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'hanno silurato Conte e si sa anche il perché-non gli ha dato i ministeri ed è fallito il Conte 3'.
E così eccoci, da una settimana a questa parte, in questa follia del Draghi 1, che a ben guardare è un Conte 3 senza Conte.
Adesso vediamo la questione con qualche articolo di spessore.
Draghi e i suoi derivati (di Alessandro Di Battista) (tpi.it)
Draghi e i suoi derivati
È il nuovo idolo dell'establishment politico-finanziario italiano. Quando parla tutti si spellano le mani e si trasformano in tanti piccoli suoi derivati. I veri derivati di Draghi però sono altri: i titoli tossici sottoscritti tra il 1991 ed il 2001, quando fu Direttore generale del Tesoro. Il futuro dei giovani, di cui ora si riempie la bocca, è pregiudicato proprio dalle sue scelte
Di Alessandro Di Battista
Pubblicato il 31 Ago. 2020 alle 11:32
“A rischio il futuro dei giovani. Bisogna dar loro di più”. E ancora: “Privare i giovani del futuro è una grave diseguaglianza”. Perbacco, che pensieri sagaci, che riflessioni acute e visionarie! Chi avrà mai pronunciato parole così profonde? È stato Mario Draghi, il nuovo idolo dell’establishment politico-finanziario italiano, dal palco dell’ultimo meeting di Comunione e Liberazione. Ho ascoltato attentamente il suo intervento. Draghi non ha detto nulla di rilevante eppure, commentatori, editorialisti e politici hanno descritto il suo intervento come il discorso del secolo, pari, forse, solo all’I have a dream di Martin Luther King.
“Ascoltate Draghi” si è raccomandato Gentiloni. Probabilmente avrebbe voluto aggiungere “e convertitevi alla religione della finanza” ma i democristiani non dicono mai tutto quel che pensano. Giuliano Ferrara ha definito Draghi il “migliore degli uomini di Stato”. Le uscite di Ferrara hanno una loro utilità, ci aiutano a capire da che parte stare. Generalmente la parte giusta è quella dove non sta lui. Anche molti politici hanno fatto a gara per vincere il premio “draghiano dell’anno”. Questa competizione tra conformisti è partita già da alcuni mesi e continuerà ancora per molto, senz’altro fino a che non si eleggerà il nuovo Presidente della Repubblica. Il 25 marzo scorso, in pieno lockdown, Draghi rilasciò un’intervista al Financial Times in cui sostenne la necessità di aumentare il debito pubblico per proteggere economia e lavoro.
Quando erano i populisti ad attaccare la logica del pareggio di bilancio in Costituzione e a sostenere interventi a debito in tempo di crisi l’establishment scherniva tali argomentazioni. Ma quando parla Draghi tutti si mettono sull’attenti, agli ordini, con la lingua di fuori e si trasformano in tanti piccoli suoi derivati. Draghi è come il TAV, le grandi opere inutili, l’asservimento a Washington o il finanziamento pubblico a Radio Radicale: riesce a mettere d’accordo Renzi e Salvini. “La lettera di Draghi al Financial Times andrebbe letta e imparata a memoria” ha commentato Renzi. “Grazie Draghi per le sue parole. Benvenuto, ci serve il suo aiuto” ha aggiunto Salvini.
Nell’eterna gara ad arruffianarsi il potere che conta i politicanti nostrani vogliono arrivare tutti primi. Draghi può dire tutto ed il contrario di tutto ma quel che conta per il sistema di potere italiano non è quel che dice ma quel che ha fatto. È ciò che ha fatto che galvanizza gli Elkann, i De Benedetti ed i Benetton, che unisce Sallusti e Scalfari, Forza Italia ed il PD, che tranquillizza Confindustria e tutta l’élite del capitalismo finanziario europeo. I derivati di Draghi si stanno moltiplicando. Li trovi nei partiti che dovrebbero essere a lui antitetici, nei salotti della Roma bene, nelle redazioni dei giornali che un tempo difendevano gli interessi della collettività ed, ovviamente, nei CDA delle banche d’affari.
Tuttavia ci sono altri derivati che andrebbero menzionati: i derivati di Stato, una valanga di titoli tossici molti dei quali sottoscritti tra il 1991 ed il 2001, ovvero nei 10 anni in cui Mario Draghi fu Direttore generale del Tesoro. “La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore” diceva Malcolm X. E allora ricordiamola la storia. Draghi divenne Direttore generale del Tesoro durante l’ultimo governo Andreotti e venne confermato anche dai governi Amato I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi, D’Alema I e D’Alema II, Amato II e Berlusconi II. Un uomo per tutte le stagioni.
Appena uscito dal Tesoro, nel 2002, venne nominato Vicepresidente per l’Europa di Goldman Sachs, una delle banche d’affari più grandi al mondo. Anche i due Direttori generali del Tesoro arrivati dopo di lui, ovvero Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, “curiosamente”, vennero assunti da altre due banche d’affari appena terminato il loro incarico pubblico. Il primo, nel 2006, divenne managing director e Vicepresidente di Morgan Stanley. Il secondo, nel 2014, addirittura Presidente del Corporate & Investment Bank di JPMorgan. Pare una legge della natura, appena finisci di dirigere il Tesoro, ovvero il dipartimento più importante del Ministero dell’economia, trovi subito un lavoro strapagato in qualche banca privata.
Il Direttore generale del Tesoro occupa un ruolo apicale. È colui che elabora ogni tipo di iniziativa economica, finanziaria e monetaria all’interno del MEF. È colui che sa sussurrare all’orecchio del Ministro dell’economia quel che s’ha da fare. Soffermiamoci sulle date: 12 aprile 1991, il giorno in cui Draghi inizia a dirigere il dipartimento del Tesoro e 29 novembre 2011, quando Grilli termina il mandato da Direttore e diventa Viceministro e poi Ministro dell’economia sotto Monti (anch’egli consulente di Goldman Sachs) prima di accasarsi in JPMorgan. 20 anni di acquisizione da parte dello Stato di titoli derivati emessi anche dalle banche d’affari appena citate.
Il divino Draghi ha diretto l’acquisizione da parte della Repubblica italiana di titoli speculativi che hanno, nella stragrande maggioranza dei casi, arricchito le banche private ed impoverito le casse dello Stato. È difficile avere cifre esatte su queste operazioni. Sull’acquisto di derivati perdura un sostanziale segreto di Stato come per la strage di Ustica. In effetti la verità farebbe male. Farebbe male a quei tecnici strapagati, con curricula di tutto rispetto, usciti dalle migliori università del pianeta, che inorridiscono quando il popoluccio si interessa di questioni che vanno oltre il calcio mercato, che tuttavia sono stati capaci di farci perdere miliardi di euro e che adesso sognano persino di sedersi al Quirinale, supportati da una classe politica che non può far altro che restare in silenzio avendo la bocca tappata dalle mani ossute di centinaia di scheletri negli armadi.
Le scelte dei cosiddetti esperti, di quelli bravi alla Draghi le stiamo ancora pagando. A Rimini l’apostolo ha deliziato la platea di ciellini con un concetto davvero strabiliante ovvero la distinzione tra debito buono e debito cattivo. Quello buono è il debito produttivo, il cattivo è quello improduttivo. Però. Anni di “studi leggiadri e sudate carte” hanno prodotto ragionamenti sensazionali. A questo punto è lecito domandarsi se i debiti contratti dallo Stato con le banche d’affari dovuti all’acquisto di derivati siano debito buono o debito cattivo. Quel che è certo è il coinvolgimento del nuovo stupor mundi, Mario Draghi da Goldman Sahcs.
Nel 1994 il Tesoro siglò un accordo quadro con Morgan Stanley che aveva al suo interno una clausola capestro che avrebbe permesso all’istituto finanziario di New York di chiudere unilateralmente i contratti sui derivati. Morgan Stanley la esercitò nel 2011, in piena tempesta finanziaria per l’Italia, ed ottenne dal governo Monti il pagamento, sull’unghia, di 3 miliardi di euro di interessi sui titoli derivati. In quegli anni, Giacomo Draghi, il figlio di Mario, faceva carriera proprio in Morgan Stanley. Mentre lo Stato trasferiva miliardi di euro alle banche d’affari che avevano guadagnato sui derivati, Monti e Fornero portavano in Parlamento provvedimenti sanguinolenti che avrebbero colpito pensionati, lavoratori e malati. Sì, malati.
Nel 1998, un anno dopo la sottoscrizione in UE del Patto di stabilità che ha dato il via alla stagione dell’austerità, in Italia vi erano 1381 istituti di cura: 61,3% pubblici e 38,7% privati. Nel 2007 erano 1197: 55% pubblici e 45% privati. Nel 2017 sono scesi a 1000: 51,8% pubblici e 48,2% privati. Sono gli effetti delle privatizzazioni. E chi è stato uno degli artefici della stagione delle privatizzazioni in Italia? Mario Draghi. Fu Draghi, a cavallo dei governi Prodi e D’Alema, ad adoperarsi affinché i Benetton acquistassero dall’Iri ad un costo irrisorio la Società Autostrade.
Oggi fa appello al senso di responsabilità. Parla di speranza, di futuro. Un futuro che i giovani vedono pregiudicato anche dalle sue scelte e questo la pubblica opinione italiana ha il dovere di ricordare. Nel 2005 Draghi lasciò Goldman Sachs per sedersi sulla poltrona più prestigiosa di Palazzo Koch. Fu sempre lui, stavolta da Governatore di Bankitalia, ad autorizzare Monte dei Paschi di Siena ad acquistare Banca Antonveneta, al triplo del suo valore, dal Banco Santander. I debiti contratti da MPS per questa scellerata operazione sono buoni o cattivi? Beh, dato che in buona parte sono stati coperti da denaro pubblico saranno stati certamente debiti buoni.
Draghi non è cambiato, non si è convertito all’interesse generale, non ha preso coscienza delle perversioni del liberismo. D’altro canto un capitalista finanziario è per sempre. Semplicemente vuole fare il Presidente della Repubblica e per arrivare al Quirinale è disposto persino a guidare un governo di unità nazionale (Dio ce ne scampi) se gli venisse richiesto. Nel suo cassetto, oltre ai sogni presidenziali, ha abiti da “amico del popolo” che proverà ad indossare nei prossimi mesi consapevole che la nuova mise verrà magnificata dalla stampa di regime. Ma sotto il vestito, per gli interessi degli ultimi, ancora una volta, non ci sarà niente di buono.
Come nulla di buono conteneva la letterina che il 5 agosto del 2011 Draghi ed il Presidente uscente della BCE Jean-Claude Trichet inviarono all’Italia per chiedere quelle riforme strutturali (macelleria sociale) che da lì a poco Monti avrebbe realizzato. Le ricette richieste con quella lettera sono quelle di sempre: privatizzazione dei servizi (sanità inclusa), contrazione dei salari, taglio della spesa pubblica e assoluta fedeltà al Patto di stabilità. Quel Patto di stabilità che Draghi inizia a mettere in discussione sapendo che qualche critica all’Unione Europea è strategica per spostarsi dalle colline dei Parioli al colle più prestigioso di Roma. Il sistema mediatico è con lui. Gran parte del sistema politico è con lui. Dalla sua ci sono le banche, le istituzioni europee, i grandi gruppi di potere, il clero più influente.
Ma, come disse Abraham Lincoln: “La pubblica opinione è tutto”. Sta al Popolo italiano combattere l’amnesia collettiva a suon di informazione. Si ricorderanno i cittadini come venne dipinto Monti nei primi mesi di governo. Monti che accarezza un cane, Monti che parla il francese, Monti che non fa il bunga-bunga, Monti che indossa il loden come nessuno. Quando l’establishment glorifica qualcuno il Popolo dovrebbe temerlo. Draghi è osannato, incensato quando non dice nulla, ossequiato perché è potente, ringraziato ininterrottamente per il Quantitative Easing, come se i soldi che la BCE ha messo sul piatto per comprare titoli pubblici dei paesi dell’UE li avesse tirati fuori direttamente lui.
Distratti dalle palle di giornali e politici e dalle palle che rotolano negli stadi deserti non riconosciamo più chi pregiudica, davvero, i nostri interessi. Siamo persino disposti a consegnarli le chiavi di casa. Seguiamo in modo ossessivo la degenza di Briatore ma non badiamo ai danni economici fatti acquistando derivati con i soldi nostri. Draghi, mascherato da tecnico, ha nel corso della sua carriera, preso o indotto a prendere scelte politiche che si sono rivelate fallimentari per gli interessi degli italiani. Lo Stato italiano ha stipulato negli ultimi 25 anni contratti derivati per 150 miliardi di euro e dal 2011 ad oggi ha pagato di interessi 35 miliardi di euro*.
Ormai da settimane politici particolarmente inclini alla dittatura del vincolo esterno sostengono che i 36 miliardi del MES siano indispensabili. Non si esprimono, tuttavia, sui 35 miliardi di interessi pagati per aver sottoscritto titoli finanziari convenienti solo per le banche. D’altronde, in molti casi, ciò coinciderebbe con un’ammissione di colpevolezza. Oggi, questi stessi politici, desiderano ardentemente l’arrivo di Draghi tanto da spellarsi le mani quando costui apre bocca. Ma è noto, quelli come Draghi danno buoni consigli sentendosi come Gesù nel Tempio quando le pubbliche opinioni dimenticano il loro cattivo esempio.
Andiamo su Infosannio:
BY INFOSANNIO ON 17 DICEMBRE 2020 • ( 41 COMMENTI )
Dragon Ball
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Siccome se ne sentiva la mancanza, si riparla di governo Draghi, sempre all’insaputa di Draghi. È bastato che dicesse le solite frasi alla Catalano: guai ad aiutare “aree dove il mercato sta fallendo”, meglio “progetti utili”, “la sostenibilità del debito sarà giudicata da come verrà impiegato il Recovery”. E subito s’è levato il solito coro dei provincialotti con la bocca a cul di gallina e l’aria tra il rapito e lo svenuto che doveva avere Mosè sul Sinai dinanzi al roveto ardente. “Ripartire da Draghi si può”, “il monumentale rapporto Draghi” (rag. Cerasa, Foglio). “Sempre bello leggere Draghi” (l’Innominabile). “Le sue analisi sono una traccia” (Gelmini, FI). “Se Conte non ce la fa, c’è Draghi” (Nannicini, Pd). “Governo Draghi senza Bonafede, Catalfo e Azzolina” (Richetti-Chi? l’altro calendiano oltre a Calenda). “Il monito di Draghi, la visione che serve” (Messaggero). “Il 55% degli italiani preferisce Draghi per il Recovery” (Libero). “Draghi, serve sguardo lungo” (Fubini, Corriere). “Draghi, i partiti e la realtà urgente” (Folli, Repubblica).
Insomma, il governo Draghi è fatto. Il programma è il suo intervento al Gruppo dei Trenta, l’allegro simposio di finanzieri, accademici, banchieri centrali, banchieri sfusi, bancarottieri di nazioni intere come l’ex ministro argentino Cavallo e l’ex presidente messicano Zedillo, insomma controllori e controllati (si fa per dire) e altri samaritani, fondato nel 1978 da Rockefeller, che si riunisce due volte l’anno a porte chiuse come il Gran Consiglio dei Dieci Assenti di fantozziana memoria.
E la maggioranza in Parlamento? Quella non c’è, ma per i sinceri democratici de noantri è un trascurabile dettaglio. Il Giornale informa che “il Professore da qualche settimana ha lasciato la casa di campagna e s’è trasferito nel suo appartamento romano”. Mecojoni. E “il suo ufficio di rappresentanza alla Banca d’Italia è diventato la sua base operativa”. Apperò. Già ci pare di vederlo destreggiarsi festoso fra un veto dell’Innominabile, un distinguo di Orlando, un emendamento di Marcucci, una bizza della Bellanova, un capriccetto della Boschi, un tweet di Faraone, un ultimatum dei dissidenti grillini, un rutto di Salvini, una supercazzola di Giorgetti, un appuntino di Letta su Mediaset e un pizzino di Ghedini sulla giustizia. Folli però è in ambasce: “Stupisce che qualche forza politica non abbia immediatamente fatto propria e rilanciato l’analisi di Draghi”. Giusto: che aspettano i partiti tutti a recarsi in processione nel suo appartamento romano o nella sua base operativa a baciargli la pantofola e incoronarlo re? Folli non sta più nella pelle, tant’è che ha fatto pure un fioretto: se lo ascoltano, si taglia il riportino.
INGENUO TRAVAGLIO, per una volta almeno...
BY INFOSANNIO ON 13 FEBBRAIO 2021 • ( 12 COMMENTI )
Nulla accade per caso: Draghi s’è preparato il terreno
(Carlo Tecce – espresso.repubblica.it)
Mario Draghi era già qui, in mezzo a noi, prima di apparire al Quirinale. Aveva già ammansito i partiti più sovranisti e populisti d’Italia. Aveva già ricevuto una telefonata di Matteo Salvini alla fine di gennaio.
Aveva già incontrato una, un’altra e un’altra volta ancora Luigi Di Maio. Aveva già recapitato un cortese invito a Giorgia Meloni. Questo è successo mentre si pensava che Draghi non ci fosse, un pensionato assorto fra gli ulivi umbri col suo cane bracco ungherese. Invece Draghi era pronto alla chiamata di Sergio Mattarella. No, nessun complotto ordito dalla plutocrazia. No, nessuna visione mistica di fantozziana memoria.
Draghi era pronto perché Draghi non si fa trovare impreparato e fa sempre le cose che dice e non dice sempre le cose che fa. E fra le cose che non ha detto c’è un intenso lavoro sui partiti più distanti – Lega, Cinque Stelle, Fratelli d’Italia – da quell’Europa che ha protetto per otto anni alla Banca centrale europea, una dozzina di mesi di contatti discreti, di presentazioni, di conoscenze. Draghi è meticoloso, strategico, riservato: è politico. Non era nella misericordia di dio come l’uomo prima della creazione, «secondo il benevolo disegno della sua volontà», per dirla con la lettera di san Paolo agli Efesini.
Dopo il 31 ottobre 2019, l’ultimo giorno di servizio alla Bce, usato, evocato e soprattutto temuto dalla politica, Draghi si è preparato a qualsiasi evenienza. Per non fallire aveva soltanto una possibilità: trasformare il Parlamento più antieuropeista nel Parlamento che più velocemente si è convertito all’europeismo. Si è trattato di folgorazione o disperazione. Pazienza. Pure san Paolo ci è passato.
LA RESA DI MATTEO, I DUBBI DI GIORGIA
Il leghista Giancarlo Giorgetti è un amico di Draghi, ne ha un rispetto sacrale, è un tipo pragmatico, un tifoso del Southampton che il sabato e la domenica stacca col mondo e si guarda il campionato inglese.
Se risponde, non spegne mica il televisore e si ammutolisce appena segna una squadra. Per quasi due anni, dopo la sbandata del Papeete che ha ammazzato l’esecutivo gialloverde e l’alleanza con i Cinque Stelle, ha spiegato a Salvini un paio di concetti banali: i consensi non bastano per governare, è ferale inseguire Fratelli d’Italia a destra. Per Giorgetti la pandemia era l’occasione per rifare daccapo la Lega con un governo di tutti aggrappato a uno: a Draghi.
Salvini ha esitato a lungo, smentire sé stessi è più complicato che chiudere i porti sbraitando in televisione, poi l’ha sentito al telefono durante la caduta del governo di Giuseppe Conte, subito dopo il ritiro dei ministri di Italia Viva, in quegli attimi di deliquio quando fermo, con la testa nel guardaroba, la luce troppo fioca, le pile di pantaloni che vacillano, non sai che felpa metterti addosso perché non sai più chi sei.
Per le consultazioni Salvini era già stirato dal verso giusto, non più o voto o morte, non più feroce con i migranti e dialogante con Mosca, anzi ha rinnovato il giuramento agli Stati Uniti, come se fosse la formula magica per accedere di nuovo ai palazzi del potere, e si è mostrato ai giornalisti con Giorgetti accanto che, infagottato in un giaccone con cappuccio, annuiva soddisfatto a ogni parola di Matteo.
Draghi si è affidato a Giorgetti per avvicinare Salvini, con Meloni e Di Maio ha utilizzato un metodo diverso. Premessa. Draghi ha trascorso un decennio da direttore generale al ministero del Tesoro, da lì ha attraversato l’ultimo decennio del Novecento, ha imparato il galateo istituzionale. Draghi non si offre, non trama, si rende disponibile per rendersi utile. Così un intermediario, non un politico, la scorsa estate si è rivolto a Meloni e Di Maio con una sorta di consiglio: perché non vi fate una chiacchierata con l’ex capo Bce?
