piantarla con questi distinguo?
L'ultimo saluto solo via webcam per la ragazza morta a 21 anni di Covid
torino.repubblica.it/cronaca/2020/11/14/news/l_ultimo_saluto_solo_via_webcam_per_la_ragazza_morta_a_21_anni_di_covid
di Carlotta Rocci
Tutti i familiari di Chiara Cringolo sono positivi e non hanno potuto partecipare al funerale
14 NOVEMBRE 2020
Una macchina fotografica inquadra fissa la bara e poi si sposta sul prete che celebra il funerale di Chiara Cringolo, la ragazza, madre di un bimbo di 13 mesi morta di Covid a 21 anni. I suoi genitori, Barbara e Antonio, le sue sorelle e il suo compagno Mario hanno dato così l’ultimo saluto a casa, chiusi in quarantena perché anche loro sono risultati positivi al covid. In loro rappresentanza in chiesa, a Romano Canavese c’era il sindaco Oscarino Ferrero e la sorella maggiore Simona, l’unica che vive da sola e che non ha avuto contatti con la sorella prima del ricovero.
Quando i famigliari saranno guariti dal virus, nella stessa chiesa dove ieri si sono svolti i funerali, sarà celebrata una messa in suffragio della ragazza e quella volta, sperano i famigliari, di poter essere tutti presenti. I genitori e il compagno di Chiara si erano sottoposti al tampone pochi giorni prima del funerale ma l’esito non è arrivato in tempo. Così è stato lo stesso direttore del sisp di Ciriè a consigliare al sindaco di evitare la partecipazione dei genitori di Chiara alle esequie celebrate da don Jacek Peleszyk e don Silvio Faga di Strambino.
I genitori di Chiara non hanno più visto, nemmeno sullo schermo del tablet, Chiara dal 20 ottobre quando la giovane era stata ricoverata in terapia intensiva alle Molinette.
Luzzara, Martina muore a 21 anni per Covid: “Virus ha spezzato una vita che stava germogliando”
www.fanpage.it/attualita/luzzara-martina-muore-a-21-anni-per-covid-virus-ha-spezzato-una-vita-che-stava-germogliando/
Martina Bonaretti, 21enne di Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, è morta martedì sera a causa di Covid-19. La ragazza, dopo aver manifestato i sintomi della malattia, è stata trasferita sei giorni fa in ospedale e poi nel reparto di terapia intensiva dove si è infine verificato il decesso. L’ex sindaco Costa: “La malattia ha spezzato una vita che stava ancora germogliando. Usiamo meno leggerezza d’ora in avanti nel parlare del virus”.
ATTUALITÀ 18 NOVEMBRE 2020 11:12di Ida Artiaco
Lutto a Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, dove una ragazza di soli 21 anni, Martina Bonaretti, è deceduta a causa del Covid-19. Si tratta di una delle vittime più giovani della pandemia in Italia. A darne notizia è stato l'ex sindaco del comune emiliano, Andrea Costa, oggi consigliere regionale, con un messaggio su Facebook: "Quasi sempre evito di parlare di chi ci lascia, soprattutto se appartiene alla famiglia della nostra comunità locale. Ma questa volta non posso evitarlo. Perché stasera si è spenta una straordinaria ragazza, che aveva solamente 21 anni e che è stata aggredita dal Covid – si legge nel messaggio -. Lo so che da mesi, purtroppo, sentiamo parlare di decessi, e già altre famiglie hanno dovuto piangere i loro cari. Ma questa sera è diverso. Questa sera fa più effetto perché la malattia ha spezzato una vita che stava ancora germogliando. Usiamo meno leggerezza d’ora in avanti nel parlare della malattia, e quella leggerezza invece mettiamola nei rapporti tra le persone che spesso si deteriorano per delle stupidaggini".
Martina lascia i genitori e una sorella. Da sei giorni era ricoverata all'ospedale di Guastalla dopo aver manifestato i sintomi tipici del Coronavirus. All'inizio le sue condizioni non sembravano preoccupanti, ma poi la situazione è precipitata e si è reso necessario il trasferimento in terapia intensiva. Poi martedì sera il tragico epilogo, che nessuno mai avrebbe potuto immaginare. "Usiamo di più il cuore, come sapeva fare Martina, come le avevano insegnato a fare nella sua generosa famiglia a cui va il mio abbraccio più forte", ha concluso Costa.
La notizia della morte di Martina arriva circa una settimana dopo quella di Chiara, giovane mamma di Romano Canavese, nel Torinese, morta sempre a 21 anni dopo essere risultata positiva al Coronavirus. La ragazza aveva manifestato i primi sintomi come tosse e febbre alta lo scorso 20 ottobre, è stata trasferita in terapia intensiva dopo l'aggravarsi delle sue condizioni finché la situazione non è precipitata. Come hanno affermato i suoi genitori, a loro volta contagiati dal virus, la ragazza non aveva patologie pregresse: "Neanche un problema al cuore. Dopo essere risultata positiva al tampone per il Coronavirus è finita in ospedale con difficoltà respiratorie, poi non sappiamo cosa sia successo", hanno sottolineato. Anche in quel caso è stato il sindaco ad annunciare quanto accaduto: "La notizia ci ha lasciato attoniti – ha scritto il primo cittadino, Oscarino Ferrero – e ci rende consapevoli che le conseguenze di questa pandemia ci possono toccare da molto vicino. Questa morte ci testimonia che il virus è letale non solo per una certa fascia della popolazione".