Di Maio ha accettato presto, il suo istinto di sopravvivenza, di antico e inconsapevole lignaggio democristiano, si è rivelato come spesso gli capita e il 24 giugno l’ha raggiunto in un ufficio appartato lontano dal ministero degli Esteri. Matteo Renzi l’ha saputo, e un po’ si è ingelosito. Il premier Conte l’ha sospettato, e ha reagito assai male.
Finché il segreto, che a Roma è tutt’altro che eterno, il tempo di un aperitivo, è diventato la notizia che Di Maio ha confermato in modo infelice: «Mi ha fatto una buona impressione». Da quel giorno Conte ha visto Draghi in ogni angolo buio di Palazzo Chigi, anziché costruire un rapporto ha tentato di abbatterlo persino col pubblico dileggio: «Volevo candidarlo alla guida della Commissione europea, mi ha risposto che era stanco». Invece Di Maio non ha citato più Draghi, ma l’ha frequentato con cautela.
Meloni ci ha riflettuto, settimane, ne era lusingata, però ha declinato la proposta, non ha stretto la mano, pardon non ha dato il gomito all’ex banchiere, non per presunzione, non era sicura, ci tiene alla coerenza, ai simboli, alle fiamme. Come fai a discutere con uno che, in pratica, l’Europa l’ha salvata dopo che hai ospitato con gli onori Steve Bannon, uno che, in teoria, l’Europa l’ha sfasciata.
LA SOSTA PER ARRIVARE SUL COLLE
Mario Monti atterrò in Italia e fu accolto come un signore compìto che veste in maniera straniante. Il loden affascinò gli italiani esausti dalle cronache anatomiche sulle “cene eleganti” nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Monti pensò di governare senza la politica, Draghi non ha commesso lo stesso errore.
Era in cammino verso il Quirinale, per la successione a Mattarella, poi l’hanno fermato per dirottarlo a Palazzo Chigi. La politica è un passaggio obbligato per ambire alla presidenza della Repubblica. Appena ha ricevuto l’incarico da Mattarella, nonostante le prime ingenue reazioni di Riccardo Fraccaro e Vito Crimi, Draghi ha raccolto il sostegno di Salvini e Di Maio e un rifiuto, non polemico, di Meloni.
Forza Italia ha esultato, Berlusconi è sbucato dalle palme in Costa Azzurra dove si è trasferito, di colpo Gianni Letta è tornato a vent’anni fa. Come previsto. Quello che non era previsto è accaduto nel Pd di Nicola Zingaretti, il partito di riferimento culturale di Draghi. Più di Rocco Casalino, Zingaretti ha creduto che Conte fosse indispensabile, si è impallato sulle elezioni anticipate, si è opposto ai leghisti e al solito si è corretto e si è adeguato. Zingaretti non ha aiutato l’ingresso in politica di Draghi, uno che all’epoca della Bce viaggiava spesso in aereo col premier Paolo Gentiloni per andare a Bruxelles.
Il Pd ha dato segni di delirio cominciando a litigare sul congresso per rimuovere Zingaretti con un presidente del Consiglio dimissionario e un altro ancora non insediato. I 5S hanno scoperto quant’è sfiancante essere un partito e non si capisce chi comanda fra Beppe Grillo, le piattaforme di Casaleggio, il multiforme Di Maio, la ficcante tattica di Crimi. Allora Salvini si è ingolosito e ha provato a intestarsi l’operazione Draghi. Non si stava male tra gli ulivi umbri con il cane bracco ungherese. Ormai l’apparizione è avvenuta e san Paolo è irreperibile.
BY INFOSANNIO ON 14 FEBBRAIO 2021 • ( 170 COMMENTI )
Il governo Dragarella
di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Siccome ogni Restaurazione ha i suoi rituali, non avrebbe guastato se il governo Dragarella avesse giurato in uniforme da Congresso di Vienna: parrucche imbiancate con codini e fiocchi neri, volti incipriati e impomatati, marsine a coda, culotte, scarpe a punta. Invece i nuovi (si fa per dire) ministri erano tutti in borghese, per non farsi riconoscere. Avevamo promesso un giudizio sul governo quando ne avessimo visti i ministri (per il programma c’è tempo: uscirà dal cilindro di Super Mario un minuto prima della fiducia, o forse dopo, fa lo stesso: è il ritorno della democrazia dopo la feroce dittatura contiana, come direbbe Sabino Cassese). E il momento è arrivato.
Ministri. Il bottino di 209 miliardi del Recovery se lo pappano il premier, il suo amico Giorgetti (Mise) e i suoi tecnici, cioè gli uomini delle lobby: Franco (Mef e Bankitalia), Cingolani (renzian-leopoldino di Leonardo- Finmeccanica che Grillo ha scambiato per grillino) e Colao (Morgan Stanley, McKinsey, Omnitel, Vodafone, Rcs, Unilever, Verizon, con breve parentesi di incompetenza quando lo chiamò Conte per il piano-fuffa Fase-2 e ora tornato il genio di prima); più Giovannini (ottimo prof di statistica alle Infrastrutture). Del resto Draghi se ne infischia e lascia pasturare i partiti con i loro nanerottoli, scelti aumma aumma dai Quirinal Men: so’ criature.
Pandemia. Speranza resta alla Salute, per la gioia di Salvini e dei teorici della “dittatura sanitaria” e del “riaprire tutto”. Ma arriva la Gelmini alle Regioni al posto di Boccia, protagonista di epici scontri con gli sgovernatori. Sarà uno spasso vederla genuflessa alle loro mattane. Al suo fianco, come viceministro, vedremmo bene Bertolaso. E, commissario al posto di Arcuri, troppo efficiente sui vaccini, il mitico Gallera: era stanco, ma si sarà riposato.
Discontinuità. Undici ministri, la metà del governo Draghi, vengono dal Conte-2: i 9 confermati più Colao più il neotitolare dell’Istruzione Bianchi, capo della task force dell’Azzolina per la scuola (tecnico del congiuntivo, dice “speriamo che faremo bene”, ma non è grillino, quindi è licenza poetica). E ora chi la avverte la Concita del “basta ministri scadenti, arrivano quelli bravi”? Fatti fuori Conte, Bonafede, Gualtieri, Amendola e regalato il Recovery ai soliti noti, si digerisce tutto.
Cielle. I garruli squittii di Cassese a edicole unificate indicano che, dopo il lungo digiuno del Conte-1 e del Conte-2, qualche protégé l’ha piazzato. Tipo Marta Cartabia, Guardasigilli di scuola ciellina (come la ministra dell’Università, Cristina Messa), ma pure napolitaniana e mattarelliana, celebre per l’abilità di non dire nulla, ma di dirlo benissimo, fra gridolini estatici di giubilo.
Di lei si sa che sogna “una giustizia dal volto umano” (apperò) e una “pena che guarda al futuro” (urca). Ora, più prosaicamente, dovrà dare subito il parere del governo sul ritorno della prescrizione, previa seduta spiritica con Eleanor Roosevelt che – assicura il Corriere – è “tra le figure femminili ‘decisive’ per la sua formazione” (accipicchia).
Pd. Sistemati tutti i capicorrente Franceschini (al quinto governo), Guerini e Orlando, prende pure l’Istruzione con il finto tecnico Bianchi, due volte assessore dem in Emilia-Romagna: 4 ministri come il M5S, che però ha il doppio di seggi.
5Stelle. Machiavellici alla rovescia, sapevano che senza di loro il Pd e Leu si sarebbero sfilati e Draghi, per non finire ostaggio delle destre, avrebbe rinunciato. Bastava mettersi in attesa e, se proprio Grillo voleva entrare, dettare condizioni minime: Giustizia, Lavoro, Istruzione, Mise o Transizione Ecologica. Invece han detto subito di sì, presentandosi a Draghi con le brache calate e le mani alzate. E hanno ammainato le loro bandiere Bonafede, Azzolina e Catalfo (con Reddito e Inps).
Risultato: SuperMario li ha sterminati e pure umiliati, con i pesanti ma inutili Esteri a Di Maio, Patuanelli degradato dal Mise all’Agricoltura, più i Rapporti col Parlamento e Politiche giovanili (sventata la Marina mercantile, ma solo perché non c’è più). Ciliegina sulla torta: la Transizione Ecologica, subito dimezzata, è finita a un renziano. Meno male che Draghi era grillino: figurarsi se non lo era. Insomma: aperta finalmente la scatoletta di tonno, i 5Stelle hanno scoperto che il tonno erano loro.
FI-Lega. Il capolavoro del Rignanese, prima di tramutare Iv da ago della bilancia a pelo superfluo, è aver riportato Salvini e B. al governo. Il resto l’han fatto Draghi e Mattarella, regalando alla destra un governo tutto nordista e i ministeri politici più lucrosi: Mise e Turismo (Giorgetti e Garavaglia), Pa (Brunetta), Regioni (Gelmini) e Sud (Carfagna, con i fondi di coesione Ue, nel fu serbatoio di voti dei 5Stelle).
Ps. Nota per gli storici della mutua che vaneggiano di “fallimento della politica come nel 1993 e nel 2011” e paragonano l’avvento di Draghi a quelli di Ciampi e Monti. Nel ‘93 Ciampi arrivò mentre gli italiani lanciavano le spugne ad Amato e Conso per il decreto Salvaladri e le monetine a Craxi per l’autorizzazione a procedere negata dal Parlamento al pool di Milano. Nel 2011 Monti arrivò mentre due ali di folla maledicevano B. che saliva al Quirinale a dimettersi e poi fuggiva dal retro dopo aver distrutto l’Italia per farsi gli affari suoi. Nel 2021 Draghi arriva mentre Conte esce da Palazzo Chigi a testa alta fra gli applausi e le lacrime. Mica male, per un fallito.
Jerome B.
14 febbraio 2021 alle 13:37Infostrada era la società dedicata al fisso creata dall’Olivetti, mentre per il mobile il marchio era OMNITEL.
Quest’ultima venne acquistata dalla tedesca Mannesmann che a sua volta fu oggetto di OPA e seguente acquisizione da parte della britannica Vodafone.
Infostrada invece fu ceduta a ENEL, che aveva creato nella telefonia mobile WIND.
Che venne ceduta prima ad un imprenditore egiziano e, successivamente, da questo a un gruppo russo.
Poi nel 2015 WIND si fuse con TRE, che aveva proprietari di Hong Kong.
Oggi la società si chiama WindTRE e il marchio Infostrada, dopo l’incorporazione in WIND e le diverse fusioni, è stato soppresso.
BY INFOSANNIO ON 19 FEBBRAIO 2021 • ( 140 COMMENTI )
Movimento 5Sedie
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Spunti per il nuovo spettacolo di Grillo. Belìn, c’era una volta un comico che capiva tutto prima degli altri. Tipo che la politica era marcia, la finanza anche peggio e la stampa teneva il sacco a entrambe. Così cominciò a informare la gente nei suoi show (chi ci andava scoprì che la Parmalat era fallita ben prima della Consob e dei pm). E fondò il Movimento 5 Stelle: tutti risero, poi piansero, poi passarono agli insulti, ai corteggiamenti e infine alle alleanze. E gli “scappati di casa”, in tre anni, trovarono un premier più che degno e portarono a casa quasi tutte le loro bandiere prima che il Matteo maior e il Matteo minor buttassero giù i loro due governi per liberarsi di loro.
Nel momento del massimo trionfo, anziché rendersi prezioso e vendere cara la pelle, Grillo sbarellò. Scambiò per “grillino” Draghi, che a suo tempo chiamava “Dracula” e voleva “processare per Mps”. E spinse i grillini quelli veri ad arrenderglisi senza condizioni, in nome di un superministero-supercazzola alla Transizione Ecologica che doveva inglobare Ambiente e Sviluppo economico. Su quella promessa fece votare gli iscritti con un quesito che diceva mirabilie del Sì, nulla del No e non prevedeva l’astensione. Quelli si fidarono di lui, unico ammesso al cospetto di SuperMario, e dissero Sì al 60%. Poi scoprirono che era una battuta (quella di Draghi): il superministero era mini, per giunta diretto da un renziano per giunta indicato da Grillo; e il Mise, lungi dallo scomparire, passava semplicemente da Patuanelli a Giorgetti, noto ambientalista padano (vedi trivelle, Tav, Terzo Valico e altre colate di cemento).
Molti iscritti gabbati chiesero di rivotare, ma furono narcotizzati con altre supercazzole: “i ragazzi del 2099”, “la sonda Perseverance atterra su Marte e la Perseveranza atterra alla Camera”, “i Grillini non sono più marziani”. E i loro “portavoce” andarono al patibolo fornendo la corda al boia e dandogli pure la mancia. Donarono sangue e organi all’ex Dracula, che li liquidò con quattro perline colorate (Esteri, Agricoltura, Giovani, Rapporti col Parlamento), trattandoli peggio dei partiti con metà o un quarto dei seggi. I parlamentari coerenti col giuramento fatto agli elettori “mai con B.” votarono contro o si astennero, ma, anziché essere rispettati come minoranza interna, furono espulsi da chi era andato al governo con B. (già “testa d’asfalto”, “psiconano”, “psicopedonano”), col Matteo maior (già “pugnalatore dell’Italia da mandare a lavorare a calci”) e col Matteo minor (già “ebetino” e “minorato morale”). “Belìn”, ridacchiò il comico, “è il mondo alla rovescia! È come se Ario, Lutero e fra’ Dolcino avessero scomunicato il Papa! Lo dicevo io che ne resterà uno solo: io!”. Applausi. The end.
Stef Menc
19 febbraio 2021 alle 1:41Quest’andazzo è chiarissimo, fin dal 2016 c’é stato un progressivo abbandono dei territori, diventato devastante dal 2018. I meet up, complice anche la pandemia, sono spariti. Con essi ogni traccia di democrazia ‘dal basso’ visto che comanda solo il duo Grillo-Di Maio. Quest’ultimo è un infido democristiano a tutto tondo, uno che è riuscito a venire a patti con Draghi già giugno scorso, e anche senza dar credito a quel che scrive Tecce, è chiarissimo che la sua affermazione sul risistemare i territori del 2019, dopo la sconfitta delle europee, fa molto a cozzi con l’assegnazione del ministero degli ESTERI, quando caso mai doveva prendere quello degli interni facendo beffa di Salvini. E invece hanno continuato. Poi è arrivato il COVID. E adesso non esiste più un minimo di anima nel MoV, solo la spocchia di Grillo, Crimi e la doppiezza di Di maio, quello che si è dimesso 13 mesi fa scappando dalla sicura sconfitta delle elezioni calabresi-emiliane.
Altro che Governo dei migliori, è il Governo dei conflitti di interessi
Di Alessandro Di Battista
Pubblicato il 22 Feb. 2021 alle 12:02Aggiornato il 22 Feb. 2021 alle 12:38
Illustrazione di Emanuele FucecchiMi rendo conto che a chi ha abbassato le saracinesche del proprio negozio (e oggi non sa se e quando le tirerà su), a chi ha paura che le banche gli portino via la casa che ha impegnato per comprare nuovi macchinari per la sua azienda o ai titolari di palestre e piscine (e a tutti i loro dipendenti) – tra le categorie più martoriate degli ultimi mesi – importi poco o nulla del conflitto di interessi.
Tuttavia è bene sapere che conflitto di interessi significa accentramento di potere, significa prevaricazione economica di taluni su altri, significa spreco di denaro pubblico. Essere in conflitto di interessi può determinare gli stessi effetti di corrompere, solo che nel nostro Paese è legale. È legale essere il presidente di una forza politica al governo e, contemporaneamente, possedere un impero mediatico capace di influenzare opinioni e diffamare avversari.
È legale che un ministro della Repubblica si occupi della banca dove il padre è vice-presidente. È legale che un ex-Presidente del Consiglio, nonché segretario di un partito anch’esso al governo, nonché senatore della Repubblica, riceva fiumi di denaro da organizzazioni estere per “deliziare” platee estere, in conferenze estere.
È legale che ministri dell’economia e delle finanze, nonché sottosegretari all’economia, nonché direttori generali del Tesoro, lascino incarichi pubblici (durante i quali si sono occupati del sistema bancario) per sedersi in ruoli apicali e strapagati nelle principali banche d’affari. È legale che il principale gruppo industriale italiano possieda contemporaneamente il più grande impero mediatico. Tutto questo oggi è legale, ma resta immorale, ed è ancor più immorale il fatto che si sia smesso di informare la pubblica opinione sulle conseguenze nefaste dei conflitti di interessi.
Il governo Draghi non è il governo dei migliori, è il governo dei conflitti di interessi. D’altro canto, in passato, in conflitto di interessi, vi fu lo stesso Draghi. Draghi fu direttore generale del Tesoro dal 1991 (VII governo Andreotti) al 2001 (II governo Berlusconi). Nei dieci anni alla guida del Tesoro fece sottoscrivere allo Stato una valanga di titoli derivati con banche d’affari, molti dei quali fecero perdere all’Italia migliaia di miliardi delle vecchie lire.
Inoltre fu uno degli artefici della stagione delle privatizzazioni, stagione che vide protagonisti, ancora una volta, gli istituti finanziari internazionali. Nel 2000 il fondo Whitehall controllato da Goldman Sachs, si aggiudicò il patrimonio immobiliare dell’ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi fondato da Enrico Mattei per rendere l’Italia un Paese sovrano dal punto di vista energetico. Nel 2002, un anno dopo aver lasciato il Tesoro, Mario Draghi venne assunto in Goldman Sachs dove gli venne assegnato il ruolo di Vicepresidente per l’Europa.
Messaggio politico elettorale. Committente: Tobia Zevi
La stessa brillante carriera toccò anche ai due successori di Draghi al Tesoro: Grilli e Siniscalco. Il primo, nel 2006, venne assunto in Morgan Stanley, il secondo, nel 2014, divenne Presidente del Corporate & Investment Bank di JPMorgan. Berlusconi oggi sembra innocuo. Ha 85 anni e gaffes e battute non indignano più come ai vecchi tempi. Tuttavia patrimonio ed impero sono sempre gli stessi e, come ai vecchi tempi, determinano pressioni sulle istituzioni e su chi ha l’onore di legiferare.
D’altronde se i suoi luogotenenti, a partire da Gianni Letta, non fossero più potenti, una legge sul conflitto di interessi sarebbe già stata approvata. Oggigiorno il fatto che un politico così influente (ha guidato la delegazione del suo partito alle ultime consultazioni ed ha fornito nomi di papabili ministri al Premier incaricato) controlli, di fatto, decine tra reti televisive, emittenti radiofoniche e testate giornalistiche, oltre che banche, società di assicurazione, costruzioni ed investimenti è dato per scontato. Ormai ha 85 anni sostiene l’italiano medio.
Chiaramente neppure Berlusconi è eterno, ma suo figlio dirige Mediaset, sua figlia il gruppo Mondadori ed il figlio di Gianni Letta Medusa produzioni. Tutti bastioni dell’impero. Sia chiaro, a me non scandalizza né l’impero in sé e neppure le scelte dinastiche. Mi scandalizza il fatto che nessuno più si scandalizzi di tale conflitto di interessi: un impero economico, mediatico e finanziario che ha ramificazioni nella politica, dunque nelle Istituzioni, ciò che, teoricamente, dovrebbe essere il più indipendente possibile.
Della Boschi che, da Ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento, chiese all’ex-AD di Unicredit Ghizzoni, disponibilità per l’acquisizione di Banca Etruria, la banca dove il babbo era dirigente, non importa più a nessuno. Come, probabilmente, presto non importerà più a nessuno che il senatore Renzi, in piena pandemia e durante una crisi di governo da lui innescata, sia volato in Arabia Saudita per partecipare ad una conferenza organizzata dal FII Institute, un istituto controllato dal Saudi public investment Fund, il fondo sovrano saudita.
In Italia, purtroppo, è legale che un senatore della Repubblica riceva denari da uno Stato estero, uno Stato, tra l’altro, dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno. Chi ci garantisce che non vi sia stato conflitto di interessi tra le scelte del Presidente del Consiglio Renzi e la sua carriera da conferenziere? Quale politico o forza politica al tempo del governo dell’assembramento pericoloso avrà la forza di imporre al Parlamento di risolvere il conflitto di interessi? Nessuno.
Nelle prossime settimane, con ogni probabilità, l’ex-Ministro dell’economia e delle finanze Pier Carlo Padoan lascerà il suo scranno alla Camera per sedersi sulla poltrona da Presidente di Unicredit. Tratterà, presumibilmente, l’acquisizione da parte di Unicredit di Monte dei Paschi, l’istituto salvato grazie ad un decreto che Padoan firmò quando era a capo del Ministero dell’economia. In pochi avranno la forza e, soprattutto, la libertà di opporsi.
Ed i giornali? Come potranno combattere i conflitti di interessi i giornali berlusconiani? Come potrà farlo Il Sole 24 ore, avendo come editore Confindustria, il principale “azionista” del governo Draghi? Vi fu un tempo in cui certe battaglie venivano portate avanti da La Repubblica. Oggi La Repubblica fa parte del più potente impero industriale-finanziario-mediatico “italiano”. Italiano tra virgolette chiaramente.
Un impero che va dai giornali (La Repubblica, La Stampa, The Economist, Il Tirreno, Il Mattino di Padova, Il Secolo XIX, La Nuova Sardegna, Il Messaggero veneto, Il Piccolo di Trieste, La Gazzetta di Mantova, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, L’Huffington Post, Business Insider Italia, Mashable Italia, Il Corriere delle Alpi, La Nuova Ferrara, La Nuova Venezia, L’Espresso, Limes, Micromega) alle radio (Radio Capital, Radio Deejay) alle società di calcio (Juventus FC), alle industrie automobilistiche (FIAT, Chrysler, Jeep, Opel, Alfa Romeo, Dodge, DS Automobiles, Citroën, Ferrari, Peugeot).
Un impero dominato da una singola persona: John Elkann. Elkann è Presidente del Gruppo GEDI, colosso editoriale tra i principali sponsor del governo dell’ammucchiata selvaggia! Non dovrebbe esser proibito per legge un tale accentramento di potere mediatico nelle mani dei più potenti del mondo? Non c’è il rischio che tali conflitti di interesse comprimano il diritto all’informazione e, dunque, la possibilità da parte della pubblica opinione di essere, davvero, indipendente?
Come il governatore Draghi ha lavorato per le fusioni bancarie così il Presidente Draghi lavorerà per favorire tutto quel che è già grande. I grandi poli mediatici, i grandissimi gruppi industriali, le grandi banche d’affari, le grande potenze mondiali e questo nonostante le loro scelte spesso siano in contrasto con gli interessi della stragrande maggioranza degli italiani. Ma la stragrande maggioranza dei parlamentari ha detto sì. E l’unico partito, ad oggi, all’opposizione penserà più a lucrare elettoralmente che a fare battaglie culturali invise all’establishment.
Perché certe battaglie, se le conduci realmente, ti emarginano, ti indeboliscono, pregiudicano la tua carriera politica anche se rafforzano le coscienze di chi non si piega al governo unico. Di conflitto di interessi si parlerà sempre meno. In pochi hanno interesse a farlo. Lo faranno i pochi intellettuali liberi rimasti, i pochi giornali corsari, i piccoli imprenditori che conoscono bene raccomandazioni e corsie privilegiate anche nel mondo industriale italiano.
Mi auguro che lo faranno sempre più cittadini, nonostante i tentativi quotidiani di distrarli con l’effimero per impedire che si dedichino al sostanziale: ovvero ai loro diritti. D’altro canto la distrazione di massa è l’arma principale in mano a chi pensa solo ai propri interessi lasciando gli emarginati della terra, in perenne conflitto.
BY INFOSANNIO ON 23 FEBBRAIO 2021 • ( 84 COMMENTI )
Mario Transformer
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
All’Ottavo nano, il mitico programma della Rai2 di Freccero, partiva ogni tanto lo spot del Berlusconi Transformer, il simpatico pupazzo di B. nei suoi più riusciti travestimenti: “Lo vuoi operaio? Lo preferisci imprenditore? È il tuo nuovo amico. Cercalo nei migliori negozi. Cardinale, comunista, extracomunitario, dottore, giudice… Basta che lo voti e diventa quello che vuoi!”. Nella sua incontinenza verbale, il Cainano si dipingeva ogni giorno per una cosa diversa, inventandosi un’autobiografia prêt-à-porter per piacere a tutti.
Mario Draghi ottiene lo stesso risultato senza neppure lo sforzo di aprire bocca e, le rare volte che la apre, senza dire assolutamente nulla di preciso: provvedono poi i giornalisti al seguito ad attribuirgli pensieri, parole e opere buoni per tutti gli stomaci e i palati. Mario Transformer è descritto come l’antitesi di Conte e “tutto il contrario dei giallorossi” (Libero), anche se ha tutti i giallorossi in maggioranza e 11 ministri su 22 che lavoravano con Conte, elogia Conte per aver “affrontato l’emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia”, conferma il Recovery di “alto livello” di Conte, non prende il Mes come Conte…
Tutto ciò che fa è già stato fatto. Il resto lo rinvia, perché nell’ammucchiata nessuno è d’accordo con niente. Oppure non ne parla proprio, per non scontentare nessuno, copiando un po’ da Giavazzi, un po’ da Chance giardiniere, un po’ da Massimo Catalano. Ambiguità politichese? Vuotezza forlaniana? Vaghezza andreottiana? No: “pensiero e azione” alla “Giuseppe Mazzini (Molinari, Repubblica). “La potenza di un’analisi” (Ajello, Messaggero). “Il grande gioco delle idee dietro il discorso fatale” (De Monticelli, Domani). “Il cambio di passo per la politica” (Fontana, Corriere). “La formidabile lezione del professore” (rag. Cerasa, Foglio). “Competenza e visione” (De Romanis, Stampa). Volete mettere la nobiltà del non dire? “Silenzi istituzionali”, “ritorno a una comunicazione autorevole” che “rivoluziona le parole del potere” (Panarari, Stampa). Del resto, non so se l’avete notato, ma Lui “è il solo che parla come i ragazzi del clima” (Domani): lui e Greta, due gocce d’acqua.
Sbianchettata mezza sua biografia dalle asprezze liberiste, privatizzazioni, Goldman Sachs e Grecia, ora Draghi è un “keynesiano pragmatico” (Giampaolo Galli). “Un socialista liberale” (Valdo Spini), “come Craxi” (Martelli). “È contro la patrimoniale e per il taglio delle tasse” un po’ “come Ferruccio Parri” (Salvini). “Un grillino, uno di noi” (Grillo). “Riaccende l’amor patrio” (QN). “Antisovranista come noi” (Zingaretti), un brutto “colpo al sovranismo” (Franco, Corriere). “Segue il modello Johnson” (Verità). È “la scelta più sovranista che potessimo fare” (Claudio Borghi). “Il mio capolavoro” (Renzi). “Un grande italiano come me” (B.) sebbene incensurato, infatti “combatterà la corruzione e le mafie” (Rep).
Tutto e il suo contrario, ma Lui lascia dire: finché gli altri se la bevono. Mario Transformer, e pure trasformista. Ma se Conte cercava 4 o 5 responsabili per neutralizzare i voltagabbana renziani, era “mercato delle vacche”; se Lui inventa un’ammucchiata di interi partiti cambiacasacca che giuravano di non appoggiarlo mai e di non governare mai insieme, si chiama “trasformismo buono” (Foglio), anzi “dimensione repubblicana” e “spirito repubblicano” (Rep-Espresso: mica come quel monarchico di Conte), e non ricorda Mastella, Ciampolillo, Razzi o Scilipoti, ma “De Gasperi, Berlinguer e Monti: quando gli ‘incompatibili’ riescono a fare squadra” (Ceccarelli, Rep). I giornaloni si sbracciano fra “svolta”, “novità”, “agenda Draghi”, “effetto Draghi”, “modello Draghi”, “metodo Draghi”, “stile Draghi”, “rivoluzione Draghi”. L’Espresso esulta per la Resurrezione dell’Italia dal “mucchio di macerie lasciato dai governi Conte”, “la crisi di sistema”, “il fallimento degli uomini nuovi”. Veneziani tripudia per “la fine della farsa giallorosa e il ritorno alla normalità”. Francesco Merlo orienta la lingua sul nuovo destinatario che “ridicolizza la comunicazione truccata e sbracata di Conte&Casalino” e “la Cretinocrazia” che “sbaglia i congiuntivi e geografia (Di Maio)”: poi si ritrova Di Maio agli Esteri. Aldo Grasso, altro scalatore di discese, non sta più nella pelle: “È come se in questi ultimi anni avessimo vissuto un incubo… se ci stessimo risvegliando dall’invenzione di una situazione intollerabile. Com’è potuto succedere? Perché così tanti incompetenti a guidarci?” Poi si sveglia e Draghi “congela i licenziamenti di massa” (Domani), come Conte. “Coinvolge nei vaccini i medici di base” (Sole 24 Ore), come Conte. “Tiene per sé la delega ai Servizi” (Stampa), come quel dittatore di Conte. E sull’Ilva “va avanti con Invitalia” (Stampa e Corriere), cioè con quella ciofeca di Arcuri. Vuole “più pagamenti digitali” (Rep), come Conte.
C’è, è vero, qualche bella svolta rivoluzionaria. Tipo questa: “Con Draghi l’Italia ha scelto l’Europa” (Sassoli), mica come Conte che aveva scelto l’Oceania. Senza contare che Draghi vuole “l’alleggerimento dei divieti” (Libero) e “basta Dpcm” (Giornale): infatti proroga tutti i divieti di Conte, ne aggiunge qualcuno e lo fa con un decreto e un Dpcm, come Conte. Però c’è modo e modo, anzi moda. Repubblica: “Il Dpcm alla moda di Draghi”. Il primo Dpcm in minigonna della storia.
BY INFOSANNIO ON 23 FEBBRAIO 2021 • ( 10 COMMENTI )
Salvini lupo nel pollaio
(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano)
E se Matteo Salvini fosse il lupo ingenuamente fatto entrare nel pollaio delle larghe intese? Come nella favola dell’astuto carnivoro che fa strage di galline dopo averle ingannate con un finto pentimento, al capataz leghista è stato facile essere accettato: “Due parolette, un sorriso e via, basta la presenza del pacioso Giancarlo Giorgetti al fianco del truce Salvini a rassicurare Quirinale e Palazzo Chigi” (Piero Ignazi sul Domani). Del resto, quando la sera del 2 febbraio Sergio Mattarella – archiviato il governo Conte come un farmaco scaduto – ebbe a rivolgersi con toni drammatici a tutte le forze politiche per la nascita di un governo di salvezza nazionale e di “alto profilo”, non ci sentimmo forse pronti a mobilitarci per la patria in pericolo? Chi rifiuterebbe l’aiuto del vicino, anche il più antipatico e litigioso, pur di spegnere l’incendio della casa comune? E quando il lupo del Carroccio (in combutta con il compare Renzi che aveva spalancato il recinto) si presentò da Mario Draghi dicendo vengo anch’io, chi si interrogò realmente sulla sincerità della conversione di quel tizio barbuto? Uno che soltanto il giorno prima era impegnato a sputare sull’Europa, a esaltare Putin, a perseguitare immigrati, a invocare i santi Cirillo e Metodio sbaciucchiando rosari come un Rasputin dell’Idroscalo? Infatti, non appena ammesso nel pollaio, il leghista ha cominciato a fare la voce grossa: basta lockdown, decidano le “nostre” Regioni quando aprire e chiudere, e che il commissario Arcuri vada fuori dalle scatole, che ci mettiamo uno di fiducia. Poi, brandendo i numeri virtuali dei sondaggi (“siamo il partito più forte”) egli pretende la sottomissione dell’intera batteria dei polli: superior stabat lupus. Quindi ordina al pacioso Giorgetti di soprassedere: dal Milleproroghe alle nomine dei sottosegretari, con le galline che non mettono becco. A questo punto lasciamo ai giuristi una qualche riflessione sulla supposta unità nazionale, monumento votivo non previsto dalla Costituzione e nella fattispecie invocato come l’estrema trincea, il Piave mormorò.
Quando invece la presente emergenza più che unanimismi di facciata comporterebbe scelte precise. Non è vero forse che dall’inizio della pandemia si sono contrapposti due partiti? Quello del viene prima la salute? E quello del viene prima l’economia? E che fino a quando i lupi ululavano da lontano il governo Conte aveva cercato un difficile punto d’equilibrio tra le due necessità, con il diritto alla salute in posizione primaria? Ora però che il recinto è stato spalancato, cosa impedirebbe a Salvini, se ostacolato da Mario Draghi – l’unico autentico valore aggiunto di tutta l’operazione – di chiedergli di quante divisioni dispone?
BY INFOSANNIO ON 24 FEBBRAIO 2021 • ( 25 COMMENTI )
Di Battista: “3 degli ultimi 8 presidenti delconsiglio lavoravano in Goldman Sachs”
(Alessandro Di Battista)
Ecco gli ultimi 8 Presidenti del Consiglio dei Ministri: Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi. Di questi, 3 provenivano da Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari del mondo, molto attiva, tra l’altro, negli anni ’90, durante la stagione delle privatizzazioni. Prodi fu consulente in Goldman Sachs dal 1990 al 1993, subito dopo aver lasciato la presidenza dell’IRI che aveva contribuito a privatizzare e tre anni prima di diventare Premier. Mario Monti fu consulente internazionale per Goldman Sachs dal 2005 al 2011, anno in cui venne incaricato di formare il governo da Napolitano. Draghi, nel 2002, venne nominato Vicepresidente e Managing Director in Goldman Sachs. Entrò nella banca americana un anno dopo aver lasciato la direzione generale del Tesoro e se ne andò per fare il governatore di Bankitalia (con i risultati su MPS che gli italiani informati ricordano bene). Tre degli ultimi otto Presidenti del Consiglio hanno lavorato per una delle più grandi banche d’affari del pianeta. Una banca che fa politica. Ma non è tutto. Anche Gianni Letta, nel giugno del 2007, venne arruolato da Goldman Sachs. Non sarà stato Premier ma Gianni Letta fu il braccio destro di Berlusconi a Palazzo Chigi. Fu Sottosegretario di Stato nel ’94-’95, poi dal 2001 al 2006 e poi dal 2008 al 2011, ovvero dopo essere stato ingaggiato da Goldman Sachs. Aggiungo una cosa ancora. Mi risulta (fonte La Repubblica) che nel 2003 Goldman Sachs prestò parecchio denaro (2,8 miliardi di euro) al gruppo Benetton per concludere l’acquisto di Autostrade che già controllava dal 1999, anno della privatizzazione fatta a cavallo dei governi Prodi e D’Alema con Draghi direttore del Tesoro. Nel 2003 Draghi che – quattro anni prima si era occupato della privatizzazione delle autostrade – lavorava in Goldman Sachs.
Ricordo una serie di giornalisti fare le pulci (giustamente sia chiaro) a Conte sul suo passato da avvocato quando divenne Presidente del Consiglio. Credo sia doveroso che la stampa si occupi con la stessa attenzione anche del Presidente Draghi. Sono fiducioso che ciò avvenga presto. Io provo a farlo. E, per adesso, è quello che voglio fare: studiare, scrivere, unire i pezzi ed informare. Consapevole di quel che mi aspetta.
BY INFOSANNIO ON 24 FEBBRAIO 2021 • ( 107 COMMENTI )
Lesa draghità
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
A parte Crozza, gli unici divertimenti in tv sono le rassegne stampa. Ma solo quando mostrano la prima pagina del Fatto, quasi sempre totalmente diversa dalle altre. A quell’orribile vista, i rassegnisti sono colti dalla sindrome di Fantozzi col megadirettore galattico: lingua felpata, salivazione azzerata, sudorazione a mille, le mani due spugne. E si sentono subito in dovere di prendere le distanze. Il bizzarro fenomeno si deve, temiamo, a un fraintendimento del concetto di “rassegna stampa”, che li induce a temere che lo spettatore attribuisca a loro i nostri titoli. Il precursore della rassegna con excusatio non petita incorporata è Maurizio M’Annoi, quello di Lineanotte, sempre un po’ assonnato per la fase digerente post-abbacchio e peperonata: “Questo naturalmente lo dice il Fatto”, è il suo mantra, come se qualcuno potesse mai pensare che lo dica lui. E, almeno in questo, ha fatto scuola.
L’altra sera, alla rassegna di Rainews 24, la brava presentatrice mostrava una ventina di titoli misto-bava & saliva senza fare un plissé. Poi le toccava il Fatto: “Draghi, un Conte-3 senza opposizione” a proposito delle scelte in totale continuità su chiusure, prescrizione, Aspi, Ilva e Servizi. E sprofondava nella più cupa costernazione, scambiando per insulti sanguinosi i nostri elogi a Draghi che conserva il buono fatto dal predecessore e le critiche ai voltagabbana che lo lodano per le stesse cose che rimproveravano a Conte. Infatti cercava conforto in Tonia Mastrobuoni di Stampubblica: “Tonia, insomma, un po’ duro questo titolo del Fatto… Non è un po’ presto per tracciare già i primi bilanci?”. Tonia, pronta, l’aiutava a denunciare il delitto di lesa draghità: ”Ma è ovvio. Quello è, come si suol dire, un giornale d’area, insomma (il suo invece è, come si suol dire, il giornale della Fca e di tante altre cose, insomma, ndr). E quindi avendo avuto sempre spiccate simpatie per i governi Conte, non riesce a sganciarsi da questo prisma attraverso cui guarda l’agire di Draghi”. In cui, prismi a parte, ella vede “un rigore meraviglioso”, “persone straordinarie”, “grandissimi professionisti”, insomma adesso le cose stanno andando bene. Però, come dimostra anche quest’apertura del Fatto, la politica non sta mai zitta. E quindi speculazioni, indiscrezioni, interpretazioni completamente fuori dal mondo…”. In attesa di sapere dal direttore di Rainews24 Andrea Vianello a che titolo il “servizio pubblico” chieda alla concorrenza di darci le pagelle, temiamo di dover deludere la Tonia e la sua spalla: noi non staremo zitti e seguiteremo a scrivere quel che ci pare senza il loro permesso. Se però ci dicono dove tengono lezioni di giornalismo, magari passiamo a prendere qualche ora di ripetizione.
Jonny Dio
24 febbraio 2021 alle 3:42
Chiunque abbia vissuto anche solo parzialmente l’èra Berlusconi non ha alcun bisogno di immaginarsi cosa sia capace di fare la cosiddetta informazione quando c’è da giustificare i loro referenti, o da mettere in cattiva luce chi dovesse, per qualsiasi motivo, risultare sgradito agli stessi. In breve: di tutto (ma anche nulla, alla bisogna). Non c’è mica bisogno di aspettare, si tratta di un processo già in atto.
Un piccolo esempio, tanto per rimanere alla stretta attualità: ormai è trascorsa un’intera settimana da quando Attilio Fontana ha firmato l’ordinanza che ha istituito delle zone rosse nei comuni di Bollate, Castrezzato, Mede e Viggiù. Solo nove mesi fa, lo stesso Fontana sosteneva di non aver potuto fare lo stesso coi comuni di Nembro, Alzano Lombardo e nella Val Seriana, perchè la cosa non spettava a lui ma al Governo, accusando di attacco politico chi provava a ricordargli quelle che, ora come allora, sono sue precise responsabilità (la cui ignoranza, è sempre bene tenere a mente, è stata pagata a caro prezzo dai cittadini, anche in termini di vite umane), giungendo fino alla paradossale sfacciataggine di chiedere maggiori autonomie per le regioni, dopo aver appena dato una così plateale dimostrazione di non conoscere neppure quelle già attribuitegli secondo la legge del 1978 che le ha istituite.
Ebbene, di fronte a questo schifo, quali sono state le reazioni (si fa per dire) dell’informazione mainstream, quella che all’epoca dei fatti, coi morti ancora caldi, ha avuto perfino il coraggio di sostenere che avesse ragione lui, avvalorando financo la tesi fasulla secondo cui il povero Fontana non avrebbe avuto il potere per istituirle? Perlopiù, non ce ne sono proprio state: troncare, sopire; in pratica, nessuno si è nemmeno preso la briga di far notare l’assurdità della cosa: hanno semplicemente fatto tutti finta di niente, e la cosa è incredibilmente finita lì.
Altro esempio, sempre d’attualità: le autoflagellazioni su pubblica piazza causate dal comportamento di un Signor Nessuno che ha osato appellare la Meloni con un nomignolo, quello di pesciarola, sul quale lei stessa (fino a poco tempo fa) ironizzava. Comportamento certamente da stigmatizzare, soprattutto perchè le esternazioni di Gozzini sono state fatte durante una trasmissione al pubblico (e non nel luogo preposto, ovvero tra amici al bar), ma deve valere per tutti. Invece quando, poche settimane fa, un Signor Salvini si permetteva di descrivere pubblicamente Virginia Raggi come una povera scema, gli stessi autoflagellanti, oggi così inconsolabili per l’orribile, gratuito insulto rivolto ad una povera donna indifesa, si sono ben guardati dal riprendere la cosa, e men che meno dal tirare in ballo sessismo o altro: si sono girati bellamente dall’altra parte, e morta lì.
viviana.v
24 febbraio 2021 alle 9:11
DRAGHI E GLI ITALIANI- DIO ACCECA COLORO CHE VUOLE PERDERE- Viviana Vivarelli.