Quando ho visto questa notizia pensavo fosse un doppione. Invece no, è un'altra persona. Un'altra 21enne. Ma si sa, per i negazionisti questi casi non esistono. E nemmeno per Confindustria.
Covid, anziani sposati da 63 anni muoiono lo stesso giorno a un'ora di distanza
www.ilmessaggero.it/salute/storie/covid_anziani_marito_e_moglie_muoiono_stesso_giorno-5591413.html
Martedì 17 Novembre 2020
Sessantatre anni insieme, praticamente tutta una vita. Olga e Vincenzo Molino, sposati da 63 anni, sono morti di Covid lo stesso giorno. Abitavano in un appartamento a Sesto San Giovanni (Milano) e se ne sono andati a distanza di un'ora, domenica pomeriggio: 83 anni lei e 82 lui. «Non uscivano, erano molto prudenti, solo il nonno andava a far la spesa e in farmacia, purtroppo si sono ammalati - racconta Katia, una dei sei nipoti, che vive nella Bergamasca -. Avevano festeggiato i 63 anni di matrimonio il 26 settembre ed erano sempre insieme. Porterò con me il ricordo della nonna, pugliese, mentre preparava a mano le orecchiette e il nonno accanto a lei che le prendeva una ad una per aiutarla». Olga e Vincenzo sono stati ricoverati al San Gerardo di Monza l'11 novembre, ma già da una decina di giorni stavano male, con febbre molto alta.
«È stato il nonno a manifestare i primi sintomi - racconta Katia - e poi anche la nonna. Nonostante la febbre alta, per oltre una settimana il medico non è mai uscito a visitarli, gli ha dato un antibiotico dicendo che era influenza e invece era Covid-19. L'11 mattina avevano 68 di saturazione lui e 86 lei, così gli zii hanno chiamato il 112 e sono stati portati via insieme». Non erano nella stessa camera ma Olga, le cui condizioni erano meno gravi, aveva chiesto di poter tenere nella stanza una giacca del marito, per sentirlo vicino.
E sono stati poco tempo lontani: dopo soli 4 giorni, alle 14 di domenica Olga è morta e un'ora dopo anche Vincenzo.
(NdA: ma sono morti di COVID... oppure di MALASANITA'... no dico, è la famosa Lombardia, quella che c'ha la mejio sanità dell'universo...)
Covid, 90enne ricoverato al medico: “Lasciami andare, non perdete tempo con me”. Il dottore lo salva: “Ci dai la voglia di continuare”
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La storia dell'anziano del Comasco ricoverato nell'ospedale di Alta Valle Intelvi, in provincia di Como. Il racconto del dirigente ospedaliero Giuseppe Vallo su facebook: "Noi abbiamo salvato te e tu hai salvato noi"
di F. Q. | 16 NOVEMBRE 2020
“Dottore, ho fatto tutto quello che volevo nella mia vita, ho 90 anni, lasciami andare”. Sul letto dell’ospedale che si affaccia sulla splendida Val d’Intelvi, in provincia di Como, con il suo punto più alto chiamato il Balcone d’Italia sulla Vetta Sighignola, al confine con la Svizzera, l’anziano malato di Covid, guarda il casco cpap e lo allontana stringendo contemporaneamente la mano al medico. Non vuole che si sprechino tempo ed energie per lui. Ha visto negli altri letti tanti pazienti più giovani. Ma il dottore lo incoraggia sorridendo, procede con le cure, lo rimette in piedi. Il novantenne ce l’ha fatta, sta meglio, e ieri è stato dimesso. Un’altra storia della lotta che da mesi si combatte negli ospedali contro la pandemia e a raccontarla è stato lo stesso medico, Giuseppe Vallo, responsabile Riabilitazione Respiratoria al Cof Lanzo Hospital ad Alta Valle Intelvi. Sulla sua pagina Facebook ha scritto un post sotto forma di lettera indirizzata all’anziano. Cof è l’abbreviazione di Clinica ortopedica e fisiatrica, ma anche qui, con la pandemia che sta devastando la Lombardia, da qualche settimana si è dovuto aprire un reparto Covid, dove il novantenne è stato ricoverato il primo di novembre.
“Quando ho letto la tua data di nascita ho subito notato che hai solo 8 giorni in più di mio papà, quindi presto farai 91 anni – ha scritto Vallo rivolgendosi al suo ex paziente – Il secondo giorno l’ossigenazione era così bassa che ho dovuto metterti un casco cpap con una percentuale di ossigeno del 100% (considerate che quello che respiriamo è il 21%). Mi hai stretto la mano e mi hai detto: ‘dottore ho fatto tutto quello che volevo nella mia vita ho 90 anni lasciami andare’. Il tuo sorriso e la tua dignità mi hanno stretto il cuore così forte che mi sembrava che fossi io quello a cui mancava l’ossigeno”.