Purtroppo si ripete il detto latino: “Nemo propheta in patria”.Se un popolo vuole suicidarsi lo farà e non ascolterà chi lo mette in guardia anzi cercherà di linciarlo.Devo dare ragione ai realisti pessimisti,che vedono nitidamente che ci stiamo buttati da soli nelle fauci del drago con una incoscienza e disinformazione mostruose, che, dopo quanto Draghi ha fatto in tutta la sua vita,non ha attenuanti e dimostra solo che i più non sanno nemmeno di cosa stanno parlando e si sono buttati in una rissa fatta di faziosità viscerale ed emotività impiegate male.Quello che sta accadendo è folle.Leggo su Facebook gente che si scanna perché crede, per es., che partecipando alle Commissioni e decidendo su piccole cose “si partecipi da dentro”! Perdono completamente di vista il senso generale dell’operazione con cui Draghi evita argomenti divisivi, dà briciole di potere a tutti su cose inessenziali, lascia che siano i partiti a decidere su queste, mentre su cose gigantesche deciderà lui in totale assolutismo con i suoi tecnici, svendendo l’Italia.Ha fatto la stessa cosa in Grecia (ovviamente nessuno dei media ne ha parlato e questo blog ha la gravissima colpa di non averlo fatto mentre disquisiva di alberi o di piante da appartamento) e c’è il forte rischio che lo schema usato per distruggere la Grecia Draghi lo ripeterà in Italia, ma sembra che nessuno voglia vederlo. Quando ce ne accorgeremo, sarà troppo tardi.Ho trovato spaventosa la dichiarazione di Gentiloni, che, con la massima naturalezza, ha spiattellato l’intento perverso di Draghi: svendere i nostri massimi beni pubblici a poteri stranieri, impoverire i più poveri, impoverire anche la classe media, modificare in senso meno democratico la Costituzione .(Vd articoli di Paolo Maddalena – Vice Pres, della Consulta, dunque uno che se ne intende :
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/18/leuropeismo-fideistico-di-draghi-ci-portera-alla-rovina/6105679/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/23/draghi-e-la-confessione-di-gentiloni-cio-di-cui-litalia-non-aveva-bisogno/6110790/
Apparentemente Draghi si è messo in continuità col Conte 2, da cui ha preso 11 Ministri su 22. E sicuramente gode di grande stima in Occidente, ma da parte di chi? Alta Finanza, sistema bancario, Banche d’affari americane, specie Goldman Sach, tutta gente che ha sempre operato per arricchire i più ricchi a spese dei popoli e a cui si deve l’assassinio della Grecia,e, prima, dell’Argentina. Non serve a niente dire che la Grecia aveva pessimi Governi perché ha avuto pessimi Governi anche l’Italia e non è un buon motivo per distruggere il futuro di un popolo, tagliargli diritti costituzionali, o diminuire la sua democrazia. Questo è quello che Renzi e Monti hanno tentato di fare e che Draghi farà di più.
Dire che ‘Controlleremo meglio stando dentro al Governo che stando fuori” è una emerita palla, visto che i Ministeri che contano sono nelle mani di Draghi, che gli altri hanno le briciole, che noi non abbiamo nemmeno quelle e che Draghi può cambiare i Ministri quando e come gli pare.E’ una palla anche dire che ‘Draghi durerà solo 2 anni’, perché 2 anni sono bastati a distruggere la Grecia, a buttarla nella miseria più nera e a svendere a stranieri tutti i suoi beni pubblici (acqua, luce, luce, porti, aeroporti, persino isole).Gentiloni ha detto chiaramente che Draghi è molto stimato in Europa e negli USA per il suo atteggiamento poco incline a tutelare gli interessi italiani e molto propenso a tutelare gli interessi degli Stati forti dell’Ue, nel quadro di un fermo atlantismo cioè della soggezione agli USA.Dunque c’è poco da sperare per i nostri interessi, mentre appare sicuro che le poche forze economiche rimaste all’Italia saranno utilizzate non per rafforzare Enti pubblici italiani che assicurino occupazione e ricchezza a lungo termine, ma per arricchire le grandi potenze finanziarie straniere nel quadro del più smaccato neoliberismo.Grazie alla von der Leyen, a causa della pandemia è stato sospeso il patto di stabilità, cioè l’obbligo delle restrizione dell’austerità per realizzare un impossibile pareggio del bilancio (cosa già di per sé asssurda).Da tempo l’economia italiana sta perdendo il possesso della sue massime imprese che stanno passando via via a poteri stranieri.Le imprese imprese straniere si stanno impadronendo a poco a poco di tutte le nostre industrie strategiche e dei nostri servizi pubblici essenziali con Governi che non hanno fatto niente per evitarlo, ignorando la Costituzione che (titolo 3° e art. 43) detta: “le industrie strategiche, i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia e le situazioni di monopolio devono essere nella mano pubblica o di comunità di lavoratori o di utenti”.Intanto non si parla più di revoca ad Autostrade, come voleva il M5S, ma di un indennizzo di 9 miliardi di €.
Peggio ancora per l’Ilva (che Grillo voleva chiudere trasformando l’area in parco giochi): si interviene sulla società pubblica Invitalia per un MLD,mentre è di 70 milioni l’investimento previsto per i prossimi anni di Arcelor Mittal, arrivando all’assurdo che l’Italia mantiene il 60% delle azioni Ilva, mentre ArcelorMittal,come affittuaria,godrà per intero dei profitti. Insomma noi paghiamo e lo straniero intasca.Draghi se ne frega dell’inquinamento cancerogeno di Taranto e del Tar della Puglia che ha rifiutato la richiesta di ArcelorMittal di riaprire l’Altoforno 2 mentre il Tribunale di Taranto ha chiesto una condanna per i Riva per disastro ambientale.Sulla fibra ottica, dove i profitti saranno altissimi, lo Stato metterà le spese per la costruzione della rete della Cassa Depositi e Prestiti, lasciando la maggioranza delle azioni a Tim, che è in mano straniera, con la francese Vivendi in posizione prioritaria. Anche qui lo Stato, cioè noi, pagherà le spese, i profitti li prenderanno gli stranieri.Monti voleva abbassare i tassi d’interesse sul debito infliggendoci lacrime e sangue e tagliando i diritti del lavoro. Nessuno dice che lo fece su ordine proprio della famosa lettera della Troika scritta da Draghi. Non si capisce come, se Monti e la Fornero, sono tanto odiati, si debbva amare Draghi che ha ordinato loro di fare quello che hanno fatto.La linea di Monti come di Draghi, Padoan o Renzi è sempre stata contro lo sviluppo dell’economia italiana e favore di grandi potenze economiche o finanziarie straniere.La von der Leyen (che deve la sua carica al M5S) vuole sospendere l’austerità e intraprendere una linea keynesiana, in cui il debito può crescere se aumenta lo sviluppo e mette i miliardi in investimenti produttivi che rimettono in moto l’economia del Paese modernizzandolo e quindi facendo aumentare il PIL che da solo ci ripagherà dei tassi di interesse. E’ quello che fece Roosevelt dopo la crisi del ’29 risollevando gli Stati uniti ed è quello che dovremmo fare noi e a cui pensava Conte. Ma la linea di Draghi è quella opposta, di prendere pretesto della pandemia e mirare alla riduzione del debito con tagli e svendite, nulla che sia diretto allo sviluppo con i 220 miliardi promessi dall’Ue, grazie a Conte,Il fine di Draghi (lo dicono Gentiloni e Maddaloni) non è risollevare l’Italia ma arricchire poteri stranieri, come ha sempre fatto.Oltre il danno c’è anche la beffa perché i partiti hanno accettato questa turpe possibilità, e sopra tutti lo hanno accettato i primi 3 partiti: M5S, Lega e Pd.Insomma è arrivato un distruttore di popoli e gli abbiamo aperto le braccia!! E chi, nel M5S, ha visto il pericolo e si è opposto ha rischiato il linciaggio e l’espulsione.Dio acceca chi è causa della propria rovina.Ma sembra che, se uno lo dice, viene sbranato dalla folla.
BY INFOSANNIO ON 25 FEBBRAIO 2021 • ( 78 COMMENTI )
I 4 dell’Ave Mario
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Sei giorni fa titolavamo: “Perché è caduto Conte?”. Ora, alla luce delle prime scelte di Draghi, possiamo cancellare il punto interrogativo. Conte non è caduto per la blocca-prescrizione (confermata dal governo Draghi).
Non per i Dpcm (li fa anche Draghi).
Non per le chiusure anti-Covid (elogiate, ribadite e inasprite da Draghi).
Non per i vertici serali (li fa pure Draghi, ieri per la mega-rissa sui sottosegretari).
Non per ministri e collaboratori incapaci (quasi tutti confermati da Draghi, con l’aggiunta di Brunetta, Gelmini, Carfagna, Garavaglia, Stefani&C. per aumentare il tasso di competenza).
Non per il Mes (non lo prende neanche Draghi). Non per il Reddito di cittadinanza (non lo cancella neanche Draghi).
Non per il ponte sullo Stretto (non ne parla neppure Draghi).
Non per Arcuri (finora se lo tiene anche Draghi).
Non perché accentrava la governance del Recovery in soli tre ministeri (Draghi l’accentra in uno: il Mef del fido Franco).
E qui finiscono i pretesti ripetuti per due mesi dall’Innominabile e dai suoi pappagalli per giustificare la crisi: erano tutte balle.
Le vere ragioni del ribaltone sono altre: mettere le mani dei soliti noti sui miliardi del Recovery e dirottarli verso Confindustria&C.
Per chi nutrisse ancora dubbi, basta leggere i nomi dei ministri Franco, Cingolani, Colao, Giorgetti e (a pag. 2-3) dei sottostanti boiardi e retrostanti lobbisti, su su fino al neoconsigliere economico Francesco Giavazzi: un turboliberista che predica da sempre contro l’impresa pubblica e a favore di quella privata (ma con soldi pubblici) e che neppure i giornaloni riusciranno a spacciare per “liberalsocialista”, “keynesiano” e “allievo di Caffè” (che non smette più di rivoltarsi nella tomba, tanto nessuno sa dove sia).
Mentre i partiti giocano agli adulti nel cortile dell’asilo coi loro ministri e sottosegretari superflui, Draghi e i Quattro dell’Ave Mario si occupano delle cose serie. Cioè della scelta meno tecnica e più politica del mondo: a chi destinare i miliardi del Recovery. Ricordate il mantra del Piano “scritto coi piedi” da Conte e Gualtieri e “migliorato” in extremis dal provvidenziale intervento renziano?
Ora Repubblica titola: “Pulizia sul Recovery Plan. Il governo taglia subito 14 miliardi di progetti… senza copertura finanziaria. Sfoltite le iniziative in eccesso previste dal Conte2, si torna a quota 209,5 miliardi”. Già: ma le “iniziative in eccesso” sono quelle chieste dal Rignanese nel celebre Piano Ciao e aggiunte da Gualtieri per tacitarlo.
Quindi era meglio il Piano Conte prima della cura Iv: quello “scritto coi piedi”, senza i famosi “miglioramenti” renziani che ora Draghi deve “ripulire”. Ma questo i repubblichini si scordano di scriverlo. Vergogniamoci per loro.
Cialtron Heston
25 febbraio 2021 alle 1:37La via della seta, il 5G, il Sovranismo dichiarato davanti all’Assemblea Generale dell’Onu, la simpatia per Trump alla Casa Bianca, essere l’avvocato del popolo, sono questi i peccati capitali che hanno condannato Conte è il suo governo. È infatti il bomba ci informa che per questo Conte non potrà essere il leader del campo progressista.
In realtà Conte non piaceva più oltre oceano dove il nuovo establishment di Biden ha sponsorizzato Draghi e la parola d’ordine è diventata “europeismo” senza se e senza ma. E infatti il minchiavellico ha iniziato a tirare la corda a elezioni americane concluse.
L’innominabile, che invidia il costo del lavoro dell’Arabia Saudita (120 euro mensili per gli immigrati sottoposti a turni disumani) e che si fa dare gettoni di presenza da svariate decine di migliaia di euro, ci dà la misura dell’uomo che è, al soldo e si è reso disponibile come killer del governo Conte 2, un pò anche per vendicarsi delle brucianti sconfitte subite.
Mes, prescrizione, ponte sullo stretto e tutte le altre supercazzole del rignanese e della sua congrega di falsi progressisti sono le canne fumanti del killeraggio. Non si vergogneranno mai.
Tracia
25 febbraio 2021 alle 10:47
xGiulio Fadda
Anno 2006, Benetton finanzia la Lega di Bossi e Salvini con 150.000 euro di contributo elettorale. È l’anno delle elezioni: il governo Berlusconi sarà sostituito dal governo Prodi.
Il Governo Prodi (2006/2008) rivede il sistema delle concessioni. Nel 2007 vengono firmate le convenzioni uniche per ogni concessionario autostradale stabilendo RIGOROSE verifiche periodiche sulle tariffe e sugli investimenti
L’8 aprile 2008: Prodi è al governo, mancano pochi giorni alle elezioni del 13 e 14 aprile, che vedranno la vittoria di Berlusconi sul partito Democratico, nato a ottobre 2007. Viene approvato il decreto legge 8 aprile 2008, n. 59. Si tratta di un decreto che riguarda gli obblighi europei e l’esecuzione di alcune sentenze della Corte giustizia della Comunità Europea Cosa c’entra con Autostrade?
Nulla. Ma da qui in poi, cambia tutto.
“Otto maggio 2008: si insedia come premier di nuovo Berlusconi. Il suo alleato di governo è la Lega. 29 maggio 2008: arriva in Parlamento il decreto legge n. 59, ma in quel decreto viene ficcato nottetempo l’emendamento SALVA BENETTON
(l’articolo 8-duodecies).
Il decreto diventa legge grazie al voto di Salvini e della Lega, mentre tutti i parlamentari del Pd votano contro.
Il decreto è convertito in legge n. 101 del 6 giugno 2008, pubblicata in gazzetta ufficiale il 7 giugno 2008”.
2015 La porcata di Renzi e Delrio Sblocca Italia nel 2015 fu inserita legge che prolungava la concessione a Autostrade
In conclusione grazie a Berlusconi e la Lega i Benetton sono giuridicamente sono in una botte di ferro.
Per mandarli via lo stato deve pagare, con la modifica il governo Berlusconi ha tolto allo stato la facoltà di togliere la concessione
per non avere rispettato le RIGOROSE verifiche periodiche .
Conte lo sapeva, E PER QUESTO STAVA MEDIANDO – UNA USCITA DI BENETTON MENO GRAVOSA PER LO STATO
In conclusione o pagare i Benetton o lasciare la concessione. Draghi o non Draghi questa è la verità.
Io mi auguro che il nuovo ministro Giovannini, mantenga la posizione di Conte .
Jonny Dio
25 febbraio 2021 alle 16:39
Nel conto mettici anche i finanziamenti dei Benetton a Renzi tramite la fondazione Open (fatti ormai acclarati, sebbene la liceità degli stessi sia tuttora oggetto di indagini).
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/27/open-i-finanziatori-della-fondazione-che-hanno-beneficiato-di-scelte-del-governo-renzi-dal-gruppo-gavio-alla-lobby-del-tabacco/5582478/
Aggiungo che gli interessi che ruotano intorno alle concessioni autostradali sono talmente enormi che basterebbero da soli a giustificare lo sgambetto a qualunque governo abbia intenzione di metterci mano, anche senza considerare il resto (recovery plan, giustizia, eccetera). Come è, come non è, ogni volta che qualcuno ha sia l’intenzione che la volontà di mettere mano alle concessioni, cade il governo (e sempre per mano di qualcuno che dai Benetton è stato finanziato).
E ORA UN PO' di SPASSO, ai danni di 'il Movimento 5 stelle non voterà questo governo' (V.Crimi, 02-02-21). E della sua degna sodale Roby Lombardi.
Vito Crimi
5 g ·
Il completamento della squadra di governo consente all'esecutivo di lavorare ora nel pieno delle sue funzioni. Bisogna correre, e bisogna farlo subito. Perché le risposte che dobbiamo dare al Paese sono tante e decisive. Le priorità sono la salute pubblica, la sanità e il piano vaccinazioni, i ristori, le imprese e il lavoro, la definizione del Recovery Plan. La squadra di governo del
MoVimento 5 Stelle
sarà composta da persone competenti che proseguiranno con il massimo impegno l'importante lavoro fatto fin qui, aiutandoci ad affrontare le sfide che ci attendono. A tutti loro rivolgo i miei auguri di buon lavoro. Un sincero ringraziamento va ai colleghi che hanno concluso l'esperienza di governo e che hanno lavorato senza sosta con grande capacità e dedizione al servizio del Paese.
P.S.
In molti mi state chiedendo perché non sono fra i membri dell'esecutivo. Quella di rimanerne fuori è stata una mia scelta. Una scelta alla quale hanno aderito anche i due capigruppo e vice capigruppo di Camera e Senato, che insieme a me hanno lavorato alla composizione della squadra di governo proposta.
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Commenti: 1665
E così eccoci, da una settimana a questa parte, in questa follia del Draghi 1, che a ben guardare è un Conte 3 senza Conte.
Adesso vediamo la questione con qualche articolo di spessore.
Draghi e i suoi derivati (di Alessandro Di Battista) (tpi.it)
Draghi e i suoi derivati
È il nuovo idolo dell'establishment politico-finanziario italiano. Quando parla tutti si spellano le mani e si trasformano in tanti piccoli suoi derivati. I veri derivati di Draghi però sono altri: i titoli tossici sottoscritti tra il 1991 ed il 2001, quando fu Direttore generale del Tesoro. Il futuro dei giovani, di cui ora si riempie la bocca, è pregiudicato proprio dalle sue scelte
Di Alessandro Di Battista
Pubblicato il 31 Ago. 2020 alle 11:32
“A rischio il futuro dei giovani. Bisogna dar loro di più”. E ancora: “Privare i giovani del futuro è una grave diseguaglianza”. Perbacco, che pensieri sagaci, che riflessioni acute e visionarie! Chi avrà mai pronunciato parole così profonde? È stato Mario Draghi, il nuovo idolo dell’establishment politico-finanziario italiano, dal palco dell’ultimo meeting di Comunione e Liberazione. Ho ascoltato attentamente il suo intervento. Draghi non ha detto nulla di rilevante eppure, commentatori, editorialisti e politici hanno descritto il suo intervento come il discorso del secolo, pari, forse, solo all’I have a dream di Martin Luther King.
“Ascoltate Draghi” si è raccomandato Gentiloni. Probabilmente avrebbe voluto aggiungere “e convertitevi alla religione della finanza” ma i democristiani non dicono mai tutto quel che pensano. Giuliano Ferrara ha definito Draghi il “migliore degli uomini di Stato”. Le uscite di Ferrara hanno una loro utilità, ci aiutano a capire da che parte stare. Generalmente la parte giusta è quella dove non sta lui. Anche molti politici hanno fatto a gara per vincere il premio “draghiano dell’anno”. Questa competizione tra conformisti è partita già da alcuni mesi e continuerà ancora per molto, senz’altro fino a che non si eleggerà il nuovo Presidente della Repubblica. Il 25 marzo scorso, in pieno lockdown, Draghi rilasciò un’intervista al Financial Times in cui sostenne la necessità di aumentare il debito pubblico per proteggere economia e lavoro.
Quando erano i populisti ad attaccare la logica del pareggio di bilancio in Costituzione e a sostenere interventi a debito in tempo di crisi l’establishment scherniva tali argomentazioni. Ma quando parla Draghi tutti si mettono sull’attenti, agli ordini, con la lingua di fuori e si trasformano in tanti piccoli suoi derivati. Draghi è come il TAV, le grandi opere inutili, l’asservimento a Washington o il finanziamento pubblico a Radio Radicale: riesce a mettere d’accordo Renzi e Salvini. “La lettera di Draghi al Financial Times andrebbe letta e imparata a memoria” ha commentato Renzi. “Grazie Draghi per le sue parole. Benvenuto, ci serve il suo aiuto” ha aggiunto Salvini.
Nell’eterna gara ad arruffianarsi il potere che conta i politicanti nostrani vogliono arrivare tutti primi. Draghi può dire tutto ed il contrario di tutto ma quel che conta per il sistema di potere italiano non è quel che dice ma quel che ha fatto. È ciò che ha fatto che galvanizza gli Elkann, i De Benedetti ed i Benetton, che unisce Sallusti e Scalfari, Forza Italia ed il PD, che tranquillizza Confindustria e tutta l’élite del capitalismo finanziario europeo. I derivati di Draghi si stanno moltiplicando. Li trovi nei partiti che dovrebbero essere a lui antitetici, nei salotti della Roma bene, nelle redazioni dei giornali che un tempo difendevano gli interessi della collettività ed, ovviamente, nei CDA delle banche d’affari.
Tuttavia ci sono altri derivati che andrebbero menzionati: i derivati di Stato, una valanga di titoli tossici molti dei quali sottoscritti tra il 1991 ed il 2001, ovvero nei 10 anni in cui Mario Draghi fu Direttore generale del Tesoro. “La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore” diceva Malcolm X. E allora ricordiamola la storia. Draghi divenne Direttore generale del Tesoro durante l’ultimo governo Andreotti e venne confermato anche dai governi Amato I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi, D’Alema I e D’Alema II, Amato II e Berlusconi II. Un uomo per tutte le stagioni.
Appena uscito dal Tesoro, nel 2002, venne nominato Vicepresidente per l’Europa di Goldman Sachs, una delle banche d’affari più grandi al mondo. Anche i due Direttori generali del Tesoro arrivati dopo di lui, ovvero Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, “curiosamente”, vennero assunti da altre due banche d’affari appena terminato il loro incarico pubblico. Il primo, nel 2006, divenne managing director e Vicepresidente di Morgan Stanley. Il secondo, nel 2014, addirittura Presidente del Corporate & Investment Bank di JPMorgan. Pare una legge della natura, appena finisci di dirigere il Tesoro, ovvero il dipartimento più importante del Ministero dell’economia, trovi subito un lavoro strapagato in qualche banca privata.
Il Direttore generale del Tesoro occupa un ruolo apicale. È colui che elabora ogni tipo di iniziativa economica, finanziaria e monetaria all’interno del MEF. È colui che sa sussurrare all’orecchio del Ministro dell’economia quel che s’ha da fare. Soffermiamoci sulle date: 12 aprile 1991, il giorno in cui Draghi inizia a dirigere il dipartimento del Tesoro e 29 novembre 2011, quando Grilli termina il mandato da Direttore e diventa Viceministro e poi Ministro dell’economia sotto Monti (anch’egli consulente di Goldman Sachs) prima di accasarsi in JPMorgan. 20 anni di acquisizione da parte dello Stato di titoli derivati emessi anche dalle banche d’affari appena citate.
Il divino Draghi ha diretto l’acquisizione da parte della Repubblica italiana di titoli speculativi che hanno, nella stragrande maggioranza dei casi, arricchito le banche private ed impoverito le casse dello Stato. È difficile avere cifre esatte su queste operazioni. Sull’acquisto di derivati perdura un sostanziale segreto di Stato come per la strage di Ustica. In effetti la verità farebbe male. Farebbe male a quei tecnici strapagati, con curricula di tutto rispetto, usciti dalle migliori università del pianeta, che inorridiscono quando il popoluccio si interessa di questioni che vanno oltre il calcio mercato, che tuttavia sono stati capaci di farci perdere miliardi di euro e che adesso sognano persino di sedersi al Quirinale, supportati da una classe politica che non può far altro che restare in silenzio avendo la bocca tappata dalle mani ossute di centinaia di scheletri negli armadi.
Le scelte dei cosiddetti esperti, di quelli bravi alla Draghi le stiamo ancora pagando. A Rimini l’apostolo ha deliziato la platea di ciellini con un concetto davvero strabiliante ovvero la distinzione tra debito buono e debito cattivo. Quello buono è il debito produttivo, il cattivo è quello improduttivo. Però. Anni di “studi leggiadri e sudate carte” hanno prodotto ragionamenti sensazionali. A questo punto è lecito domandarsi se i debiti contratti dallo Stato con le banche d’affari dovuti all’acquisto di derivati siano debito buono o debito cattivo. Quel che è certo è il coinvolgimento del nuovo stupor mundi, Mario Draghi da Goldman Sahcs.
Nel 1994 il Tesoro siglò un accordo quadro con Morgan Stanley che aveva al suo interno una clausola capestro che avrebbe permesso all’istituto finanziario di New York di chiudere unilateralmente i contratti sui derivati. Morgan Stanley la esercitò nel 2011, in piena tempesta finanziaria per l’Italia, ed ottenne dal governo Monti il pagamento, sull’unghia, di 3 miliardi di euro di interessi sui titoli derivati. In quegli anni, Giacomo Draghi, il figlio di Mario, faceva carriera proprio in Morgan Stanley. Mentre lo Stato trasferiva miliardi di euro alle banche d’affari che avevano guadagnato sui derivati, Monti e Fornero portavano in Parlamento provvedimenti sanguinolenti che avrebbero colpito pensionati, lavoratori e malati. Sì, malati.
Nel 1998, un anno dopo la sottoscrizione in UE del Patto di stabilità che ha dato il via alla stagione dell’austerità, in Italia vi erano 1381 istituti di cura: 61,3% pubblici e 38,7% privati. Nel 2007 erano 1197: 55% pubblici e 45% privati. Nel 2017 sono scesi a 1000: 51,8% pubblici e 48,2% privati. Sono gli effetti delle privatizzazioni. E chi è stato uno degli artefici della stagione delle privatizzazioni in Italia? Mario Draghi. Fu Draghi, a cavallo dei governi Prodi e D’Alema, ad adoperarsi affinché i Benetton acquistassero dall’Iri ad un costo irrisorio la Società Autostrade.
Oggi fa appello al senso di responsabilità. Parla di speranza, di futuro. Un futuro che i giovani vedono pregiudicato anche dalle sue scelte e questo la pubblica opinione italiana ha il dovere di ricordare. Nel 2005 Draghi lasciò Goldman Sachs per sedersi sulla poltrona più prestigiosa di Palazzo Koch. Fu sempre lui, stavolta da Governatore di Bankitalia, ad autorizzare Monte dei Paschi di Siena ad acquistare Banca Antonveneta, al triplo del suo valore, dal Banco Santander. I debiti contratti da MPS per questa scellerata operazione sono buoni o cattivi? Beh, dato che in buona parte sono stati coperti da denaro pubblico saranno stati certamente debiti buoni.
Draghi non è cambiato, non si è convertito all’interesse generale, non ha preso coscienza delle perversioni del liberismo. D’altro canto un capitalista finanziario è per sempre. Semplicemente vuole fare il Presidente della Repubblica e per arrivare al Quirinale è disposto persino a guidare un governo di unità nazionale (Dio ce ne scampi) se gli venisse richiesto. Nel suo cassetto, oltre ai sogni presidenziali, ha abiti da “amico del popolo” che proverà ad indossare nei prossimi mesi consapevole che la nuova mise verrà magnificata dalla stampa di regime. Ma sotto il vestito, per gli interessi degli ultimi, ancora una volta, non ci sarà niente di buono.
Come nulla di buono conteneva la letterina che il 5 agosto del 2011 Draghi ed il Presidente uscente della BCE Jean-Claude Trichet inviarono all’Italia per chiedere quelle riforme strutturali (macelleria sociale) che da lì a poco Monti avrebbe realizzato. Le ricette richieste con quella lettera sono quelle di sempre: privatizzazione dei servizi (sanità inclusa), contrazione dei salari, taglio della spesa pubblica e assoluta fedeltà al Patto di stabilità. Quel Patto di stabilità che Draghi inizia a mettere in discussione sapendo che qualche critica all’Unione Europea è strategica per spostarsi dalle colline dei Parioli al colle più prestigioso di Roma. Il sistema mediatico è con lui. Gran parte del sistema politico è con lui. Dalla sua ci sono le banche, le istituzioni europee, i grandi gruppi di potere, il clero più influente.
Ma, come disse Abraham Lincoln: “La pubblica opinione è tutto”. Sta al Popolo italiano combattere l’amnesia collettiva a suon di informazione. Si ricorderanno i cittadini come venne dipinto Monti nei primi mesi di governo. Monti che accarezza un cane, Monti che parla il francese, Monti che non fa il bunga-bunga, Monti che indossa il loden come nessuno. Quando l’establishment glorifica qualcuno il Popolo dovrebbe temerlo. Draghi è osannato, incensato quando non dice nulla, ossequiato perché è potente, ringraziato ininterrottamente per il Quantitative Easing, come se i soldi che la BCE ha messo sul piatto per comprare titoli pubblici dei paesi dell’UE li avesse tirati fuori direttamente lui.
Distratti dalle palle di giornali e politici e dalle palle che rotolano negli stadi deserti non riconosciamo più chi pregiudica, davvero, i nostri interessi. Siamo persino disposti a consegnarli le chiavi di casa. Seguiamo in modo ossessivo la degenza di Briatore ma non badiamo ai danni economici fatti acquistando derivati con i soldi nostri. Draghi, mascherato da tecnico, ha nel corso della sua carriera, preso o indotto a prendere scelte politiche che si sono rivelate fallimentari per gli interessi degli italiani. Lo Stato italiano ha stipulato negli ultimi 25 anni contratti derivati per 150 miliardi di euro e dal 2011 ad oggi ha pagato di interessi 35 miliardi di euro*.
Ormai da settimane politici particolarmente inclini alla dittatura del vincolo esterno sostengono che i 36 miliardi del MES siano indispensabili. Non si esprimono, tuttavia, sui 35 miliardi di interessi pagati per aver sottoscritto titoli finanziari convenienti solo per le banche. D’altronde, in molti casi, ciò coinciderebbe con un’ammissione di colpevolezza. Oggi, questi stessi politici, desiderano ardentemente l’arrivo di Draghi tanto da spellarsi le mani quando costui apre bocca. Ma è noto, quelli come Draghi danno buoni consigli sentendosi come Gesù nel Tempio quando le pubbliche opinioni dimenticano il loro cattivo esempio.
Andiamo su Infosannio:
BY INFOSANNIO ON 17 DICEMBRE 2020 • ( 41 COMMENTI )
Dragon Ball
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Siccome se ne sentiva la mancanza, si riparla di governo Draghi, sempre all’insaputa di Draghi. È bastato che dicesse le solite frasi alla Catalano: guai ad aiutare “aree dove il mercato sta fallendo”, meglio “progetti utili”, “la sostenibilità del debito sarà giudicata da come verrà impiegato il Recovery”. E subito s’è levato il solito coro dei provincialotti con la bocca a cul di gallina e l’aria tra il rapito e lo svenuto che doveva avere Mosè sul Sinai dinanzi al roveto ardente. “Ripartire da Draghi si può”, “il monumentale rapporto Draghi” (rag. Cerasa, Foglio). “Sempre bello leggere Draghi” (l’Innominabile). “Le sue analisi sono una traccia” (Gelmini, FI). “Se Conte non ce la fa, c’è Draghi” (Nannicini, Pd). “Governo Draghi senza Bonafede, Catalfo e Azzolina” (Richetti-Chi? l’altro calendiano oltre a Calenda). “Il monito di Draghi, la visione che serve” (Messaggero). “Il 55% degli italiani preferisce Draghi per il Recovery” (Libero). “Draghi, serve sguardo lungo” (Fubini, Corriere). “Draghi, i partiti e la realtà urgente” (Folli, Repubblica).
Insomma, il governo Draghi è fatto. Il programma è il suo intervento al Gruppo dei Trenta, l’allegro simposio di finanzieri, accademici, banchieri centrali, banchieri sfusi, bancarottieri di nazioni intere come l’ex ministro argentino Cavallo e l’ex presidente messicano Zedillo, insomma controllori e controllati (si fa per dire) e altri samaritani, fondato nel 1978 da Rockefeller, che si riunisce due volte l’anno a porte chiuse come il Gran Consiglio dei Dieci Assenti di fantozziana memoria.
E la maggioranza in Parlamento? Quella non c’è, ma per i sinceri democratici de noantri è un trascurabile dettaglio. Il Giornale informa che “il Professore da qualche settimana ha lasciato la casa di campagna e s’è trasferito nel suo appartamento romano”. Mecojoni. E “il suo ufficio di rappresentanza alla Banca d’Italia è diventato la sua base operativa”. Apperò. Già ci pare di vederlo destreggiarsi festoso fra un veto dell’Innominabile, un distinguo di Orlando, un emendamento di Marcucci, una bizza della Bellanova, un capriccetto della Boschi, un tweet di Faraone, un ultimatum dei dissidenti grillini, un rutto di Salvini, una supercazzola di Giorgetti, un appuntino di Letta su Mediaset e un pizzino di Ghedini sulla giustizia. Folli però è in ambasce: “Stupisce che qualche forza politica non abbia immediatamente fatto propria e rilanciato l’analisi di Draghi”. Giusto: che aspettano i partiti tutti a recarsi in processione nel suo appartamento romano o nella sua base operativa a baciargli la pantofola e incoronarlo re? Folli non sta più nella pelle, tant’è che ha fatto pure un fioretto: se lo ascoltano, si taglia il riportino.
INGENUO TRAVAGLIO, per una volta almeno...
BY INFOSANNIO ON 13 FEBBRAIO 2021 • ( 12 COMMENTI )
Nulla accade per caso: Draghi s’è preparato il terreno
(Carlo Tecce – espresso.repubblica.it)
Mario Draghi era già qui, in mezzo a noi, prima di apparire al Quirinale. Aveva già ammansito i partiti più sovranisti e populisti d’Italia. Aveva già ricevuto una telefonata di Matteo Salvini alla fine di gennaio.
Aveva già incontrato una, un’altra e un’altra volta ancora Luigi Di Maio. Aveva già recapitato un cortese invito a Giorgia Meloni. Questo è successo mentre si pensava che Draghi non ci fosse, un pensionato assorto fra gli ulivi umbri col suo cane bracco ungherese. Invece Draghi era pronto alla chiamata di Sergio Mattarella. No, nessun complotto ordito dalla plutocrazia. No, nessuna visione mistica di fantozziana memoria.
Draghi era pronto perché Draghi non si fa trovare impreparato e fa sempre le cose che dice e non dice sempre le cose che fa. E fra le cose che non ha detto c’è un intenso lavoro sui partiti più distanti – Lega, Cinque Stelle, Fratelli d’Italia – da quell’Europa che ha protetto per otto anni alla Banca centrale europea, una dozzina di mesi di contatti discreti, di presentazioni, di conoscenze. Draghi è meticoloso, strategico, riservato: è politico. Non era nella misericordia di dio come l’uomo prima della creazione, «secondo il benevolo disegno della sua volontà», per dirla con la lettera di san Paolo agli Efesini.
Dopo il 31 ottobre 2019, l’ultimo giorno di servizio alla Bce, usato, evocato e soprattutto temuto dalla politica, Draghi si è preparato a qualsiasi evenienza. Per non fallire aveva soltanto una possibilità: trasformare il Parlamento più antieuropeista nel Parlamento che più velocemente si è convertito all’europeismo. Si è trattato di folgorazione o disperazione. Pazienza. Pure san Paolo ci è passato.
LA RESA DI MATTEO, I DUBBI DI GIORGIA
Il leghista Giancarlo Giorgetti è un amico di Draghi, ne ha un rispetto sacrale, è un tipo pragmatico, un tifoso del Southampton che il sabato e la domenica stacca col mondo e si guarda il campionato inglese.
Se risponde, non spegne mica il televisore e si ammutolisce appena segna una squadra. Per quasi due anni, dopo la sbandata del Papeete che ha ammazzato l’esecutivo gialloverde e l’alleanza con i Cinque Stelle, ha spiegato a Salvini un paio di concetti banali: i consensi non bastano per governare, è ferale inseguire Fratelli d’Italia a destra. Per Giorgetti la pandemia era l’occasione per rifare daccapo la Lega con un governo di tutti aggrappato a uno: a Draghi.
Salvini ha esitato a lungo, smentire sé stessi è più complicato che chiudere i porti sbraitando in televisione, poi l’ha sentito al telefono durante la caduta del governo di Giuseppe Conte, subito dopo il ritiro dei ministri di Italia Viva, in quegli attimi di deliquio quando fermo, con la testa nel guardaroba, la luce troppo fioca, le pile di pantaloni che vacillano, non sai che felpa metterti addosso perché non sai più chi sei.
Per le consultazioni Salvini era già stirato dal verso giusto, non più o voto o morte, non più feroce con i migranti e dialogante con Mosca, anzi ha rinnovato il giuramento agli Stati Uniti, come se fosse la formula magica per accedere di nuovo ai palazzi del potere, e si è mostrato ai giornalisti con Giorgetti accanto che, infagottato in un giaccone con cappuccio, annuiva soddisfatto a ogni parola di Matteo.
Draghi si è affidato a Giorgetti per avvicinare Salvini, con Meloni e Di Maio ha utilizzato un metodo diverso. Premessa. Draghi ha trascorso un decennio da direttore generale al ministero del Tesoro, da lì ha attraversato l’ultimo decennio del Novecento, ha imparato il galateo istituzionale. Draghi non si offre, non trama, si rende disponibile per rendersi utile. Così un intermediario, non un politico, la scorsa estate si è rivolto a Meloni e Di Maio con una sorta di consiglio: perché non vi fate una chiacchierata con l’ex capo Bce?
Di Maio ha accettato presto, il suo istinto di sopravvivenza, di antico e inconsapevole lignaggio democristiano, si è rivelato come spesso gli capita e il 24 giugno l’ha raggiunto in un ufficio appartato lontano dal ministero degli Esteri. Matteo Renzi l’ha saputo, e un po’ si è ingelosito. Il premier Conte l’ha sospettato, e ha reagito assai male.
Finché il segreto, che a Roma è tutt’altro che eterno, il tempo di un aperitivo, è diventato la notizia che Di Maio ha confermato in modo infelice: «Mi ha fatto una buona impressione». Da quel giorno Conte ha visto Draghi in ogni angolo buio di Palazzo Chigi, anziché costruire un rapporto ha tentato di abbatterlo persino col pubblico dileggio: «Volevo candidarlo alla guida della Commissione europea, mi ha risposto che era stanco». Invece Di Maio non ha citato più Draghi, ma l’ha frequentato con cautela.
Meloni ci ha riflettuto, settimane, ne era lusingata, però ha declinato la proposta, non ha stretto la mano, pardon non ha dato il gomito all’ex banchiere, non per presunzione, non era sicura, ci tiene alla coerenza, ai simboli, alle fiamme. Come fai a discutere con uno che, in pratica, l’Europa l’ha salvata dopo che hai ospitato con gli onori Steve Bannon, uno che, in teoria, l’Europa l’ha sfasciata.
LA SOSTA PER ARRIVARE SUL COLLE
Mario Monti atterrò in Italia e fu accolto come un signore compìto che veste in maniera straniante. Il loden affascinò gli italiani esausti dalle cronache anatomiche sulle “cene eleganti” nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi. Monti pensò di governare senza la politica, Draghi non ha commesso lo stesso errore.
Era in cammino verso il Quirinale, per la successione a Mattarella, poi l’hanno fermato per dirottarlo a Palazzo Chigi. La politica è un passaggio obbligato per ambire alla presidenza della Repubblica. Appena ha ricevuto l’incarico da Mattarella, nonostante le prime ingenue reazioni di Riccardo Fraccaro e Vito Crimi, Draghi ha raccolto il sostegno di Salvini e Di Maio e un rifiuto, non polemico, di Meloni.
Forza Italia ha esultato, Berlusconi è sbucato dalle palme in Costa Azzurra dove si è trasferito, di colpo Gianni Letta è tornato a vent’anni fa. Come previsto. Quello che non era previsto è accaduto nel Pd di Nicola Zingaretti, il partito di riferimento culturale di Draghi. Più di Rocco Casalino, Zingaretti ha creduto che Conte fosse indispensabile, si è impallato sulle elezioni anticipate, si è opposto ai leghisti e al solito si è corretto e si è adeguato. Zingaretti non ha aiutato l’ingresso in politica di Draghi, uno che all’epoca della Bce viaggiava spesso in aereo col premier Paolo Gentiloni per andare a Bruxelles.
Il Pd ha dato segni di delirio cominciando a litigare sul congresso per rimuovere Zingaretti con un presidente del Consiglio dimissionario e un altro ancora non insediato. I 5S hanno scoperto quant’è sfiancante essere un partito e non si capisce chi comanda fra Beppe Grillo, le piattaforme di Casaleggio, il multiforme Di Maio, la ficcante tattica di Crimi. Allora Salvini si è ingolosito e ha provato a intestarsi l’operazione Draghi. Non si stava male tra gli ulivi umbri con il cane bracco ungherese. Ormai l’apparizione è avvenuta e san Paolo è irreperibile.
- Carmen
13 febbraio 2021 alle 19:33A leggere i retroscene e i dettagli delle operazioni di palazzo tenute in gran segreto ne esce male Di Maio, malissimo, sul piano etico-morale verso i sostenitori, attivisti ed elettori, sia ben inteso (queste cose il Movimento le ha sempre condannate) perchè politicamente ha fatto un gioco da gran marpione, ora si spiegano anche quei litigi con Conte di cui si è sempre vociferato… alla faccia del bibitaro - Rosario
13 febbraio 2021 alle 21:32Aspettiamo le smentite e poi vediamo se si tratta di fango o di altro.
Se quello che dice il giornalista è vero qui si tratta di tradimento amico.
Dante colloca i traditori nell’ultimo cerchio, quello destinato a chi si macchia del peccato più grave. Non posso credere che Di Maio ha fatto una cosa del genere, ma se così fosse tanti altri nel suo partito dovevano saperlo, compreso Grillo, compreso chi rivestiva alti incarichi.
Cioè Conte già era fuori prima ancora che si mettesse in moto Renzi.
Incredibile il peggio del peggio si possa immaginare
Spero che ci sia una spiegazione diversa per tutto questo perché se no è più di fango.- Fabio
13 febbraio 2021 alle 22:02Rosario quale altra spiegazione?
Cosa ci vuole a fare 2+2
Metti insieme le pedine e tutto torna, Non ci sono 4 responsabili e due ore le dimissioni di Conte tutto il parlamento con Draghi
Grillo che va a cena con Sala, brucia 10 anni in un secondo, i 5s perculati e gli unici che si tengono lo stipendio da ministro sono uno che 6 mesi fa si fa fotografare a casa di draghi( era per guardare la regina degli scacchi) e l’altro che infila l’emendamento pro mediaset contro vivendi
Draghi con cotanto CV, pensava Conte un pivello, ma visto i successoni, ha accellerato la sua ragnatela
E ti ritrovi al governo Berlusconi:l’uomo che scappa in francia con covid-19 a milano, i suoi uomini al governo, la regione coi record mondiali di inefficenza e morti, a comandare….
E che tutto sia una farsa lo dimostra il fatto che il cavallo di battaglia degli immigrati, tanto caro alla lega per un anno è rimasta in mano alla lamorgese e la sanità che 10gg.era tutta un disastro ( quella lombarda si, il resto no) è rimasta in mano a speranza.
Tutti pretesti e i big 5s, tranne l’ala Di battista, d’accordo, chi se ne frega degli elettori..
Potrei andare avanti fino domattina ma..
Vado a vedere il milan che è meglio
Saluti - Carmen
14 febbraio 2021 alle 10:27Se puoi, guarda l’intervista di Casalino a Soro, lo dice chiaramente che è da Novembre che avevano la chiara sensazione che i giochi erano fatti, era finita. Ora non si può dire che fosse a causa di Di Maio ma a come riporta l’articolo (e non è il solo) sapeva e lasciava correre gli eventi, comunque fosse andata, restava a cavallo
- Fabio
- Stef Menc
14 febbraio 2021 alle 3:26Bugsyn aspettiamo SMENTITE, ma scommetto che non ci saranno.
O pensi che davvero Draghi è stato convocato da Mattarella all’improvviso, dopo l’incarico esplorativo a Fico?
E sopratutto, mi spieghi chi cazzo è DI MAIO?
Uno che ha fatto disastri a file, ha distrutto M5S nei territori, ha sostituito la candidata sindaca di Perugia senza nemmeno spiegare come mai, spaccando uno dei soli 6-7 M.Up che erano riusciti in Umbria a presentarsi alle elezioni!
Uno che nel settembre 2019 diceva che avrebbe rinnovato M5S sul territorio a seguito delle sconfitte elettorali!
E invece lo vedi come MINISTRO DEGLI ESTERI!!!
Ma che ci vuole a capire come stanno davvero le cose?
Di Maio e Grillo non si sono ‘sbagliati’. Hanno TRADITO.
E adesso ci ritroviamo Brunettolo come ministro della P.A.
Più chiaro di così.
- Stef Menc
BY INFOSANNIO ON 14 FEBBRAIO 2021 • ( 170 COMMENTI )
Il governo Dragarella
di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Siccome ogni Restaurazione ha i suoi rituali, non avrebbe guastato se il governo Dragarella avesse giurato in uniforme da Congresso di Vienna: parrucche imbiancate con codini e fiocchi neri, volti incipriati e impomatati, marsine a coda, culotte, scarpe a punta. Invece i nuovi (si fa per dire) ministri erano tutti in borghese, per non farsi riconoscere. Avevamo promesso un giudizio sul governo quando ne avessimo visti i ministri (per il programma c’è tempo: uscirà dal cilindro di Super Mario un minuto prima della fiducia, o forse dopo, fa lo stesso: è il ritorno della democrazia dopo la feroce dittatura contiana, come direbbe Sabino Cassese). E il momento è arrivato.
Ministri. Il bottino di 209 miliardi del Recovery se lo pappano il premier, il suo amico Giorgetti (Mise) e i suoi tecnici, cioè gli uomini delle lobby: Franco (Mef e Bankitalia), Cingolani (renzian-leopoldino di Leonardo- Finmeccanica che Grillo ha scambiato per grillino) e Colao (Morgan Stanley, McKinsey, Omnitel, Vodafone, Rcs, Unilever, Verizon, con breve parentesi di incompetenza quando lo chiamò Conte per il piano-fuffa Fase-2 e ora tornato il genio di prima); più Giovannini (ottimo prof di statistica alle Infrastrutture). Del resto Draghi se ne infischia e lascia pasturare i partiti con i loro nanerottoli, scelti aumma aumma dai Quirinal Men: so’ criature.
Pandemia. Speranza resta alla Salute, per la gioia di Salvini e dei teorici della “dittatura sanitaria” e del “riaprire tutto”. Ma arriva la Gelmini alle Regioni al posto di Boccia, protagonista di epici scontri con gli sgovernatori. Sarà uno spasso vederla genuflessa alle loro mattane. Al suo fianco, come viceministro, vedremmo bene Bertolaso. E, commissario al posto di Arcuri, troppo efficiente sui vaccini, il mitico Gallera: era stanco, ma si sarà riposato.
Discontinuità. Undici ministri, la metà del governo Draghi, vengono dal Conte-2: i 9 confermati più Colao più il neotitolare dell’Istruzione Bianchi, capo della task force dell’Azzolina per la scuola (tecnico del congiuntivo, dice “speriamo che faremo bene”, ma non è grillino, quindi è licenza poetica). E ora chi la avverte la Concita del “basta ministri scadenti, arrivano quelli bravi”? Fatti fuori Conte, Bonafede, Gualtieri, Amendola e regalato il Recovery ai soliti noti, si digerisce tutto.
Cielle. I garruli squittii di Cassese a edicole unificate indicano che, dopo il lungo digiuno del Conte-1 e del Conte-2, qualche protégé l’ha piazzato. Tipo Marta Cartabia, Guardasigilli di scuola ciellina (come la ministra dell’Università, Cristina Messa), ma pure napolitaniana e mattarelliana, celebre per l’abilità di non dire nulla, ma di dirlo benissimo, fra gridolini estatici di giubilo.
Di lei si sa che sogna “una giustizia dal volto umano” (apperò) e una “pena che guarda al futuro” (urca). Ora, più prosaicamente, dovrà dare subito il parere del governo sul ritorno della prescrizione, previa seduta spiritica con Eleanor Roosevelt che – assicura il Corriere – è “tra le figure femminili ‘decisive’ per la sua formazione” (accipicchia).
Pd. Sistemati tutti i capicorrente Franceschini (al quinto governo), Guerini e Orlando, prende pure l’Istruzione con il finto tecnico Bianchi, due volte assessore dem in Emilia-Romagna: 4 ministri come il M5S, che però ha il doppio di seggi.
5Stelle. Machiavellici alla rovescia, sapevano che senza di loro il Pd e Leu si sarebbero sfilati e Draghi, per non finire ostaggio delle destre, avrebbe rinunciato. Bastava mettersi in attesa e, se proprio Grillo voleva entrare, dettare condizioni minime: Giustizia, Lavoro, Istruzione, Mise o Transizione Ecologica. Invece han detto subito di sì, presentandosi a Draghi con le brache calate e le mani alzate. E hanno ammainato le loro bandiere Bonafede, Azzolina e Catalfo (con Reddito e Inps).
Risultato: SuperMario li ha sterminati e pure umiliati, con i pesanti ma inutili Esteri a Di Maio, Patuanelli degradato dal Mise all’Agricoltura, più i Rapporti col Parlamento e Politiche giovanili (sventata la Marina mercantile, ma solo perché non c’è più). Ciliegina sulla torta: la Transizione Ecologica, subito dimezzata, è finita a un renziano. Meno male che Draghi era grillino: figurarsi se non lo era. Insomma: aperta finalmente la scatoletta di tonno, i 5Stelle hanno scoperto che il tonno erano loro.
FI-Lega. Il capolavoro del Rignanese, prima di tramutare Iv da ago della bilancia a pelo superfluo, è aver riportato Salvini e B. al governo. Il resto l’han fatto Draghi e Mattarella, regalando alla destra un governo tutto nordista e i ministeri politici più lucrosi: Mise e Turismo (Giorgetti e Garavaglia), Pa (Brunetta), Regioni (Gelmini) e Sud (Carfagna, con i fondi di coesione Ue, nel fu serbatoio di voti dei 5Stelle).
Ps. Nota per gli storici della mutua che vaneggiano di “fallimento della politica come nel 1993 e nel 2011” e paragonano l’avvento di Draghi a quelli di Ciampi e Monti. Nel ‘93 Ciampi arrivò mentre gli italiani lanciavano le spugne ad Amato e Conso per il decreto Salvaladri e le monetine a Craxi per l’autorizzazione a procedere negata dal Parlamento al pool di Milano. Nel 2011 Monti arrivò mentre due ali di folla maledicevano B. che saliva al Quirinale a dimettersi e poi fuggiva dal retro dopo aver distrutto l’Italia per farsi gli affari suoi. Nel 2021 Draghi arriva mentre Conte esce da Palazzo Chigi a testa alta fra gli applausi e le lacrime. Mica male, per un fallito.
Jerome B.
14 febbraio 2021 alle 13:37Infostrada era la società dedicata al fisso creata dall’Olivetti, mentre per il mobile il marchio era OMNITEL.
Quest’ultima venne acquistata dalla tedesca Mannesmann che a sua volta fu oggetto di OPA e seguente acquisizione da parte della britannica Vodafone.
Infostrada invece fu ceduta a ENEL, che aveva creato nella telefonia mobile WIND.
Che venne ceduta prima ad un imprenditore egiziano e, successivamente, da questo a un gruppo russo.
Poi nel 2015 WIND si fuse con TRE, che aveva proprietari di Hong Kong.
Oggi la società si chiama WindTRE e il marchio Infostrada, dopo l’incorporazione in WIND e le diverse fusioni, è stato soppresso.
BY INFOSANNIO ON 19 FEBBRAIO 2021 • ( 140 COMMENTI )
Movimento 5Sedie
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Spunti per il nuovo spettacolo di Grillo. Belìn, c’era una volta un comico che capiva tutto prima degli altri. Tipo che la politica era marcia, la finanza anche peggio e la stampa teneva il sacco a entrambe. Così cominciò a informare la gente nei suoi show (chi ci andava scoprì che la Parmalat era fallita ben prima della Consob e dei pm). E fondò il Movimento 5 Stelle: tutti risero, poi piansero, poi passarono agli insulti, ai corteggiamenti e infine alle alleanze. E gli “scappati di casa”, in tre anni, trovarono un premier più che degno e portarono a casa quasi tutte le loro bandiere prima che il Matteo maior e il Matteo minor buttassero giù i loro due governi per liberarsi di loro.
Nel momento del massimo trionfo, anziché rendersi prezioso e vendere cara la pelle, Grillo sbarellò. Scambiò per “grillino” Draghi, che a suo tempo chiamava “Dracula” e voleva “processare per Mps”. E spinse i grillini quelli veri ad arrenderglisi senza condizioni, in nome di un superministero-supercazzola alla Transizione Ecologica che doveva inglobare Ambiente e Sviluppo economico. Su quella promessa fece votare gli iscritti con un quesito che diceva mirabilie del Sì, nulla del No e non prevedeva l’astensione. Quelli si fidarono di lui, unico ammesso al cospetto di SuperMario, e dissero Sì al 60%. Poi scoprirono che era una battuta (quella di Draghi): il superministero era mini, per giunta diretto da un renziano per giunta indicato da Grillo; e il Mise, lungi dallo scomparire, passava semplicemente da Patuanelli a Giorgetti, noto ambientalista padano (vedi trivelle, Tav, Terzo Valico e altre colate di cemento).
Molti iscritti gabbati chiesero di rivotare, ma furono narcotizzati con altre supercazzole: “i ragazzi del 2099”, “la sonda Perseverance atterra su Marte e la Perseveranza atterra alla Camera”, “i Grillini non sono più marziani”. E i loro “portavoce” andarono al patibolo fornendo la corda al boia e dandogli pure la mancia. Donarono sangue e organi all’ex Dracula, che li liquidò con quattro perline colorate (Esteri, Agricoltura, Giovani, Rapporti col Parlamento), trattandoli peggio dei partiti con metà o un quarto dei seggi. I parlamentari coerenti col giuramento fatto agli elettori “mai con B.” votarono contro o si astennero, ma, anziché essere rispettati come minoranza interna, furono espulsi da chi era andato al governo con B. (già “testa d’asfalto”, “psiconano”, “psicopedonano”), col Matteo maior (già “pugnalatore dell’Italia da mandare a lavorare a calci”) e col Matteo minor (già “ebetino” e “minorato morale”). “Belìn”, ridacchiò il comico, “è il mondo alla rovescia! È come se Ario, Lutero e fra’ Dolcino avessero scomunicato il Papa! Lo dicevo io che ne resterà uno solo: io!”. Applausi. The end.
Stef Menc
19 febbraio 2021 alle 1:41Quest’andazzo è chiarissimo, fin dal 2016 c’é stato un progressivo abbandono dei territori, diventato devastante dal 2018. I meet up, complice anche la pandemia, sono spariti. Con essi ogni traccia di democrazia ‘dal basso’ visto che comanda solo il duo Grillo-Di Maio. Quest’ultimo è un infido democristiano a tutto tondo, uno che è riuscito a venire a patti con Draghi già giugno scorso, e anche senza dar credito a quel che scrive Tecce, è chiarissimo che la sua affermazione sul risistemare i territori del 2019, dopo la sconfitta delle europee, fa molto a cozzi con l’assegnazione del ministero degli ESTERI, quando caso mai doveva prendere quello degli interni facendo beffa di Salvini. E invece hanno continuato. Poi è arrivato il COVID. E adesso non esiste più un minimo di anima nel MoV, solo la spocchia di Grillo, Crimi e la doppiezza di Di maio, quello che si è dimesso 13 mesi fa scappando dalla sicura sconfitta delle elezioni calabresi-emiliane.
Altro che Governo dei migliori, è il Governo dei conflitti di interessi
Di Alessandro Di Battista
Pubblicato il 22 Feb. 2021 alle 12:02Aggiornato il 22 Feb. 2021 alle 12:38
Illustrazione di Emanuele FucecchiMi rendo conto che a chi ha abbassato le saracinesche del proprio negozio (e oggi non sa se e quando le tirerà su), a chi ha paura che le banche gli portino via la casa che ha impegnato per comprare nuovi macchinari per la sua azienda o ai titolari di palestre e piscine (e a tutti i loro dipendenti) – tra le categorie più martoriate degli ultimi mesi – importi poco o nulla del conflitto di interessi.
Tuttavia è bene sapere che conflitto di interessi significa accentramento di potere, significa prevaricazione economica di taluni su altri, significa spreco di denaro pubblico. Essere in conflitto di interessi può determinare gli stessi effetti di corrompere, solo che nel nostro Paese è legale. È legale essere il presidente di una forza politica al governo e, contemporaneamente, possedere un impero mediatico capace di influenzare opinioni e diffamare avversari.
È legale che un ministro della Repubblica si occupi della banca dove il padre è vice-presidente. È legale che un ex-Presidente del Consiglio, nonché segretario di un partito anch’esso al governo, nonché senatore della Repubblica, riceva fiumi di denaro da organizzazioni estere per “deliziare” platee estere, in conferenze estere.
È legale che ministri dell’economia e delle finanze, nonché sottosegretari all’economia, nonché direttori generali del Tesoro, lascino incarichi pubblici (durante i quali si sono occupati del sistema bancario) per sedersi in ruoli apicali e strapagati nelle principali banche d’affari. È legale che il principale gruppo industriale italiano possieda contemporaneamente il più grande impero mediatico. Tutto questo oggi è legale, ma resta immorale, ed è ancor più immorale il fatto che si sia smesso di informare la pubblica opinione sulle conseguenze nefaste dei conflitti di interessi.
Il governo Draghi non è il governo dei migliori, è il governo dei conflitti di interessi. D’altro canto, in passato, in conflitto di interessi, vi fu lo stesso Draghi. Draghi fu direttore generale del Tesoro dal 1991 (VII governo Andreotti) al 2001 (II governo Berlusconi). Nei dieci anni alla guida del Tesoro fece sottoscrivere allo Stato una valanga di titoli derivati con banche d’affari, molti dei quali fecero perdere all’Italia migliaia di miliardi delle vecchie lire.
Inoltre fu uno degli artefici della stagione delle privatizzazioni, stagione che vide protagonisti, ancora una volta, gli istituti finanziari internazionali. Nel 2000 il fondo Whitehall controllato da Goldman Sachs, si aggiudicò il patrimonio immobiliare dell’ENI, l’Ente Nazionale Idrocarburi fondato da Enrico Mattei per rendere l’Italia un Paese sovrano dal punto di vista energetico. Nel 2002, un anno dopo aver lasciato il Tesoro, Mario Draghi venne assunto in Goldman Sachs dove gli venne assegnato il ruolo di Vicepresidente per l’Europa.
Messaggio politico elettorale. Committente: Tobia Zevi
La stessa brillante carriera toccò anche ai due successori di Draghi al Tesoro: Grilli e Siniscalco. Il primo, nel 2006, venne assunto in Morgan Stanley, il secondo, nel 2014, divenne Presidente del Corporate & Investment Bank di JPMorgan. Berlusconi oggi sembra innocuo. Ha 85 anni e gaffes e battute non indignano più come ai vecchi tempi. Tuttavia patrimonio ed impero sono sempre gli stessi e, come ai vecchi tempi, determinano pressioni sulle istituzioni e su chi ha l’onore di legiferare.
D’altronde se i suoi luogotenenti, a partire da Gianni Letta, non fossero più potenti, una legge sul conflitto di interessi sarebbe già stata approvata. Oggigiorno il fatto che un politico così influente (ha guidato la delegazione del suo partito alle ultime consultazioni ed ha fornito nomi di papabili ministri al Premier incaricato) controlli, di fatto, decine tra reti televisive, emittenti radiofoniche e testate giornalistiche, oltre che banche, società di assicurazione, costruzioni ed investimenti è dato per scontato. Ormai ha 85 anni sostiene l’italiano medio.
Chiaramente neppure Berlusconi è eterno, ma suo figlio dirige Mediaset, sua figlia il gruppo Mondadori ed il figlio di Gianni Letta Medusa produzioni. Tutti bastioni dell’impero. Sia chiaro, a me non scandalizza né l’impero in sé e neppure le scelte dinastiche. Mi scandalizza il fatto che nessuno più si scandalizzi di tale conflitto di interessi: un impero economico, mediatico e finanziario che ha ramificazioni nella politica, dunque nelle Istituzioni, ciò che, teoricamente, dovrebbe essere il più indipendente possibile.
Della Boschi che, da Ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento, chiese all’ex-AD di Unicredit Ghizzoni, disponibilità per l’acquisizione di Banca Etruria, la banca dove il babbo era dirigente, non importa più a nessuno. Come, probabilmente, presto non importerà più a nessuno che il senatore Renzi, in piena pandemia e durante una crisi di governo da lui innescata, sia volato in Arabia Saudita per partecipare ad una conferenza organizzata dal FII Institute, un istituto controllato dal Saudi public investment Fund, il fondo sovrano saudita.
In Italia, purtroppo, è legale che un senatore della Repubblica riceva denari da uno Stato estero, uno Stato, tra l’altro, dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno. Chi ci garantisce che non vi sia stato conflitto di interessi tra le scelte del Presidente del Consiglio Renzi e la sua carriera da conferenziere? Quale politico o forza politica al tempo del governo dell’assembramento pericoloso avrà la forza di imporre al Parlamento di risolvere il conflitto di interessi? Nessuno.
Nelle prossime settimane, con ogni probabilità, l’ex-Ministro dell’economia e delle finanze Pier Carlo Padoan lascerà il suo scranno alla Camera per sedersi sulla poltrona da Presidente di Unicredit. Tratterà, presumibilmente, l’acquisizione da parte di Unicredit di Monte dei Paschi, l’istituto salvato grazie ad un decreto che Padoan firmò quando era a capo del Ministero dell’economia. In pochi avranno la forza e, soprattutto, la libertà di opporsi.
Ed i giornali? Come potranno combattere i conflitti di interessi i giornali berlusconiani? Come potrà farlo Il Sole 24 ore, avendo come editore Confindustria, il principale “azionista” del governo Draghi? Vi fu un tempo in cui certe battaglie venivano portate avanti da La Repubblica. Oggi La Repubblica fa parte del più potente impero industriale-finanziario-mediatico “italiano”. Italiano tra virgolette chiaramente.
Un impero che va dai giornali (La Repubblica, La Stampa, The Economist, Il Tirreno, Il Mattino di Padova, Il Secolo XIX, La Nuova Sardegna, Il Messaggero veneto, Il Piccolo di Trieste, La Gazzetta di Mantova, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, L’Huffington Post, Business Insider Italia, Mashable Italia, Il Corriere delle Alpi, La Nuova Ferrara, La Nuova Venezia, L’Espresso, Limes, Micromega) alle radio (Radio Capital, Radio Deejay) alle società di calcio (Juventus FC), alle industrie automobilistiche (FIAT, Chrysler, Jeep, Opel, Alfa Romeo, Dodge, DS Automobiles, Citroën, Ferrari, Peugeot).
Un impero dominato da una singola persona: John Elkann. Elkann è Presidente del Gruppo GEDI, colosso editoriale tra i principali sponsor del governo dell’ammucchiata selvaggia! Non dovrebbe esser proibito per legge un tale accentramento di potere mediatico nelle mani dei più potenti del mondo? Non c’è il rischio che tali conflitti di interesse comprimano il diritto all’informazione e, dunque, la possibilità da parte della pubblica opinione di essere, davvero, indipendente?
Come il governatore Draghi ha lavorato per le fusioni bancarie così il Presidente Draghi lavorerà per favorire tutto quel che è già grande. I grandi poli mediatici, i grandissimi gruppi industriali, le grandi banche d’affari, le grande potenze mondiali e questo nonostante le loro scelte spesso siano in contrasto con gli interessi della stragrande maggioranza degli italiani. Ma la stragrande maggioranza dei parlamentari ha detto sì. E l’unico partito, ad oggi, all’opposizione penserà più a lucrare elettoralmente che a fare battaglie culturali invise all’establishment.
Perché certe battaglie, se le conduci realmente, ti emarginano, ti indeboliscono, pregiudicano la tua carriera politica anche se rafforzano le coscienze di chi non si piega al governo unico. Di conflitto di interessi si parlerà sempre meno. In pochi hanno interesse a farlo. Lo faranno i pochi intellettuali liberi rimasti, i pochi giornali corsari, i piccoli imprenditori che conoscono bene raccomandazioni e corsie privilegiate anche nel mondo industriale italiano.
Mi auguro che lo faranno sempre più cittadini, nonostante i tentativi quotidiani di distrarli con l’effimero per impedire che si dedichino al sostanziale: ovvero ai loro diritti. D’altro canto la distrazione di massa è l’arma principale in mano a chi pensa solo ai propri interessi lasciando gli emarginati della terra, in perenne conflitto.
BY INFOSANNIO ON 23 FEBBRAIO 2021 • ( 84 COMMENTI )
Mario Transformer
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
All’Ottavo nano, il mitico programma della Rai2 di Freccero, partiva ogni tanto lo spot del Berlusconi Transformer, il simpatico pupazzo di B. nei suoi più riusciti travestimenti: “Lo vuoi operaio? Lo preferisci imprenditore? È il tuo nuovo amico. Cercalo nei migliori negozi. Cardinale, comunista, extracomunitario, dottore, giudice… Basta che lo voti e diventa quello che vuoi!”. Nella sua incontinenza verbale, il Cainano si dipingeva ogni giorno per una cosa diversa, inventandosi un’autobiografia prêt-à-porter per piacere a tutti.
Mario Draghi ottiene lo stesso risultato senza neppure lo sforzo di aprire bocca e, le rare volte che la apre, senza dire assolutamente nulla di preciso: provvedono poi i giornalisti al seguito ad attribuirgli pensieri, parole e opere buoni per tutti gli stomaci e i palati. Mario Transformer è descritto come l’antitesi di Conte e “tutto il contrario dei giallorossi” (Libero), anche se ha tutti i giallorossi in maggioranza e 11 ministri su 22 che lavoravano con Conte, elogia Conte per aver “affrontato l’emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia”, conferma il Recovery di “alto livello” di Conte, non prende il Mes come Conte…
Tutto ciò che fa è già stato fatto. Il resto lo rinvia, perché nell’ammucchiata nessuno è d’accordo con niente. Oppure non ne parla proprio, per non scontentare nessuno, copiando un po’ da Giavazzi, un po’ da Chance giardiniere, un po’ da Massimo Catalano. Ambiguità politichese? Vuotezza forlaniana? Vaghezza andreottiana? No: “pensiero e azione” alla “Giuseppe Mazzini (Molinari, Repubblica). “La potenza di un’analisi” (Ajello, Messaggero). “Il grande gioco delle idee dietro il discorso fatale” (De Monticelli, Domani). “Il cambio di passo per la politica” (Fontana, Corriere). “La formidabile lezione del professore” (rag. Cerasa, Foglio). “Competenza e visione” (De Romanis, Stampa). Volete mettere la nobiltà del non dire? “Silenzi istituzionali”, “ritorno a una comunicazione autorevole” che “rivoluziona le parole del potere” (Panarari, Stampa). Del resto, non so se l’avete notato, ma Lui “è il solo che parla come i ragazzi del clima” (Domani): lui e Greta, due gocce d’acqua.
Sbianchettata mezza sua biografia dalle asprezze liberiste, privatizzazioni, Goldman Sachs e Grecia, ora Draghi è un “keynesiano pragmatico” (Giampaolo Galli). “Un socialista liberale” (Valdo Spini), “come Craxi” (Martelli). “È contro la patrimoniale e per il taglio delle tasse” un po’ “come Ferruccio Parri” (Salvini). “Un grillino, uno di noi” (Grillo). “Riaccende l’amor patrio” (QN). “Antisovranista come noi” (Zingaretti), un brutto “colpo al sovranismo” (Franco, Corriere). “Segue il modello Johnson” (Verità). È “la scelta più sovranista che potessimo fare” (Claudio Borghi). “Il mio capolavoro” (Renzi). “Un grande italiano come me” (B.) sebbene incensurato, infatti “combatterà la corruzione e le mafie” (Rep).
Tutto e il suo contrario, ma Lui lascia dire: finché gli altri se la bevono. Mario Transformer, e pure trasformista. Ma se Conte cercava 4 o 5 responsabili per neutralizzare i voltagabbana renziani, era “mercato delle vacche”; se Lui inventa un’ammucchiata di interi partiti cambiacasacca che giuravano di non appoggiarlo mai e di non governare mai insieme, si chiama “trasformismo buono” (Foglio), anzi “dimensione repubblicana” e “spirito repubblicano” (Rep-Espresso: mica come quel monarchico di Conte), e non ricorda Mastella, Ciampolillo, Razzi o Scilipoti, ma “De Gasperi, Berlinguer e Monti: quando gli ‘incompatibili’ riescono a fare squadra” (Ceccarelli, Rep). I giornaloni si sbracciano fra “svolta”, “novità”, “agenda Draghi”, “effetto Draghi”, “modello Draghi”, “metodo Draghi”, “stile Draghi”, “rivoluzione Draghi”. L’Espresso esulta per la Resurrezione dell’Italia dal “mucchio di macerie lasciato dai governi Conte”, “la crisi di sistema”, “il fallimento degli uomini nuovi”. Veneziani tripudia per “la fine della farsa giallorosa e il ritorno alla normalità”. Francesco Merlo orienta la lingua sul nuovo destinatario che “ridicolizza la comunicazione truccata e sbracata di Conte&Casalino” e “la Cretinocrazia” che “sbaglia i congiuntivi e geografia (Di Maio)”: poi si ritrova Di Maio agli Esteri. Aldo Grasso, altro scalatore di discese, non sta più nella pelle: “È come se in questi ultimi anni avessimo vissuto un incubo… se ci stessimo risvegliando dall’invenzione di una situazione intollerabile. Com’è potuto succedere? Perché così tanti incompetenti a guidarci?” Poi si sveglia e Draghi “congela i licenziamenti di massa” (Domani), come Conte. “Coinvolge nei vaccini i medici di base” (Sole 24 Ore), come Conte. “Tiene per sé la delega ai Servizi” (Stampa), come quel dittatore di Conte. E sull’Ilva “va avanti con Invitalia” (Stampa e Corriere), cioè con quella ciofeca di Arcuri. Vuole “più pagamenti digitali” (Rep), come Conte.
C’è, è vero, qualche bella svolta rivoluzionaria. Tipo questa: “Con Draghi l’Italia ha scelto l’Europa” (Sassoli), mica come Conte che aveva scelto l’Oceania. Senza contare che Draghi vuole “l’alleggerimento dei divieti” (Libero) e “basta Dpcm” (Giornale): infatti proroga tutti i divieti di Conte, ne aggiunge qualcuno e lo fa con un decreto e un Dpcm, come Conte. Però c’è modo e modo, anzi moda. Repubblica: “Il Dpcm alla moda di Draghi”. Il primo Dpcm in minigonna della storia.
BY INFOSANNIO ON 23 FEBBRAIO 2021 • ( 10 COMMENTI )
Salvini lupo nel pollaio
(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano)
E se Matteo Salvini fosse il lupo ingenuamente fatto entrare nel pollaio delle larghe intese? Come nella favola dell’astuto carnivoro che fa strage di galline dopo averle ingannate con un finto pentimento, al capataz leghista è stato facile essere accettato: “Due parolette, un sorriso e via, basta la presenza del pacioso Giancarlo Giorgetti al fianco del truce Salvini a rassicurare Quirinale e Palazzo Chigi” (Piero Ignazi sul Domani). Del resto, quando la sera del 2 febbraio Sergio Mattarella – archiviato il governo Conte come un farmaco scaduto – ebbe a rivolgersi con toni drammatici a tutte le forze politiche per la nascita di un governo di salvezza nazionale e di “alto profilo”, non ci sentimmo forse pronti a mobilitarci per la patria in pericolo? Chi rifiuterebbe l’aiuto del vicino, anche il più antipatico e litigioso, pur di spegnere l’incendio della casa comune? E quando il lupo del Carroccio (in combutta con il compare Renzi che aveva spalancato il recinto) si presentò da Mario Draghi dicendo vengo anch’io, chi si interrogò realmente sulla sincerità della conversione di quel tizio barbuto? Uno che soltanto il giorno prima era impegnato a sputare sull’Europa, a esaltare Putin, a perseguitare immigrati, a invocare i santi Cirillo e Metodio sbaciucchiando rosari come un Rasputin dell’Idroscalo? Infatti, non appena ammesso nel pollaio, il leghista ha cominciato a fare la voce grossa: basta lockdown, decidano le “nostre” Regioni quando aprire e chiudere, e che il commissario Arcuri vada fuori dalle scatole, che ci mettiamo uno di fiducia. Poi, brandendo i numeri virtuali dei sondaggi (“siamo il partito più forte”) egli pretende la sottomissione dell’intera batteria dei polli: superior stabat lupus. Quindi ordina al pacioso Giorgetti di soprassedere: dal Milleproroghe alle nomine dei sottosegretari, con le galline che non mettono becco. A questo punto lasciamo ai giuristi una qualche riflessione sulla supposta unità nazionale, monumento votivo non previsto dalla Costituzione e nella fattispecie invocato come l’estrema trincea, il Piave mormorò.
Quando invece la presente emergenza più che unanimismi di facciata comporterebbe scelte precise. Non è vero forse che dall’inizio della pandemia si sono contrapposti due partiti? Quello del viene prima la salute? E quello del viene prima l’economia? E che fino a quando i lupi ululavano da lontano il governo Conte aveva cercato un difficile punto d’equilibrio tra le due necessità, con il diritto alla salute in posizione primaria? Ora però che il recinto è stato spalancato, cosa impedirebbe a Salvini, se ostacolato da Mario Draghi – l’unico autentico valore aggiunto di tutta l’operazione – di chiedergli di quante divisioni dispone?
BY INFOSANNIO ON 24 FEBBRAIO 2021 • ( 25 COMMENTI )
Di Battista: “3 degli ultimi 8 presidenti delconsiglio lavoravano in Goldman Sachs”
(Alessandro Di Battista)
Ecco gli ultimi 8 Presidenti del Consiglio dei Ministri: Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi. Di questi, 3 provenivano da Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari del mondo, molto attiva, tra l’altro, negli anni ’90, durante la stagione delle privatizzazioni. Prodi fu consulente in Goldman Sachs dal 1990 al 1993, subito dopo aver lasciato la presidenza dell’IRI che aveva contribuito a privatizzare e tre anni prima di diventare Premier. Mario Monti fu consulente internazionale per Goldman Sachs dal 2005 al 2011, anno in cui venne incaricato di formare il governo da Napolitano. Draghi, nel 2002, venne nominato Vicepresidente e Managing Director in Goldman Sachs. Entrò nella banca americana un anno dopo aver lasciato la direzione generale del Tesoro e se ne andò per fare il governatore di Bankitalia (con i risultati su MPS che gli italiani informati ricordano bene). Tre degli ultimi otto Presidenti del Consiglio hanno lavorato per una delle più grandi banche d’affari del pianeta. Una banca che fa politica. Ma non è tutto. Anche Gianni Letta, nel giugno del 2007, venne arruolato da Goldman Sachs. Non sarà stato Premier ma Gianni Letta fu il braccio destro di Berlusconi a Palazzo Chigi. Fu Sottosegretario di Stato nel ’94-’95, poi dal 2001 al 2006 e poi dal 2008 al 2011, ovvero dopo essere stato ingaggiato da Goldman Sachs. Aggiungo una cosa ancora. Mi risulta (fonte La Repubblica) che nel 2003 Goldman Sachs prestò parecchio denaro (2,8 miliardi di euro) al gruppo Benetton per concludere l’acquisto di Autostrade che già controllava dal 1999, anno della privatizzazione fatta a cavallo dei governi Prodi e D’Alema con Draghi direttore del Tesoro. Nel 2003 Draghi che – quattro anni prima si era occupato della privatizzazione delle autostrade – lavorava in Goldman Sachs.
Ricordo una serie di giornalisti fare le pulci (giustamente sia chiaro) a Conte sul suo passato da avvocato quando divenne Presidente del Consiglio. Credo sia doveroso che la stampa si occupi con la stessa attenzione anche del Presidente Draghi. Sono fiducioso che ciò avvenga presto. Io provo a farlo. E, per adesso, è quello che voglio fare: studiare, scrivere, unire i pezzi ed informare. Consapevole di quel che mi aspetta.
BY INFOSANNIO ON 24 FEBBRAIO 2021 • ( 107 COMMENTI )
Lesa draghità
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
A parte Crozza, gli unici divertimenti in tv sono le rassegne stampa. Ma solo quando mostrano la prima pagina del Fatto, quasi sempre totalmente diversa dalle altre. A quell’orribile vista, i rassegnisti sono colti dalla sindrome di Fantozzi col megadirettore galattico: lingua felpata, salivazione azzerata, sudorazione a mille, le mani due spugne. E si sentono subito in dovere di prendere le distanze. Il bizzarro fenomeno si deve, temiamo, a un fraintendimento del concetto di “rassegna stampa”, che li induce a temere che lo spettatore attribuisca a loro i nostri titoli. Il precursore della rassegna con excusatio non petita incorporata è Maurizio M’Annoi, quello di Lineanotte, sempre un po’ assonnato per la fase digerente post-abbacchio e peperonata: “Questo naturalmente lo dice il Fatto”, è il suo mantra, come se qualcuno potesse mai pensare che lo dica lui. E, almeno in questo, ha fatto scuola.
L’altra sera, alla rassegna di Rainews 24, la brava presentatrice mostrava una ventina di titoli misto-bava & saliva senza fare un plissé. Poi le toccava il Fatto: “Draghi, un Conte-3 senza opposizione” a proposito delle scelte in totale continuità su chiusure, prescrizione, Aspi, Ilva e Servizi. E sprofondava nella più cupa costernazione, scambiando per insulti sanguinosi i nostri elogi a Draghi che conserva il buono fatto dal predecessore e le critiche ai voltagabbana che lo lodano per le stesse cose che rimproveravano a Conte. Infatti cercava conforto in Tonia Mastrobuoni di Stampubblica: “Tonia, insomma, un po’ duro questo titolo del Fatto… Non è un po’ presto per tracciare già i primi bilanci?”. Tonia, pronta, l’aiutava a denunciare il delitto di lesa draghità: ”Ma è ovvio. Quello è, come si suol dire, un giornale d’area, insomma (il suo invece è, come si suol dire, il giornale della Fca e di tante altre cose, insomma, ndr). E quindi avendo avuto sempre spiccate simpatie per i governi Conte, non riesce a sganciarsi da questo prisma attraverso cui guarda l’agire di Draghi”. In cui, prismi a parte, ella vede “un rigore meraviglioso”, “persone straordinarie”, “grandissimi professionisti”, insomma adesso le cose stanno andando bene. Però, come dimostra anche quest’apertura del Fatto, la politica non sta mai zitta. E quindi speculazioni, indiscrezioni, interpretazioni completamente fuori dal mondo…”. In attesa di sapere dal direttore di Rainews24 Andrea Vianello a che titolo il “servizio pubblico” chieda alla concorrenza di darci le pagelle, temiamo di dover deludere la Tonia e la sua spalla: noi non staremo zitti e seguiteremo a scrivere quel che ci pare senza il loro permesso. Se però ci dicono dove tengono lezioni di giornalismo, magari passiamo a prendere qualche ora di ripetizione.
Jonny Dio
24 febbraio 2021 alle 3:42
Chiunque abbia vissuto anche solo parzialmente l’èra Berlusconi non ha alcun bisogno di immaginarsi cosa sia capace di fare la cosiddetta informazione quando c’è da giustificare i loro referenti, o da mettere in cattiva luce chi dovesse, per qualsiasi motivo, risultare sgradito agli stessi. In breve: di tutto (ma anche nulla, alla bisogna). Non c’è mica bisogno di aspettare, si tratta di un processo già in atto.
Un piccolo esempio, tanto per rimanere alla stretta attualità: ormai è trascorsa un’intera settimana da quando Attilio Fontana ha firmato l’ordinanza che ha istituito delle zone rosse nei comuni di Bollate, Castrezzato, Mede e Viggiù. Solo nove mesi fa, lo stesso Fontana sosteneva di non aver potuto fare lo stesso coi comuni di Nembro, Alzano Lombardo e nella Val Seriana, perchè la cosa non spettava a lui ma al Governo, accusando di attacco politico chi provava a ricordargli quelle che, ora come allora, sono sue precise responsabilità (la cui ignoranza, è sempre bene tenere a mente, è stata pagata a caro prezzo dai cittadini, anche in termini di vite umane), giungendo fino alla paradossale sfacciataggine di chiedere maggiori autonomie per le regioni, dopo aver appena dato una così plateale dimostrazione di non conoscere neppure quelle già attribuitegli secondo la legge del 1978 che le ha istituite.
Ebbene, di fronte a questo schifo, quali sono state le reazioni (si fa per dire) dell’informazione mainstream, quella che all’epoca dei fatti, coi morti ancora caldi, ha avuto perfino il coraggio di sostenere che avesse ragione lui, avvalorando financo la tesi fasulla secondo cui il povero Fontana non avrebbe avuto il potere per istituirle? Perlopiù, non ce ne sono proprio state: troncare, sopire; in pratica, nessuno si è nemmeno preso la briga di far notare l’assurdità della cosa: hanno semplicemente fatto tutti finta di niente, e la cosa è incredibilmente finita lì.
Altro esempio, sempre d’attualità: le autoflagellazioni su pubblica piazza causate dal comportamento di un Signor Nessuno che ha osato appellare la Meloni con un nomignolo, quello di pesciarola, sul quale lei stessa (fino a poco tempo fa) ironizzava. Comportamento certamente da stigmatizzare, soprattutto perchè le esternazioni di Gozzini sono state fatte durante una trasmissione al pubblico (e non nel luogo preposto, ovvero tra amici al bar), ma deve valere per tutti. Invece quando, poche settimane fa, un Signor Salvini si permetteva di descrivere pubblicamente Virginia Raggi come una povera scema, gli stessi autoflagellanti, oggi così inconsolabili per l’orribile, gratuito insulto rivolto ad una povera donna indifesa, si sono ben guardati dal riprendere la cosa, e men che meno dal tirare in ballo sessismo o altro: si sono girati bellamente dall’altra parte, e morta lì.
viviana.v
24 febbraio 2021 alle 9:11
DRAGHI E GLI ITALIANI- DIO ACCECA COLORO CHE VUOLE PERDERE- Viviana Vivarelli.
Purtroppo si ripete il detto latino: “Nemo propheta in patria”.Se un popolo vuole suicidarsi lo farà e non ascolterà chi lo mette in guardia anzi cercherà di linciarlo.Devo dare ragione ai realisti pessimisti,che vedono nitidamente che ci stiamo buttati da soli nelle fauci del drago con una incoscienza e disinformazione mostruose, che, dopo quanto Draghi ha fatto in tutta la sua vita,non ha attenuanti e dimostra solo che i più non sanno nemmeno di cosa stanno parlando e si sono buttati in una rissa fatta di faziosità viscerale ed emotività impiegate male.Quello che sta accadendo è folle.Leggo su Facebook gente che si scanna perché crede, per es., che partecipando alle Commissioni e decidendo su piccole cose “si partecipi da dentro”! Perdono completamente di vista il senso generale dell’operazione con cui Draghi evita argomenti divisivi, dà briciole di potere a tutti su cose inessenziali, lascia che siano i partiti a decidere su queste, mentre su cose gigantesche deciderà lui in totale assolutismo con i suoi tecnici, svendendo l’Italia.Ha fatto la stessa cosa in Grecia (ovviamente nessuno dei media ne ha parlato e questo blog ha la gravissima colpa di non averlo fatto mentre disquisiva di alberi o di piante da appartamento) e c’è il forte rischio che lo schema usato per distruggere la Grecia Draghi lo ripeterà in Italia, ma sembra che nessuno voglia vederlo. Quando ce ne accorgeremo, sarà troppo tardi.Ho trovato spaventosa la dichiarazione di Gentiloni, che, con la massima naturalezza, ha spiattellato l’intento perverso di Draghi: svendere i nostri massimi beni pubblici a poteri stranieri, impoverire i più poveri, impoverire anche la classe media, modificare in senso meno democratico la Costituzione .(Vd articoli di Paolo Maddalena – Vice Pres, della Consulta, dunque uno che se ne intende :
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/18/leuropeismo-fideistico-di-draghi-ci-portera-alla-rovina/6105679/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/23/draghi-e-la-confessione-di-gentiloni-cio-di-cui-litalia-non-aveva-bisogno/6110790/
Apparentemente Draghi si è messo in continuità col Conte 2, da cui ha preso 11 Ministri su 22. E sicuramente gode di grande stima in Occidente, ma da parte di chi? Alta Finanza, sistema bancario, Banche d’affari americane, specie Goldman Sach, tutta gente che ha sempre operato per arricchire i più ricchi a spese dei popoli e a cui si deve l’assassinio della Grecia,e, prima, dell’Argentina. Non serve a niente dire che la Grecia aveva pessimi Governi perché ha avuto pessimi Governi anche l’Italia e non è un buon motivo per distruggere il futuro di un popolo, tagliargli diritti costituzionali, o diminuire la sua democrazia. Questo è quello che Renzi e Monti hanno tentato di fare e che Draghi farà di più.
Dire che ‘Controlleremo meglio stando dentro al Governo che stando fuori” è una emerita palla, visto che i Ministeri che contano sono nelle mani di Draghi, che gli altri hanno le briciole, che noi non abbiamo nemmeno quelle e che Draghi può cambiare i Ministri quando e come gli pare.E’ una palla anche dire che ‘Draghi durerà solo 2 anni’, perché 2 anni sono bastati a distruggere la Grecia, a buttarla nella miseria più nera e a svendere a stranieri tutti i suoi beni pubblici (acqua, luce, luce, porti, aeroporti, persino isole).Gentiloni ha detto chiaramente che Draghi è molto stimato in Europa e negli USA per il suo atteggiamento poco incline a tutelare gli interessi italiani e molto propenso a tutelare gli interessi degli Stati forti dell’Ue, nel quadro di un fermo atlantismo cioè della soggezione agli USA.Dunque c’è poco da sperare per i nostri interessi, mentre appare sicuro che le poche forze economiche rimaste all’Italia saranno utilizzate non per rafforzare Enti pubblici italiani che assicurino occupazione e ricchezza a lungo termine, ma per arricchire le grandi potenze finanziarie straniere nel quadro del più smaccato neoliberismo.Grazie alla von der Leyen, a causa della pandemia è stato sospeso il patto di stabilità, cioè l’obbligo delle restrizione dell’austerità per realizzare un impossibile pareggio del bilancio (cosa già di per sé asssurda).Da tempo l’economia italiana sta perdendo il possesso della sue massime imprese che stanno passando via via a poteri stranieri.Le imprese imprese straniere si stanno impadronendo a poco a poco di tutte le nostre industrie strategiche e dei nostri servizi pubblici essenziali con Governi che non hanno fatto niente per evitarlo, ignorando la Costituzione che (titolo 3° e art. 43) detta: “le industrie strategiche, i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia e le situazioni di monopolio devono essere nella mano pubblica o di comunità di lavoratori o di utenti”.Intanto non si parla più di revoca ad Autostrade, come voleva il M5S, ma di un indennizzo di 9 miliardi di €.
Peggio ancora per l’Ilva (che Grillo voleva chiudere trasformando l’area in parco giochi): si interviene sulla società pubblica Invitalia per un MLD,mentre è di 70 milioni l’investimento previsto per i prossimi anni di Arcelor Mittal, arrivando all’assurdo che l’Italia mantiene il 60% delle azioni Ilva, mentre ArcelorMittal,come affittuaria,godrà per intero dei profitti. Insomma noi paghiamo e lo straniero intasca.Draghi se ne frega dell’inquinamento cancerogeno di Taranto e del Tar della Puglia che ha rifiutato la richiesta di ArcelorMittal di riaprire l’Altoforno 2 mentre il Tribunale di Taranto ha chiesto una condanna per i Riva per disastro ambientale.Sulla fibra ottica, dove i profitti saranno altissimi, lo Stato metterà le spese per la costruzione della rete della Cassa Depositi e Prestiti, lasciando la maggioranza delle azioni a Tim, che è in mano straniera, con la francese Vivendi in posizione prioritaria. Anche qui lo Stato, cioè noi, pagherà le spese, i profitti li prenderanno gli stranieri.Monti voleva abbassare i tassi d’interesse sul debito infliggendoci lacrime e sangue e tagliando i diritti del lavoro. Nessuno dice che lo fece su ordine proprio della famosa lettera della Troika scritta da Draghi. Non si capisce come, se Monti e la Fornero, sono tanto odiati, si debbva amare Draghi che ha ordinato loro di fare quello che hanno fatto.La linea di Monti come di Draghi, Padoan o Renzi è sempre stata contro lo sviluppo dell’economia italiana e favore di grandi potenze economiche o finanziarie straniere.La von der Leyen (che deve la sua carica al M5S) vuole sospendere l’austerità e intraprendere una linea keynesiana, in cui il debito può crescere se aumenta lo sviluppo e mette i miliardi in investimenti produttivi che rimettono in moto l’economia del Paese modernizzandolo e quindi facendo aumentare il PIL che da solo ci ripagherà dei tassi di interesse. E’ quello che fece Roosevelt dopo la crisi del ’29 risollevando gli Stati uniti ed è quello che dovremmo fare noi e a cui pensava Conte. Ma la linea di Draghi è quella opposta, di prendere pretesto della pandemia e mirare alla riduzione del debito con tagli e svendite, nulla che sia diretto allo sviluppo con i 220 miliardi promessi dall’Ue, grazie a Conte,Il fine di Draghi (lo dicono Gentiloni e Maddaloni) non è risollevare l’Italia ma arricchire poteri stranieri, come ha sempre fatto.Oltre il danno c’è anche la beffa perché i partiti hanno accettato questa turpe possibilità, e sopra tutti lo hanno accettato i primi 3 partiti: M5S, Lega e Pd.Insomma è arrivato un distruttore di popoli e gli abbiamo aperto le braccia!! E chi, nel M5S, ha visto il pericolo e si è opposto ha rischiato il linciaggio e l’espulsione.Dio acceca chi è causa della propria rovina.Ma sembra che, se uno lo dice, viene sbranato dalla folla.
BY INFOSANNIO ON 25 FEBBRAIO 2021 • ( 78 COMMENTI )
I 4 dell’Ave Mario
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Sei giorni fa titolavamo: “Perché è caduto Conte?”. Ora, alla luce delle prime scelte di Draghi, possiamo cancellare il punto interrogativo. Conte non è caduto per la blocca-prescrizione (confermata dal governo Draghi).
Non per i Dpcm (li fa anche Draghi).
Non per le chiusure anti-Covid (elogiate, ribadite e inasprite da Draghi).
Non per i vertici serali (li fa pure Draghi, ieri per la mega-rissa sui sottosegretari).
Non per ministri e collaboratori incapaci (quasi tutti confermati da Draghi, con l’aggiunta di Brunetta, Gelmini, Carfagna, Garavaglia, Stefani&C. per aumentare il tasso di competenza).
Non per il Mes (non lo prende neanche Draghi). Non per il Reddito di cittadinanza (non lo cancella neanche Draghi).
Non per il ponte sullo Stretto (non ne parla neppure Draghi).
Non per Arcuri (finora se lo tiene anche Draghi).
Non perché accentrava la governance del Recovery in soli tre ministeri (Draghi l’accentra in uno: il Mef del fido Franco).
E qui finiscono i pretesti ripetuti per due mesi dall’Innominabile e dai suoi pappagalli per giustificare la crisi: erano tutte balle.
Le vere ragioni del ribaltone sono altre: mettere le mani dei soliti noti sui miliardi del Recovery e dirottarli verso Confindustria&C.
Per chi nutrisse ancora dubbi, basta leggere i nomi dei ministri Franco, Cingolani, Colao, Giorgetti e (a pag. 2-3) dei sottostanti boiardi e retrostanti lobbisti, su su fino al neoconsigliere economico Francesco Giavazzi: un turboliberista che predica da sempre contro l’impresa pubblica e a favore di quella privata (ma con soldi pubblici) e che neppure i giornaloni riusciranno a spacciare per “liberalsocialista”, “keynesiano” e “allievo di Caffè” (che non smette più di rivoltarsi nella tomba, tanto nessuno sa dove sia).
Mentre i partiti giocano agli adulti nel cortile dell’asilo coi loro ministri e sottosegretari superflui, Draghi e i Quattro dell’Ave Mario si occupano delle cose serie. Cioè della scelta meno tecnica e più politica del mondo: a chi destinare i miliardi del Recovery. Ricordate il mantra del Piano “scritto coi piedi” da Conte e Gualtieri e “migliorato” in extremis dal provvidenziale intervento renziano?
Ora Repubblica titola: “Pulizia sul Recovery Plan. Il governo taglia subito 14 miliardi di progetti… senza copertura finanziaria. Sfoltite le iniziative in eccesso previste dal Conte2, si torna a quota 209,5 miliardi”. Già: ma le “iniziative in eccesso” sono quelle chieste dal Rignanese nel celebre Piano Ciao e aggiunte da Gualtieri per tacitarlo.
Quindi era meglio il Piano Conte prima della cura Iv: quello “scritto coi piedi”, senza i famosi “miglioramenti” renziani che ora Draghi deve “ripulire”. Ma questo i repubblichini si scordano di scriverlo. Vergogniamoci per loro.
Cialtron Heston
25 febbraio 2021 alle 1:37La via della seta, il 5G, il Sovranismo dichiarato davanti all’Assemblea Generale dell’Onu, la simpatia per Trump alla Casa Bianca, essere l’avvocato del popolo, sono questi i peccati capitali che hanno condannato Conte è il suo governo. È infatti il bomba ci informa che per questo Conte non potrà essere il leader del campo progressista.
In realtà Conte non piaceva più oltre oceano dove il nuovo establishment di Biden ha sponsorizzato Draghi e la parola d’ordine è diventata “europeismo” senza se e senza ma. E infatti il minchiavellico ha iniziato a tirare la corda a elezioni americane concluse.
L’innominabile, che invidia il costo del lavoro dell’Arabia Saudita (120 euro mensili per gli immigrati sottoposti a turni disumani) e che si fa dare gettoni di presenza da svariate decine di migliaia di euro, ci dà la misura dell’uomo che è, al soldo e si è reso disponibile come killer del governo Conte 2, un pò anche per vendicarsi delle brucianti sconfitte subite.
Mes, prescrizione, ponte sullo stretto e tutte le altre supercazzole del rignanese e della sua congrega di falsi progressisti sono le canne fumanti del killeraggio. Non si vergogneranno mai.
Tracia
25 febbraio 2021 alle 10:47
xGiulio Fadda
Anno 2006, Benetton finanzia la Lega di Bossi e Salvini con 150.000 euro di contributo elettorale. È l’anno delle elezioni: il governo Berlusconi sarà sostituito dal governo Prodi.
Il Governo Prodi (2006/2008) rivede il sistema delle concessioni. Nel 2007 vengono firmate le convenzioni uniche per ogni concessionario autostradale stabilendo RIGOROSE verifiche periodiche sulle tariffe e sugli investimenti
L’8 aprile 2008: Prodi è al governo, mancano pochi giorni alle elezioni del 13 e 14 aprile, che vedranno la vittoria di Berlusconi sul partito Democratico, nato a ottobre 2007. Viene approvato il decreto legge 8 aprile 2008, n. 59. Si tratta di un decreto che riguarda gli obblighi europei e l’esecuzione di alcune sentenze della Corte giustizia della Comunità Europea Cosa c’entra con Autostrade?
Nulla. Ma da qui in poi, cambia tutto.
“Otto maggio 2008: si insedia come premier di nuovo Berlusconi. Il suo alleato di governo è la Lega. 29 maggio 2008: arriva in Parlamento il decreto legge n. 59, ma in quel decreto viene ficcato nottetempo l’emendamento SALVA BENETTON
(l’articolo 8-duodecies).
Il decreto diventa legge grazie al voto di Salvini e della Lega, mentre tutti i parlamentari del Pd votano contro.
Il decreto è convertito in legge n. 101 del 6 giugno 2008, pubblicata in gazzetta ufficiale il 7 giugno 2008”.
2015 La porcata di Renzi e Delrio Sblocca Italia nel 2015 fu inserita legge che prolungava la concessione a Autostrade
In conclusione grazie a Berlusconi e la Lega i Benetton sono giuridicamente sono in una botte di ferro.
Per mandarli via lo stato deve pagare, con la modifica il governo Berlusconi ha tolto allo stato la facoltà di togliere la concessione
per non avere rispettato le RIGOROSE verifiche periodiche .
Conte lo sapeva, E PER QUESTO STAVA MEDIANDO – UNA USCITA DI BENETTON MENO GRAVOSA PER LO STATO
In conclusione o pagare i Benetton o lasciare la concessione. Draghi o non Draghi questa è la verità.
Io mi auguro che il nuovo ministro Giovannini, mantenga la posizione di Conte .
Jonny Dio
25 febbraio 2021 alle 16:39
Nel conto mettici anche i finanziamenti dei Benetton a Renzi tramite la fondazione Open (fatti ormai acclarati, sebbene la liceità degli stessi sia tuttora oggetto di indagini).
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/27/open-i-finanziatori-della-fondazione-che-hanno-beneficiato-di-scelte-del-governo-renzi-dal-gruppo-gavio-alla-lobby-del-tabacco/5582478/
Aggiungo che gli interessi che ruotano intorno alle concessioni autostradali sono talmente enormi che basterebbero da soli a giustificare lo sgambetto a qualunque governo abbia intenzione di metterci mano, anche senza considerare il resto (recovery plan, giustizia, eccetera). Come è, come non è, ogni volta che qualcuno ha sia l’intenzione che la volontà di mettere mano alle concessioni, cade il governo (e sempre per mano di qualcuno che dai Benetton è stato finanziato).
E ORA UN PO' di SPASSO, ai danni di 'il Movimento 5 stelle non voterà questo governo' (V.Crimi, 02-02-21). E della sua degna sodale Roby Lombardi.
Vito Crimi
5 g ·
Il completamento della squadra di governo consente all'esecutivo di lavorare ora nel pieno delle sue funzioni. Bisogna correre, e bisogna farlo subito. Perché le risposte che dobbiamo dare al Paese sono tante e decisive. Le priorità sono la salute pubblica, la sanità e il piano vaccinazioni, i ristori, le imprese e il lavoro, la definizione del Recovery Plan. La squadra di governo del
MoVimento 5 Stelle
sarà composta da persone competenti che proseguiranno con il massimo impegno l'importante lavoro fatto fin qui, aiutandoci ad affrontare le sfide che ci attendono. A tutti loro rivolgo i miei auguri di buon lavoro. Un sincero ringraziamento va ai colleghi che hanno concluso l'esperienza di governo e che hanno lavorato senza sosta con grande capacità e dedizione al servizio del Paese.
P.S.
In molti mi state chiedendo perché non sono fra i membri dell'esecutivo. Quella di rimanerne fuori è stata una mia scelta. Una scelta alla quale hanno aderito anche i due capigruppo e vice capigruppo di Camera e Senato, che insieme a me hanno lavorato alla composizione della squadra di governo proposta.
11601160
Commenti: 1665
Roberta Lombardi
Grande generosità da parte tua e grande spirito di servizio. C’è che lavora per il Movimento e chi lascia che il Movimento lavori per lui. Io sono fiera di essere amica e collega di una persona come te
139- · 5 g
Davide Speroni
Roberta Lombardi
fiera ???? Ma vi leggete cosa scrivere ? Ma leggete cosa vi scrivono chi per anni è stato nelle piazze con i gazebo al freddo sotto al sole a farsi fanculizzare dalla gente per convincerla che il movimento era la salvezza !!!! Voi avete perso il senso della realtà !!! Che delusione....
30· 5 g
Assunta Portas
Roberta Lombardi
lei è crimi siete come la forchetta per il brodo "Inutili e dannosi
26 · 5 g
Vittorio Nardiello
Roberta Lombardi
evete truccato un sondaggio con una domanda falsa questa è la verità, siete al governo con dei MAFIOSi
17 · 5 g
Giovanni Manzo
Roberta Lombardi
addirittura "orgogliosa"?
Ormai siete spudorati...
15 · 5 g
Lorenzo Morra
Roberta Lombardi
quanta povertà culturale
12 · 5 g
Alessandro Comis
Roberta Lombardi
anche meno cazzate grazie. Questo governo è vomitevole e voi ne siete complici.
13· 5 g
Paolo Paolo Pa
Non so se riuscirete a fare fuori anche la Raggi. Spero di no. Per me Raggi Forever.
Lombardi, Crimi, Di Maio a casa!
12· 5 g
Sabina Paulucci
Roberta Lombardi
senza pudore!
14 · 5 g- Francesco Preti
Roberta Lombardi
un po' di decenza perfavore. Ha letto i commenti? Quelli positivi sono veramente pochi, andate a casa che avete distrutto il M5S. Senza vergogna siete.
7 - Massimo Mobilia
Roberta Lombardi
fiera che sono al governo con chi fino all’altro giorno consideravano peggio del corona virus?
· 5 g
Alfonso Marchionni
Roberta Lombardi
tu sei la peggio.. perché non passi con il pd
8· 5 g
Felice Petroni
Paolo Paolo Pa
condivido la Raggi una donna sola vale più di nelle di questi tre... il trio la vergogna del movimento...
5 · 5 g
Marzia Pellegrineschi
Assunta Portas
confermo il tuo giudizio e aggiungo che lo sono sempre stati fin dal primo incontro con Bersani.
4 · 5 g
Paolo Paolo Pa
Roberta Lombardi
,
4 · 5 g
Rocco Orsi
Roberta Lombardi
io farei le elezioni interne al movimento vediamo chi l'o vorrebbe crimi
7 · 5 g
Lino Armosini Martucci
Col culo al caldo di una poltrona viene tutto più facile. Carogne
3 · 5 g
Antonio Starace
Roberta Lombardi
evaporate tu e lui, traditori.
2· 5 g
Fernando Montagner
Roberta Lombardi Al prossimo brindisi sono pronte le voci cantore :" Meno male che Silvio c'è..... " come da programma proposto ai vostri elettori .aspettatevi molti Vaffa per le prossime elezioni !
3 · 5 g
HenryBeyle MarceVann
Roberta Lombardi
, dai che alla fine ci sei riuscita a portare il Pd dentro il M5S e a farlo così implodere. Complimenti Roberta: missione compiuta.
2 · 5 g
Tonio Do
Roberta Lombardi
ero intenzionato ad insultarti......ma vedo che lo hanno già fatto.
Tu è il tuo amico crimi fatte..........
4 · 5 g
Peppuccio D'Angelo
Roberta Lombardi
. Vorrei riempirti di male parole per le minkiate che hai detto, ma sono stanco perfino di vedere la vostra vergognosa faccia. Tu e Yoghi bu bu avete detto no a Bersani e Sì a Berlusconi, Calenda, Mattei e Bonino? Perfetto. Ho detto tutto.
3 · 5 g
Gandolfo Tricoli
Roberta Lombardi
fiera? Abbiamo un traditore vile demolitore e svenditoire del paese e te sei fiera di essere amica di un complice del traditorie al governo?
· 4 g
Giuliana Zanasi
Assunta Portas
Siete una vergogna, ormai le bestie di Salvini non hanno bisogno di invadere le pagine dei nostri parlamentari, bastate voi i pentastellati duri e puri delusi carichi di odio. Nessuno che si ricorda cosa hanno fatto governando i palamentari del movimento con lega ladrona. Che tristezza !- · 4 g